Seduta del 23 maggio 1973

La persecuzione giudiziaria contro Almirante e il Msi è ben nota. A livello d’intenzione, almeno. Infatti, oltre alle richieste di autorizzazioni a procedere, oltre alle orchestrate campagne di stampa, non si è mai andati. Addirittura si è arrivati a proporre l’incriminazione per ricostituzione del PNF del solo Almirante, «assolvendo» l’intera classe dirigente missino all’indomani della vittoria del 1972. Almirante, insomma, aveva fatto «tutto da solo». Questa vicenda molte volte sarà discussa alla Camera. L’occasione più significativa la offre la seduta del 23 maggio 1973, con la Destra nazionale in fortissima ascesa. Il segretario del Ms i- Dn si «difende» mettendo sotto accusa il sistema

L’atto di accusa

contro il sistema

ALMIRANTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’onorevole relatore ha detto che questa vicenda non è collegata alle vicende elettorali. Mi dispiace doverla smentire, onorevole relatore, se è vero, come è certamente vero, che l’indagine di polizia giudiziaria fu promossa dal dottor Bianchi d’Espinosa dopo il 13 giugno del 1971 e la richiesta di autorizzazione a procedere è stata trasmessa alla Camera subito dopo il 7 maggio del 1972. Avendone avuto notizia circa un anno fa, io mi permisi di cogliere l’occasione importante e qualificante sul terreno politico del dibattito in questa Camera sulla fiducia al Governo costituito dopo le elezioni del 7 maggio, per dichiarare lealmente che, se e quando la richiesta di autorizzazione a procedere fosse giunta in aula, io avrei votato a favore. Inizio questo mio intervento confermando che voterò a favore della richiesta di autorizzazione a procedere contro di me. Vorrei pregare tutti i settori della Camera e particolarmente il mio settore di voler valutare secondo esattezza, cioè secondo la mia intenzione, questo atteggiamento, che non è atteggiamento sacrificale o di martirio, che tanto meno è atteggiamento di colpevolezza confessata e che non vuol nemmeno ricondursi agli atteggiamenti che più vastamente abbiamo assunto e ci siamo onorati di assumere da parecchie legislature (mai ascoltati dal resto dell’Assemblea) affinché l’istituto dell’immunità parlamentare fosse costituzionalmente corretto e limitato ai soli reati politici. Non potendosi evidentemente qualificare il reato che mi si addebita come reato comune, sarei perfettamente in regola con le tradizioni del mio partito se votassi contro. E il mio gruppo voterà contro, in rappresentanza della volontà politica e posso forse permettermi di dirlo del sentimento dei tre milioni di italiani che un anno fa hanno votato per noi. Io voterò invece a favore, forse per una ragione di pudore personale e, soprattutto, per poter parlare più serenamente e per essere me lo auguro più serenamente ascoltato.

Non è tradizione che l’imputato parli in occasione di una richiesta di autorizzazione a procedere contro di lui. Penso però che un imputato che si trova e si colloca nella posizione in cui sono io in questo momento abbia, signor Presidente, non solo il diritto ma il dovere di parlare all’Assemblea, in quanto ho or ora appreso dall’onorevole relatore che sulle mie personali spalle graverebbe non soltanto la responsabilità di avere, tutto solo, ricostituito il disciolto Partito nazionale fascista, ma anche quella visto che altri imputati per lo stesso reato non vi sono, sembra, per ora in questa aula di avere scatenato un clima di violenza in tutta Italia, di avere determinato in maniera fondamentale la crisi che le istituzioni attraversano; ho imparato di essere io, tutto solo, un pericolo per le istituzioni repubblicane; ho imparato che lo sono diventato da poco tempo, non direi in questo momento, quanto meno dalla metà del 1969 in poi, cioè da quando, se ben ricordo, le fortune elettorali del nostro partito sono andate lievitando; ho imparato perfino, dalle ultime dichiarazioni dell’onorevole relatore, che anche la crisi economica, sociale e politica che il nostro paese attraversa non può essere disgiunta da queste responsabilità. Mi consentirete pertanto, serenamente, di parlare di questi argomenti, per assumermi le mie responsabilità e non come qualcuno ha pensato in precedenza, mal conoscendomi per esibirmi come vostro giudice, ma semplicemente per respingere la qualifica di imputato e per manifestarmi quale testimone della crisi che l’Italia indubbiamente attraversa e dei motivi che sono a monte di questa crisi.

Voglio dire alla Camera, e dalla Camera al popolo italiano che, attraverso la stampa, spero sia messo in grado di registrare fedelmente le mie parole: primo, in base a quale tipo di procedura io sono stato oggi trascinato qui in veste di imputato politico; secondo, per effetto di quale legge; terzo, con quali addebiti; quarto, dinanzi a quale tribunale; quinto, per quali motivi; sesto, in quale posizione mia personale e politica; settimo, in quale clima e ambiente; ottavo, con quali prospettive. Premetto anche, sorridendo, che poiché molti tra voi conoscono da molti anni le mie abitudini, o le mie debolezze, di parlamentare troppo diligente, mi guarderò bene dal cattivo gusto di tenere un discorso che possa sembrare anche lontanamente ostruzionistico. Se dovrò dilungarmi su alcuni argomenti, è perché gli argomenti sono stati pesantemente posti sul tappeto dall’onorevole relatore e, credo, da tutti i partiti che si denominano dell’arco costituzionale.

Due parole di risposta al relatore, che ovviamente non fanno parte del mio schema mentale, perché ho voluto ascoltarlo e ho avuto modo di leggere la sua breve relazione scritta venendo oggi in aula. Onorevole relatore, se non sbaglio, lei ha ripetuto oralmente quanto aveva scritto, salvo ad aggiungere chiose politico costituzionali sulle quali avrò modo di soffermarmi più avanti. Ma non ha ripetuto tutto, forse perché pensava che alcune cose dette in aula, alla presenza della stampa, avrebbero potuto un poco sminuire l’importanza delle conclusioni. Mi permetto pertanto di richiamare all’attenzione del Parlamento e della stampa che gli atti processuali (e non entrerò nel merito, perché non sarebbe corretto e perché non ho potuto prendere visione evidentemente degli atti processuali: so quel che qui è scritto) sono costituiti principalmente da: inchiesta sul fascismo del convitto scuola «Rinascita»; inchiesta sul fascismo del settimanale Rinascita; inchiesta sul fascismo della regione lombarda, costituita da una relazione generale e da una documentazione composta da raccolte e riproduzioni di cronache e articoli apparsi in diversi anni sulla stampa nazionale (in particolare l’Unità, L’Avanti!, Paese sera, L’Ora, Il Giorno, La Stampa, Il Corriere della sera, Il Popolo, La Voce repubblicana, eccetera); estratto degli atti processuali relativi al procedimento contro tale Terzi Corrado; estratto degli atti processuali relativi al procedimento contro tale Ferrorelli Giovanni; documenti di stampa e propaganda varia e raccolte del giornale Il Secolo d’Italia (meno male!); rapporti delle questure, delle legioni dei carabinieri, come l’onorevole relatore si è benignato di citare anche oralmente, mentre il resto forse ha avuto un poco di pudore a recitarlo oralmente. Per quel che riguarda il Movimento sociale italiano, mentre a voce, se non sbaglio, l’onorevole relatore ha detto che gli indizi sono numerosissimi a carico delle organizzazioni extraparlamentari e numerosi a nostro carico, nella relazione si dice che per quanto riguarda il Movimento sociale italiano esistono «indizi» in tal senso, e niente altro.

Quindi si trascina dinanzi ad un tribunale il segretario di un partito politico, onorevole relatore, perché, avendo consultato le collezioni de l’Unità, dell’ Avanti!, del Paese sera, gli studi del convitto Rinascita, avendo ascoltato la regione lombarda, e avendo doverosamente preso atto ora ne parlerò dei rapporti pervenuti da numerose questure e via dicendo, si è rilevato che esistono «indizi» a carico del Movimento sociale italiano. Tanto è vero che, se avete ascoltato bene l’onorevole relatore, il quale a questo riguardo ha detto le stesse cose che ha scritto nella relazione e che sono le più importanti, egli conclude e credo, signor Presidente, di non sbagliare; se sbaglio mi perdoni, lo faccio assolutamente in buona fede, mi affido alla memoria la sua relazione non chiedendo l’autorizzazione a procedere contro di me, anche se naturalmente in linea di fatto la conclusione è questa, ma dicendo che non si può «negare alla magistratura richiedente di approfondire, nel modo ritenuto più opportuno, le indagini». Quindi ci troviamo di fronte ad un relatore il quale ritiene che le indagini debbano essere approfondite. Ebbene, onorevole relatore, delle due l’una: o le indagini sono state approfondite, e allora non c’è il fumus persecutionis ed è perfettamente logico e giusto che la Camera voti contro di me; o lei stesso ritiene lo scrive e lo ha ripetuto di dover suggerire alla magistratura di approfondire le indagini, e allora mi sembra poco corretto ó come vede sto frenando ogni mio istinto ad usare aggettivi pesanti scrivere che le indagini devono essere approfondite e, al tempo stesso, riconsegnare la patata che scotta alla magistratura, ora che Bianchi d’ Espinosa non c’è nemmeno più. È questa, onorevole relatore, una confessione o di superficialità o di faziosità o di aperto mendacio o di speculazione politica da parte di tutti coloro che hanno sottoscritto come maggioranza una relazione di questo genere, credo senza precedenti. E se è vero, come l’onorevole relatore ha detto e mi ha fatto l’onore di richiamare e di ritenere, che questo è un momento importante non mi permetterei di dirlo io perché sembrerebbe volessi darmi un tono di importanza e questa è una decisione grave, io vorrei sapere con quale senso di responsabilità si assumono decisioni gravi senza avere approfondito una indagine indiziaria. Con una aggravante, onorevole relatore e onorevoli colleghi: se l’indagine fosse stata svolta contro di me; se tra tutti gli atti che sono stati raccolti, documenti, collezioni di giornali, vi fossero indizi contro la mia persona; se l’indagine fosse diretta ad accertare le mie personali e dirette responsabilità, che sono responsabilità penali, che si pagano, se scattano le sanzioni previste dalla legge, con anni di galera, si potrebbe anche pensare o dire: «Si conceda l’autorizzazione a procedere; vi sono taluni indizi sulle personali attività del deputato Almirante, si veda se si raggiungono ulteriori prove». Ma, onorevole relatore, ella sa benissimo che questa cosiddetta indagine di polizia giudiziaria non riguarda la mia persona: emerge da quanto ella ha detto, emerge da quello che è qui stampato, emerge (e me ne possono far fede i colleghi che fanno parte della Giunta per le autorizzazioni a procedere e che hanno potuto accedere al materiale di documentazione) dal fatto che tutti gli atti riguardano episodi di violenza, o «per sentito dire», taluni episodi di apologia verificatisi in varie parti d’Italia. Di questi nemmeno uno è a me addebitato, perché altrimenti nei miei confronti sarebbero giunte e sarebbero dovute giungere altrettante denunce, con altrettante richieste di autorizzazione a procedere.

Si dà quindi il caso di un uomo contro il quale una lunga indagine sulla quale mi esprimerò non ha potuto accertare nulla, appurare nulla, nemmeno a livello di indizi, ma che viene rimesso alla magistratura perché rappresenta un pericolo per le istituzioni. La maggioranza riesce a trovare un relatore che dica e scriva cose siffatte e il relatore riesce a trovare una maggioranza che le approvi. Credo che potrei concludere anche qui la mia modestissima arringa e avrei già dimostrato che sì, è vero il fumus della persecuzione non esiste, ma l’arrosto esiste. Altro che fumus di persecuzione! È talmente chiaro l’intento persecutorio, è talmente chiara la manovra politica, di politica elettorale o pre elettorale, che non avrei bisogno di dire altro; ma altro debbo naturalmente dire.

Altro intanto debbo dire a proposito della procedura con la quale sono stato trascinato qui. Il relatore vi ha chiarito, onorevoli colleghi, che la vicenda è cominciata con una indagine di polizia giudiziaria promossa dal dottor Bianchi d’Espinosa, nei confronti del quale non mi permetterò il minimo apprezzamento, perché civilmente rispetto coloro che non sono più, comunque si siano comportati. Il dottor Bianchi d’Espinosa, nella sua qualità di procuratore della Repubblica di Milano, ha ritenuto di aprire alla fine del 1971 una indagine di polizia giudiziaria non su di me, ma sul Movimento sociale italiano. Nego che egli abbia potuto farlo ai sensi della legge Scelba; egli lo ha fatto perché ha ritenuto che la magistratura possa esperire una indagine preventiva di polizia giudiziaria su una parte politica. Non ho l’impressione che le parti politiche qui presenti siano state molto sagge nel plaudire alla iniziativa del procuratore della Repubblica di Milano, perché ho l’impressione che altri procuratori della Repubblica visto che a questo punto la legge Scelba in quanto tale non c’entra potrebbero assumere iniziative del genere, che non auguro a nessuna parte politica ma che su altre parti politiche potrebbero incombere nella mutevole vicenda della nostra età ed anche nei mutevoli e vari atteggiamenti della magistratura italiana e nei mutevoli e vari atteggiamenti basta leggere i discorsi all’inaugurazione dell’anno giudiziario dei procuratori della Repubblica. Senza mancare di rispetto e ne ho detto il motivo, signor Presidente alla memoria del dottor Bianchi d’Espinosa, devo ricordare agli ignari, ai dimentichi, che dieci anni prima, nel luglio 1961, il dottor Bianchi d’Espinosa, che forse era diversamente orientato a quell’epoca (vedete le mutate vicende al vertice della magistratura), così si esprimeva, e per iscritto: «La legge del 1952 è un congegno tanto assurdo che, esaminando a fondo il testo legislativo, viene da domandare se realmente il legislatore abbia voluto l’attuazione dell’articolo 12 della Costituzione» (scusate l’errore, che non è mio, ma è suo, perché non è un articolo ma una disposizione transitoria) «o non abbia invece voluto, sia pure inconsciamente, rendere tale attuazione praticamente impossibile. Perché equivale ad attribuire una funzione che praticamente non può essere esercitata, attribuire a 154 tribunali la competenza di emettere sentenze di accertamento circa la identificazione con il partito fascista di una sola formazione politica che opera sul piano nazionale». Vi risparmio il resto, onorevoli colleghi.

All’origine della vicenda vi è dunque una indagine di polizia giudiziaria, del tutto arbitraria, messa in opera da un uomo che pochi anni prima la pensava in maniera completamente diversa. Senza mancare di rispetto alla memoria del dottor Bianchi d’Espinosa, devo permettermi di dire che le indagini di polizia giudiziaria e gli atti successivi, relativi alla trasmissione al Parlamento della richiesta di autorizzazione a procedere, furono purtroppo effettuati dal defunto magistrato quando egli (lo dico rispettosamente, ma è vero e documentato: il ministro della Giustizia, oggi assente, per sua fortuna, lo sa perfettamente…), gravissimamente infermo, non era nella condizione di intendere e di volere. A tal punto che egli ha dimenticato di firmare il capo di imputazione contro di me. Senza la sua firma, questo atto è stato, illegittimamente, trasmesso al ministro della Giustizia, che, illegittimamente,violando una disposizione emanata con circolare dello stesso ministro della Giustizia, se non erro nel 1961, lo ha trasmesso alla Presidenza della Camera dei deputati. Con la Presidenza della Camera io non sono in polemica, a questo riguardo, e non mi turba in alcun modo il fatto che in questi ultimi giorni le procedure siano state accelerate, perché semmai mi avrebbe turbato il fatto che fossero state rallentate, signor Presidente “

PRESIDENTE: “Non sono state accelerate da me…. “

ALMIRANTE: “Non mi turba, ripeto, il fatto che le procedure siano state accelerate e non attribuisco questo fatto, signor Presidente, ad un suo diretto intervento… “

PRESIDENTE: “Con lei, che è sempre finissimo, onorevole Almirante, conviene sempre essere precisi. Ripeto dunque che quelle procedure non sono state accelerate da me: anzi, come ella ben sa, in quanto glielo ho dichiarato privatamente, mi sono pervenute dalla Giunta due richieste di proroga ed entrambe le proroghe sono state concesse. £

ALMIRANTE: “Resta il fatto, signor Presidente, che tutta la stampa quotidiana, mentendo ai suoi danni, ha attribuito a lei questa accelerazione delle procedure. Ella quindi avrebbe dovuto rettificare ciò che la stampa ha detto, ripeto, mentendo ai suoi danni: come vede, provvedo a rettificare io, visto che ella non ha voluto farlo… “

PRESIDENTE: “Ho già rettificato io… “

ALMIRANTE: “Visto che certa stampa non l’ascolta neanche… “

PRESIDENTE: “Che cosa posso fare, se non ho la stampa a mia disposizione? Ella, onorevole Almirante, ce l’ ha, io no… “

ALMIRANTE: “Gliela metto a disposizione…” Commenti).

PRESIDENTE: “No, no grazie! “

ROBERTI: “Non apprezzano nemmeno l’ironia… “

ALMIRANTE: “Non capiscono, signor Presidente. Vi sono nei processi, le attenuanti per chi non è capace di intendere e di volere… Chiedo scusa per questo intermezzo e riprendo il filo del mio discorso. Non ho nulla da dire, ripeto e lo dico seriamente nei confronti della Presidenza della Camera per un’apparente accelerazione delle procedure, anche perché non posso dimenticare di avere scritto io stesso, alcuni anni addietro, uno studio sull’ istituto delle autorizzazioni a procedere nel quale deploravo che si agisse troppo lentamente in tale materia. Sono quindi lieto che in questo caso, almeno nelle ultime due fasi, si sia proceduto con una certa celerità. Per quanto riguarda le indagini di polizia giudiziaria espletate in tutta Italia, non mi resta che ribadire quanto ho già avuto occasione di rilevare. Devo anche osservare che mi sembra che il Ministero dell’interno si sia prestato un po’ troppo alle richieste provenienti dalla procura della Repubblica di Milano e non so se anche questo atteggiamento del Ministero dell’interno, non giustificato da alcuna disposizione di legge, sia tale da tranquillizzare i rappresentanti di tutti i partiti che plaudono a siffatta vicenda, senza accorgersi che potrebbero scavare la fossa a sé medesimi.

Non dico questo, si badi bene, in tono di minaccia nei confronti di chicchessia, perché non sono in condizione e tanto meno ho la volontà di minacciare chicchessia; ma poiché si è instaurato un discorso in prospettiva, il discorso ha da essere conseguentemente di prospettiva. Non ci si venga a dire, fra qualche anno, che questo è stato un pessimo precedente, che ha determinato gravi conseguenze, come oggi si viene a dire (e ne parlerò) che l’aver tollerato nel 1968 e nel 1969 una serie di atti di violenza ha determinato le conseguenze delle quali tutta l’Italia soffre. Alla base di questa procedura, vi sono pesantissimi, inauditi arbitri e della procura della Repubblica di Milano e del Ministero dell’interno, nonché delle questure e delle prefetture che hanno ottemperato ad ordini assolutamente illegittimi, provenienti dal Ministero dell’interno.

Debbo dire (è il secondo punto) qualcosa circa la tanto discussa legge Scelba. Non spenderò neppure una parola per riferirmi a problemi di incostituzionalità: farei perdere tempo agli onorevoli colleghi. Non spenderò neppure una parola a proposito della legittimità o meno della XII disposizione transitoria della Costituzione; non spenderò neppure una parola per dire che è transitoria, e non finale; si tratta di una norma costituzionale, e le firme in calce alla Costituzione vengono dopo le norme transitorie. Io sono rispettoso della Costituzione; non ho problemi di eversione costituzionale nemmeno nel mio intimo; so benissimo (e vorrei che lo ricordaste voi, perché lo dimenticate troppo spesso) che la nostra Costituzione, essendo rigida, contiene una norma di fondo relativa alla procedura per rivedere anche in toto, tranne un articolo, la Carta costituzionale. Gli anni scorsi, durante le precedenti legislature, insieme con il gruppo del Movimento sociale italiano (ancor prima che diventasse Destra nazionale), più volte ho avuto l’onore di presentare proposte di revisione costituzionale. Credo (insieme con l’onorevole Roberti) che la prima proposta di revisione costituzionale nella storia del Parlamento italiano del dopoguerra l’abbia presentata proprio il nostro gruppo, allora forte di solo cinque elementi; pertanto, da parte mia personale, e da parte nostra, non esiste alcuna riserva nei confronti della necessità e della volontà di ottemperare in foto al dettato costituzionale, salvo a proporre, ripeto, correttamente la revisione delle norme che a nostro avviso o ad avviso di altri, debbono essere rivedute e corrette.

Quando parlo della legge Scelba, voglio parlarne riferendomi alla legge in sé, per togliere di mezzo taluni luoghi comuni e per chiarire di che cosa io sono accusato e in base a quali strumenti legislativi vengo accusato. In primo luogo debbo chiarire essere falso che fosse necessaria la legge Scelba per attuare il disposto della XII delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione. I collegi di tutte le parti si sono dimenticati che esisteva una legge di attuazione della XII disposizione transitoria, ed è esattamente la legge del 1947 contro le attività fasciste. Tale legge è del 1947,se si pone mente al momento in cui fu pubblicata sulla Gazzetta ufficiale:tale legge fu pubblicata sulla Gazzetta ufficiale successivamente all’ entrata in vigore della Costituzione. Cade quindi il presupposto politico, vorrei dire storico, al quale nel lontano 1950-52 si appiglia l’ onorevole Scelba per affermare la necessità dell’ attuazione del disposto della XII norma transitoria della Costituzione. Anche non volendo ammettere che tale norma possa essere quindi applicata senza bisogno di una legge di attuazione, una legge di attuazione era stata già emanata.Quale stata, allora,la ratio legis, negli anni dal 1950 al1952? L’ onorevole Scelba lo confessò: egli riteneva che le precedenti leggi fossero state inefficaci; e perché? Perché a suo avviso, e ad avviso del legislatore del tempo, esse avevano dato del fascismo e della ricostituzione del disciolto partito una interpretazione che dava luogo a troppi dubbi e perplessità, e permetteva troppe smagliature. Ed allora, signor Presidente ed onorevoli colleghi: ricostituzione del disciolto partito fascista, fascismo nel dopoguerra? Vi faccio notare, in base a dati di fatto, che il legislatore costituente ed il legislatore del Parlamento repubblicano nel dopoguerra, in tutto il dopoguerra, non sono fin qui riusciti e non potevano d’altra parte riuscire a dare una definizione chiara, univoca, concorde ed efficace di quel che possa essere rinascita del fascismo o ricostituzione del disciolto partito fascista, tant’è vero che vi fu un’interpretazione nel 1945, la prima, quella che faceva parte del decreto luogotenenziale del 1945, ed era un’interpretazione che si riferiva esclusivamente ad eventuali formazioni paramilitari o armate. Poi vi fu la definizione del 1947, che risaliva al trattato di pace (articolo 17) e si riferiva esclusivamente al metodo della violenza. Poi vi fu la definizione della legge Scelba, primo testo, quando essa fu presentata al Senato e quando lo stesso onorevole Scelba non si era discostato dal fascismo inteso come violenza e come dittatura. Infine, nel passaggio Camera-Senato (1950-1952), si è avuta la formulazione attuale, la quale pretende di indivi­duare e di colpire giuridicamente il fascismo anche come idea, dando così luogo ad una definizione giuridica della democrazia, dando così luogo ad una definizione giuridica della Resistenza, dando così luogo ad una definizione giuridica del razzismo, dando così luogo ad una definizione giuridica del totalitarismo, dando così luogo ad una definizione giuridica della violenza e cadendo come mi sarà facile dimostrare in una serie di contraddizioni, di luoghi comuni, di pressappochismi, che non fanno onore al legislatore italiano del dopoguerra e che d’altra parte non potevano non verificarsi, se è vero, come è vero, che un’idea, un’ideologia, quale che essa sia, di destra, di sinistra, di centro, non è definibile in termini giuridici, tanto meno è colpibile in termini giuridici, non è colpibile da una legge penale che pretenda di statuire delle pene nei confronti di chi interpreti quell’ideologia in un determinato modo, di fronte ad un Parlamento che a sua volta sovrappone la sua interpretazione a quella dell’eventuale imputato, di fronte alla magistratura che a sua volta sovrappone la sua interpretazione, nei diversi gradi, a quella dell’imputato e a quella del Parlamento. Non è possibile racchiudere in norme giuridiche siffatta materia.

Qualcuno ha sostenuto, in seno alla Giunta per le autorizzazioni a procedere, che tali nostre osservazioni ed asserzioni non hanno fondamento, perché si tratte­rebbe di un reato comune, perché (è tesi delle sinistre, naturalmente, soprattutto del gruppo socialista) la ricostituzione eventuale del disciolto partito fascista sarebbe equiparabile al reato comune di associazione per delinquere, e pertanto nessuno di noi potrebbe pensare di difendersi dietro l’usbergo della ragion politica.

A costoro contrappongo quanto, molto onestamente, il senatore Terracini, quale relatore di minoranza ebbe a dire in Senato il 1° febbraio 1952. Consentitemi di dare luogo a questa citazione, che è del più alto interesse, anche perché il senatore Terracini ha partecipato di recente, se non sbaglio con diverso linguaggio, al dibattito sulla violenza che venerdì si è svolto in Senato. Sicché dedico al senatore Terracini la citazione del senatore Terracini: «Voglio dire, per ragioni di lealtà, che aver richiamato, come qui si fece nei confronti del partito fascista ricostituito, l’ipotesi dell’associazione a delinquere, mi pare non solo un errore giuridico, ma un’affermazione contraria alla concezione politica che regge la Repubblica italiana. Non confondia­mo neanche sul piano delle più feroci lotte civili la politica con la criminalità, il codi­ce penale con una legge dettata dalle esigenze della democrazia. Io nego pertanto che, in disperata ipotesi, contro il ricostituito partito fascista si possano adoperare gli strumenti del comune armamentario penale. Lo sappiamo che era consuetudine dei vecchi regimi reazionari del passato cercare di ridurre sul piano della criminalità i fenomeni politici a loro spiacenti e pericolosi. Non lo si rifaccia oggi, sia pure per combattere un pericolosissimo fenomeno politico. Non mettiamoci sul terreno che, allora prescelto, per sé solo poneva dalla parte del torto coloro che vi scendevano». Penso che questo monito del senatore Terracini nei confronti delle involuzioni reazionarie cui si sottopongono i partiti cosiddetti rivoluzionari, quando, inseritisi nella greppia di regime o per inserirsi nella greppia del regime, pensano di adottare leggi penali per perseguitare gli avversari politici, data la sua provenienza, arrivi a segno, e me lo auguro per la necessaria comprensione tra le parti.

Aggiungo ancora che, senza ombra di dubbio, questa è una legge eccezionale. Non ci si venga a raccontare la storiella, come è stato fatto nella Giunta per le autorizzazioni a procedere, che si tratta di una legge normale, ordinaria, in quanto attuazione di una norma costituzionale. Una legge può essere il Presidente me lo insegna di attuazione di una norma costituzionale ed essere essa stessa incostituzionale, speciale, straordinaria, eccezionale, come in realtà questa legge senza dubbio è. E chi lo dice? Ho citato poco fa il senatore Terracini e adesso cito un rappresentante del gruppo comunista della Camera il quale in Commissione interni quando si discuteva questa legge ebbe testualmente a dire all’onorevole Scelba: «questa legge così come è non ve la daremo perché è una legge totalitaria». E adesso, sulla base di una legge che essi stessi ritenevano totalitaria e ne dirò il motivo nel 1952, i comunisti difendono la democrazia contro di me e la maggioranza si associa ai comunisti, democraticissimi, nel difendere contro di me la democrazia, attraverso una legge che i comunisti hanno definito totalitaria quando loro pareva comodo per motivi politici così definirla, o quando temevano, perché l’ombra del 18 aprile gravava ancora su di loro e si avvicinavano i tempi delle elezioni del 1953 (per essi come per tutti decisive), che siffatti strumenti potessero andare a loro danno. Questa legge era totalitaria allora, e oggi, attraverso questa legge totalitaria, essi contribuiscono a difendere, nell’interesse della patria, dei supremi valori, la democrazia. Poiché sono in vena di citazioni comuniste, mi permetto di citare l’onorevole Togliatti, per andare a monte di questa norma e vederne l’ispirazione. L’onorevole Togliatti, che, se non lo sapevate, onorevoli colleghi, è stato l’inventore, il promotore della XII disposizione transitoria della Costituzione, e non poteva essere che lui prese la parola nella prima sottocommissione dell’Assemblea Costituente, il 19 novembre 1946. Vi fu un certo dibattito in quella sede tra lui e l’onorevole La Pira. Togliatti rispose: «Le osservazioni fatte alla sua proposta sarebbero giustificate se essa mirasse a definire il contenuto di un movimento o di un partito fascista. Contro una tale formulazione, cioè contro una formulazione diceva Togliatti che pretendesse individuare il contenuto, cioè le finalità, i programmi di un movimento ritenuto fascista sarebbero lecite tutte le critiche perché qualunque partito potrebbe essere ricondotto sotto la figura del partito fascista attraverso disquisizioni dialettiche, così il partito democristiano come quello liberale, altri. Non certamente quello comunista, ma avvertiva intelligentemente il pericolo. «Ha presente l’onorevole Togliatti» sto leggendo il verbale «che nella sua proposta egli si limita al richiamo storico del partito fascista quale si è manifestato nella realtà politica del paese dal 1919 al 1943 e non è quindi possibile alcuna interpretazione equivoca. E disposto a modificare la sua formula» attenzione! «nel senso che si parli del partito fascista e non di un partito fascista». Questa è l’interpretazione autentica della norma. Si vieta la ricostituzione di quel partito fascista, del disciolto partito fascista, non di un partito fascista, il che sarebbe in contrasto, oltretutto, anche con la logica e il raziocinio delle umane e legislative possibilità. E il padre della norma, l’onorevole Togliatti, ne diede in anticipo l’interpretazione autentica che allora piaceva ai comunisti, perché essa serviva a tutelarli da eventuali pericoli non si sa mai!e che adesso, sentendosi i comunisti ed i socialisti padroni di attuali e soprattutto di future maggioranze, non piace più e quindi li mette nella condizione di comportarsi come, insieme con tutti gli altri, si stanno comportando. Ma ho ben altre testimonianze, che vi voglio risparmiare. C’è una gentile testimonianza dell’onorevole Moro alla Costituente, ce n’è una dello stesso De Gasperi, che è stata citata qualche giorno fa dal Presidente del Consiglio durante il dibattito sulla violenza contro il fascismo. Qualche giorno fa l’onorevole Andreotti, qui alla Camera, citando De Gasperi (discorso del 1947) ha richiamato la seguente frase: «L’intervento dello Stato contro lo squadrismo fascista riuscirebbe inefficace se esso non fosse legittimato con criteri generali contro gli squadrismi e contro tutte le armi». Che cosa ha inteso dire? Qui forse il Presidente del Consiglio è stato malizioso, nel citare proprio questa frase di De Gasperi; e vorrei sperare che egli sia stato malizioso, la settimana scorsa, non dico per giovare alla nostra parte, ma per non essere troppo sgarbato verso la nostra parte. Lo ringrazio, anche perché so che egli si è lavato da questo peccato veniale invitando (atto illecito, intervento illecito, signor Presidente) i componenti democristiani della Giunta per le autorizzazioni a procedere a votare tutti quanti per la concessione dell’autorizzazione a procedere. Con qualche malizia o con qualche disattenzione l’onorevole Andreotti ha citato questo passo di De Gasperi in cui si dice che l’intervento contro il fascismo sarebbe legittimato solo da criteri generali. Che cosa vuol dire? Vuol dire che, in mancanza di questa legittimazione, legittimato non è, ma illegittimo. Sono parole? No, perché da questa impostazione l’onorevole De Gasperi trasse una conseguenza. Il discorso è del 1947; la conseguenza si vide nel 1952, quando, durante una campagna elettorale (ci risiamo e ci torneremo), la campagna elettorale amministrativa, nel mezzogiorno d’Italia, che si concluse il 25 maggio 1952 (se volete conoscere anche la data esatta, il 29 aprile di quell’anno), l’onorevole De Gasperi tenne a Napoli il discorso di apertura della campagna elettorale. E come lo poteva tenere a Napoli, nel clima che già allora pervadeva la città e tutta o larga parte del Mezzogiorno? Quale linguaggio poteva usare un Presidente del Consiglio avveduto e intelligente, quel Presidente del Consiglio che in precedenza aveva parlato (solo parlato) il linguaggio della rottura della spirale della vendetta? Evidentemente, il linguaggio della pacifica­ione. E come lo parlò? De Gasperi disse: «Presenteremo, subito dopo le elezioni, una legge più ampia che, con effetto polivalente, difenda la democrazia contro attacchi di ogni parte e ci protegga contro nuove o rinnovate dittature». Metteva prima le «nuove» e poi le «rinnovate» dittature, usando questo linguaggio in apertura di una campagna elettorale nel mezzogiorno d’Italia; e lo usava per reagire all’opinione pubblica, che a sua volta stava pesantemente reagendo contro il varo della legge Scelba, avvenuto da pochi giorni, prima al Senato e poi alla Camera.

Ho l’impressione che dovrete ricordare spesso questo monito e questa presa di posizione dell’onorevole De Gasperi, colleghi della Democrazia cristiana, perché ho l’impressione che, se De Gasperi saggiamente, abilmente, reagì in anticipo ai movimenti di opinione pubblica contrari a tutto ciò che aveva portato alla legge Scelba, movimenti assai più forti di opinione pubblica dovrete registrare voi nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, e dovrete fare le vostre scelte in ordine a problemi politici della massima entità e del massimo rilievo.

De Gasperi andò oltre. Una volta tanto, la Democrazia cristiana non si limitò ad enunciare un suo proponimento durante una campagna elettorale. Al termine di essa, la cosiddetta legge polivalente fu presentata al Senato, e rimase giacente negli archivi parlamentari. Chi l’ ha rispolverata? Guarda caso, a conclusione di un’altra campagna elettorale, venti anni dopo, proprio il Movimento sociale italiano-Destra nazionale. La più importante delle proposte di legge che ci siamo permessi di presentare come gruppo e come partito all’inizio di questa legislatura è la ritrascrizione non solo del testo della proposta di legge polivalente degasperiana, ma anche della relazione che allora l’accompagnava, con le stesse motivazioni, adeguate ai tempi; il che vuoi dire che noi riconosciamo e non nell’interesse della nostra parte l’obiettività di quell’antica posizione del Presidente del Consiglio De Gasperi, e la riconosciamo nel momento in cui forse maliziosamente ce la ricorda nella sua legittimazione il nuovo Presidente del Consiglio Andreotti, allievo, si diceva una volta, di De Gasperi, il quale può darsi abbia tentato, nel gran vuoto che lo sta circondando all’ interno della maggioranza e forse del suo stesso partito, di trovare appiglio in una parte della pubblica opinione, richiamandosi a principi che sono stati in questo dopoguerra i più validi e i più nobili, dalla rottura della spirale della vendetta ad una legge polivalente contro tutte le faziosità, contro tutte le violenze e contro tutti gli estremismi.

Sicché se questa è una occasione di verifica, l’occasione della verifica, onorevoli colleghi della maggioranza, noi ve la offriamo. Voi potete scegliere tra l’autorizzazione a procedere contro di me per ravvisare in me il pericolo, e l’adozione di una legge polivalente per colpire tutti i pericoli, compreso il mio, qualora io sia un pericolo. Non mi dite che scegliendo l’autorizzazione a procedere contro di me e tenendo nei cassetti la legge polivalente, voi scegliete la giustizia o il giusto mezzo; non mi dite che voi scegliete le aspirazioni della vostra stessa pare, non mi dite che vi collegate alle vostre tradizioni, non mi dite che non vi è motivo di concorrenza elettorale, non mi dite che non vi è ilf umus persecutionìs, perché da questo confronto e da questa scelta vostra vostra, ma determinata da una nostra scelta antica e rinnovata emerge in chiarezza assoluta, limpidamente, la situazione politica italiana nelle responsabilità dei diversi gruppi. Tornando alla legge Scelba, ho detto di non volermi intrattenere su motivi costituzionali, ma mi consentirete di rilevare due enormità di questa legge, sia sul piano costituzionale sia su quello giuridico, e mi permetterete di farvele rilevare proprio come imputato e come segretario di questo partito; perché esse, da questo momento in poi, o più esattamente dal momento in cui avremo votato per l’autorizzazione a procedere contro di me, potranno agire contro di me e contro la mia parte.

Desidero richiamare la vostra attenzione sull’articolo 3 della legge Scelba, e particolarmente sul secondo comma: ancora una volta, richiamando la vostra attenzione, io richiamo i vostri ricordi perché, quando la legge Scelba fu varata in questa Camera e anche dal Senato, contro l’articolo 3 della legge si appuntò la nettissima ostilità delle sinistre. Il deputato comunista che fu incaricato di parlare in aula disse: «Siamo nettamente contrari al secondo comma dell’articolo 3»; e aggiunse: «La norma che si stabilisce con il secondo comma dell’articolo 3 potrebbe essere uno strumento di ricatto politico nei confronti del movimento fascista».

Guardate come erano gentili i comunisti di allora: temevano quella norma, che affida all’esecutivo la possibilità di sciogliere, senza alcuna sentenza e senza alcuna indagine a livello di magistratura, un partito, un movimento politico ritenuto fascista, norma che veniva ritenuta e definita in quest’aula, sto citando testualmente, dal Partito comunista come una norma che poteva portare la maggioranza a ricattare il movimento fascista. Volete che vi dia la spiegazione storica e politica di questo atteggiamento comunista? Ho il piacere di darvela, ed è la prima tra una serie di spiegazioni che io vi darò quest’oggi, a proposito di taluni atteggiamenti di tutti i gruppi politici, nessuno escluso. Che cosa era in vista del 1952, quando si discuteva alla Camera e al Senato la legge Scelba? Erano in vista le elezioni del 1953. Attraverso quale legge? La Legge che le sinistre definirono come «legge truffa». Perché la definivano legge truffa? Perché secondo loro, essendo legge rigidamente maggioritaria, essa tendeva ad ingannare gli elettori, a travisare i risultati elettorali, a determinare lo dicevano loro, se lo debbono pure ricordare la nascita di un regime cui essi attribuirono addirittura una sigla non fascista, ma nazista: lo chiamavano SS, cioè Saragat – Scelba. Se ne sono dimenticati tutti.

Ebbene, mentre si stava chiudendo la battaglia sulla legge Scelba in Parlamento, stava per aprirsi nei due rami dello stesso la battaglia contro la «legge truffa»; ed a quella battaglia la pattuglietta del Movimento sociale italiano (eravamo cinque!) contribuì in prima linea. Il primo lungo discorso in questa Camera, io lo pronunziai dal banco dei relatori mi diedero la parola a mezzanotte, finii alle 4,30 del mattino contro la «legge truffa». Ed i comunisti «tenerelli», «gentilini», ma soprattutto cinici fino in fondo all’animo loro, non gradivano che il Movimento sociale italiano potesse essere ricattato dalla maggioranza. Temevano non conoscendoci che la maggioranza potesse ricattarci! Noi non ci siamo mai lasciati ricattare, né impaurire, da maggioranze o minoranze, Abbiamo potuto compiere errori, come umanamente tutti penso ne hanno compiuti, nell’ ormai lungo arco della nostra vita e delle nostre battaglie parlamentari; ma non errori dovuti a ricatti subiti, o a paure penetrate nell’animo nostro. Abbiamo condotto avanti quella dura battaglia contro la cosiddetta «legge truffa» per­ché difendevamo la nostra libertà e la libertà dei nostri elettori. Siamo stati determinanti nel paese, nelle elezioni del 1953, per impedire che il congegno della «legge truffa» scattasse. Se non vi fosse stato, elettoralmente, il MSI, se non vi fosse stato al suo fianco anche allora (non eravamo uniti in un partito, ma lo eravamo in una battaglia politica) il Partito monarchico, essendosi come sempre il Partito liberale schierato dalla parte del potere ed avendo come sempre, anche in quella occasione, dimenticato e rinnegato le sue tradizioni pur di schierarsi dalla parte del potere; se non vi fossero stati dicevo nel 1953 i voti raccolti da noi e quelli più copiosi raccolti dall’amico Covelli e da tutto il Partito monarchico, il congegno previsto dalla «legge truffa» sarebbe scattato.

E se quello era, come voi lo definivate, socialcomunisti, un tentativo di vero e proprio colpo di Stato mascherato sotto una legge elettorale; se quello era l’unico tentativo serio di colpo di Stato (do una vostra definizione, non una mia, perché sarei più tenue) verificatosi in questo dopoguerra, noi lo abbiamo combattuto. O tale tentativo non si è verificato, come diceva scherzosamente un po’ troppo scherzosamente e un po’ troppo alla leggera l’onorevole Andreotti qualche tempo fa, allorché fu organizzata, secondo lui, una «marcetta» su Roma (no, onorevole Andreotti, dieci pensionati che marciano su Roma, se mai ciò è avvenuto, non minacciano le fondamenta dello Stato democratico o le istituzioni repubblicane); o, in caso contrario, l’affermarsi attraverso una legge elettorale peggiore della legge Acerbo lo dicevate voi nel 1952, e lo dico anch’io! di una maggioranza stabile, lo schiacciare ogni opposizione, nonostante i consensi, o contro i consensi che le stesse opposizioni erano capaci di raccogliere nel paese (questo sì che era un tentativo antidemocratico!), tutto questo è stato da noi combattuto. Siamo stati determinanti nel combattere tale tentativo e voi, comunisti, «gentilini», avevate paura che noi potessimo essere ricattati; quindi non vi garbava il congegno dell’articolo 3, secondo comma, della legge Scelba. A noi, invece, esso non piace in prospettiva, perché è una ignominia, perché è un assurdo, perché è incostituzionale; ma soprattutto perché immorale ed inconcepibile che attraverso una decisione dell’esecutivo, a prescindere da qualsiasi sentenza e da qualsiasi indagine giudiziaria, si possa sciogliere un partito politico, qualsivoglia partito politico.

Lo dico anche perché ne prendano atto, per cortesia, se credono, i colleghi della stampa ho saputo che, subito dopo la concessione dell’autorizzazione a procedere nei miei confronti, il giornale Il Manifesto, seguito a ruota dal giornale Il Paese, comincerà una campagna (tanti auguri!) perché l’articolo 3, secondo comma, sia applicato nei confronti del MSI – Destra nazionale. Fatelo pure, giornalisti comunisti e socialisti! Sappiate, però, che siete stati colti preventivamente, ancora una volta, con le mani nel sacco dei vostri cinici precedenti e delle vostre perduranti manovre e menzogne! Esiste un’altra norma della legge Scelba, signor Presidente, che mi turba e debbo dirlo onestamente mi preoccupa; mi preoccupa non a titolo personale, ma per le ripercussioni che essa può avere. Vi è un articolo della Costituzione italiana che è senza dubbio norma precettiva mi riferisco all’articolo 27 primo comma , il quale stabilisce che la responsabilità penale è personale. Si tratta me ne possono dar fede i giuristi più ancora che di una manovra giuridica o costituzionale, di una norma garantista, di moralità per tutti. Io non posso essere imputato o condannato per reati che altri hanno commesso senza che io lo sapessi. Ebbene, la legge Scelba, signor Presidente, onorevoli colleghi, se non ve ne siete accorti (ma dalla relazione avreste dovuto accorgervene e da quanto io ho osservato sulla relazione avete potuto accorgervene), la legge Scelba, dicevo, colpisce e, in questo caso, mi colpisce non per atti da me compiuti, e neppure per atti a mia conoscenza, bensì per atti che altri possano aver compiuto e che abbiano una certa rilevanza personale.

Facciamo l’ipotesi che nel momento in cui stiamo parlando è un momento politico e personale (me ne darete atto) in cui tutto io posso desiderare tranne che si verifichino, in qualsivoglia parte d’Italia, episodi di violenza che abbiano a protagonisti uomini del Movimento sociale italiano immaginate, ripeto, che un nostro iscritto, un nostro dirigente periferico, un gruppo di nostri iscritti, un gruppo di nostri dirigenti periferici, abbiano a commettere dei delitti previsti dalla legge Scelba. Può capitare a noi, e penso che possa capitare al segretario di qualsivoglia altro partito politico, di avere nel seno del proprio partito, fra le centinaia e migliaia di iscritti, anche qualcuno che si comporti contrariamente, non dico alla legge Scelba, ma alla legge. Ebbene, se questo qualcuno è iscritto al Movimento sociale italiano e se si tratta di questo partito e del suo segretario, avviene ciò che sarebbe considerato mostruoso e respinto come orrore se si verificasse a danno del segretario di qualsivoglia altro partito politico. Non credo che sarebbe giusto incriminare l’onorevole Forlani o l’onorevole Berlinguer se, per avventura, un iscritto alla Democrazia cristiana o al Partito comunista italiano dovesse compiere come è possibile reati gravi colpiti dalla legge. Ebbene, se qualcuno che sia iscritto o che si sia insinuato attenzione nelle file del nostro partito dovesse commettere atti gravi e la magistratura sentenziasse, sulla base del disposto della legge Scelba io andrei in galera per 12 anni. A mia volta, debbo dire che se per avventura sempre sulla base di questa disposizione di legge io, segretario del partito, impazzisco, perdo l’equilibrio al quale non bisognerebbe mai venir meno quando si dirige soprattutto un partito come questo, in una Italia come questa, se mi lascio trasportare da una polemica, mi lascio provocare, cado in una trappola provocatoria, io giustamente vengo colpito, e sono io a dire «giustamente»; ma con me ingiustamente viene colpita tutta la compagine umana che a me si è affidata, e viene colpita penalmente. Non viene colpita come è giusto che accada – dall’abbandono degli elettori, dal discredito di opinione, dal crollo delle posizioni politiche, dalla perdita dei seggi elettorali. No! Viene penalmente colpita, in ipotesi. So che qualcuno mi dirà che si tratta di ipotesi portate fino all’assurdo; ma la legge lo dice, o per lo meno non lo esclude: tutta la compagine umana che a me si affida e che si riconosce, finché io sono segretario di questo partito, nel mio nome, viene colpita anche penalmente. Perché la legge colpisce i promotori, gli organizzatori e anche gli esponenti e gli aderenti ad una siffatta formazione politica.

Penso che se aveste considerato prima il dispositivo della legge Scelba, probabilmente le vostre decisioni avrebbero potuto essere non dico diverse, ma diversamente motivate e più serene. Con quali addebiti mi si porta qui? Gli addebiti sono quelli che risultano dall’ articolo 1 della legge Scelba. Per esempio, io sarei imputato o imputabile o indiziale di reato per avere, lo ha ricordato l’onorevole relatore, non quanto a me personalmente, ma quanto a noi denigrato la democrazia. Onorevoli colleghi, se per caso dicessi in quest’aula oggi, anche in questa occasione in cui, forse, qualche parola in più mi può essere perdonata, che la nostra democrazia, che il nostro sistema democratico è imbelle e corrotto, penso che urlereste forse, giustamente per il cattivo gusto di una espressione simile. Ebbene, ho un biglietto autografo del signor ministro della Giustizia in carica, datato Roma 18 dicembre 1968: «Caro Almirante, grazie vivissime» (gli avevo mandato un biglietto di auguri); «da intelligenti e leali avversari politici si hanno testimonianze che invano si troverebbero in casa propria» (e ho l’impressione che alludesse a codesta casa e non a quella personale); «se ci riesco, come spero, voglio dedicarmi alla polemica contro questo sedicente sistema democratico imbelle e corrotto. Cordialmente, Guido Gonella».

Penso forse che l’onorevole Gonella debba essere colpito dal congegno dell’articolo 1 della legge Scelba e che quindi la Democrazia cristiana debba essere disciolta? Per carità, non lo penso affatto! Mi si deve però spiegare che cosa significa «denigrare la democrazia». Intanto mi si deve spiegare che cosa significa «denigrare». E me lo devono spiegare gli illustri giuristi e magistrati di sinistra che stanno facendo una grossa battaglia contro tutti i reati di vilipendio. Se almeno avessero detto vilipendere cioè tenere a vile la Democrazia cristiana, avrebbero espresso un concetto che anche l’illetterato o il non giurista possono afferrare. Mi si spieghi però cosa significa «denigrare» e poi che cosa significa «denigrare la democrazia» in termini giuridici. E poi mi si conceda e lo farò se lor signori andranno avanti di chiamare come vorrei tutti i personaggi che in questo dopoguerra nei loro articoli, nei loro discorsi, nei loro volumi hanno denigrato la democrazia, per lo meno con espressioni di questo genere, forse più pesanti di quelle che in tante occasioni posso aver usato io o possiamo aver usato noi.

E mi si dica altresì che cosa significa «denigrare la Resistenza». L’onorevole Scelba cito a caso, ma se citassi quanto ebbe a dire il generale Cadorna a proposito della Resistenza vista da sinistra vi farei impallidire, o arrossire: per carità, la mia citazione è innocente! l’onorevole Scelba, dicevo, ebbe ad affermare il 30 gennaio 1952 nell’aula del Senato (è a verbale) che «la Resistenza fu punteggiata da fatti deplorevoli». Pensate se io avessi oggi, in questa occasione, con cattivo gusto, dichiarato: non mi parlate di denigrazione della Resistenza, perché fu punteggiata da fatti deplorevoli, e avessi citato Porzus o altri epidosi, mi sareste saltati addosso e avreste detto: allora sei recidivo, sei incallito, ce l’ hai con la Resistenza! Lo ha detto Scelba: vogliamo incriminare Scelba sulla base della legge Scelba? Vogliamo fare una raccolta di dichiarazioni dell’onorevole Scelba e poi, sulla base della legge Scelba, vogliamo prendercela con la Democrazia cristiana? Mio Dio, per carità, non abbiate timore! Mi limiterò, nelle prossime settimane, a documentare tutto ciò che tutti voi, in tutte le epoche, avete detto in violazione dell’articolo 1 della legge Scelba.

C’è una bella citazione dell’onorevole Togliatti che voglio rispettosamente ricordare e che viola in pieno l’articolo 1 della legge Scelba, perché non si limita a denigrare la democrazia o gli istituti democratici; no, statuisce per l’Italia il principio del partito unico. Ascoltate. L’onorevole Togliatti ha scritto su Rinascita del 18 gennaio 1952 (andate a controllare): «È comprensibile e giusto che in questa nuova società comunista l’esistenza di diversi partiti scompaia…». Per ora, vorrebbero far scomparire noi, ma è un gentile preavviso che viene dall’oltretomba, «…e i cittadini più avanzati si raccolgano in una sola organizzazione politica, alla quale è affidato il compito di educare tutta l’umanità nella pratica e nello spirito del socialismo». Violazione della legge Scelba? Vogliamo retroattivamente proporre lo scioglimento del Partito comunista perché Togliatti ha violato l’articolo 1 della legge Scelba? Non vi accorgete del grottesco e del cinico che insieme avete collocato in disposizioni simili, che logicamente erano cadute in desuetudine, perché non applicabili in un sistema non dico democratico ma serio, e che oggi riemergono a seguito di dispiaceri elettorali e di preoccupazioni politiche?

Da quale tribunale io vengo oggi giudicato? Devo cominciare e, vi avverto, mi limito solo a cominciare, anche per motivi di brevità in termini politici con quella chiamata di corteo alla quale ho accennato poco fa e che proseguirà lungo il corso dell’istruttoria e diventerà clamorosa se mai si arriverà al processo: sarete in molti a testimoniare a mio favore, se vorrete avere la cortesia naturalmente di presentarvi dinanzi alla magistratura. Comincio con il Partito liberale. Il Partito liberale (e non muovo alcun appunto perché, trattandosi di me, sarebbe di pessimo gusto) ha ritenuto in questi giorni di assumere una posizione nettamente favorevole alla concessione della autorizzazione a procedere nei miei confronti e con mio dispiacere, che è semplicemente epidermico, di buon gusto, ha purtroppo affidato al senatore Brosio, che si era nobilmente espresso nei nostri confronti, al Senato, qualche giorno prima, il compito di dichiarare al Senato, l’altro giorno, esattamente quanto segue: «… La legge Scelba, lungi dall’essere, come sostengono gli esponenti dell’MSI-Destra Nazionale, una barbara reliquia o un relitto fossile, è una legge valida e che deve essere osservata». Io ricordo al gruppo liberale che quando 20 anni fa la legge Scelba fu discussa e approvata in questa Camera, qui e fuori di qui il Partito liberale italiano tenne un atteggiamento nobilissimo, e non ci siamo mai dimenticati di essere grati al Partito liberale italiano, naturalmente in quella sua lontana, remota ed evidentemente spenta espressione. Non dimenticherò mai che in un teatro romano, l’ Adriano, quando si discuteva (come siete nostalgici, tornate sempre, senza accorgervi di risbagliare, sulle stesse posizioni!) dello scioglimento del Movimento sociale italiano, e quando un uomo di altra parte, che non voglio nominare, perché ha mutato radicalmente il suo atteggiamento e ha dimostrato di essere largamente vicino a talune nostre posizioni (sarebbe fuor d’opera che io polemizzassi ora, dopo venti anni, con lui) ritenne di sostenere pubblicamente la tesi dello scioglimento, fu il liberale Cocco Ortu a prendere le pubbliche difese del Movimento sociale italiano, che non era certamente ancora destra nazionale. Cocco Ortu ó l’abbiamo avuto in questa aula per tanti anni, penso che al di là e al di sopra delle parti lo rimpiangiamo tutti era uomo integro ed onesto, era un vecchio antifascista, non apparteneva a quella copiosa schiera di liberali che hanno versato incenso, mirra e profumi di ogni genere al defunto partito fascista e al defunto regime fascista; Cocco Ortu prese quella nobilissima posizione e disse in questa aula: «…recando qui l’espressione del mio partito, il quale ha riunito la propria direzione ed i gruppi parlamentari, esaminando questa legge non la approviamo, affermando che il totalitarismo fascista deve combattersi, ma deve combattersi in una democrazia rispettosa degli alti principi cui essa si ispira, attraverso la legge ordinaria». I liberali hanno scelto anch’essi la posizione di maggioranza, la posizione illiberale, la posizione di potere. Buon pro vi faccia, cari colleghi! Da domani siamo al giudizio della pubblica opinione e siccome per avventura vi sono credo di non sbagliare larghi settori di elettorato e di opinione che sono contigui alla destra nazionale e al Partito liberale, buon pro vi faccia questa vostra ultimissima posizione che io garbatamente avrò cura di chiarire agli ambienti liberali e di opinione in ogni parte d’Italia.

Debbo dire qualche cosa e se ne stupiranno ai socialisti i quali, per solito, e per loro tradizione (parlo dei socialisti di questo dopoguerra e della tradizione socialistica di questo dopoguerra) hanno nei nostri confronti adottato sempre il linguaggio e l’atteggiamento della durezza. Bene, io vi cito un articolo di fondo dell’Avanti!del 14 maggio 1952. Se avessi voluto fare della piccola furberia, vi avrei detto la provenienza della citazione di fondo, come di solito si fa. Ve l’ ho detto prima per prepararvi bene, l’ Avanti! il 14 maggio 1952 scriveva: «Che cosa significa promuovere, costituire, organizzare, o dirigere un partito, una associazione, un movimento il quale sia diretto contro gli istituti fondamentali stabiliti dalla Costituzione? Che cosa significa minacciare o esaltare la violenza come metodo di lotta politica? Così definito il reato, l’accertamento della sua consistenza finisce per diventare un vero e proprio giudizio politico, con tutti i pericoli conseguenti, che riguardano non tanto il potere giudiziario, nel quale è da presumere una cauta e obiettiva applicazione della legge, quanto quello esecutivo. Vi immaginate una simile legge in mano ad un prefetto, ad un questore o ad un qualsiasi agente di polizia preoccupati di mostrarsi zelanti presso il loro ministro o il loro superiore? Quanti arresti e denunzie pioverebbero domani per una parola detta in un comizio o per una frase scritta in un articolo?». Ecco, amici miei, quello che l’ Avanti! pubblicava, di fondo, nel 1952, quando i socialisti potevano avere le stesse preoccupazioni, alla vigilia delle elezioni del 1953, che avevano i loro soliti compagni comunisti. Ed ecco le chiamate di correo. Anche recentemente l’onorevole Andreotti in una battuta come sempre garbata quanto è garbato questo Presidente del Consiglio, peccato che lo stiamo per perdere come Presidente del Consiglio! ha ricordato ai comunisti, che si sono inquietati, il periodo milazziano in Sicilia. Ora, poiché si è tanto parlato di questo famoso periodo milazziano, mi permettete, colleghi di tutte le parti, che vi documenti quel che accadde allora in Sicilia? Perché ce n’è per tutti! Dunque, periodo milazziano. Governo Milazzo con nostra partecipazione dal 31 ottobre 1958 al 12 agosto 1959: maggioranza costituita dal MSI, PNM, PSI, indipendenti democristiani, PCI; con la differenza che il Movimento sociale italiano aveva due suoi iscritti assessori, l’onorevole Grammatico e l’onorevole Occhipinti (il secondo è passato poi ad altro partito, ma dopo, quando non era più assessore); i socialisti avevano un indipendente come assessore; i comunisti votavano a favore, come portatori d’acqua di una maggioranza che era costituita con il nostro apporto determinante in formazione di governo. I sette democristiani cosiddetti indipendenti erano i sette che insieme a Milazzo erano usciti dalla Democrazia cristiana.

Ma a questo punto viene fuori il discorso che riguarda la Democrazia cristiana; e l’onorevole Andreotti le sue battutine le deve riservare a tutti i settori se vuole fare per qualche altro giorno il Presidente del Consiglio un po’ al di sopra delle parti. Perché a quel governo, che non si ricostituì perché il Movimento sociale italiano ritirò ufficialmente la sua partecipazione alla fine della legislatura regionale, seguirono due governi Milazzo senza di noi, ma con cristianosociali, socialisti, monarchici e comunisti; quindi i comunisti continuarono tranquillamente ad intrallazzare. E poi, in data 23 febbraio 1960 e con durata fino al 29 giugno 1961, si costituisce il governo Majorana, con presidente Majorana, monarchico maggioranza: MSI, Democrazia cristiana, monarchici e liberali con i nostri assessori, con i vostri assessori colleghi della Democrazia cristiana. Sicché in Sicilia abbiamo «milazzato» tutti e vi siete inquinati tutti; e ci avete tenuto al potere con i vostri voti. Sicché rimproveratevi reciprocamente per queste antiche concessioni fatte al fascismo o al neofascismo. Smettetela e anche i colleghi giornalisti sono pregati di informarsi meglio nei confronti di talune perduranti polemiche di dire: abbiamo colto il Movimento sociale italiano con le mani nel sacco del filocomunismo, perché in Sicilia sono stati insieme nel governo Milazzo. No! Noi non siamo stati insieme: siamo stati soli al governo e i comunisti ci davano i voti; i socialisti avevano un indipendente, e gli garbava, perché pur di stare in maggioranza si adattavano a quella situazione. Così come e la storia di questi giorni lo insegna talune parti politiche sono pronte ad adattarsi a qualunque situazione, anche la più mortificante, pur di rientrare a far parte di una maggioranza.

E poiché stiamo parlando garbatamente delle chiamate di correo, io sono imputato oggi perché sono ridiventato segretario del partito a metà del 1969; ma ero segretario del partito nel 1947, ero segretario del partito quando a Roma si svolsero le elezioni amministrative del 1947. Ed erano in lizza, dopo quelle elezioni che ci diedero a Roma i primi 25 mila voti (siamo arrivati a circa 400 mila: vedete quanto bene ci fate con il vostro trattamento persecutorio) e tre consiglieri comunali, erano in lizza, dicevo, due sindaci: Rebecchini per la Democrazia cristiana, D’Onofrio per il Partito comunista. Io ero un modesto segretariucolo di un partito appena nato, avevo quel piccolo patrimonio di 25 mila voti e di tre consiglieri. Come corsero saranno chiamati a deporre in tribunale i dirigenti di allora della Democrazia cristiana per scongiurarci di far sì frase testuale, l’ ho segnata che «la bandiera rossa non salisse sul Campidoglio». E i nostri voti furono dati e non chiedemmo niente, perché desideravamo anche noi, per molto più nobili motivi, che la bandiera rossa non salisse sul Campidoglio.

Ditemi, colleghi della Democrazia cristiana, un certo sindaco Umberto Cioccetti ve lo ricordate, per caso! Siete consapevoli, colleghi di tutte le correnti della Democrazia cristiana in Roma, dell’appoggio determinante da noi dato a quel sindaco per parecchio tempo e delle riunioni che si svolgevano in Campidoglio collegialmente, riunioni cui partecipava tutta la maggioranza? Voi, componenti della maggioranza ve lo posso dire perché nel mio partito non ero segretario, ma ero il dirigente degli enti locali: mi occupavo di queste faccende, conducevo le trattative (ne ho la documentazione) verrete cortesemente in tribunale a deporre, come verrete a deporre perché fino al 1960 28 capoluoghi di provincia di tutta Italia avevano la maggioranza democristiana con i voti determinanti dei consiglieri del Movimento sociale italiano. Tra quel 28 lo ricordo all’immemore assente onorevole Taviani, immemore di tante altre cose, che gli ricorderò nelle prossime settimane e che riguardano tante parti d’Italia anche il sindaco di Genova si reggeva con i voti determinanti, richiesti, graditi e accettati, proprio alla vigilia del tragico luglio 1960 in Genova, del Movimento sociale italiano.

Avete per caso dimenticato l’operazione Sturzo, colleghi della Democrazia cristiana? Ve la ricordate? Se ve la ricordate, chiedo se c’è qualcuno tra voi che abbia il coraggio, il cinismo di gettare la croce addosso al povero Sturzo per essersi voltato a destra. Ho letto i numerosi studi, che sono successivamente apparsi, da cui risulta che quella era stata una sua iniziativa personale. Bene, Il Popolo, giornale ufficiale della Democrazia Cristiana, il 24 aprile 1952, così scriveva: «La Democrazia cristiana aderì prontamente a tale impostazione» (quella di Sturzo) se viene pertanto dichiarata costituita di ogni fondamento la notizia secondo la quale il comitato romano della Democrazia cristiana o altro organismo del partito di maggioranza si sarebbero espressi contrariamente all’iniziativa di Don Sturzo».

Avete memoria o contezza che un Presidente del Consiglio, che si chiamava Pella, ebbe l’appoggio determinante dei voti missini nel 1953? Avete memoria o contezza che un altro Presidente del Consiglio, che si chiamava Zoli, respinse duramente in questa aula i nostri voti, e poi, come egli stesso disse, garbatamente vi rimase agganciato e se li tenne per governare? Avete memoria o contezza e in questo caso dovreste averla anche in guisa reverente e affettuosa di un Presidente del Consiglio che si chiamò Segni, i cui discorsi terminavano sempre con un inno alla cara patria, forse retorico ma certamente più idoneo ad un Presidente del Consiglio che gli inni dell’antifascismo viscerale, cui si sono abbandonati tanti suoi successori? Avete memoria o contezza di un certo onorevole Segni, Presidente del Consiglio con l’appoggio determinante e concordato, richiesto, gradito e accettato financo in termini para-programmatici, del Movimento sociale italiano?

Tambroni: naturalmente non ne parliamo. Però penso che come io da solo non ho potuto ricostruire il disciolto partito fascista, l’onorevole Tambroni non fosse solo a far parte insieme con noi di una maggioranza che, in questi tempi calamitosi, soltanto noi mettemmo a disposizione di un Presidente del Consiglio, perché ci si disse ma quella volta lo diceva in nostro favore esattamente ciò che ha detto oggi contro di noi il relatore: la patria era in pericolo, le istituzioni minacciavano di crollare, la crisi si era prolungata. Vi ricordate i 67 giorni, la più lunga crisi del dopoguerra? Ci voleva qualche uomo di buona volontà che appoggiasse disinteressatamente. Non ne avete memoria, colleghi della Democrazia cristiana? Avete memoria del modo con cui fu eletto il Presidente della Repubblica Gronchi, con i voti determinanti del nostro gruppo? Avete memoria dei voti con cui fu eletto Presidente della Repubblica l’onorevole Segni, con i nostri apporti determinanti? E la vicenda Leone è già sfuggita alla vostra memoria?

Qualcuno ha avuto il coraggio e l’impudenza, anche davanti alla televisione, di contestare l’apporto determinante, e richiesto, dei voti del Movimento sociale italiano e del Partito monarchico (non eravamo ancora uniti, allora, ma agimmo insieme e per altri motivi di valutazione nazionale). Qualcuno ha avuto l’impudenza, anche alla televisione, di negare che l’appoggio fosse stato da noi dato e fosse stato determinante. Ebbene, onorevoli colleghi, volete rileggere le collezioni dei giornali di quei giorni? Avete memoria del titolo a nove colonne dell’ Unità, del titolo a nove colonne dell’Avanti!, i quali scrivevano cose che offendevano la persona del Capo dello Stato e la stessa istituzione della Presidenza della Repubblica molto più pesantemente di quanto non abbia potuto fare io quando, nei giorni scorsi, ho garbatamente reagito di fronte a una molto imprudente intervista? Basterà ricordare quei titoli a nove colonne: «Eletto coi voti fascisti il Presidente della Repubblica». Così scriveva l’Unità, così scriveva l’ Avanti! Pensate voi, onorevoli colleghi, che quei giornali abbiano scritto il falso, si siano esposti a difendere una impostazione simile in tutta Italia, di fronte a tutto il loro elettorato, se quell’affermazione non fosse stata vera? Salvo riconciliarsi un anno dopo col Presidente della Repubblica attraverso la intermediazione, non so quanto politicamente e costituzionalmente qualificata, della gentile signora Oriana Fallaci…

Pensate voi, onorevoli colleghi, che quei gruppi politici, quei partiti, quei giornali avrebbero assunto posizioni simili non smentite nella sostanza politica se non vi fosse stato accordo preventivo, con preventiva richiesta (e la chiamata di correo avverrà in tribunale, perché siamo documentati!) da parte della Democrazia cristiana?

Ed allora, onorevoli colleghi di tutti i gruppi politici, consentitemi di dirvi: siate più seri! Quando cercate di lasciare intendere al popolo italiano che io sono il pericolo fascista, che Annibale è alle porte, e che adesso vi accorgete (tornerò su questo argomento) dell’insorgenza di questo pericolo fascista, siate più seri! Perché io non scherzo quando dico che darò luogo ad una corale chiamata di correo: e non mi riferisco a quella, che pur vi sarà, di fronte ai tribunali della Repubblica, ma a quella chiamata di correo che vi sarà, civilmente, in tutte le piazze d’Italia, perché queste cose agli italiani devono essere dette e ricordate, perché deve emergere l’aspetto scandalosamente, cinicamente opportunistico delle vostre attuali manovre contro di noi e contro di me!

Se sono io il «ricostituito partito fascista», allora consentitemi di dire che lo sono dalle origini; anzi (e ve lo spiegherò) alle origini potevo esserlo, o potevo essere ritenuto tale, molto più di oggi. Ed allora, alle origini potevate anche tollerarci, potevate non applicare la legge contro di noi, potevate considerare irrilevante il pericolo, potevate tenere sospesa la legge sul nostro capo, come una spada di Damocle; tutto potevate fare, tranne che chiedere il nostro sempre disinteressato apporto per la soluzione di problemi di governo o addirittura per la soluzione di altissimi problemi istituzionali. Così come oggi tutto potete fare tranne che dichiarare fuori della Costituzione un partito cancellato il quale per modesto che sia stato il nostro contributo: ma modesto non è stato non avrebbero più senso e significato, dal punto di vista politico, parlamentare, costituzionale, tutte le vicende di questo dopo­guerra.

Ricordo con commozione la prima seduta della Camera alla quale partecipammo, nel 1948 (eravamo in cinque), noi deputati del Movimento sociale italiano. La prima questione di legittimità costituzionale fu sollevata dal nostro gruppo, da Gianni Roderti, il quale si alzò e ricordò alla Camera che tra gli istituti previsti dalla Costituzione mancava il più importante, quello che sarebbe dovuto sorgere subito e che viceversa non fu creato se non nel 1955, l’istituto che avrebbe dovuto legittimare tutti i nostri atti, e cioè la Corte costituzionale. Non fu né democratico né socialcomunista, quel richiamo ai doveri costituzionali del Parlamento: fu nostro e ce ne siamo onorati, come ci siamo onorati negli anni successivi (e non in campagne elettorali, onorevole Fanfani), di ricordare gli articoli 39, 40 e 46 della Costituzione, tuttora inevasi e negletti. Parimenti, ci siamo ricordati di dire ai colleghi socialisti (che sull’ A vanti!, a proposito degli articoli 39, 40 e 46 della Costituzione, hanno scritto che si tratta di «ferri vecchi»), che se per avventura qualche parte della nostra Costituzione è da considerare un «ferro vecchio», si ha il dovere, da parte di chi così scrive sui giornali ed impedisce che la Costituzione abbia effetto nelle sue norme più delicate e garantiste, quelle sul lavoro, si ha il dovere, dicevo, di presentarsi in quest’aula non per tentare di mettere fuori legge un altro partito, un partito concorrente, ma per cercare di dare ordine alle cose, attuando la Costituzione nelle sue parti in attuate o modificandola, qualora essa debba essere modificata.

Ho l’impressione che difficilmente voi potrete sottrarvi a questa chiamata di correo. Per quali motivi mi avete condotto qui oggi, come imputato o pre imputato? Ve li ho già detti: si tratta di motivi elettorali e voglio chiarire. A mio avviso, non si tratta della caccia ai voti: sarebbe puerile una caccia ai voti in quanto tali. Si tratta di una interpretazione elettorale e politica della situazione italiana. Voi, colleghi della Democrazia cristiana, gradite per vostra antica tradizione una situazione politica a due: da un lato voi e dall’altro le sinistre, per scontrarvi propagantisticamente allo scopo di catturare voti anticomunisti, cattolici e nazionali, e per colludere dopo le elezioni in guisa tale che i vostri privilegi di potere non siano eccessivamente insidiati. Per molti anni questa è stata la situazione politica ed elettorale italiana, non es­sendo riuscita la destra a determinare una sua autonoma forza. Da quando la destra ha determinato una sua autonoma forza, voi colleghi della maggioranza vi sentite in pericolo, ma il pericolo non è corso dalle istituzioni, bensì da voi. Il pericolo è per voi non tanto in voti, quanto in prestigio e potere politico. Non vi piace una tale situazione, perché una destra condizionante e di alternativa programmatica vi mette in difficoltà, dopo le elezioni, con il vostro corpo elettorale, che vi contesta città per città, paese per paese e casa per casa le promesse disattese, l’anticomunismo fasullo, l’antisocialismo di maniera, l’assenza di programmi, l’assenza di idee e molte volte, purtroppo, anche l’assenza di uomini capaci di dirigere intelligentemente e soprattutto correttamente la cosa pubblica. Ecco quel che vi ha turbati. Ecco perché, dal 1969 in poi, siamo diventati un pericolo. Ecco perché il Movimento sociale italiano-Destra nazionale dovrebbe essere tolto di mezzo o quanto meno dovrei essere tolto di mezzo personalmente io, che ho avuto la fortuna e non certo il merito di condurre innanzi, fino a qualche successo, questa nostra politica.
La vicenda si ripete ogni dieci anni: nel 1952, nel 1962 e nel 1972. Guarda caso, nel 1952 fu emanata la legge Scelba alla vigilia delle elezioni del 1953 quando la destra recitò, purtroppo solo elettoralmente e non politicamente, un ruolo determinante. Nel 1962, al Senato, i socialcomunisti condussero contro di noi la battaglia diretta allo scioglimento della nostra formazione. Inoltre, sempre nel 1962 ebbe fine ingloriosa il primo quinquennio, onorevole Moro, del centro-sinistra, pericolo di rigurgiti (come dite voi) a nostro vantaggio; tentativo di giungere allo scioglimento del nostro schieramento, tentativo al quale la Democrazia cristiana (per fortuna sua e del nostro paese) non ebbe il coraggio di associarsi. Ora siamo nel 1973 e, direte voi, siamo in un periodo successivo alle elezioni e non pre elettorale. È vero, ma siamo in un clima di incertezza politica che a molti osservatori ha fatto ritenere, dire e scrivere che elezioni anticipate potrebbero essere anche in prospettiva. Tale prospettiva, se non vi fosse la destra, vi tornerebbe gradita perché potreste pensare di giungere (come qualcuno va farneticando) ad un 18 aprile redivivo. Ma, in presenza della destra, non si realizzano i 18 aprile della Democrazia cristiana: si realizzano 17 maggio o i 13 giugno condizionati, e nelle prossime occasioni io credo condizionati in ben più pesante guisa, dal Movimento sociale italiano-Destra nazionale.

In quale posizione personale e politica io mi sono venuto a trovare? Vi prego di consentirmi e prego soprattutto la Presidenza di permettermi per un istante di uscire solo in apparenza fuori del tema, perché vi è una questione personale che mi grava sullo stomaco da parecchio tempo e della quale vorrei potermi liberare in questa occasione. L’aggressione (e mi perdonino i colleghi se parlo di me in questo caso, ma non posso farne a meno) anche personale, nei miei confronti, non ha avuto origine in queste ultime settimane: ha avuto origine (vi cito la data) il 21 giugno 1971, otto giorni dopo le elezioni del 13 giugno, quando su taluni giornali di estrema sinistra apparve un manifesto falso a me attribuito. Credendo… Non interrompete, perché ho i documenti! Credendo di potermi difendere, come ogni cittadino che pensi che le leggi vigenti debbano essere onestamente applicate, credendo di potermi e di dovermi difendere anche perché segretario di un partito, anche perché non si debbono lasciare nell’ombra determinati sospetti, pur risalenti a 20, 30, 50 anni or sono, non importa, commisi l’ingenuità di dare parecchie querele. Ve ne sono ancora altre in discussione, fra cui alcune a Roma fra qualche giorno. Vedremo come si comporteranno i magistrati nelle future occasioni. Poi ci saranno i giudizi d’appello, che ho già promosso; vedremo quali saranno i giudizi d’appello. Non voglio assolutamente emettere una sentenza a mio favore. Voglio informare.

Ho davanti a me una delle motivazioni di sentenza a me contraria. Vi leggo un passo che per me è sufficiente a chiarire: «Né può tacersi, infine, che gli stessi difensori degli imputati» (i difensori degli imputati, potete controllare, sono tutti iscritti al Partito socialista italiano) «hanno affermato in dibattimento che nessuno mai si è sognato di attribuire al querelante» (cioè a me) «responsabilità dirette in ordine a specifici episodi di violenza». Dico: nessuno si è mai sognato. Questa stessa dichiarazione ufficiale risulta da tutte le altre motivazioni di sentenza, dalle quali risulta qualche cosa di più, cioè che avendo io chiesto quel che chiede chiunque venga accusato attraverso un documento da lui ritenuto falso, cioè avendo io chiesto che fosse periziato anche merceologicamente quel vecchio documento, i tribunali hanno respinto la mia richiesta e hanno assolto i calunniatori, in quanto, debbo dire, il documento non era stato esibito a non era stata accolta la mia richiesta di esibizione.

Bene io non voglio drammatizzare. Però, vi prego di mettervi nei panni di un uomo, di un cittadino e anche di un segretario di partito, il quale da circa due anni a questa parte, in qualunque città d’Italia si rechi, trova il volantino o il manifesto con la scritta: «Il fucilatore, il massacratore Almirante». Vi prego di considerare quale possa essere il fine di provocatori di tal genere, se non quello di trascinare il segretario di un partito nella trappola della provocazione. Avrei dovuto rispondere sullo stesso tono? Avrei dovuto comportarmi nella stessa guisa? Avrei dovuto Procedere ad aggressioni personali? Non l’ ho fatto. Non lo farò. Ed è questa la mia risposta agli ignobili provocatori che questa campagna hanno condotto contro di me.

E poiché mi state per giudicare sul piano strettamente politico, ho voluto (ed ho già finito questo piccolo intermezzo fuori tema) sgravarmi la coscienza, perché nessuno qui, ma soprattutto nessuno fuori di qui, potesse pensare anche per un istante che io cerchi di nascondere, sotto il manto dell’onestà politica attuale, della correttezza politica attuale, antichi misfatti che non ho mai commesso e che mi sono stati attribuiti soltanto da una banda di calunniatori e di denigratori.

Ciò detto, poiché sono qui imputato come segretario del Movimento sociale italiano Destra nazionale, debbo in primo luogo ringraziare il gruppo parlamentare della Camera e quello del Senato del Movimento sociale italiano-Destra nazionale per l’affettuosa, intelligente, impegnata solidarietà che si esprimerà qui alla Camera negli interventi della nostra parte politica che avrete la bontà di ascoltare questa sera e domani, ma soprattutto desidero ringraziare tutta la classe dirigente della destra nazionale quale è uscita dal nostro recente congresso e in particolare, senza far torto ad alcuno, le componenti nuove della destra nazionale, gli uomini che con Alfredo Covelli sono venuti tra noi a nobilmente rappresentare i servitori dello Stato, gli uomini, umili e importanti, che sono venuti tra noi per testimoniare la credibilità della nostra battaglia di pacificazione tra gli italiani.

Vi parlerò fra poco della violenza perché di questa soprattutto io sarei imputato, ma proprio per potervi adeguatamente parlare, e in buona coscienza, della violenza che a me o a noi viene addebitata, lasciate che vi ricordi che da quando ho l’onore di dirigere il mio partito, fin dal 1969 e cioè, guarda caso, proprio dal momento in cui l’indagine del procuratore generale Bianchi d’Espinosa ha avuto inizio, io vi ho parlato, in primo luogo, il linguaggio dell’antinostalgismo o «antinostalgite» all’interno delle mie stesse file; e non lo ho parlato tatticamente, perché l’ ho parlato apertamente in libere riunioni, in aperti congressi. E a questo riguardo mi permetto di fare una piccola osservazione a tutti i giuristi qui presenti: volete colpire un partito da voi ritenuto fascista nel significato che voi date a questa parola che io certamente non condivido perché guardo alla storia nel suo divenire e non ne anticipo i giudizi nel significato che la legge vorrebbe attribuire ad un siffatto partito, cioè un partito totalitario, il partito che si avvia a diventare o tenti di diventare o minacci di diventare partito-Stato? Questo è, secondo la vostra accezione, il partito fascista: il partito che si sostituisce a tutti gli altri, che vuole incarnare, interpretare esso solo lo Stato. Bene, allora cercate di individuare i partiti all’interno dei quali non esiste libertà di parola o di organizzazione. Io mi onoro di dirigere un partito libero. Sono segretario di questo partito perché sono stato eletto da due congressi successivi, prima dei quali si sono svolte in ogni parte d’Italia le nostre libere assemblee sezionali e provinciali senza voti di delega, colleghi della Democrazia cristiana, senza gonfiamenti di tessere, senza tessere accattate, colleghi del Partito socialista! siamo giunti ai nostri congressi nazionali, i quali hanno eletto i nostri comitati centrali, che a loro volta hanno eletto le nostre direzioni, le quali hanno eletto il segretario del partito, il quale ha nominato i componenti dell’esecutivo e della segreteria politica. E ci riuniamo spesso e discutiamo liberamente. Io, segretario del partito nel 1947, fui dimesso da segretario politico nel gennaio del 1950 perché rimasi in minoranza nel quadro di un dibattito politico tenuto insieme nel nostro comitato centrale; dopo di che diventai, credo, un fedele collaboratore del nuovo segretario del partito Augusto de Marsanich, che a sua volta si dimise per un voto del comitato centrale nel 1954. Collaborammo quindi con l’ allora neo-segretario del nostro partito, Arturo Michelini. Alla stessa maniera dichiaro di essere pronto in ogni momento e colgo questa occasione per affermarlo ad affidare al mio partito la scelta di un altro uomo che meglio diriga. Questa nostra libertà interna è una garanzia per l’opinione pubblica, per gli italiani tutti e anche per il Parlamento, se il Parlamento vorrà prendere atto di dichiarazioni serie e non di fanfaluche, se non si accontenterà di una qualsivoglia esposizione programmatica. Che vale che un partito si dichiari fedele cultore del pluripartitismo o di tutte le democrazie di questo mondo se al suo interno mostra una compagine ferrea, se al suo interno e al suo vertice non si discute, se i segretari di partito sono capi clientela, capi cabila o capi casta o capi tribù? Che importa garantire agli italiani tutte le libertà, se poi la partitocrazia uccide la democrazia parlamentare, e la correntocrazia (e voi democristiani avete in casa vostra, e lo dico compiangendovi, ben tristi esempi) anch’essa uccide, o per lo meno deprime, quelli che potrebbero essere, financo in una partitocrazia, gli aspetti positivi o favorevoli?

Non è forse vero che abbiamo letto su alcuni giornali, che in altre occasioni voci molto ascoltate cito ad esempio il New York Times che, quando sono arrivati i finanziamenti dall’America, essi non si sono indirizzati tanto ai partiti quanto a talune correnti, guarda caso, di sinistra, all’interno di questi partiti? Ho letto le smentite, ma in America non si accontentano delle smentite ufficiali, quando è il New York Times a scrivere determinate cose. E quando la stampa di sinistra, ed anche di centro, commenta gli eventi americani, anche recentissimi, plaude a quel giornale coraggioso e a coloro che democraticamente in America, sulla spinta di quel giornale, aprono talune inchieste. Vi è qualcuno, tra gli accusati dal New York Times in Italia (perché quel giornale ha fatto alcuni nomi, e nomi grossi) che sia andato al di là della smentita, che abbia sollecitato indagini o inchieste? Dove sono i capicorrente della Democrazia cristiana accusati dal New York Times ha accusato di aver preso quattrini dall’America? E dove sono i comunisti che il New York Times ha accusato di aver preso quattrini, non certamente dall’America, ma dall’opposta direzione? Qualcuno ha forse sollecitato dalle inchieste? Qualcuno tra voi ha avuto pruriti qualsiasi? Qualcuno si è almeno affrettato a chiedere subito l’approvazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti, in modo da toglierci tutti da questi imbarazzi e da poter controllare la finanza interna, cioè la leva di comando interno dei partiti, e quindi garantirne la libertà all’interno?

Credete forse che noi non vogliamo certe sfumature? Credete che non ci vergogniamo per voi quando un deputato, in un’occasione come questa, dice pubblicamente: «Io in coscienza voto contro l’autorizzazione a procedere, ma in aula voterò a favore, perché questa comanda il mio partito»? Che cosa significa un comando di tal genere? Non è questa la radice della perdita di coscienza, della perdita di intelligenza, della pigrizia mentale e morale, dello sfascio di un regime che si è creato sulla base di discipline coattive, di stanche discipline di questo genere, dietro le quali stanno quasi sempre interessi che non si vogliono smascherare? Che cosa significa la parola democrazia in un clima come questo? Non dico che dobbiamo prendere l’esempio da noi, per carità!; dico soltanto che ho l’onore di dirigere un partito libero, e sono grato alla classe dirigente di questo partito che liberamente, in questo frangente per me tanto duro, avrebbe anche potuto accantonarmi, e che invece liberamente si è stretta, forse anche intorno alla mia persona, per difendermi in questo momento nella battaglia che stanno conducendo tre milioni e più di italiani che guardano a noi come segnacolo e come garanzia di libertà proprio per questi motivi. Ringrazio dunque questa classe dirigente perché insieme con noi, (anzi, ancora più di quanto io non abbia potuto fare: io ho soltanto cercato di interpretarla e di capirla) ha portato avanti il nobile discorso della destra nazionale.

Voi ci accusate di istigazione alla violenza? La destra nazionale ha in questi anni, la mia persona ha in questi anni trascorso momenti durissimi, che non auguro ai peggiori dei nostri nemici. Non ero altrove, ero a Genova, su un palco da comizio, quando il nostro giovane militante Ugo Venturini è stato assassinato accanto a me perché mi difendeva da coloro che volevano colpirmi. Ero a Livorno con Giuseppe Niccolai quando insieme fummo aggrediti da una turba di avversari politici che stavano per far rimettere la pelle ad entrambi, nell’assenza, durata parecchi minuti, della forza pubblica. Ero a Parma nel 1970, durante la campagna elettorale regionale, quando aprirono persino i tombini del gas per cercare di far saltare il palco e, con esso, la mia modesta persona. Ero a Salerno quando hanno assassinato il giovane diciannovenne Carlo Falvella e ho recitato per lui l’elogio funebre durante le esequie. Ero a Roma nei giorni del rogo di Primavalle, ed ho già avuto modo di esternare in quest’ aula il mio sentimento. In nessuna di queste occasioni la destra nazionale ha ritenuto, responsabilmente, di accettare che fosse parlato il linguaggio dell’odio, della vendetta, del risentimento. Abbiamo serrato le labbra per non dire parole che suonassero come una minaccia di rappresaglia, e sarebbe stato umano profferirle, avrebbe potuto anzi sembrare inumano non pronunciarle di fronte ai genitori, ai parenti, ai figli delle vittime; eppure abbiamo taciuto. Ci siamo anzi inchinati di fronte alle vittime appartenenti alle altre parti politiche che purtroppo la violenza ha falciato senza alcune discriminazione, e siamo sempre pronti a rifarlo, proprio perché siamo la destra nazionale; perché al di là dei programmi politici, al di là dei programmi sociali ed economici, c’è fra noi questa volontà di coesione per gli italiani e tra gli italiani. Questo è il significato della destra nazionale, questo è il discorso che abbiamo portato avanti. Ed è proprio grazie a questo discorso che abbiamo raccolto 3 milioni di voti; è proprio per aver portato avanti questo discorso che vi abbiamo fatto paura; contro questo tipo di discorso avete sollevato nel corso della campagna elettorale del 1972 i fantasmi della guerra civile, dicendo agli italiani di fare attenzione perché la destra nazionale avrebbe portato avanti la guerra civile. Questo stesso tipo di discorso provocatorio state facendo contro di noi in questo momento; ma come vi siete sbagliati allora credendo di provocarci all’intolleranza, così vi sbagliate adesso anche nei miei personali confronti se credete di provocarmi all’intolleranza. Il programma morale della destra nazionale esce più saldo che mai da questa prova e le componenti della destra nazionale si riconoscono in noi più salde dopo questa prova. Qualche giorno fa, signor Presidente, ella con nobili parole ha ricordato la figura indimenticabile dell’onorevole De Lorenzo, che fu uno dei pionieri della destra nazionale; ella, ed era logico ed umano che lo dicesse, affermò che la più bella pagina della sua vita il generale De Lorenzo l’aveva scritta aderendo al movimento della Resistenza. Io la guardavo, in quel momento, e forse ella guardava me, e forse pensava che quella frase potesse umanamente dispiacermi o dispiacerci. Non ci è dispiaciuta affatto, ci ha onorato. Perché la più bella pagina noi l’abbiamo scritta adesso, quando abbiamo detto basta anche e prima di tutto nelle nostre file alla polemica fascismo-antifascismo, basta alla perdurante guerra civile e al clima di perdurante guerra civile .

Questa è la destra nazionale e per questo, signor Presidente, la si vuole colpire. Oh, se girassimo in grottesche mascherate nostalgiche, come in grottesche mascherate sfilano gli hippies tanto cari in Italia e in tante parti del mondo; se fossimo un appoggio, una moda, un costume; se fossimo quattro accattoni in cerca di viscerali applausi; se fossimo dei demagoghi da strapazzo e se predicassimo, impotenti e velleitari, odio e violenza, nessuna legge speciale od ordinaria verrebbe invocata contro di noi. Tanto è vero che l’articolo 18 della Costituzione è lì, è norma chiaramente precettiva, è norma di immediata applicazione; ma nessuno fino a questo momento ha pensato di servirsene per colpire i pagliacci ed i violenti che circolano a piede libe­ro in ogni parte d’Italia. E non importa di quale tendenza essi dichiarino di essere perché io stesso rifiuto qualsivoglia caratterizzazione di destra, e vorrei essere così superiore alle parti da respingere qualunque etichetta di parte anche se fosse riferita alla estrema sinistra. Le origini della violenza, l’ ha detto in quest’aula l’onorevole Giorno la settimana scorsa, debbono essere ricercate nel 1968. Accetto questa data iniziale. Si potrebbe però dire che le origini della violenza vanno ricercate nel 1960 e forse potremmo tutti accettare nelle diverse interpretazioni dei fatti di quell’anno anche questa data iniziale. Ma qualcuno in quest’aula di violenza parlava molti anni fa. A questo proposito vorrei citare un discorso pronunciato dall’onorevole Scelba guarda caso, proprio lui nell’ottobre del 1950 in quest’aula: «Io potrei qui documentare quante violenze si siano compiute contro gli agricoltori e contro i lavoratori non aderenti allo sciopero, le cascine incendiate, i terreni allagati, i cittadini colpiti a sangue; l’azione spionistica nelle amministrazioni statali da parte delle sinistre a danno dello Stato e dei cittadini, l’azione disgregatrice presso le forze armate dello Stato; è un fatto documentato e documentabilissimo. L’azione paramilitare del Partito comunista così si è espresso l’onorevole Scelba, il segretario amministrativo della federazione comunista della provincia di x, è il capo delle formazioni paramilitari del Partito comunista nella provincia».

Voglio forse affermare che l’onorevole Scelba avesse ragione quel giorno? Non lo so. Affermo soltanto che è falso che la spirale della violenza si sia determinata in Italia in quest’ultimo anno o in quest’ultimo anno e mezzo. Vi sono state violenze inaudite in talune parti d’Italia, soprattutto non abbiamo inventato noi il termine «triangolo della morte» nell’immediato dopoguerra. Violenze che dal 1945-1946 sono arrivate al 1949-1950. Successivamente si sono avute ulteriori spirali di violenza. Vi è stato lo scoppio della violenza della piazza contro lo Stato. Le vittime degli scontri a Genova altra notizia da rettificare, altro ricordo da correggere non furono i missini. Noi non eravamo arrivati a Genova il giorno degli scontri. Le vittime furono 130 tra carabinieri e agenti di polizia: da una parte le sinistre, dall’altra parte gli agenti di polizia e i carabinieri. Poi, lo scoppio della violenza nel 1968. Vi è qualcuno che non sappia, onorevole Giorno, cosa ha rappresentato il 1968 nella storia non dico d’Italia, ma europea e mondiale? Vi è qualcuno che non ricordi che il 1968 vuol dire qualcosa per la Francia soprattutto per la Francia per la Germania, per l’Inghilterra è Vi è qualcuno il quale non sappia che il 1968 vuol dire contestazione, quella contestazione che da sinistra, che da oriente (e non mi importa quali siano state le centrali di provenienza) si è abbattuta su tutto il mondo? Vi è qualcuno che non si sia accorto lo scrivono i giornali stranieri in questi giorni __che mentre altri paesi, diciamo pure altre democrazie più sane, più garantite della nostra, hanno riassorbito rapidamente e forse definitivamente il fenomeno, l’Italia è il solo paese nel quale esso invece di essere riassorbito si è addirittura aggravato?

Ed allora, allorché si parla di origine della violenza, ci si ricordi da quale parte essa è arrivata. E dico «quale parte» con molto rispetto per le parti politiche qui rappresentate, perché mi riferisco a quel grosso moto di contestazione, con le sue radici culturali e psuedoculturali, con le sue bande armate, con i suoi protagonisti tipo Cohn Bendit, con i suoi movimenti anarchici, mi riferisco dicevo a quel vasto moto internazionale, mondiale, di violenza che ha sommerso tanti paesi e che ha sommerso soprattutto, in definitiva, il nostro.

Quali le conseguenze della violenza? Le conseguenze mi si dice si ripercuotono a destra come a sinistra. Onorevoli colleghi, è il momento di parlar chiaro e responsabilmente a questo riguardo: le conseguenze della contestazione si ripercuotono a destra, come a sinistra. Credo però di poter affermare che a destra (mi riferisco ai cosiddetti movimenti extraparlamentari di destra) le conseguenze siano molto meno vistose. Credo di poterlo affermare perché tutti i rapporti di polizia o di prefettura, tutte le indagini giornalistiche finora esperite, hanno portato a questo risultato. Credo di poter affermare che i finanziamenti a sinistra siano molto più vistosi che a destra e di dover ricordare che la sinistra extraparlamentare ha addirittura i suoi quotidiani. Credo anche di dover rilevare che partiti di maggioranza e di Governo, come il socialdemocratico ed il liberale, hanno dovuto chiudere e me ne dispiace i loro pregevoli organi di stampa, o non aprirli, mentre l’ultra sinistra esce con una sigla e subito con un quotidiano. Forse grazie alle sottoscrizioni? Certo, grazie alle sottoscrizioni… È naturale! E chi non crede a queste sottoscrizioni, sol perché sono di sinistra, perché si tratta di movimenti «democratici»? Essi hanno i quotidiani, hanno le sedi, organizzano congressi, spostano migliaia di attivisti dall’ una e dall’altra parte d’Italia, si permettono il lusso se lo permette tutta una classe dirigente dell’ultrasinistra di non lavorare. Non sono entrati in Parlamento, ma vivono e vivono bene. Soltanto per le tolleranze di talune patrizie «giornalistiche» milanesi? Non soltanto per questo, penso. Credo vi siano altre fonti di finanziamento, oltre alle alcove, per l’ultrasinistra. Mi pare indubitabile che vi siano collegamenti importanti a livello internazionale (qualcosa in materia documenterò). Comunque, io sono pieno di comprensione nei confronti del Partito comunista quando lo stesso afferma, come alla vigilia ad esempio della campagna elettorale dell’ anno scorso, di non aver nulla a che vedere e di voler anzi sconfessare i gruppi dell’ ultrasinistra. Certo, erano concorrenti elettorali! Però vorrei che questi atteggiamenti fossero tenuti anche quando qualcuno dall’ultrasinistra attenta con la violenza, con la più scatenata violenza, al viver civile e gli trovi subito accanto, come nel caso di Primavalle, il perito iscritto al Partito comunista, l’avvocato al Partito comunista e del Partito socialista. Perché? Se vi dissociate politicamente e organizzativamente, perché sul terreno più delicato, che è quello delle connivenze e delle colluzioni morali, non vi dissociate mai? Perché vi troviamo sempre assieme in tutte le complicità morali? Quelli dell’ultrasinistra, anche i più barbari, i più lerci, e gli avvocati difensori del Partito comunista, e i giornalisti del Partito comunista e del Partito socialista, il quale, del resto (lo ha detto l’onorevole Andreotti, e non ho bisogno di ripeterlo io), è il solo partito politico italiano che non abbia più sin qui sconfessato gli extraparlamentari.

Quanto a noi, abbiamo dichiaratamente e ripetutamente, in tutte le sedi, dalla televisione al congresso nazionale, sancito l’assoluta incompatibilità organizzativa, politica e morale con le formazioni extraparlamentari, alle quali io rifiuto l’attributo «di destra», perché poi, guardando nel profondo, debbo stare un po’ attento ad attribuire certe generose qualificazioni. «Di destra»? Io considero «di destra» quel che viene verso di me, che io riesco ad interpretare, che mi appoggia, che io ritengo di appoggiare, che mi interpreta in qualche guisa. Ma quando in una manifestazione da noi organizzata si insinua un teppistello, è egli «di destra» perché in quel momento fa un saluto romano provocatorio? È «di destra» perché dice di essere amico di qualcuno tra i dirigenti di destra? O non si deve guardare nel fondo, e vedere chi lo abbia tollerato e promosso?

San Babila. È bastato che in una conferenza alla stampa estera pochi giorni fa io dicessi: andrò a Milano sabato e domenica e girerò per San Babila, perché me li ritroverò tutti, i famosi teppisti di San Babila; è bastato che dicessi questo, e improvvisamente ed insperatamente il signor ministro dell’interno o il questore di Milano hanno fatto pulizia. San Babila è pulito. Per quanti altri giorni? E perché era sporco prima? Chi tollerava quelle presenze, di uomini che erano questi tutti noti, uno per uno, alla questura di Milano, per reati comuni? Perché al centro della città di Milano la buon costume non interveniva? Vi sono simpatie di vertice verso gli invertiti di San Babila? Debbo credere questo? Si arruolano autisti da strapazzo a San Babila da parte di qualcuno? Debbo ritenere questo, debbo dirlo, debbo scriverlo? Si giunge a questo? Invertiti, prostitute, sfruttatori degli uni e degli altri; e in mezzo può capitare il giovane sprovveduto, nei confronti del quale bisogna essere umanamente comprensivi, purché politicamente si sia ferrei nell’additare le responsabilità, nell’andare a sviscerarle. Forse che i giornalisti dei grandi quotidiani milanesi non sanno queste cose? Dove si dilettano nell’osservare la realtà di Milano, se non al centro della città? Fingono di non conoscere le situazioni e perché? O se ne accorgono soltanto quando tentano di pugnalare noi?

A Roma, come mai certi gruppi dell’ultra-destra in questi ultimi giorni (peccato che non ci sia l’onorevole Andreotti!) aprono librerie? Io non sono in grado, a titolo personale, di aprire una libreria. Gruppi dell’ultradestra, con la loro insegna, al centro di Roma aprono librerie. Mi auguro che si accingano a vendere libri; ma se, per avventura, tra sei mesi o un anno si dovesse scoprire che nel retrobottega c’è qualcosa che non va, ne ho colpa io? O quei gruppi romani della Democrazia cristiana che sono d’accordo? L’onorevole Petrucci ne sa qualche cosa? Chiedo questo, e non a caso: chiedo se ne sappia qualcosa il comitato romano della Democrazia cristiana; chiedo se se ne sappia qualcosa in assemblea regionale, se ne sappiano qualcosa taluni rappresentanti regionali della Democrazia cristiana. “

FELICI: “Questo non risulta. È una menzogna piena!. “

ALMIRANTE: “Non risulta? Allora risulterà. Ho detto che per ora, e nel vostro interesse, vi sono degli avvertimenti da parte nostra. Visto che molti tra voi hanno consuetudine con i modi di agire mafiosi, ecco, questo è un avvertimento. Ma nei prossimi giorni verranno le notizie e le comunicazioni, perché siamo stanchi, assolutamente stanchi non di pagare noi che è giusto che paghiamo ma di mettere a repentaglio tanta brava gente italiana. Penso ai fratelli Mattei: vi pare giusto che dei ragazzi, dei bimbi corrano pericolo di vita, anche in questo momento, perché ci sono teppisti scatenati: quei teppisti scatenati che vengono attribuiti alla nostra parte, o anche alla nostra parte, quando chi paga ce l’ ha con noi e chiede addirittura la nostra messa al bando per ripulire l’Italia dalla violenza e dai violenti? Aspettatevi delle denunce pesanti, documentate e dettagliate. E poiché non voglio mai fermarmi a una sola parte, dò ai democristiani una consolazione. Bisogna mettere le mani un tantino anche sull’ultra sinistra e su quelli che la proteggono a tutti i livelli. Ho qui un carteggio che, uscito da quest’aula, affiderò ai giornalisti coraggiosi. Un carteggio che ha inizio con una notiziola apparsa su Paese Sera, sempre a proposito di violenza.

Una notiziola: «Camerino» (la città, non il gabinetto) «Una montatura le armi nel cascinale». E poi: «Come sempre, ci vuole un po’ di tempo, poi certe montature di qualche giornale parafascista cadono tutte, puntualmente. L’ultima è quella dell’arsenale di Camerino. Ieri» (questo articolo è del 29 marzo) «Il giudice istruttore Antonio Spagnolo ha revocato il mandato di cattura nei confronti di Paolo Fabbrini e ha dichiarato la nullità di tutte le perquisizioni effettuate nelle abitazioni di una ventina di giovani democratici».

Sono andato a vedere: su segnalazione della compagnia carabinieri di Roma Trionfale del 7 ottobre 1972, e a seguito di successive indagini, il 10 novembre 1972 è stata compiuta una perquisizione attraverso la quale presso quei giovani democratici sono stati trovati: una mitragliatrice tedesca, un moschetto automatico, un moschetto 91, una canna di fucile mitragliatore, parti di ricambio, 370 cartucce, 2.100 cartucce, 400 cartucce dei vari tipi, 23 bombe a mano del tipo «ananas» (ne ho sentito parlare, mi sembra, in questi giorni, anche sulla stampa di sinistra), 5 contenitori di esplosivo al plastico (chilogrammi 3), 2 panetti e 6 cilindretti di tritolo, 4 detonatori, di cui 2 collegati, 2 rotoli di miccia, eccetera: vi risparmio il resto. Poi, 604 carte di identità in bianco risultate rubate al comune di Roma (ho sentito parlare di passaporti rubati, qui si trattava di carte d’identità in bianco) e 10 fogli dattiloscritti in codice. Non ritenetemi troppo bravo, ma con l’aiuto di qualche amico ho qui la decifrazione del codice. Bisogna andare a trovare un volume, che è stato sequestrato nella casa di Paolo Fabbrini, l’amico di Paese Sera e dei socialisti (si tratta di Rivoluzione nella rivoluzione, di Régis Debray; bisogna aprire a una certa pagina e poi tradurre. Ho qui il testo in codice e quello tradotto, che metto a disposizione della stampa).

Il testo tradotto dice fra l’altro: «Capo zona Campetti Loris, Costa 13 Macerata; responsabile emergenza Guazzoni Carlo, Contatto Stoccolma Zaritopulos Angelo, casa Cardarelli Camerino. Contatto Iugoslavia Stidiropulos Ciriacs». Poi c’è un altro contatto con studenti stranieri a Perugia e vi è anche qualcosa di meglio.

Sequestri dimostrativi di Giustizia del popolo. Sequestri da fare: fascista Luzzi Giovanni, Via Lilli 56, Fascista Mura Erminio, Via Leopardi. Sequestri per finanziare la guerra del popolo: capitalista fascista Santacchi Eligio, sindaco fascista Pinzi Mario, assessore fascista De Fantini. Caso emergenza costituire brigata rossa zona e commandos del popolo; assaltare caserme carabinieri, polstrada, finanza Camerino. Liberare detenuti carcere Camerino. Attentati: scuola militare Sausa, Colfiorito e stabilimento Cetralcavi Le Grazie di Tolentino. Interruzione ponte viadotto San Severino; interruzione ponte Tarrano. Eliminazione fascisti pericolosi: Luzzi Giovanni, Mura Erminio, Abate Antonio, Pinzi Mario, Ciccarelli Clemente, capitano dei carabinieri Dongiovanni, Ciampicconi Giulio, Marisa Tamelli Venezia, Galitri Pietro. Attentati: MSI di Camerino, caserma carabinieri Camerino, palazzo della giustizia borghese, AGIP Circonvallazione, deposito artiglieria Castel Raimondo, stabilimento Centralcavi Le Grazie di Tolentino».

Questa Indagine è stata insabbiata da un magistrato, d’accordo con avvocati socialisti. Ho i nomi degli avvocati, i nomi dei magistrati, le date in cui gli insabbiamenti hanno avuto luogo. Affido ai giornalisti liberi visto che è la sola categoria alla quale mi posso in questo momento, io imputato di violenza, affidare perché si intervenga e si evitino, prima che sia troppo tardi, le gentili cose che sono preannunciate da questo cifrario. Mi assumo la responsabilità di quello che ho detto. Non temo di poter essere smentito perché non avrei portato in Parlamento fatti di questo genere. Dopo di che, guarda caso, nella stessa regione d’Italia di cui ho parlato, la Democrazia cristiana ha portato, come suo eletto e come suo massimo esponente, il segretario del suo partito, l’onorevole Forlani, al quale mi legano rapporti di stima e di amicizia non da oggi, il quale però ha mancato alla stima e alla amicizia quando si è permesso di dire qualche mese fa, mi pare a La Spezia, se noi eravamo la testa di una oscura trama internazionale (vi ricordate la trama eversiva?). L’onorevole Andreotti ha gentilmente smentito nei giorni scorsi perché ha detto: circa connessioni straniere, le indagini fin qui esperite nelle debite fonti le hanno nettamente escluse.

E allora, che si fa quando non si riesce a documentare niente contro di noi e non si vuoi documentare ciò che è documentabilissimo nei confronti degli altri? Si inventa e si distorce. E adesso vi racconterò un fatterello recente (ho preso degli appunti, mi permetterete di leggerli) a proposito di nostre violenze, perché è un episodio edificante in cui c’entrano un po’ tutti: magistrati, giornalisti, complici, politici, partiti, tutti contro di noi. Strage di Milano. Bisognava, anche a proposito della strage di Milano, inventare la trama nera. Come si fa? Avete letto sui giornali notizie che hanno ruotato per 48 ore? La fotografia del Bertoli a Udine, accanto ad elementi di «Ordine Nuovo»? E il Bertoli a Venezia implicato in scontri con l’ultra sinistra e quindi un Bertoli fascista o legato ad elementi fascisti? Avete letto? Avete udito la radio che queste notizie ha ripetuto in tutti i suoi giornali per 24 ore consecutive? Chi le aveva trasmesse? L’agenzia ANSA e la agenzia Italia. L’agenzia ANSA ha qualche responsabilità ufficiale o ufficiosa? Ho l’impressione di sì. Ha delle sovvenzioni di Stato? Ho l’impressione di sì. È diretta da gente molto vicina ad altissimi personaggi dello Stato? Ho l’impressione di sì. E allora i colleghi della agenzia ANSA ed anche della agenzia Italia (anch’essa fruente, in minor misura, di grossi benefici) stiano attenti a quel che scrivono perché provocare in questa guisa, in un momento siffatto, con tutto quel che c’è in giro, è veramente la più bassa e vergognosa impresa che possa farsi.

E ora, poiché sono apparse le smentite ufficiali (la questura di Udine ha smentito, la questura di Venezia ha smentito, i carabinieri hanno smentito, ma solo una parte della stampa ha riportato le smentite, la radio le ha riportate tardivamente, della televisione non ho notizia posso sbagliare se le abbia riportate) vi racconto come è andata perché è interessante. L’iniziativa della falsificazione (anche in questo mi assumo la responsabilità) è partita dal sostituto Fiasconaro, del tribunale di Milano. Già estromesso dall’indagine sulla strage di Piazza Fontana per le violazioni del segreto istruttorio compiute ai danni dei funzionari di polizia coinvolti nelle indagini, il sostituto Fiasconaro è stato riammesso a partecipare all’inchiesta alla chetichella. Venerdì 18 il Fiasconaro si trovava a Roma, dove abita, e dove era venuto insieme al giudice d’Ambrosio per gli interrogatori di Guido Paglia e di Giannettini. Sui giornali della mattinata ha visto la fotografia del Bertoli. Dal Palazzo di giustizia di Roma, verso le 14, ha chiamato al telefono il collega Viola di Milano e gli ha detto che nel fascicolo dell’inchiesta Freda era allegata una fotografia relativa ad una manifestazione di «Ordine nuovo», in quel di Udine; che in questa fotografia si vedeva un personaggio che, a detta del Fiasconaro, avrebbe potuto essere il Bertoli. Il giudice Viola è stato quindi spronato dal suo collega a tirare fuori la fotografia e ad indirizzare le indagini sulla pista nera. Contemporaneamente la notizia è stata trasmessa a Paese Sera. Infatti il Paese Sera della mattina di sabato 19 maggio ha pubblicato la notizia alla pagina quattro, e l’ ha pubblicato con un evidentissimo spazio di censura alla fine. Questo spazio di censura è stato causato dalla richiesta del dottor Fiasconaro, avanzata all’ultimo istante, di cancellare il brano in cui si faceva riferimento al fascicolo dell’inchiesta Freda, perché attraverso questo riferimento si sarebbe riconosciuto il provocatore. Nella giornata di sabato l’opera di falsificazione è continuata. L’agenzia ANSA ha pubblicato la notizia della manifestazione di Udine, già apparsa sul Paese. L’ agenzia Italia ha pubblicato l’altra notizia, anch’essa falsa, relativa alla manifestazione di Venezia. Queste due notizie, diramate attraverso le due maggiori agenzie di stampa italiane, una delle quali addirittura agenzia ufficiale, hanno fatto sì che la mattina di domenica 20 tutti i giornali italiani sostenessero la tesi assurda del cosiddetto anarchico fascista, o per lo meno la riprendessero. Il giornale-radio per tutta la giornata ha insistito su questa tesi.

La falsificazione era così grave da provocare uno sviamento delle indagini contro il giudizio per l’accertamento della verità. Ciò ha indotto il Ministero dell’interno, al quale quando devo rendere un riconoscimento lo rendo, a impegnarsi a fondo per controllare la veridicità dei fatti asseriti. Come risultato di questa operazione, alle 18,15 di domenica la questura di Udine smentiva la notizia data dall’ANSA, e alle 20 i carabinieri smentivano quella data dall’agenzia Italia. Ma, a dispetto di queste smentite, i magistrati filocomunisti hanno insistito nella loro azione di sviamento delle indagini, con la collaborazione di vari giornali italiani, come dimostrano alcuni articoli apparsi su La Stampa e sul Corriere della Sera di lunedì mattina.

Inoltre, sempre allo scopo di sviare le indagini e di falsificare i fatti ai nostri danni, è stata fatta uscire dal fascicolo Freda la famosa fotografia, dalla quale non risulta proprio nulla. Questa fotografia è stata trasmessa al Corriere della Sera che l’ ha pubblicata in data martedì 22 maggio. Sempre nella giornata di martedì L’ Avanti!, in piena contraddizione con i comunicati ufficiali di smentita, ha affermato, a proposito di questa fotografia, che l’autenticità dell’immagine e del riconoscimento del Bertoli è confermata dal Ministero dell’interno; ciò mentre è vero proprio il contrario.

In questo modo, non soltanto sono stati falsificati i fatti per colpirci, ma è stato fornito un contributo determinante ai veri responsabili dell’attentato del 17 maggio i quali, dallo sviamento e dal conseguente ritardo delle indagini, hanno ricavato o potuto ricavare indubbi benefici. Come risultato concreto di questa operazione, la mattina di martedì 22 maggio tutta la stampa italiana ha riferito infatti che «adesso bisogna ricominciare da capo le indagini». Il giudice Fiasconaro e i suoi complici possono dunque vantarsi, non soltanto di avere inscenato l’ennesima montatura ai danni della destra, ma di avere fornito un obiettivo aiuto ai terroristi.

A questo punto il discorso sulla violenza deve essere impostato come deve essere impostato. Io riprendo un recente accenno dell’onorevole Piccoli il quale, rivolgendosi al Governo, ha detto nei dibattiti della settimana scorsa: noi confortiamo il Governo a prendere le decisioni necessarie anzitutto a bloccare la spirale della violenza, poi a togliere di mezzo le troppe armi che circolano nel paese, andando a ricercare da dove vengono, chi le vende o chi le regala; infine a risalire ai problemi dell’organizzazione che emergono evidenti dalla serie di provocazioni che si sono susseguite negli ultimi tempi. Sottoscrivo le parole, non le intenzioni, che sono subdole, onorevole Piccoli, come subdola è stata tutta la sua impostazione recente; ma le pa­role le sottoscrivo lealmente, e voglio dimenticare, in un’ora che voi definite grave e che definisco grave anche io, perfino la eventualità delle subdole intenzioni. Vi prendiamo in parola. Noi abbiamo presentato all’inizio di questa legislatura taluni strumenti per combattere la violenza da qualunque parte essa venga: una proposta di inchiesta parlamentare sulla violenza, una proposta di legge contro le manifestazioni di violenza, tradotta dalla legge francese a nti-casseurs che sembra avere avuto ottima efficacia in quella democrazia, e infine la polivalente degasperiana, come vi ho detto durante questo discorso, riveduta ed aggiornata, ma a nostro avviso resa ancora più efficace nei confronti di tutte le parti, nei confronti di tutte le violenze, accettando quel che spero in buona fede abbia detto recentemente l’onorevole Andreotti, e cioè che la violenza non ha colore.

Voi siete padroni di disattendere le nostre proposte di legge perché tecnicamente da voi giudicate incongrue; siete financo padroni di disattendere e di respingere le nostre proposte di legge perché provenienti da una parte con cui non volete associarvi neppure nell’ approvare una proposta di legge; però vi associate volentieri quando si tratta di sottrarre qualcuno dei vostri all’autorizzazione a procedere, come è avvenuto ancor oggi. Comunque, potete respingere ogni nostra proposta di legge siffatta. Tutto potete fare, tranne che invitare genericamente e platonicamente un Governo morituro a prendere delle misure senza offrire voi, gruppo parlamentare della Democrazia cristiana, al Governo gli strumenti di azione. Dov’è il disegno di legge governativo per il fermo di polizia? Avete o no il coraggio di portarlo in aula? È un palliativo, siamo d’accordo; è una misura parziale, siamo d’accordo, ma a livello di opinione basterebbe la discussione in questo momento, in quest’aula, del disegno di legge per il fermo di polizia, o di qualsiasi disegno di legge tendente ad inasprire le pene contro i teppisti o a rafforzare l’autorità e il prestigio delle forze dell’ordine, per riqualificare lo Stato, gli istituti della democrazia ed il nostro stesso partito in termine di ordine nella libertà, di fronte alla pubblica opinione. Tutto potete fare, tranne che inviare dei consigli generici a un Governo che in questo momento sa di non avere l’autorità e il prestigio per poter agire, evitando di assumervi le vostre responsabilità. Assumetele, metteteci alla prova; mettete tutte le parti alla prova. Il confronto deve essere questo. Non fare insinuanti ed insidiosi discorsi di appello all’ordine e alla libertà e alla democrazia, nel momento stesso in cui si nega ogni principio di libertà tentando di togliere dall’ordine costituzionale un partito politico come il nostro. Metteteci e mettete voi stessi alla prova. Fate questa verifica qui dentro, perché si possano poi far le verifiche di intenzione, di proponimento, di volontà fuori di qui.

Presentate un corpo di leggi idonee a colpire il disordine e la violenza, in guisa eguale per tutti e contro di tutti. Vedrete che l’opinione pubblica sarà rapidamente con voi e vedrete che, dandovi questo consiglio, io certamente non do il cinico consiglio di chi vuole approfittarne. Nel momento stesso in cui mi accingo a votare contro di me, nel momento stesso in cui mi accingo ad affrontare il verdetto della giustizia, penso di poter essere considerato davvero al di sopra delle parti quando vi invito ad uscire dal conformismo gretto e pigro al quale vi siete adeguati. Vi invito a pensare, anziché ad intese tra correnti o intese di vertice con altri partiti, alla soluzione organica di questi gravi problemi. Onorevoli colleghi, con quali prospettive vi accingete a votare insieme con me l’autorizzazione a procedere contro di me? Volete scioglierci? Vi siete o no resi conto e ve lo dico senza alcuna tracotanza che potete sciogliere una etichetta, ma non certamente una forza politica? Vi siete, o no, resi conto che questa forza politica ha, come ha indubbiamente, un suo autonomo impulso? Che dallo scioglimento dell’etichetta, essa, nel giro di qualche settimana, può trarre nuova linfa? E vi siete soprattutto resi conto, o no, che sciogliere una etichetta in tal momento e con siffatti propositi, con siffatte alleanze e a vantaggio di siffatti alleati, darebbe certamente luogo ad un partito ancora più forte del nostro, elettoralmente? Ma con difficoltà darebbe luogo ad un partito altrettanto responsabile quale il nostro, anche in questa occasione, si sta dimostrando. Sicché, con l’asserito proposito di contribuire all’ordine e di sedare la violenza, voi creereste a destra quel libero spazio, non voglio dire per la violenza, ma certamente per la imprudenza e per la intolleranza, che grazie a noi non è stato creato. Cosa vi proponete allora? Di metter dentro me? Vi sembra un grosso risultato? Vi sembra che ne valga la pena? Vi sembra che valga la pena di scomodare tanti galantuomini, quali voi siete, per mettere dentro un uomo che non ha altro al proprio servizio, se non le parole? È mai possibile che questo personaggio determini in voi tanta preoccupazione? E se questo personaggio determina insieme con i suoi amici in voi tanta preoccupazione, volete fare un piccolo esame di coscienza? Volete chiedervi perché? Volete avere la bontà di rispondere quello che hanno risposto negli scorsi giorni giornali a noi avversi, a cominciare dal Corriere della Sera, che ha scritto: «Per isolare il neo-fascismo bisogna governare meglio l’Italia». Volete sciogliere noi perché volete ricostituire il centro-sinistra, che l’opinione pubblica ha sciolto un anno fa? E voi pensate che sia operazione conveniente?

O non piuttosto pensate che, anziché dissolverci o scioglierci con misure eccezionali o mettere al fresco il segretario del partito, valga la pena di affrontare, non con noi ma con il popolo italiano, le scelte serie, valide, vitali? Vogliamo fare, in confronto fra noi, il discorso non sulle leggi eccezionali ma sulle riforme di struttura? Vogliamo chiederci che cosa stia a monte del fallimento, da voi stessi confessato, dello Stato democratico, delle sue istituzioni, dei suoi ordinamenti? Voi affermate che i voti dati al nostro partito sono voti di protesta, e quindi irrazionali; ma non vi accorgete che, quando la protesta matura nel cuore di un popolo e continua per venticinque anni, essa è la cosa più razionale che si possa immaginare? Vi rendete conto o no che irrazionale è la pigrizia, la poltroneria, il conformismo dell’elettorato, perché il pigro, il poltrone, il conformista danneggiano se stessi, mentre chi protesta e sceglie nuove strade per tentare di salvarsi è coraggioso ma anche intelligente? Volete rendervi conto che state perdendo l’anima del paese (o della patria) perché avete perso la vostra?

Volete chiarirci, ad esempio, colleghi della Democrazia cristiana (non è questo il momento: mi limito soltanto ad un accenno), quale sia la vostra dottrina sociale? Ricordo che, quando entrai in Parlamento la prima volta, qualcuno tra voi parlava ancora dell’antico corporativismo cattolico e ne parlava con rispetto. Ricordo ancora che De Gasperi parlava, dall’alto del suo banco e della sua capacità politica, di solidarismo cristiano. Altri parlava d’ interclasse e tentava di definirlo. Ora invece siete squallidamente classisti, insieme con tutti gli altri, e non avrete altra dottrina che non sia quella che Pietro Nenni ha definito in un suo discorso a vostro e anche a loro discredito quando ha detto che questa «democrazia» è ridotta ad essere soltanto una «crazia», cioè un puro e semplice esercizio del potere per il potere. È il potere che ci scomunica? E voi credete che il potere possa scomunicare la libertà? Penso che vi sbagliate? Ho pronunziato la parola libertà. Il relatore l’ ha pronunziata molte volte, questo pomeriggio, mentre io ho cercato di evocarla il meno possibile. Pronunzio questa parola concludendo e vi ringrazio, onorevoli colleghi, per avermi dato l’onore, di fronte al popolo italiano, di poterla pronunziare, da stasera e da domani in poi, sempre più altamente e largamente.

Seduta del 14 luglio 1960

La violenza di piazza contro l’autorità dello Stato. 1960 vince il terrore scatenato dai socialcomunisti nelle strade di Genova (e in altre città) che colgono a pretesto la celebrazione del congresso del Msi in quella città. Nel mirino è il governo Tambroni, che ha l’appoggio esterno missino. Il 14 luglio si tiene alla Camera un’infuocata seduta, oggetto le interpellanze e le interrogazioni sui fatti di Genova. Cinque giorni più tardi Tambroni salirà le scale del Quirinale per rassegnare le dimissioni. Almirante riflette ad alta voce sulla situazione politica che si è venuta a creare nel Paese.

Genova ’60, la piazza

contro lo Stato

ALMIRANTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, per quanto riguarda la risposta data dal signor Presidente del Consiglio a quella parte dell’interpellanza illustrata ieri dal nostro capogruppo onorevole Roberti circa gli incidenti di Genova, le nostre valutazioni in merito e le nostre richieste di precisazioni, diamo atto al Presidente del Consiglio delle risposte e dei chiarimenti che ci ha dato e che ha offerto alla conoscenza e alla valutazione di tutto il Parlamento, e manteniamo ferme talune nostre riserve che l’onorevole Roberti ha espresso molto chiaramente circa il comportamento tenuto in quella occasione, a tutela dell’ordine, della libertà e della incolumità dei cittadini, sia dalle autorità centrali sia dalle autorità periferiche.

Quanto al merito della situazione politica, mi sia consentito di fare molto brevemente e molto serenamente alcune considerazioni.

Abbiamo ascoltato da parte dell’onorevole Pajetta, con gli stessi accenti (e non c’è da stupirsene) adoperati prima dall’onorevole Nenni e subito dopo (e non c’è ancora da stupirsene, per la esagitazione psicologica del personaggio, che è tipico per simili sbalzi di umore) dall’onorevole Saragat, perentori inviti al Governo affinché si dimetta. Abbiamo anche udito i sostenitori di questa tesi avanzare tale richiesta in forma addirittura ultimativa (l’onorevole Nenni, se non sbaglio, ha concesso 24 ore al Governo), e dire che tale richiesta sarebbe conforme al rispetto che è dovuto al Parlamento. Consentite a me, ultimo tra gli allievi di vita parlamentare, però allievo vostro da 12 anni, qualche modesto rilievo al riguardo.

L’onorevole Nenni ha detto oggi (lo aveva detto anche l’altro giorno) che attraverso una discussione di interpellanze in pratica si era introdotta una discussione sulla sfiducia al Governo. Io non credo sia stato corretto, leale, coraggioso adottare questo metodo. Credo che sia stato atto di grande riguardo nei confronti del Parlamento quello che il Governo e tutti i colleghi della maggioranza hanno compiuto, perché avrebbero tutti potuto chiedere alla Presidenza di negare l’accettazione di tali interpellanze, che hanno introdotto una discussione sulla sfiducia senza che i vari gruppi politici si assumessero le responsabilità connesse a tale discussione. V’è una seconda considerazione da fare e che concerne l’inizio singolare, sintomatico, della seduta di oggi. Non so se gli onorevoli colleghi lo hanno notato. Prima che il Presidente del Consiglio prendesse la parola, il Presidente della Camera ha dato annuncio dell’esito di una votazione. Era una votazione a scrutinio segreto su un bilancio non di secondaria importanza, il bilancio dell’agricoltura. Vogliamo rileggere quei dati perché attraverso essi si è espressa, io credo, la libera coscienza dei deputati di tutti i settori. I dati sono: 519presenti e votanti, maggioranza richiesta 260, voti favorevoli 295, voti contrari 224. Ciò significa che in questa votazione su un bilancio, come, lo sapete benissimo, in tutte le precedenti votazioni sui bilanci di alta importanza, comunque i bilanci dello Stato (ed io penso che una delle fondamentali funzioni del Parlamento sia esattamente questa: approvare o disapprovare, comunque valutare nella discussione e nel voto i bilanci dello Stato), la maggioranza che, per appello nominale, nascendo codesto Governo in questo ramo del Parlamento, era stata risicatissima, è aumentata fino a raggiungere, in questo caso, il margine di differenza tra i voti favorevoli e i voti contrari di oltre 70 voti, e cioè il margine di maggioranza di 35 voti,se non erro. Il che significa, onorevoli colleghi di tutte le parti, delle due l’una: o taluni partiti e taluni gruppi parlamentari a scrutinio segreto nei confronti di questo Governo, anche in questo momento, anche oggi, assumono un atteggiamento diverso dall’atteggiamento che assumono palesemente con i dissensi, con le interruzioni, con le intimazioni; o esistono in tutti i gruppi politici o almeno in parecchi gruppi politici (e sarebbe difficile, nella presente situazione di equivoco e di ipocrisia diffusissimi, individuare esattamente i gruppi in cui tali crisi possono essersi manifestate) deputati la cui libera coscienza si rivolta contro la politica ufficiale di opposizione che gli stessi gruppi politici vanno conclamando. Altra spiegazione non può esservi, e questi sono dati parlamentari, sono dati che il Movimento sociale italiano si limita, da pivello del Parlamento, ed in Parlamento, a sottoporre alla cortese attenzione dei mastri di vita parlamentare e politica che abbiamo sentito tuonare da tutti i banchi compresi nell’area della democrazia, o nell’arco della democrazia.

Questa era in febbraio, questa è oggi ufficialmente la sua posizione, con una chiarezza che sarà forse ingenua, ma che è tanto simpatica proprio perché è ingenua. L’onorevole Saragat, del resto, ci è simpatico perché con la sua chiarezza, con la sua lealtà, forse per la sua ingenuità, manda per aria i giuochi e le manovre di uomini forse meno ingenui ma indubbiamente meno leali e meno simpatici di lui. Ringraziamo, dunque, l’onorevole Saragat per aver confermato che il Partito socialdemocratico vede la formazione di una maggioranza esattamente nei termini in cui la vedeva e la poneva qualche mese fa. Con una sola differenza: che allora il Partito socialdemocratico voleva andare al governo, oggi, per un breve periodo, per un breve tratto di strada, è disposto a star fuori del governo, in compagnia ancora più stretta col Partito socialista, le cui azioni subirebbero un notevole rialzo qualora il Partito socialista stesso fosse fuori del governo insieme con altri partiti fuori del governo e facenti parte allo stesso titolo della maggioranza. Le posizioni di Saragat sono dunque peggiorate, onorevoli colleghi della Democrazia cristiana, nei vostri confronti, se le paragoniamo con le sue posizioni del mese di febbraio. Perché allora egli poneva, almeno per un certo periodo, per un certo tratto di strada, il Partito socialista fuori dall’uscio del governo, e dichiarava che potevano essere accettati, quasi tollerati i suoi voti perché proprio non se ne poteva fare a meno. Ma stabiliva un periodo di prova, un periodo di apprendistato, di tirocinio, nel corso del quale si sarebbe veduto se l’onorevole Nenni veramente fosse capace, fosse degno, fosse pronto ad entrare nell’area o nell’arco della democrazia.

Oggi no: oggi l’onorevole Saragat si presenta a voi disposto a fare dei sacrifici, sulla pelle vostra, come sempre; e il compianto onorevole Zoli parlò, con la sua brutale, chiara, onesta eloquenza romagnola, dei sacrifici che per dieci anni i socialdemocratici avevano fatto al governo insieme con la Democrazia cristiana! Saragat, dicevo, è pronto a fare dei sacrifici, e il suo sacrificio consiste nel portarvi in casa, nella maggioranza parlamentare e di governo, immediatamente, senza prove, senza tirocini, l’onorevole Nenni, dopo i discorsi che l’onorevole Nenni ha pronunziato in questi giorni, dopo l’atteggiamento che il Partito socialista ha tenuto in questi giorni, in queste settimane! Se l’onorevole Saragat è l’ingenuo e simpatico della vita parlamentare italiana, non oserei dire che l’onorevole Nenni, dopo quanto abbiamo ascoltato dalle sue labbra e dopo quello che il Partito socialista ha compiuto, negli scorsi giorni, soprattutto contro di noi, non oserei dire dicevo che l’onorevole Nenni sia simpatico ed ingenuo anche lui; ma indubbiamente un certo che di freschezza è rimasto anche nella eloquenza dell’onorevole Nenni, il quale oggi ha avuto dal Presidente del Consiglio e non se n’è accorto (strana cosa per l’onorevole Nenni che è uomo così fine) la più clamorosa fra le occasioni per potersi dissociare dalle responsabilità del Partito comunista.

Il Presidente del Consiglio è stato cortese riconosciamolo con l’onorevole Nenni e con il Partito socialista, pur nella polemica. Il Presidente del Consiglio ha documentato quello che, d’altra parte, sapevamo o intuivamo, ma che dal banco della Presidenza del Consiglio non era stato ancora detto, ed è molto importante che sia stato detto, e lo avete applaudito e penso che l’applauso sia impegno di responsabilità. Il Presidente del Consiglio ha detto quello che più o meno gli italiani per bene sanno circa i dirigenti del Partito comunista, le loro responsabilità, le loro congiure, i loro legami, i loro reati flagranti contro lo Stato italiano. Era un’ottima occasione per l’onorevole Nenni (che il Presidente del Consiglio ha trattato cortesemente, pur dopo essere stato da lui minacciato di deferimento alla Corte costituzionale) per dichiarare, senza venir meno alla sua fede socialista e all’impegno di partito, che il suo partito non ha nulla a che vedere, che i dirigenti del suo partito non hanno nulla a che vedere con i complotti internazionali e le congiure interne e i reati previsti dal codice penale che alcuni dirigenti del Partito comunista compiono indisturbati da tanti anni in Italia. L’onorevole Nenni non solo non ha raccolto la favorevole e positiva occasione, ma, al contrario, pur dopo le precisazioni e le documentazioni gravissime del Presidente del Consiglio, ha voluto confermare in pieno, e sul terreno dei fatti e sul terreno dei principi, la solidarietà con l’azione, la corresponsabilità con l’azione che, sul presupposto pretestuoso dell’antifascismo e della Resistenza, il Partito comunista ha condotto per scardinare lo Stato in queste ultime settimane. L’onorevole Malagodi (eccoci alle convergenze) ha rilevato questo dato quando, nel suo intervento successivo a quello dell’onorevole Saragat, ha dichiarato (mi sono permesso di prendere appunti per non essere infedele nel riferire) che l’apertura a sinistra è stata tentata ed è fallita due volte in quanto il Partito socialista, su concetti fondamentali che concernono lo Stato, continua a condividere le tesi e le responsabilità del Partito comunista. Ed allora, dov’è la convergenza, la convergenza fra l’onorevole Saragat e l’onorevole Malagodi? Dov’è la convergenza fra l’onorevole Saragat e l’onorevole Gui? Io non so vederla. Mi risulta (e lo ha detto l’onorevole Malagodi, che cito ancora fra virgolette) che «sui concetti di difesa dello Stato, dell’ordine e della legge e quindi della libertà, sul diritto che gli agenti dell’ordine siano difesi dalle contumelie, dalle ingiurie e dalle violenze, siamo d’accordo». Ma come si può essere d’accordo con lo Stato e con gli eversori dichiarati dello Stato? Come si può, nell’attuale situazione, dopo quanto è accaduto ed è stato documentato, essere ad un tempo d’accordo con l’onorevole Togliatti, con l’onorevole Nenni, con l’onorevole Saragat, con l’onorevole Gui, con l’onorevole Malagodi? Ma questo è un pasticcio!

Si è parlato di asini. Vi è l’asino di monsignor Perrelli, ma vi è anche l’asino di Buridano, che in questo caso (chiedo scusa per l’accostamento, che vuole essere occasionale e rispettosissimo) è l’onorevole Gui, il quale si trova fra i due mucchi di fieno (quello Saragat e quello Malagodi, quello socialdemocratico e quello liberale, quello aperturista e quello centrista) e non sa che scegliere, perché non può scegliere, perché non è in condizioni di scegliere, perché il dibattito ha serenamente dimostrato che non sono maturate le condizioni politiche ed obiettive per la scelta.

Il dibattito ha dimostrato cioè che siamo, che siete allo stesso punto in cui vi trov­vate nel mese di febbraio. Se voi non poteste allora fare delle scelte, abbiamo la fondata impressione che non possiate farne nemmeno adesso. Il che ci esime da ogni preoccupazione di parte circa un’apertura di crisi, che taluni settori hanno forse con qualche cattivo gusto indicato prima di tutto come una rottura drammatica col Movimento sociale italiano, perché siamo matematicamente certi che, se qualcuno avrà l’imprudenza di aprire in questo momento una crisi, ne verrà un supplemento di crisi: lunga, grave, pericolosa ed inutile come la precedente. Con un’aggravante, però: che nel frattempo il comunismo ha gettato la maschera e un Presidente del Consiglio coraggioso (e gliene dobbiamo dare atto) ha strappato quel poco di maschera che il comunismo non aveva ancora gettato.

Vorrei sapere quale nuovo Governo, quale nuovo Presidente del Consiglio, quale ministro dell’Interno potrebbero assumersi la responsabilità pesantissima dal momento in cui fosse stabilito come sembra essere stato decretato dall’onorevole Nenni e dall’onorevole Saragat che la piazza prevale sul Parlamento e che è sufficiente che il Partito comunista dica che un governo se ne deve andare perché quel governo se ne debba andare al momento in cui (guarda caso!) a scrutinio segreto la sua maggioranza si consolida. Vorrei sapere dagli onorevoli colleghi del partito di maggioranza relativa se essi ritengano di avere uomini pronti e capaci di assumersi una responsabilità di tal gene­re che farebbe tremare le vene e i polsi di chicchessia.

E perché l’onorevole Gui ha parlato ieri di anticomunismo e di antifascismo, mi si consenta, con molto garbo e con molto riguardo, qualche modestissima e rapida osservazione. Si è discusso ieri se l’anticomunismo debba esser fatto con le leggi di progresso sociale o con la tutela dell’ordine pubblico. Mi si consenta di dire che questa è una posizione indegna di un Parlamento! Sono argomentazioni sofistiche che si possono leggere sui giornali di quart’ordine o su grossi giornali finanziati da determinati partiti; le abbiamo lette in certi articoli di fondo che, forse per una tal consonanza, erano molto simili alle pietre che gli attivisti del Partito comunista hanno lanciato sulle teste dei tutori dell’ordine. Sono sofismi! È chiaro: il comunismo si combatte e con le leggi sociali e con la tutela dell’ordine; è chiaro che ogni moto sovversivo si combatte realizzando una giustizia nel più vasto senso del termine e consolidando, attraverso la giustizia e il rispetto delle leggi, lo Stato. Io credevo che queste cose fossero note a tutti i parlamentari, ma mi sono accorto con disappunto che qualche parlamentare ha ancora bisogno d’impararle o di discuterle. Ma, a parte ciò, è chiarissimo che, dal punto di vista politico, il comunismo si combatte non dando partita vinta al Partito comunista. Non v’è altro modo! Quando il Partito comunista riempie l’Italia dei suoi manifesti, prende iniziative sue (e l’avete detto tutti: perché l’ ha detto il Presidente del Consiglio, ma l’ha detto anche il presidente del gruppo democristiano e l’ ha detto anche l’onorevole Malagodi), quando il Partito comunista assume l’iniziativa di una sua battaglia politica per un determinato obiettivo politico e i gruppi che si dichiarano anticomunisti fanno quel che il Partito comunista comanda, il Partito comunista ha vinto; e sarà perfettamente inutile concedere al popolo provvidenze sociali di cui il Partito comunista dirà: sono merito mio e non del Governo, perché sono io che determino le crisi dei governi contro lo stesso Parlamento e contro gli stessi partiti che ai governi danno vita! E sarà soprattutto inutile tentare di difendere l’ordine pubblico in un paese il quale avesse dovuto assistere (e Dio voglia che ciò non accada!) alla capitolazione dello Stato e, quindi, dell’ordine e della legge, di fronte ai provocatori dei disordini, ai sobillatori, ai sovversivi! Questo mi sembra che sia un anticomunismo serio. Noi non ne abbiamo fatto la privativa o il monopolio. Ci limitiamo a combattere la nostra battaglia e a portare il nostro contributo in questo senso. L’abbiamo fatto e continueremo decisamente a farlo. Quanto all’antifascismo, onorevole Gui, noi non gliene vogliamo affatto per la sua pesante tirata antifascista di ieri. Noi pensiamo che la Democrazia cristiana abbia perfettamente il diritto, e forse il dovere dal punto di vista ideologico (l ‘ha detto oggi il Presidente del Consiglio), di manifestare e di affermare in ogni occasione il suo antifascismo. Se ci consente, onorevole Gui, vi è stato da parte sua forse qualche piccolo eccesso di cattivo gusto, qualche sfasatura. Quando in tema di antifascismo si assumono gli stessi toni, gli stessi accenti drastici del Partito comunista, quando si dividono gli italiani irrevocabilmente, non a seconda di quello che pensano o fanno o delle responsabilità che si assumono per l’oggi e per il domani, ma a seconda di quello che hanno pensato o fatto ieri, e quando tali divisioni drastiche, tali anatemi provengono da un partito il quale ha nella sua classe dirigente un numero cospicuo di ex iscritti o addirittura di ex dirigenti del Partito nazionale fascista, ci si consenta di dire che sono posizioni che rasentano il cattivo gusto e sono posizioni che inveleniscono senza alcun motivo gli animi degli italiani.

Si è parlato di guerra civile; ma il linguaggio della guerra civile è esattamente questo. Il linguaggio della guerra civile consiste nel dividere aprioristicamente, alla manichèa, gli italiani in buoni e cattivi a seconda del loro passato, per impedire che gli italiani si ritrovino uniti nel loro presente e per il loro avvenire di fronte a responsabilità e di fronte a pericoli che tutti quanti voi, onorevole Gui e onorevole Tambroni, avete chiaramente e duramente riconosciuto. Dopo di che il Movimento sociale italiano ha concluso le sue osservazioni sulla situazione. Tanti auguri per le convergenze; che esse possano realizzarsi presto e bene e che non diano luogo ad altri disappunti, ad altre delusioni (povero onorevole Saragat e povero onorevole Nenni!) e a crisi che potrebbero in questa situazione fare unicamente il gioco del Partito comunista e del suo capo.

Seduta del 6 giugno 1952

// regime ha compreso che il Msi può rappresentare un «pericolo» per i consensi che la Fiamma tricolore va via via aggregando: la ricetta si chiama antifascismo, il medico che prepara la terapia Scelba, ministro dell’Interno. Almirante illustra in un lungo discorso la reiezione di minoranza: l’approdo del provvedimento in Aula fa seguito ad autentiche battaglie prima procedurali e poi di carattere politico sostenute in Commissione. La legge Scelba apre il capitolo della «persecuzione democratica» contro il Msi. Ma gli anni dimostreranno che l’antifascismo è un boomerang: Almirante ha vinto la sua battaglia contro l’odio e la fazione.

La bacchetta magica di Scelba

ALMIRANTE: “Signor Presidente, onorevoli colleghi: la perorazione del primo relatore di maggioranza, che mi ha chiamato personalmente in causa, mi costringe ad una brevissima introduzione di carattere personale. Sono stato chiamato in causa per aver pubblicato un articolo che fu già oggetto di larghe citazioni al Senato, e che ieri sera è stato citato anche dall’onorevole Perrone Capano. Devo dire al riguardo che la citazione di ieri sera non è stata perfettamente esatta. Ho qui il testo dell’articolo, e, alla fine della seduta, lo metterò a disposizione della Presidenza perché controlli, se lo crede, l’esattezza di quanto sto dicendo. Lo stato d’animo che ha determinato in me quell’articolo era uno stato d’animo polemico: più che polemico, esacerbato dalla dura battaglia politica che sto conducendo; ma credo che l’onorevole Poletto sia il primo ed il miglior testimone che, in questa dura battaglia politica da me personalmente sostenuta alla Camera da parecchi mesi, mi sono avvalso di argomenti, di motivazioni, di giustificazioni, di tesi sul piano politico, sul piano giuridico, sul piano costituzionale, che possono non aver convinto e credo non abbiano convinto l’onorevole Poletto e, a quanto sembra, neppure gli altri colleghi ma sono stati da me sostenuti su un piano di serenità e di obiettività del quale gli stessi colleghi mi hanno ripetutamente dato atto.”

POLETTO: “Se ella parlasse nei comizi e nel paese così come parla alla Camera, allora le cose starebbero in modo diverso.”

ALMIRANTE: “Ed io vorrei, proprio in risposta a quanto dice l’onorevole Poletto, che la Camera mi lasciasse parlare con la serenità con la quale intendo parlare. Se le mie argomentazioni saranno deboli, esse indubbiamente nuoceranno alla mia tesi, qualunque sia l’esito, ormai scontatissimo, del voto; ma se le mie argomentazioni, per avventura, potessero, non dico convincere, ma suscitare qualche perplessità in qualcuno, ciò non dovrebbe dispiacere a uomini i quali si proclamano ad ogni passo difensori della dignità del Parlamento.

Quanto alla seconda parte della perorazione polemica dell’onorevole Poletto, quella relativa alla lettera anonima, mi dispiace che l’onorevole Poletto abbia portato in Parlamento una lettera anonima. Le lettere anonime sono turpi in quanto anonime, e nessuno di noi ne ha mai tenuto conto nell’esercizio della sua attività politica, da qualunque parte vengano; e, almeno su questo principio morale, credo che, al di là e al di qua della barricata, possiamo e dobbiamo trovarci d’accordo. Parliamo dunque di cose serie e non di lettere anonime e di minacce, a parte il fatto che, almeno qui, noi non siamo nella posizione della maggioranza che tenti di schiacciare una minoranza, e neppure nella posizione del forte gruppo il quale, in ogni modo, tenti di imporre il proprio pensiero. Sono quattro anni che stiamo combattendo qui una battaglia minoritaria che potrà essere giudicata in qualsiasi modo, ma che ritengo sia rispettabile; e la stiamo combattendo con dignità, con fermezza e con fierezza. Non credo di attribuirci dei meriti: non sono meriti. Ci siamo solo condotti dignitosamente. Intendiamo continuare su questa strada finché ci sarà concesso di farlo. Crediamo in quello che facciamo, e lo riaffermiamo a proposito di questa legge, contro tutti gli avversari coalizzati. Credo che questa posizione sia per lo meno degna di un certo rispetto. Venendo al problema che ci affatica da tanto tempo, come relatore di minoranza, ascoltando l’interessante discussione che si è svolta su questa legge, ho avuto l’impressione che si sia verificato, in occasione di questo dibattito, un fatto piuttosto inconsueto nelle cronache parlamentari: quasi tutti gli oratori che alla discussione generale hanno partecipato, della legge si sono occupati punto o poco. Qualcuno non ne ha parlato neppure, altri ne hanno appena parlato. Forse molti non l’ hanno esaminata non è un’insinuazione con la dovuta serietà ed attenzione.

Quanto alle relazioni, e quanto in particolare alla mia povera e ponderosa relazione di minoranza, ho avuto tranne qualche rara eccezione la desolata impressione che non sia stata affatto esaminata dagli oratori. E tale impressione ho avuto soprattutto nei confronti degli oratori i quali hanno parlato a favore della legge; taluni di quelli che hanno parlato contro il disegno di legge hanno esaminato, discusso sia pure sommariamente le norme; degli oratori a favore, quasi tutti si sono limitati a cenni generici, o si sono dilungati in divagazioni di carattere storico, filosofico, politico, dottrinario, morale, religioso, veramente interessanti, senza dubbio: dopo questa discussione sappiamo tutto in merito al fascismo, all’antifascismo, al ventennio, alla guerra di liberazione, ma ho l’impressione che i concetti basilari che concernono questa legge non si siano eccessivamente chiariti.
Penso che la discussione degli articoli, se sarà, come dovrà essere, una seria se pur breve discussione, verrà a lumeggiare, malgrado il voto già scontato, taluni aspetti che hanno una fondamentale importanza.
Comunque, quanto è avvenuto in sede di discussione generale, mi costringe, non già a ripetere quanto ho avuto occasione di scrivere nella mia relazione di minoranza ed eviterò studiatamente di farlo ma ad esaminare inizialmente taluni dati relativi alla legge, al meccanismo di questa legge, così come si presenta. È un dovere che compio come relatore di minoranza, onde far sì che anche coloro che voteranno la legge cioè la grande maggioranza dei colleghi sappiano esattamente che cosa votano. Primo rilievo. Mi si è detto che la mia pretesa, cioè che si giunga ad una definizione giuridica del fascismo vietato per legge, è una pretesa assurda, ridicola ed incongrua. Mi si è detto: tutti sanno che cosa è stato il fascismo; lo abbiamo negli occhi, lo abbiamo nella memoria, lo abbiamo ancora nelle carni, lo abbiamo sofferto e patito, e proprio voi del MSI ci venite a chiedere che cosa sia? Io replico che non siamo stati noi a prendere l’iniziativa di definire che cosa sia il fascismo dal punto di vista giuridico, che cosa sia il fascismo vietato per legge. L’iniziativa l’ ha presa l’Assemblea Costituente e, dopo la Costituente, l’iniziativa l’ hanno presa il Governo e il Parlamento.

Si dice: vi è la norma XII transitoria della Costituzione che parla chiaro: è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. Ma a me è molto facile obiettare che se la XII disposizione avesse davvero parlato chiaro, se fosse non una norma direttiva, ma una norma percettiva, come dicono i tecnici, non vi sarebbe stato alcun bisogno né di questa legge, che non abbiamo presentata noi, né della legge 3 dicembre 1947, che fu votata da quella Assemblea Costituente che votò la XII norma. Perché l’Assemblea Costituente ritenne di dover votare una legge speciale? Onorevole Poletto: legge speciale, indubbiamente, sul piano tecnico lasciamo stare per ora la discussione sulla eccezionalità speciale, indubbiamente, anche se deriva da una norma costituzionale. Non è vero che una legge, per il fatto che deriva da una norma costituzionale, non possa essere speciale. Mi appello al relatore onorevole Rossi, il quale spero mi vorrà dare ragione; si tratta di questione obiettiva.

Dicevo: perché la Costituente ritenne di dover votare una legge speciale, che precisasse che cosa si deve intendere per ricostituzione del disciolto partito fascista? Evidentemente, perché la XII norma transitoria, secondo il pensiero della stessa Assemblea Costituente, non era sufficiente allo scopo. E perché il Governo, anziché prorogare quella legge poteva farlo; e per inciso rilevo che non ha alcun fondamento la tesi sostenuta anche dall’onorevole ministro, secondo cui la presentazione di questa legge adempie ad un preciso precetto della Costituzione; per adempiere al preciso precetto della Costituzione, era sufficiente, onorevole ministro, prorogare la legge precedente; non era obbligatorio arrivare a questa legge; io credo che ella me ne vorrà dare atto perché il Governo ha presentato un’altra legge, in sostituzione della legge 3 dicembre 1947, che con la fine di quest’anno viene a scadere? Evidentemente, perché e lo stesso Governo nella relazione di presentazione di questa legge in Senato lo ha esplicitamente dichiarato ha ritenuto che la definizione di ricostituzione del disciolto partito fascista, data nella legge 3 dicembre 1947, fosse manchevole e che a quella definizione che non era stata operante sul piano della repressione, secondo il pensiero del Governo, se ne dovesse sostituire un’altra, che per l’appunto è la definizione data dall’articolo 1 di questa legge. Non solo, ma la definizione data all’articolo 1 di questa legge è difforme da quella che il Governo aveva dato nel testo presentato in Senato circa due anni fa, perché il Senato, nell’esaminare questa legge, ha ritenuto, a sua volta, che la definizione del disciolto partito fascista, data dal Governo precedente, non fosse abbastanza precisa ed ha formulato il nuovo testo dell’articolo 1 con il consenso dello stesso Governo. E allora come dite a noi che non è necessario dare una definizione del fascismo vietato per legge, del disciolto partito fascista, quando siete voi che avete già tre volte in tre maniere diverse definito giuridicamente il fascismo, il disciolto partito fascista e il fascismo vietato per legge, dimostrando così che una definizione è costituzionalmente necessaria, ma che siete incerti voi, che erano incerti Costituente e Governo sulla definizione da dare?

Le polemiche svoltesi dopo la presentazione della legge vertevano proprio sulla definizione giuridica del fascismo, vietato per legge o del ricostituito partito fascista. Alcuni senatori, per altro egregi dal punto di vista giuridico ricordo il senatore Ruini ritenevano che si dovesse dare una determinata definizione e in Senato si batterono perché fosse data; ed altri ritennero che altra se ne dovesse dare.

Perché ciò che per voi è stato opinabile fino ad oggi, deve diventare certissimo, inequivocabile, quando questa legge si deve fare accettare dall’opinione pubblica come sancta sanctorum delle verità rivelate? È opinabile. Non solo, ma per quello che il fascismo è stato dal punto di vista storico, devo dire che i parlamenti non fanno la storia, fanno la politica. È ridicolo che il Parlamento si metta non dico a discutere, ma a sentenziare su quello che è stato il passato o il trapassato. La storia non nasce da una discussione parlamentare. {Interruzione del deputato Bettiol Giuseppe). Onorevole Bettiol, mi sembra che sia abbastanza elementare quello che sto dicendo, oltre tutto. Vedo a che cosa si riduce la sua serietà di capo di gruppo parlamentare. Finché vi limitate a dire che quel che dico è sciocco o puerile, ciò significa che la ragione è dalla parte mia.

Insisto nel dichiarare che il meccanismo di tutta la legge nasce dall’articolo 1 e che l’articolo 1 è materia assolutamente opinabile. Voi avete ritenuto, cioè il Senato prima e la I Commissione della Camera poi, hanno ritenuto che la definizione del fascismo vietato per legge sia una definizione buona e pertinente. Noi sosteniamo che questa definizione non è né buona né pertinente. Noi sosteniamo invece che è arbitraria, ed imprecisa, e a questa nostra tesi voi non potete rispondere con un «fine di non ricevere» come avete fatto durante la discussione generale. Voi non potete replicare, dicendo, come ha detto l’onorevole Amadeo, che sia puerile parlare di un fascismo deteriore e di un fascismo non deteriore. L’onorevole Amadeo ha osservato che fare una simile distinzione è puerile. Egli evidentemente ha anche qualificato «puerile» il Presidente del Consiglio e il ministro dell’Interno, perché la definizione di fascismo deteriore e di fascismo non deteriore io l’ ho ripresa dal discorso pronunciato dal ministro dell’Interno al Senato, e mi sono riallacciato alle ripetute dichiarazioni del Presidente del Consiglio, secondo le quali vi è una parte del fascismo che potrebbe essere accettata e una parte del fascismo che dovrebbe essere respinta. Non sono certamente in grado di penetrare nel cervello del ministro dell’Interno e del Presidente del Consiglio; non ho alcuna indicazione obiettiva per dire quale sia, secondo loro, la parte deteriore o non deteriore del fascismo; ma, quando parlo di fascismo deteriore e di fascismo non deteriore, tengo a far riflettere che io non faccio che ripetere la tesi governativa. Non ho, poi, bisogno di ricordarvi i discorsi recentissimi in proposito. Poiché si parla tanto della campagna elettorale, ne parlerò anche durante la mia relazione orale, e aggiungo che il discorso recentissimo del Presidente del Consiglio a Potenza (discorso che ha fatto un certo rumore) contiene dichiarazioni che non sono davvero puerili, sia dal punto di vista morale che dal punto di vista costituzionale. Quindi, non opponete un «fine di non ricevere» quando noi vi diciamo che questa definizione del fascismo vietato per legge è una.definizione insidiosa, arbitraria. Noi tenteremo di dimostrarvelo durante la discussione degli articoli.

Per accennare ad un argomento che riprenderemo quando si discuterà l’articolo 1 della legge, e cioè che ricostituisce il partito fascista colui che organizza un movimento che persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, usa la violenza quale mezzo di lotta politica e denigra la democrazia, mi sapreste chiarire sul piano giuridico che cosa vuol dire denigrazione? Voi sapete che esiste il concetto giuridico del vilipendio e non della denigrazione. Vi è poi qualcuno che sul piano giuridico sappia precisarmi il concetto esatto, inequivocabile di democrazia?

Molti oratori della maggioranza hanno trattato male la magistratura nell’esame di questo disegno di legge anche questo è un argomento che riprenderemo ma, onorevoli colleghi, badate che la magistratura si troverà con questo strumento in mano senza l’ausilio del Parlamento, senza i santoni, senza gli archimandriti parlamentari che sanno tutto in materia di democrazia e di fascismo e che non hanno alcun dubbio in questa materia. La magistratura, invece, avrà dei dubbi; e il compito del legislatore, qui riprendo un concetto espresso dal ministro dell’interno al Senato e che per una volta tanto sottoscrivo, è quello di emanare norme il più possibile precise, rigorose, e caute. Il magistrato avrà dinanzi a sé questa legge, ma non avrà i parlamentari ad illuminarlo, avrà la propria coscienza e il proprio senso giuridico; non lo accusate poi a posteriori se non potrà fare il proprio dovere. Sarete invece voi ad essere accusati di non aver saputo legiferare con sufficiente chiarezza. Noi sosteniamo che questa definizione non è rigorosa, obiettiva; noi sosteniamo soprattutto che essa istituisce non solo il reato di opinione, ma il reato d’ intenzione, il reato di finalità. Si parla nell’articolo 1 della legge di «finalità antidemocratiche». Desidererei sapere come farà il magistrato a giudicare sulle mie finalità, quale obiettiva testimonianza egli avrà sulle mie intenzioni, non dico sulle mie opinioni. Con questa legge, infine, si dà luogo anche al reato di pensiero.

Desidero, ora, tentare di insinuare qualche dubbio sull’assoluta imprecisione della definizione leggendovi una citazione interessante; vi dirò poi di chi sia il testo che leggo: «Che cosa significa ad esempio “promuovere, costituire, organizzare o dirigere un partito, un’associazione, un movimento il quale (sic!) sia diretto contro gli istituti democratici fondamentali stabiliti dalla Costituzione”? Che cosa significa, ancora, “minacciare o esaltare la violenza come metodo di lotta politica”? Così definito il reato, l’accertamento della sua consistenza finisce per diventare un vero e proprio giudizio politico con tutti i pericoli conseguenti che riguardano non tanto il potere giudiziario, nel quale è da presumere una cauta ed obiettiva applicazione della legge, quanto quello esecutivo. V’immaginate una simile legge in mano ad un prefetto, a un questore o a un qualsiasi agente di polizia, preoccupati di mostrarsi zelanti presso il loro ministro o il loro superiore? Quanti arresti o denunce pioverebbero domani per una parola detta in un comizio o per una frase scritta in un articolo? Arresti e denunce che la pratica c’insegna che non sarebbero neppure «polivalenti» ma diretti contro certe organizzazioni e certi uomini che il partito di Governo addita quotidianamente come «asserviti allo straniero», «assassini» e così via. Chi dovrebbero colpire gli organi del potere esecutivo lo saprebbero dai discorsi di De Gasperi e di Scelba». Questo è stato scritto sull’ Avanti! in data 14 maggio 1952 e non è stato riferito alla legge Scelba, ma alla legge polivalente, all’articolo 1 della legge polivalente. L’articolo 1 di quella legge ha lo stesso testo, salvo poche irrilevanti varianti, di quello della legge di cui ci stiamo occupando. Le sinistre avanzano le obiezioni che or ora avete ascoltato circa il testo dell’articolo 1 di quella legge; se queste loro obiezioni all’articolo 1 della legge polivalente, che è identico all’articolo 1 della legge Scelga, sono esatte, perché qui vengono a sostenere che l’articolo 1 della legge Scelga è costituzionale, è giuridico, è perfetto, è politicamente bene inquadrato, quando sull’Avanti! scrivono il contrario d’un articolo di legge identico? È questa la loro giustizia distributiva? Così si fa la legge? Si dimenticano gli onorevoli colleghi della maggioranza e dell’estrema sinistra che i caratteri che una legge deve avere per essere legge sono i caratteri della astrattezza e della generalità? Se si voleva, invece, che una legge che avesse i caratteri dell’astrattezza e della generalità, una legge specifica ed apposita, cioè se si voleva mettere in atto una qualsiasi procedura intesa a colpire un determinato settore, non era molto più onesto e semplice servirsi del codice penale vigente, servirsi del testo unico della legge di pubblica sicurezza?

Io posso dire una cosa che non mi giova politicamente, perché mi richiama a quel tremendo articolo 211 del testo delle leggi di pubblica sicurezza che ella, onorevole Scelga, richiamò in Senato, che è testo fascista, che deve essere abrogato e corretto perché non rispondente più alla Costituzione, ma che ella tuttavia invocò al Senato proprio a proposito della legge attualmente in esame; ma le dirò con estrema franchezza che sarebbe preferibile, non per noi, ma per chiunque dovesse essere colpito dalla legge attualmente in esame, di essere colpito da un provvedimento politico-amministrativo derivante o dal codice penale o dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, perché in quel caso ci sarebbe la possibilità di ricorrere al Consiglio di Stato, ci sarebbe la possibilità obiettiva di difesa che attraverso il meccanismo di questa legge (articolo 3, che giustamente, come disse l’onorevole Roderti, è poi la chiave di volta di tutto il problema) viene tolta a chi dalla legge venisse colpito. E proseguiamo nell’illustrare il meccanismo di questa legge. Dopo l’articolo 1, all’articolo 2 vi sono le pene (non discuterò se esse sono adeguate o meno; ne parleremo a suo tempo) che colpiscono i promotori, i dirigenti, gli organizzatori e i partecipanti. E qui nasce la seconda questione, delicatissima dal punto di vista giuridico: la persecuzione per un fatto non compiuto, per il cosiddetto reato per fatto altrui.

I relatori di maggioranza mi hanno contestato che questa mia osservazione sia esatta. La riprendo e la ripeto perché questa persecuzione costituisce il pericolo maggiore e l’obbrobrio maggiore, dal punto di vista giuridico, di questa legge. La legge colpisce i partecipanti ad un partito politico, la legge colpisce, può colpire tutti gli iscritti a un partito politico; la legge colpisce i partecipanti a un partito politico quando si sia posto in moto il meccanismo che ha inizio nell’articolo 1.

E allora vi faccio un esempio: il solito esempio. L’onorevole Poletto ha detto che certe cose vanno ripetute ad oltranza: orbene, faccio mio il suo ammonimento e ripeto ad oltranza certe cose perché si sappia per che cosa si vota. Un partito può essere riconosciuto per fascista in quanto dice la legge all’articolo 1 compia manifestazioni esteriori di carattere fascista. Ma nell’articolo 1 non si precisa che debba trattarsi di più fatti né è illustrata la gravità che questi fatti debbono rivestire Per potere essere incriminati. Ne consegue che l’articolo 1 può applicarsi per una singola manifestazione. Ora, io non voglio fare l’ipotesi, d’altronde abbastanza verosimile, che la manifestazione sia attuata da agenti provocatori, ma faccio l’ipotesi di una semplice manifestazione di elementi irresponsabili, faziosi. In questo caso, cioè per una singola manifestazione di irresponsabili, un partito politico può essere incriminato di ricostituzione del disciolto partito fascista sulla base dell’articolo 1 di questa legge. Entra allora in gioco il meccanismo previsto dall’articolo 2, e tutti i partecipanti a questo partito possono essere automaticamente sottoposti alle conseguenze della legge. L’onorevole Scelba ci ha risposto in Commissione che questa è un’ipotesi assurda; mai noi applicheremo questa legge egli ha detto con uno spirito simile. Ma io vorrei replicare all’onorevole Scelba con la storia della vedovella e di Traiano partente per la guerra, cui la vedovella disse: E se tu non torni? Se cioè, dopo questo Governo così mite, così umano, così ossequiante ai suoi doveri politici e giuridici poiché evidentemente non legiferiamo per oggi, ma legiferiamo per domani e per dopodomani venisse un altro governo il quale…”

SCELBA: “Si farà allora un’altra legge.”

ALMIRANTE: “Si farà un’altra legge? È difficile, onorevole Scelba, che possa farsi una legge peggiore: questa legge con le sue norme sarà sufficiente.”

Io vi faccio un augurio sincero ed umano: che una legge simile non vi piombi mai sulle spalle, non sia attuata mai contro di voi, che cada nel dimenticatoio.

SCELBA: “Onorevole Almirante, un regime di dittatura si infischia di questa e di altre leggi: confidi nella democrazia: la legge sarà applicata democraticamente e con il rispetto delle prerogative.”

ALMIRANTE: “Questa legge, onorevole Scelba, mi toglie la fiducia nella democrazia; questa legge distrugge la fiducia nella nascente democrazia italiana, ed è questa forse l’accusa più grave che si possa fare a questa legge. In base al meccanismo posto in moto dall’articolo 2, è possibile l’incriminazione di centinaia di migliaia di innocenti. Anche se ciò può sembrare assurdo, a me basta che si possa fare l’ipotesi. È un periodo ipotetico di secondo tipo, come diceva l’onorevole Poletto.

POLETTO: “Una serie di sofismi sono i suoi.”

ALMIRANTE: “Mi pongo sullo stesso suo piano, onorevole Poletto: deve ammetterlo.Si giunge quindi, in base a questo articolo 2, ad un risultato, ad una conseguenza che è contraria alla libertà e al diritto. Io ho sentito risuonare più volte una frase; e l’ ho sentita riecheggiare anche dalla parola per lo più equilibrata e serena del relatore di maggioranza onorevole Poletto: libertà a tutti, tranne che ai fascisti. L’onorevole Poletto è giunto anche a dire che la XII disposizione transitoria della Costituzione pone il fascismo e i fascisti fuori della Costituzione stessa.”

POLETTO: “Ne sono profondamente convinto.

ALMIRANTE: “In tema di Costituzione potrei obiettare che la norma XII pone anche il fascismo e i fascisti dentro la Costituzione, perché tutto quello che è nello Stato è nella Costituzione…”

POLETTO: “I delinquenti sono fuori.”

ALMIRANTE: “Sono nella Costituzione i delinquenti comuni e lo saranno (sempre derivando il termine da quel tale verbo latino delinquere da lei tante volte citato) anche i delinquenti politici. Non può mettere fuori della Costituzione…”

POLETTO: “Non ha compreso in che senso.”

ALMIRANTE: “Qui è il caso di precisare, perché anche il processo verbale potrà dire qualche cosa al magistrato di domani. Non al di fuori della Costituzione e dello Stato, ma nello Stato, se non altro per stare nelle galere statali. Almeno nelle galere statali vorrete dar posto a questi signori che volete colpire. Prendiamo atto che con questa legge in galera si vuol mettere una parte di italiani, che ci auguriamo non abbiamo ad essere noi. Comunque, a prescindere da questa frase che è sfuggita all’onorevole relatore di maggioranza (e capisco molte cose da lui dette e soprattutto quelle non dette), a parte questa frase, mi interessa l’altro luogo comune: libertà a tutti, tranne che ai fascisti. Questa è una tautologia. Fino a quando non vi sia una definizione giuridica di quello che può intendersi per fascismo, quella frase vuol dire: libertà per tutti, tranne a coloro cui abbiamo deciso di negare la libertà. Perché questa legge dà la possibilità al Governo di definire i fascisti per legge coloro a cui si vuole togliere la libertà. Questo dovete ammetterlo sul piano giuridico. Sul piano politico potete avere, dal vostro punto di vista, tutte le ragioni che volete; ma sul piano giuridico bisogna ragionare sulla base di norme generali, altrimenti si fa la dittatura e ci si mette fuori della Costituzione, si straccia la Carta costituzionale. Ma non si può pretendere di fare il 3 gennaio e di non farlo, perché farlo nei confronti di un partito politico è come farlo nei confronti di tutti, soprattutto quando si tratta di un partito politico che non è espressamente nominato dalla legge.

Con questa legge qualsiasi partito potrà ad un certo punto incorrere in questi rigori. E sono in buona compagnia quando sostengo questa tesi; anzi fui in buona compagnia, perché molti, che mi facevano buona compagna due anni fa, dando su questa legge un giudizio analogo, identico a questo, nel frattempo (è umano) hanno cambiato idea, e vedremo perché. Il relatore di maggioranza è stato un gioiello. E chi lo nega? Solo che il gioiello 1952 dell’onorevole Corbino non potrà incastonarsi nello stesso diadema, perché stonerebbe, coi gioielli del 1950 e del 1951 dello stesso onorevole Corbino, il quale, quando la legge fu presentata, ne diede un giudizio sferzante. Egli disse che con leggi di tal genere si potrebbe sciogliere anche il Partito liberale dicendo essere quello un partito di massoni e di anticlericali. Quello che l’onorevole Corbino dice è sempre attendibile, è sempre importante, è sempre grande quanto egli è piccolo. Lo ha detto lui nel 1950 e nel 1951. Ma nel 1952 ha cambiato pensiero. Badate che di giudizi simili (e ne citerò) nel 1950 e nel 1951 ne sono stati dati tanti; e badate che la gente che muta idea per strada è sempre quella che la muterà un’altra volta, altre due volte o altre tre volte. Non vi rallegrate di certi estemporanei consensi avuti in questa occasione! Sarebbe stato molto più brillante per voi essere soli con la vostra responsabilità, anziché trovare compagni di strada per ragioni molte volte facilmente intuibili sul piano politico.”

SCELBA: “Se aderiscono, non possiamo respingerli.”

ALMIRANTE: “Mi auguro (e non sono forse cattivo profeta in questo) di vederli presto con lei al Governo. Stanno bene su quei banchi.”

MICHELINI: “Questi gioielli li regaliamo agli altri. Questi sono i loro gioielli!”

PIGNATELLI: “Latanza è vostro.”

MICHELINI: “E ci piace! È meglio di Corbino.”

LATANZA: “Ella {Indica il deputato Pignatelli) è davvero il gioiello del cattolicesimo. Stare in questi banchi nella mia posizione è difficile, nei vostri è facile.”

ALMIRANTE: “Infine e sempre per rimanere sul piano giuridico debbo affrontare l’argomento più importante, e ho la possibilità di affrontarlo con estrema rapidità perché l’onorevole Roberti ne ha fatto il centro del suo discorso. L’articolo 3, secondo comma, attribuisce al potere esecutivo una facoltà che chiamare speciale è poco, che chiamare anche eccezionale sarebbe poco.
Prego i colleghi che voteranno a favore della legge, che sono l’enorme maggioranza fra coloro che mi ascoltano, di leggere attentamente l’articolo 3, secondo comma (non si offendano per questo mio modesto consiglio) e di rendersi conto di ciò che esso significa.
L’articolo 3, secondo comma, significa che dopo avere affidato agli articoli 1 e 2 e al primo comma dell’articolo 3 la cognizione dei delitti, l’,indagine, il potere istruttorio, il potere di giudicare, di emettere la sentenza alla magistratura, cioè dopo avere riconosciuto che l’intera materia di questa legge è materia di legge penale che deve essere rimessa al magistrato per il suo sereno ed illuminato giudizio, di colpo si muta scena, si muta quadro, si accoglie per inciso…”

POLETTO: “Una eccezione con tutte le garanzie.”

ALMIRANTE: “…un criterio assolutamente diverso. Non dirò né peggiore, né migliore; un altro criterio. E si rimette al Governo, il quale diventa automaticamente il denunziante, il giudicante, l’esecutore della sentenza, si rimette dicevo il potere di sciogliere un partito politico al Governo, qualora ricorrano «a suo giudizio» (ma chi accerta che il giudizio di un Governo sia obiettivo in una materia simile?) talune fra le ipotesi di cui all’articolo 1. I relatori di maggioranza hanno una sola obiezione, malauguratamente per loro infondata, a quest’argomento. Essi dicono: si tratta di un potere speciale, si tratta di casi straordinari. Peggio mi sento. E chi decide quando il caso è ordinario o straordinario? E chi giudica?”

CLERICI: “Il Parlamento.”

ALMIRANTE: “Verremo anche al Parlamento. Chi decide se la situazione è eccezionale? Chi decide se la situazione è straordinaria o normale ed ordinaria? Sempre il Governo. L’onorevole Clerici dice: vi è poi la garanzia del Parlamento.
Ma quando si mette in atto, quando opera questa presunta garanzia del Parlamento? Quando il decreto-legge è stato emesso, quando è stato applicato; nella fattispecie, quando quel tale partito politico, che potrebbe dar noia al Governo, è già stato sciolto.
Onorevoli colleghi, siamo tutti esperti in materia di organizzazione di partiti. Credo sappiamo tutti cosa voglia dire mettere su un partito, aprirne le sedi, organizzarlo, condurne l’attività. I partiti politici nell’attuale fase della vita politica italiana, nell’, attuale interpretazione ed attuazione della democrazia (me lo insegnate voi; non pretendo insegnarlo io) sono congegni delicatissimi…”

GIANNINI GUGLIELMO: “In questo campo siete voi che insegnate. Ella, onorevole Almirante, ha dato lezioni formidabili.”

ALMIRANTE: “La ringrazio. Poiché mi laurea professore, dirò che in questi cinque anni mi sono dedicato soprattutto all’organizzazione. So cosa voglia dire organizzare dal nulla un partito.”

GIANNINI GUGLIELMO: “Appunto per questo le dico di non essere così modesto.”

ALMIRANTE: “Sono modesto, appunto perché qualcuno mi corregga o possa dire di me quello che ella sta dicendo. Certo è che pochissimi uomini hanno messo su dal nulla un partito politico che un qualche interesse ha suscitato, visto che ce ne stiamo occupando da settimane, anzi da mesi. Per organizzare un partito occorre dunque una estrema fatica; e il giorno in cui questo congegno si spezza, si interrompe, si sa bene quello che ciò significhi. Volete voi ammettere (ipotesi questa che a me sembra del terzo tipo, ma voglio mantenermi nel secondo) che il Parlamento non ratifichi un decreto-legge di tal genere? Pensate voi che una maggioranza metterebbe in crisi il suo governo su un provvedimento di tal genere? Vi dirò che se fossi deputato di quella maggioranza, di fronte a un provvedimento di quel genere mi troverei imbarazzato a seguire la mia coscienza e non i naturali, obiettivi interessi della maggioranza e del Governo. Mettere in crisi un Governo per non ratificare un decreto-legge di quel genere? Quando mai avverrà? Queste sono ipotesi aberranti.

E allora la garanzia in che consiste? Dov’è la garanzia di legge? Vi era molta più garanzia (l’ ho detto in Commissione e lo ripeto adesso; la sinistra lo ha dimenticato) nel sistema proposto al Senato dalle sinistre. A quel sistema ci siamo opposti e ci opponiamo, perché non riteniamo che un Parlamento, composto come l’attuale di rappresentanti di partiti politici eletti a scrutinio di lista, possa giudicare di un altro partito politico; però riconosciamo che vi era più linearità e garanzia nella tesi proposta dal senatore Terracini, che chiedeva che tutta questa fosse materia di legge. Noi conosciamo l’iter di una legge: vi è la preparazione della legge, poi la presentazione e vi è in Parlamento una certa facoltà di sollevare i problemi dinanzi all’opinione pubblica, per cui, prima di giungere alla promulgazione e all’ esecuzione della legge, vi sarebbe tutto il tempo per un partito politico di potersi in qualche modo garantire e di poter per lo meno prospettare obiettivamente la sua situazione.

Qui ogni garanzia è stata tolta. Questi sono dati obiettivi di valore giuridico. Questa è una legge con la quale molti di voi si sono illusi di colpire il Movimento sociale; e può essere legittimo dal vostro punto di vista un tal desiderio e un tal fine. Voi volete sbarazzarvi di un concorrente: è esatto. Badate, però, che scegliete la strada peggiore, perché date all’esecutivo un’arma della quale si avvarrà contro altri partiti politici. Non intendo neppure dire che avvalersi di quest’arma sarà questo esecutivo. Però è un dato di fatto che con questa legge si attribuiscono all’esecutivo poteri eccezionali in materia di scioglimento di partiti, di diritto di associazione, di limiti al diritto di associazione dei cittadini.

Le sinistre hanno aspramente combattuto non tanto la legge sulla difesa civile quanto l’articolo 4 della stessa legge, articolo che stabilisce poteri eccezionali, in caso d’emergenza, per il Governo. Quell’articolo dà al Governo la possibilità di dichiarare a un certo punto uno stato di emergenza, che (fu osservato quando la legge venne alla Commissione dell’interno; lo osservai io stesso) non si sa bene cosa sia. È uno stato intermedio fra lo stato di pace e lo stato di guerra. Questa legge fissa lo stesso principio e stabilisce un precedente gravissimo. Voi siete padronissimi di non ascoltarci. Ognuno faccia la sua politica, faccia la sua battaglia. Noi sosteniamo la nostra. Attenzione però! Perché il precedente lo avete creato. Vi siete gettati allegramente in questa impresa. Fate pure!”

PAGLIUCA: “Faremo ricorso alla legislazione fascista!”

ALMIRANTE: “I suoi discorsi, come quello di ieri sera, dovremo riprodurli sui giornali. Mi auguro che la Democrazia cristiana faccia parlare spesso l’onorevole Pagliuca e l’onorevole Clerici. Sono di quegli oratori che ci fanno propaganda. Mi auguro che chiedano ancora l’epurazione come l’ hanno chiesta ieri. Il ministro dell’Interno è troppo intelligente per non darmi ragione dentro di sé.

Devo far rilevare che i rappresentati della maggioranza, i più autorevoli, ed anche i più autorevoli rappresentanti dell’estrema sinistra sono caduti in contraddizioni, a proposito di questa legge, così gravi sul piano giuridico che essi, ancora una volta, convalidano la nostra tesi: qui si corre all’avventura politica, dimenticandosi di legiferare, dimenticando che sì tratta di operazioni estremamente delicate. L’onorevole Bettiol, capo del gruppo parlamentare della Democrazia cristiana, ha pronunciato l’altro giorno un discorso moderato (gli do atto volentieri di questa moderazione; e dal punto di vista politico mi permetterò di rispondergli tra poco), ma sul piano giuridico mi deve consentire che gli faccia un rilievo personale. Ancora una volta, onorevole Giannini, sono modesto; ma questa volta sul serio: mi trovo davanti ad un illustre giurista, io che sono un professorucolo di lettere, e quindi devo chiedere scusa all’illustre giurista se mi permetto di fare dei rilievi giuridici.”

BETTIOL GIUSEPPE: “Qui siamo tutti deputati.”

ALMIRANTE: “La ringrazio. Dicevo che l’onorevole Bettiol, ora a capo del gruppo parlamentare della Democrazia cristiana, alla Costituente ebbe l’onore di essere relatore della legge 3 dicembre 1947 e fece una bella, dotta ed anche quella volta moderata relazione, e fu anche moderato l’atteggiamento che tenne in Assemblea. Nella relazione dell’onorevole Bettiol alla legge 3 dicembre 1947, che non mi negherete tratti dello stesso tema di cui ci stiamo occupando, è detto: «L’eccezionalità della legge (l’onorevole Bettiol ammetteva trattarsi, in quel caso, di una legge eccezionale) non può dimenticare alcuni criteri fondamentali di carattere politicogiuridico, i quali devono considerarsi come dei punti fermi in una concezione democratica del diritto penale, onde non avvenga di redigere delle leggi che riproducano i caratteri che presentavano le leggi dei regimi totalitari».”

BETTIOL GIUSEPPE: “È quello che abbiamo fatto allora e che facciamo adesso.”

ALMIRANTE: “Mi lasci dire; ella poi contesterà a suo piacimento.
«Tali criteri fondamentali così aggiungeva sono: 1°) una legge di difesa non può essere una pura e semplice legge vendicativa che sovverta ogni tradizionale criterio tecnico-politico ancorata ad una idea di giustizia retributiva. Diversamente si cade nell’arbitrio e quindi in una forma di terrorismo penale». La contestazione che qui faccio all’onorevole Bettiol non è certamente che non sia giusto quanto scriveva nel 1947. La contestazione è diversa: la legge attuale, a mio parere, al primo criterio fondamentale di allora non risponde.”

BETTIOL GIUSEPPE: “Questo è l’errore. Abbiamo avuto il merito di inquadrare su principi democratici questa legge.”

ALMIRANTE: “Io mi sono messo sul piano giuridico e credo di averlo illustrato fino ad ora. Mi affido non al vostro consenso…”

BETTIOL GIUSEEPPE: “Il pericolo di scivolare vi era.”

ALMIRANTE: “…che non mi potete e non mi dovete dare, ma al giudizio obiettivo di chi vorrà darsi la pena di leggere i resoconti parlamentari per vedere se questa legge risponde al primo criterio della precedente. Continua la relazione dell’onorevole Bettiol: «2°) caratteristica saliente del diritto penale totalitario è il processo alle intenzioni». E qui ci siamo, perché l’articolo 1 di questa legge dichiara che ricostituisce il partito fascista chi crea un partito che abbia finalità antidemocratiche.”

BETTIOL GIUSEPPE: “Ella è carente di nozioni penalistiche se dice di queste cose.”

PRESIDENTE: “Onorevole Bettiol, ella potrà prendere la parola per fatto personale, se lo riterrà opportuno.”

ALMIRANTE: “Io giudico un testo in una maniera o in un’altra, ma le parole sono dell’onorevole Bettiol; quindi non credo di attribuirgli cose inesatte.

«Il presente disegno di legge egli diceva deve formulare le fattispecie in modo diretto, ancorarle a determinati comportamenti esterni»; ma questa legge, onorevole Bettiol, all’articolo 1, non indica nessun determinato comportamento esterno. Ella aggiungeva ancora: «… i quali (comportamenti esterni) per l’uso dei mezzi violenti rappresentino un pericolo effettivo per l’ordine democratico e repubblicano»; ma ella, onorevole Bettiol, mi insegna che il criterio distintivo fra la presente legge e quella del 1947 è proprio il fatto che l’uso di mezzi violenti in questa legge non è specificatamente richiesto per individuare la ricostituzione del partito fascista, tanto è vero che l’onorevole Scelba ha scritto nella relazione ufficiale che il precedente provvedimento è stato inoperante proprio perché chiedeva questa condizione essenziale: la quale condizione essenziale era però stata richiesta specificatamente dal relatore di maggioranza, che oggi, come capo del gruppo parlamentare democristiano, ritiene che se né, possa fare a meno. Ma lo stesso ministro dell’Interno ha cambiato idea durante l’iter di questa legge. Spiegherò poi la ragione di tutti questi cambiamenti di opinione, legittimi, del resto, soprattutto in un paese come l’Italia dove il cambiare idea spesso rappresenta un vantaggio. L’onorevole ministro degli Interni, dunque, presentando l’attuale legge al Parlamento, così scriveva nella relazione che la accompagnava: «La norma che rimette all’autorità giudiziaria l’accertamento della esistenza delle condizioni previste dalla legge per aversi la ricostituzione del disciolto partito fascista ed il conseguente scioglimento del movimento o della associazione, ripetendo uguale norma contenuta nell’articolo 10 della legge 3 dicembre 1947, n. 1546, vuole costituire conferma ed ossequio alla esigenza democratica di offrire più sicura garanzia a favore dei movimenti o delle associazioni incriminate».

In altre parole, il Governo, presentando questa legge, ritenne che per fare ossequio ad una esigenza democratica bisognasse rimettere l’intera procedura alla magistratura. Sennonché, durante la discussione presso l’altro ramo del Parlamento, il Governo stesso cambiò idea, ed il cambiare idea sul piano politico può essere anche legittimo, ma sul piano giuridico è meno accettabile e richiede dei chiarimenti giuridici e non delle giustificazioni di carattere soltanto politico, come voi avete fatto e come dimostrerò fra poco. Quanto ai rappresentanti delle sinistre, anch’essi hanno cambiato idea, e non una volta sola, a proposito di questa legge. Essi cominciarono col respingere l’urgenza richiesta dal ministro dell’Interno al Senato nel novembre 1950; in Commissione prima tennero un atteggiamento piuttosto cauto e di semplice riserva, indi, sempre al Senato, ritennero di presentare una ampia e quasi drammatica relazione di minoranza nella quale dichiaravano di dover respingere la legge a meno che non fosse stata sostanzialmente riveduta: una legge di tal genere, infatti essi spiegavano costituirebbe una arma di ricatto, uno strumento antigiuridico ed un pericolo obiettivo quando venisse manovrata dal Governo. La discussione generale svoltasi in Senato vide le sinistre compatte contro questa legge: i rappresentanti socialcomunisti dissero contro di essa cose che non siamo arrivati a dire noi: si leggano in proposito i discorsi dei senatori Spezzano e Berlinguer, addirittura feroci, si legga il discorso dello stesso relatore di minoranza e si vedrà come è pieno di riserve e di obiezioni gravissime contro questa legge.

Senonché, durante la discussione degli articoli in Senato, accadde il miracolo, la festa familiare, tutti si misero d’accordo per motivi che non voglio giudicare. Le sinistre, dunque, mutarono la legge d’accordo con il centro. Qui alla Camera, nuova sorpresa. In sede di Commissione vi furono sull’articolo 3 esplicite gravi riserve dei rappresentanti delle sinistre, i quali giunsero a dichiarare testualmente: «Questa legge, così come è, non ve la daremo, perché è una legge totalitaria». Ricordo le esatte parole; le ho citate nella relazione di minoranza; nessuno le ha smentite. Nuovo miracolo, il miracolo direi del 25 maggio, e si raggiunge l’accordo un’altra volta. Sono giri di valzer, lecitissimi in sede politica. Sul piano giuridico suscitano qualche perplessità. Comunque ,dell’ atteggiamento politico delle sinistre mi permetterò di parlare subito dopo.

La risposta che i nostri avversari danno a queste nostre obiezioni è proprio questa: si tratta di un problema politico, non si tratta di un problema giuridico.

Veniamo al problema politico. Vorrei pregare l’onorevole ministro ed anche il relatore di maggioranza di non insistere troppo, sul piano politico, su una tesi che li ho sentiti ripetere, cioè: la legge è stata presentata nel 1950 ed quindi assolutamente assurdo dire che la legge comunque possa collegarsi alla situazione politica determinata nel nostro paese dall’ esito elettorale del 25 maggio. E’ una tesi insidiosa per voi sul piano politico, perché il Parlamento legifera, ma il Parlamento credo sia il supremo consesso politico del nostro paese. Credo che il Parlamento debba e voglia legiferare tenendo conto della situazione politica obiettiva. Quando, pertanto il ministro dell’ Interno dichiara che la sua politica non risente affatto, neanche minimamente, di ciò che è avvenuto in Italia il 25 maggio mentre ciò che è accaduto ha un certo rilievo obiettivo, comunque si voglia giudicare la situazione, anzi ha un maggiore rilievo obiettivo se la si giudica con quell’ allarme con il quale sembra

l’ abbiate giudicata voi quando il ministro dice che non si occupa della situazione politica ma di presentare delle leggi e che può capitare che una legge venga all’ esame del Parlamento in un mese piuttosto che in un altro o in un altro ancora, e tutto ciò lo lascia perfettamente indifferente e lascia perfettamente indifferente la maggioranza”

SCELBA: “Non è in questo senso che l’ ho detto.”

ALMIRANTE: “Lo so, ma questa è una interpretazione che l’opinione pubblica può dare. L’opinione pubblica, dopo l’esito del 25 maggio, si attendeva dal Governo una certa politica. Il Governo dice: nossignori, noi continuiamo tranquillamente il nostro cammino legislativo, giuridico, politico precedente. Quello ché è avvenuto dal punto di vista politico è come se non fosse avvenuto. Mi sembra sia per voi una tesi insidiosa e, d’altra parte, non è una tesi sostenibile sul piano obiettivo.

È vero che la legge è stata presentata da lei nel 1950, è vero, onorevole ministro se mi consente il tono scherzoso che ella è un peccatore incallito in materia, che è un «antemarcia», che ha tutti i titoli dell’anzianità. Non è soltanto dal 1950 che ella pensa a una legge di questo genere. È un tu per tu che dura da parecchio tempo, da quando siamo qui, in Parlamento. È esatto, sul piano dei meriti dell’anzianità se ella tiene a questi meriti ma è altrettanto esatto che oggi la situazione è quella che è; e che nel momento in cui l’opinione pubblica ha saputo che il 27 maggio, cioè due giorni dopo le elezioni, questa legge è stata l’assillo di questo Governo e del Parlamento, l’opinione pubblica ha tratto da ciò un giudizio politico. Vuole ella consentirci di trarre anche il nostro? Il nostro giudizio politico sereno, tranquillo, obiettivo è che uno dei modi con i quali il Governo, con i quali la maggioranza parlamentare intendono rispondere alla consultazione del 25 maggio è rappresentato sul piano politico da questa legge, strumento che in altri momenti poteva avere un altro fine, un altro scopo, un’altra giustificazione, ma che oggi non potete non consentirci di inquadrare in una situazione che è quella che è, che non ha determinato l’onorevole Scelba, che non ho determinato io, ma che una certa parte, numericamente rispettabile, dell’opinione pubblica italiana ha creduto di determinare. E allora mi consentirete di delineare quella che, a mio avviso, è la manovra politica che si collega non a questa legge, ma alla sua discussione e alla sua approvazione nel clima che si è determinato qui in questi giorni.

Mi sembra che i fini politici di questa che, senza alcuna insinuazione malevola, io definisco una manovra, siano tre: vi è un’operazione a destra che è in corso, la quale operazione a destra, se non mi sbaglio, tende a far sì che la prossima battaglia elettorale non si svolga più sul tema della partita a tre, ma ritorni al tema tanto caro alla maggioranza e non so perché tanto caro alle sinistre della partita a due.

Vi è l’operazione a sinistra, la cosiddetta «operazione Nenni», della quale parleremo. Vi è infine un’operazione particolare nei nostri specifici confronti, tendente a strangolarci, o a dividerci, o ad eliminarci; forse tutte e tre le cose insieme.

L’onorevole Poletto ci ha voluto rassicurare (parlerò poi della faccenda della retroattività, che non è tanto chiara come si crede) dicendo (come ha detto quel «gioiello» dell’onorevole Corbino): perché vi preoccupate? La legge non tocca voi, non è contro il MSI; è una legge che potrà essere applicata contro di voi se farete i cattivi! È uno strano criterio questo, sul piano legislativo! Se io dovessi preoccuparmi, come deputato, soltanto delle leggi che mi possono colpire od interessare personalmente, credo che verrei meno secondo il vostro stesso giudizio alla mia missione.

Io intanto combatto questa legge ed ho il dovere di combatterla in quanto non sono d’accordo con le sue norme, in quanto la ritengo incostituzionale, antigiuridica. Posso avere, in questo, torto o ragione, ma ho il dovere di combatterla.

E, secondariamente, abbiate un po’ di bontà! Avete partita vinta, stravinta!… Avete un’enorme maggioranza: ci volete anche usare il torto di ritenerci così poco intelligenti? Voi sostenete nei nostri confronti argomenti di questo genere: la legge non vi riguarda se sarete bravi!

GIANNINI GUGLIELMO: “Si faceva della fine ironia, come quella che sta facendo lei ora.”

ALMIRANTE: “Esatto. Quindi, lasciamo da parte queste storielline per bambini, per pupi, e parliamo sul serio. Vi è dunque una terza operazione, che è quella che tende a colpire non sappiamo come il nostro settore politico.

Certo in parte dipende anche da noi: sono d’accordo, perché non siamo spettatori passivi, e non abbiamo alcuna intenzione di esserlo. Dipenderà dal nostro comportamento, dalla nostra intelligenza o imprudenza, dal nostro coraggio o dalla nostra viltà, quello che in tal senso potrà accadere in Italia. Badate, però, che l’opinione pubblica coglie il significato di questa operazione. Vi dirò che ne posso parlare con assoluta tranquillità (prego l’onorevole ministro dell’Interno di prenderne atto); siamo molto sereni, in questo momento, nei confronti dell’approvazione di questa legge nei nostri riguardi. Prima del 25 maggio glielo confesso a posteriorieravamo molto meno sereni. Siccome, però, fra lei e noi, in un certo senso fra questa legge e noi, si è inserito il diaframma del 25 maggio, ci sentiamo più tranquilli, ci sentiamo protetti, e protetta è la nostra coscienza: abbiamo combattuto una battaglia giudicabile in qualsiasi modo, non dirò che l’abbiamo vinta: queste elezioni, come tutte quelle che si svolgono in Italia, le hanno vinte tutti; però, a giudizio comune, abbiamo ottenuto un certo successo che ha coronato i nostri modesti sforzi. Quindi, siamo tranquilli, perché abbiamo con noi alcune centinaia di migliaia di italiani, i quali, a loro volta, seguendo il sistema democratico, produrranno altri deputati, e non credo che saranno deputati come questi che votano contro di noi, se quegli italiani hanno votato in favore nostro. Quindi, ci sentiamo democraticamente sereni, e anche politicamente sereni.

Ci sembra il 25 maggio abbia costituito una indicazione politica di ragguardevole importanza. Se ne sono sentite delle curiose in proposito! Si sono sentite dire, fra gli altri, da quel «gioiello» dell’onorevole Corbino, cose di questo genere: sono voti di ignoranti. Altri han detto: sono voti di religiosi. Altri ancora hanno detto: è gente corrotta, gioventù corrotta quella che applaudito e votato per il MSI.

E io dico: che occhi fini ha questa gente! Ha fatto la spettroscopia di una votazione; è andata a guardare nell’urna se il voto racchiuso in quella scheda o in quell’ altra era di un ignorante o di un intelligente, e ha stabilito che i nostri piuttosto molti voti sono di ignoranti e i loro piuttosto pochi sono di intelligenti. Desolante questo fatto: che, secondo dei liberali e dei democratici, ci siano così pochi uomini intelligenti in Italia! Perché, se gli intelligenti hanno votato per l’onorevole Corbino o per l’onorevole Bellavista, che a Roma ha avuto 1800 voti, sulla intelligenza della città eterna c’è da dubitare. È triste che, dopo sette anni di educazione democratica e liberale, di discorsi meravigliosi, di comizi formidabili dell’onorevole Bellavista e dell’onorevole Corbino, gli italiani si siano incretiniti al punto da dar loro soltanto 1800 voti e al partito degli ignoranti 140 mila.

Non mi sembra, che, dal punto di vista democratico e anche dal punto di vista nazionale, siano dichiarazioni da farsi; sono dichiarazioni che tradiscono un certo senso intimo di delusione, di disinganno, di dispetto, che capisco. E triste trovarsi nella situazione del deputato, che sa già di non tornare più alla Camera dei deputati, non perché facciano per lui, onorevole Pignatelli, una legge particolare. Ella, onorevole Pignatelli, mi ha molto onorato lo dico con la stessa serenità con cui sto parlando con il suo ordine del giorno illustrato ieri sera, con il quale chiede all’onorevole ministro dell’Interno una nuova legge, che, fra l’altro, escluda dalla eleggibilità coloro che sono stati comunque nelle segreterie dei ministeri e dei sottosegretariati della Repubblica sociale italiana; un ordine del giorno, come dicevo, onorevole Pignatelli, fatto gentilmente, graziosamente ad personam. Ella mi onora moltissimo, perché ella presume, evidentemente, che io ho probabilità di essere rieletto deputato; e ammette che voi potete fare una legge, per impedire che sia rieletto deputato qualcuno, che ha la probabilità di essere rieletto. Provate piuttosto a fare una legge, che impedisca di non essere rieletti deputati a coloro che non lo saranno, perché hanno perduto il corpo elettorale. Sarebbe più intelligente e più producente!”

PIGNATELLI: “Non avevo presente lei; ho pensato ad altra compagnia.”

ALMIRANTE: “Io penso allora che ella proporrà un emendamento, ma mi troverete nelle piazze a darvi più noia. Non vi conviene farlo! {Commenti). Sono essi che mi fanno questo onore; io non mi sono mai occupato di loro.”

DI VITTORIO: “Parlate come se aveste conquistato la maggioranza.”

ALMIRANTE: “Io mi limito a fare il conto dei voti; un certo numero di elettori ha ritenuto nel maggio 1952 di votare per il Movimento sociale italiano. L’onorevole Corbino dice che sono elettori ignoranti. L’onorevole Pignatelli col suo ordine del giorno intende dire: non ve lo permetteremo più. Io dico che questi elettori ci sono e mi permetta, onorevole Di Vittorio, di dire qualche cosa di più dal mio punto di vista egoistico mi levo tanto di cappello di fronte a questi poveri ignoranti elettori, i quali hanno votato per un partito come il nostro, malgrado l’ imbottimento dei crani per dirla alla francese che è stato fatto da tutta la stampa contro di noi. Non vi è stato un solo giornale quotidiano, il quale non abbia invelenito l’atmosfera nei nostri confronti durante la campagna elettorale.

Noi abbiamo fatto più comizi che abbiamo potuto. Non avevamo altra arma, non dico per attaccare, ma per difenderci, per sostenere la nostra tesi, completamente isolati, come eravamo, dall’opinione pubblica. I cosiddetti giornaloni indipendenti non hanno fatto la campagna elettorale a favore del Movimento sociale, ma a favore del Governo, anche se in extremis hanno parecchie volte cambiato idea, per motivi, anche questi, umanamente comprensibili. Ma non potete negare che l’intera cintura della propaganda ci abbia circondati e isolati. E non potete negare che questi 142 mila poveri ignoranti, che a Roma hanno votato per il Movimento sociale italiano, hanno compiuto un gesto, che potrà essere di stravaganza, secondo voi, ma che, secondo me, è stato un gesto di coraggio e di fierezza. Permetterete che noi, invece di definire ignoranti gli elettori degli altri, definiamo non intelligenti, ma onesti i nostri.”

GIANNINI GUGLIELMO: “Io li definirei ingrati verso la stampa: il Tempo di Roma cosa ha fatto? Il Giornale d’Italia cosa ha fatto?”

ALMIRANTE: “Hanno consigliato di votare per il Partito liberale.”

GIANNINI GUGLIELMO: “Mi riferisco all’appoggio che vi hanno dato due o tre giornali quotidiani, appoggio che volentieri avrei voluto per me. Comunque, onorevole Almirante, vada avanti, altrimenti facciamo una scena di gelosia.”

ALMIRANTE: “È esatto. Questo per quanto riguarda l’operazione contro di noi. Per quanto riguarda poi l’operazione politica verso destra, essa secondo me tende a far sì che la prossima partita elettorale sì giuochi a due e non più a tre, in modo che questa volta almeno si realizzi il motto: 25 uguale a 18. Debbo però osservare che una simile operazione postula una politica che con questa legge fa a pugni.

Voi vi illudete, signori del Governo, se con questa legge intendete isolarci. Otterrete tutto il contrario. Voi ci state mettendo al centro della vicenda politica nazionale. Poco fa, l’onorevole Poletto ha detto che non si ha intenzione di far di noi dei martiri. Non è neppure la nostra intenzione. Ad esempio, io non desidero affatto avere la corona del martire, mi imbarazzerebbe alquanto. Tuttavia siete voi che mi laureate tale, e non mi potete impedire…”

ROSSI PAOLO: “Mi perdoni, onorevole Almirante, una cosa, da uomo a uomo: di che persecuzioni si lagna lei? Sa che cosa è successo 28 anni or sono, di giugno, in quest’aula, per un discorso di opposizione? Di che cosa si lagna? Perché non ha fede in questa democrazia che le consente di parlare così liberamente in quest’ aula. Noi l’ascoltiamo rassegnati e tranquilli mentre ella dice cose… Io ho i capelli bianchi. Si corregga.”

FERRARIO: “Ricordiamoci di ciò che è accaduto nel 1924 per un semplice discorso di opposizione: è costato la vita ad un uomo!

ALMIRANTE: “Onorevole Rossi, le rispondo. Ella è molto grazioso quando dall’ alto dei suoi capelli bianchi, per la sua esperienza, per le sue sofferenze politiche, mi rivolge ammonimenti di questo genere; soprattutto perché ella l’ ha fatto graziosamente, giungendo le mani: mi è sembrato proprio un democristiano. {Proteste al centro e a sinistra). Perché vi offendete se dico questo? E sta bene: non lo dirò più. Dirò che mi sembra soltanto un socialdemocratico e non un democristiano. Siete contenti? (Proteste al centro). Non vedo che cosa ci sia di male in questo, dopo tante ingiurie che ci sono state lanciate. Onorevole Rossi, ella mi ha detto in sostanza che mi state sopportando. Ringrazio la Camera perché sta sopportando un deputato ignorante (ma pari a tanti altri) (Proteste), eletto con voti ignoranti, ma tali da rendere valida la mia elezione. Ma quando ella si richiama ai drammatici episodi che deprechiamo tutti lei ha parlato da uomo ad uomo ed io le rispondo da uomo ad uomo, senza nessuna preoccupazione di parte che tutti deprechiamo, noi uomini politici, e noi uomini del Movimento sociale, dal punto di vista politico ella convalida la mia tesi. Io sto sostenendo un sereno dibattito, che non credo abbia nulla a che vedere con quei dibattiti, con quei momenti, con quella tragedia. L’ombra di quella tragedia la sta richiamando lei; ella non dovrebbe farla entrare qui.”

DI VITTORIO: “No, no: quella è un’ombra che pesa, che pesa sulla storia del paese, che pesa sulla vita del popolo e che non potrà essere facilmente dimenticata.”

ALMIRANTE: “Onorevole Di Vittorio, quanto è difficile fra italiani sforzarsi di usare delle parole pacate e serene!”

CALOSSO: “Ma imparatele!”

DI VITTORIO: “Avrei voluto ascoltare qualcuno di voi parlare di diritti quando tutti i diritti erano calpestati.”

ALMIRANTE: “A quei tempi qualcuno di noi era bambino.”

DI VITTORIO: “Tra voi ci sono anche altri che sono più anziani di lei.”

ALMIRANTE: “L’onorevole Rossi ha parlato di capelli bianchi. Ai capelli bianchi dell’onorevole Rossi io dico che il sottoscritto non aveva i capelli bianchi in quell’epoca: aveva anni otto.”

SCELBA: “Non aveva nove anni durante la repubblica di Salò, però.”

ALMIRANTE: “Onorevole Scelba, ella mi invita ad un contraddittorio che mi piace molto. Le dirò, onorevole Rossi mi lasci continuare, perché risponderò anche all’onorevole ministro…”

PRESIDENTE: “Onorevole Almirante, tenga presente che sono una finzione i capelli bianchi dell’onorevole Rossi: è del 1900. Ho consultato l’annuario.”

ALMIRANTE: “Dirò allora ai finti capelli bianchi dell’onorevole Rossi e dirò anche all’onorevole ministro che se io nel 1922 (poi parlerò anche della Repubblica sociale: non ho nessuna paura) avevo otto anni, qui nella Camera c’era un gruppo popolare (e lo ricordo perché recentemente i democristiani hanno sollevato una polemica obiettivamente ingiusta contro i liberali, per il loro atteggiamento presunto fiacco nel 1922)…”

GIANNINI GUGLIELMO: “Ma deve parlare del 1924.”

ALMIRANTE: “Ci arriverò. Nel 1922 in questa Camera vi era una maggioranza antifascista, vi era un forte gruppo del partito popolare, il quale così si espresse in data 25 novembre 1922 per bocca dell’attuale senatore Cingolani:

«Il gruppo popolare voterà i pieni poteri: questo voto è la conseguenza logica del voto già dato favorevolmente al Ministero” Voce a destra. “Fascismo!”

CINGOLANI: “No, non è fascismo, ma è volontà decisa e precisa di servire il paese.”

ALMIRANTE: “Siamo dunque noi giovani che vi diciamo che nel 1922 la democrazia non avete saputo difenderla voi. Non avete le carte in regola per farci questo processo: non mettetevi su questo terreno. La legge elettorale Acerbo (e con questo vengo oltre, onorevole Giannini, il 1922, vengo cioè al 1923)…”

GIANNINI GUGLIELMO: “Qui ella ha drammaticamente ragione su questo punto; quindi è inutile che lo racconti a me.”

ALMIRANTE: “La legge elettorale Acerbo fu votata dalla stessa maggioranza parlamentare, con dichiarazioni di voto vostre favorevoli.”

PIGNATELLI: “Sbaglia.”

ALMIRANTE: “Il gruppo popolare presentò in quella circostanza un duplice ordine del giorno: mi dispiace solo di non avere con me il documento: Non potevo d’altronde prevedere che sarei stato portato su questo terreno.

PIGNATELLI: “Io allora avevo 23 anni e non 9.”

PRESIDENTE: “Non denunzi, onorevole Pignatelli, queste cose che evidentemente la mettono in imbarazzo.”

ALMIRANTE: “L’ordine del giorno, dunque, fu presentato dal gruppo popolare a chiusura della discussione generale sulla legge Acerbo. La prima di quell’ordine del giorno riconfermava la fiducia al governo, compresi i pieni poteri; la seconda parte invece era una dichiarazione con cui i popolari facevano conoscere di astenersi dal voto sulla legge in quanto essi, pur accettandola nei principi essenziali, non erano d’accordo circa l’aliquota. Il motivo di dissenso fu soltanto questo, un dissenso quindi di carattere tecnico: si discuteva su un quorum. Tanto è vero questo, che Mussolini pronunciò un discorso sdegnoso in cui disse che a quelle condizioni egli non voleva alleati elettorali.”

PIGNATELLI: “Prego di leggere le dichiarazioni del presidente del gruppo dell’epoca, De Gasperi.”

SCELBA: “Però con quel voto i popolari non autorizzarono Mussolini a sopprimere la libertà in Italia.”

ALMIRANTE: “Siamo perfettamente d’accordo, ma io mi riferisco al tentativo di far passare il Partito liberale come reo di aver fatto una politica fiacca, di non aver visto il pericolo: se qualcuno ha commesso quegli errori, sia chiaro che furono anche i popolari.”

SCELBA: “E noi non vogliamo commettere gli errori di allora.”

ALMIRANTE: “Ma, onorevole ministro, la legge Acerbo l’ ha fatta lei adesso: si va da parte vostra verso il listone, e le conseguenze le stiamo subendo noi. “

SCELBA: “Onorevole Almirante, è così poco «Acerbo» quella legge, che a Bologna hanno vinto i comunisti e altrove voi.”

ALMIRANTE: “Perché non siete neppure capaci di realizzare quello che volete: avete soltanto delle velleità.”

SCELBA: “Perché siamo dei democratici.”

ALMIRANTE: “La vostra politica si ritorce su di voi come un boomerang. Ecco perché siete alla ricerca di nuovi sistemi elettorali che ripetano il miracolo di trasformare minoranze in maggioranze. “

ROSSI PAOLO: “Ma allora, onorevole Almirante, l’antifascista è lei adesso ” {Ilarità).

ALMIRANTE: “Se il fascista è lui ( Indica il ministro dell’Interno), allora sì, senz’altro! Io sono allora l’antifascista, e lo sono in pieno! Io non attribuisco il titolo di fascista a nessuno, ma se giudicate che quello sia fascismo, se la legge maggioritaria è fascismo, il fascismo è lì, e noi lo combattiamo!”

VIGORELLI: “E allora perché avete nominato Borghese presidente?”

ALMIRANTE: “Noi del MSI abbiamo sempre sostenuto la proporzionale. Rispondiamo sempre delle nostre responsabilità!”

VIGORELLI: “E chi ha nominato Graziani presidente della vostra associazione di combattenti? Se siete antifascisti, non prendete di questi arnesi.”

ALMIRANTE: “Il giochetto delle parole, questo barare (per dirla con l’onorevole Giannini) sul fascismo e sull’antifascismo, non lo accetto.”

VIGORELLI: “Le conviene! È come «el duel del sciur Panera»!.”

ALMIRANTE: “Onorevole Vigorelli, nella sua ben nota onestà, la prego di ascoltarmi. L’epiteto o il termine di fascista per gli avversari politici io non lo uso nemmeno per comodità polemica. Non ho nessun pensiero, nemmeno il più lontano, di chiamare fascista l’onorevole ministro dell’Interno. Io definisco la sua politica. Se tale politica la chiamate fascista, io sono antifascista di fronte a quella politica. Ma il giochetto fra i termini di fascismo e antifascismo non lo faccio. Sono cose serie che vorrei tenere al di fuori di questo dibattito qua dentro. Ritornando all’argomento, parlavo della operazione politica a destra, connessa con questa legge, e dicevo che questa legge mi pare che faccia a pugni con quella operazione, innanzi tutto perché ci mette al centro della vicenda politica nazionale, non come martiri e, se non vi garba, neppure come perseguitati (come diceva l’onorevole Rossi); ma comunque questo almeno lo ammetterete al centro dell’opinione pubblica. Aprite i giornali di questi giorni e ve ne renderete conto. La maggioranza non ci isola, ma ottiene lo scopo contrario. E non solo, ma dopo la discussione generale svoltasi su questa legge, dopo il voto concorde contro di noi (tranne qualche rara eccezione) che a questa legge verrà dato, dopo la ricostituzione in quest’aula se non fuori di qui di un rinnovato e postumo comitato di liberazione nazionale, anche quell’altra polemica (usata con maggiore o minore abilità o fortuna, non importa) delle presunte collusioni fra noi e la estrema sinistra, dei due totalitarismi, vi si spezza fra le mani e non la potrete usare più. Questo dibattito ha avuto su di sé l’attenzione interna e internazionale. Si è visto quali sono non dirò le collusioni, ma le concordanze politiche, non su un problema marginale, ma su quello che, almeno per noi e nei nostri riguardi, è il problema centrale. Quindi, anche da questo punto di vista vi siete danneggiati con la vostra manovra. Dirò di più: non troverete più un alleato serio nella lotta anticomunista in Italia. Potrete trovare alleati di accatto, uomini o partiti che, non sapendo più dove aggrapparsi per mantenere le loro posizioni, si aggrappino come naufraghi a voi. Vi saranno di peso, e voi lo sapete, e vi sono già di peso e vi sono stati di peso in più d’una occasione. Ma alleati seri non ne troverete più.

Vengo ora ad una parte delicatissima del mio discorso e che dispiacerà all’onorevole ministro, ma si tratta di notizie che grosso modo già circolano nell’opinione pubblica e che io non farò che avallare e confermare. Voi democratici cristiani, voi Governo, voi maggioranza state tenendo nei nostri confronti un atteggiamento di lotta asperrima: si sono sentiti qui dentro i termini più aspri. Voi dichiarate che il Movimento sociale italiano, così come sinora si è manifestato e se per avventura continuasse a manifestarsi allo stesso modo, per ciò solo deve essere posto al di fuori della vita politica del nostro paese.

È la vostra tesi. È la vostra tesi oggi. E come mai, onorevole ministro, non era la vostra tesi il 22 aprile di quest’anno? Come mai il 22 aprile di quest’anno si riteneva che questo partito, che già allora aveva indubbiamente mostrato i denti, che già allora (sono 5 anni che viviamo) aveva dimostrato quale fosse la sua «follia ipernazionalista», la sua «antidemocrazia», che aveva allora dimostrato di essere un pericolo, un nemico, un «obbrobrio» dal punto di vista costituzionale, come mai questo nostro partito poteva farvi comodo per una intesa anticomunista a Roma? Non a Sgurgola di Sotto, ma a Roma!

È stato il Popolo, il vostro giornale ufficiale, che ha dato notizia di quella iniziativa. È stato il Popolo del 24 aprile che ha pubblicato esattamente questo: «La Democrazia cristiana aderì prontamente a tale impostazione» (la impostazione del listone) «e viene dichiarata pertanto destituita di ogni fondamento la notizia secondo la quale il comitato romano della Democrazia cristiana o altro organismo del partito di maggioranza si sarebbero espressi contrariamente alla iniziativa di don Sturzo».

Quindi il partito della Democrazia cristiana, vale a dire l’onorevole professor Gonella, il 24 aprile si dichiarava, si manifestava, si proclamava favorevole ad una iniziativa politica che io non voglio discutere, che comunque era di marca anticomunista totale, e doveva inglobare tutte le forze politiche che a Roma si sarebbero battute contro il comunismo. Ci si è detto poi che in quella pericolosa occasione l’onorevole De Gasperi insieme con l’onorevole Pacciardi abbia salvato la Democrazia buttando all’aria l’iniziativa di don Sturzo. Rendiamo omaggio all’onorevole De Gasperi che ha salvato la democrazia. Il problema di un eventuale dissenso fra l’onorevole De Gasperi e il segretario del partito di maggioranza, che permetteva che in tal modo il giornale ufficiale del partito si pronunciasse, è problema vostro nel quale non oso intervenire. Però è un dato di fatto che il partito di maggioranza il 24 aprile si esprimeva nei confronti anche nostri in quel determinato modo. Prescindo da ogni altra considerazione. Vi è di più: io qui ho due documentini di non eccessiva importanza, comunque di un certo interesse; sono due lettere di due sezioni della Democrazia cristiana della Puglia. Ho una certa documentazione su quanto è avvenuto in provincia di Bari e in provincia di Foggia.

Vi è una lettera (potrete controllare l’autenticità; sono pronto a metterla a disposizione della Presidenza) della sezione della Democrazia cristiana di Gravina di Puglia indirizzata al Movimento sociale in data 19 aprile 1952, nella quale si dice: «Questa sezione, esaminata la situazione politica inequivocabile esistente a Gravina e considerato che le forze di sinistra e precisamente i socialcomunisti e gli pseudoindipendenti hanno formato un fronte unico per riconsegnare in mani incompetenti il nostro comune, ritiene opportuno costituire un saldo blocco anticomunista formato dal Partito socialdemocratico, dal Movimento sociale, dal Partito nazionale monarchico, dall’uomo qualunque, dai liberali, dall’Associazione reduci e combattenti, dalla Democrazia cristiana e da qualsiasi altra forza eventualmente esistente o in formazione» (non andavano troppo per il sottile); «pertanto invita anche codesto Movimento sociale italiano a considerare con obiettività e serena responsabilità civica questa evidente necessità di unione di tutte le forze anticomuniste». Ho qui inoltre una lettera della sezione democristiana di Gorato in cui si invita il Movimento sociale a partecipare a riunioni dello stesso genere. Ripeto, i documenti sono a disposizione della Presidenza.

Poi vi è la notizia (che possiamo documentare e ci riserviamo a richiesta di documentare) che trattative dello stesso genere, per iniziativa sempre delle sezioni della Democrazia cristiana, hanno avuto luogo, per ciò che riguarda la provincia di Bari, anche a Gonversano, a Minervino Murge, ad Andria. Non hanno avuto esito per l’opposizione della nostra federazione provinciale. Ed anche questo possiamo documentare.”

DI VITTORIO: “In qualche parte hanno avuto esito.”

ALMIRANTE: “A Foggia hanno avuto esito. Aspettate, prevedevo l’interruzione. Sono abbastanza furbo per aver previsto una simile interruzione. Io penso che in Senato l’onorevole Jannuzzi, membro del Governo, abbia votato a favore della legge attualmente in esame. Ebbene io posso dichiararvi (e naturalmente sono pronto a documentare che dico cose esatte) che l’onorevole Jannuzzi, sottosegretario per la difesa, ha più volte impegnato la sua persona per ottenere l’apparentamento della Democrazia cristiana con il «movimento sociale» ad Andria e a Gorato, dove ebbe perfino a svegliare di notte il nostro segretario, dottor Leone, per indurlo all’apparentamento. Anche gli apparentamenti notturni! Io posso aggiungere e sono anche pronto a documentarlo che qui, in Roma…”

DI VITTORIO: “L’onorevole Jannuzzi è un agrario! Questo spiega tutto.”

ALMIRANTE: “Onorevole Di Vittorio, ella se ne intende di agrari.”

DI VITTORIO: “Per averli sempre combattuti tutta la vita! Questo è un mio onore. Ella pure li conosce, ma in altro modo.”

ALMIRANTE: “Sono purtroppo un incompetente in fatto di scienze agrarie, di qualunque genere. Dicevo che posso anche dichiarare e documentare che in Roma una nostra gentile collega democristiana, la onorevole Giuntoli, ha avuto, su sua richiesta e con l’intercessione di un giornalista, un colloquio con un membro della nostra direzione nazionale, il dottor De Marzio, per sollecitare un apparentamento per la provincia di Foggia. Posso dire che in provincia di Foggia (me lo suggerisce l’onorevole Di Vittorio) intese di questo genere, su sollecitazione delle sezioni democristiane, hanno avuto luogo… “

DI VITTORIO: “Invano! Perché vi abbiamo battuti lo stesso!”

ALMIRANTE: “Non voglio dare giudizi politici su quello che è avvenuto. Il mio giudizio personale potrebbe anche essere negativo, ma non avrebbe alcuna importanza e alcun rilievo. Mi si dice (e prevedevo l’interruzione): anche con i comunisti vi siete messi d’accordo. Purtroppo, è accaduto in talune sezioni comunali dell’Italia meridionale che abbiano avuto luogo lo hanno pubblicato i giornali… “

DI VITTORIO: “Dove?”

ALMIRANTE: “Onorevole Di Vittorio, non so di preciso: ma può essere accaduto che in taluni paesini dell’Italia meridionale si siano fatti non degli apparentamenti ma le cosiddette liste civiche, in cui potevano essere anche elementi di sinistra. Deploro, per quel che ci riguarda, che ciò sia avvenuto. Voi potrete deplorarlo dal vostro punto di vista. Possiamo prendere atto con dispiacere che ciò sia avvenuto, ma quanto a coloro che mi interrompono per accusarmi di questo, devo dire: badate che il Movimento sociale italiano è diventato, allora, per tutti, scomunicato e scomunicabile dopo il 25 maggio; ma prima, quando si trattava di garantirsi almeno localmente determinati risultati elettorali, scomunicato non era. E quindi anche l’interruzione dell’onorevole Trulli torna a nostro favore. Ora, con questi sistemi, signori della maggioranza, non credo che troverete degli alleati seri nella lotta anticomunista, quando voi sbattete sul banco degli accusati coloro ai quali avete chiesto un’alleanza un mese prima. Questi sistemi non vi giovano, se volete operare con questa legge il cosiddetto «agganciamento a destra».

Vi è poi l’altra operazione, quella dell’agganciamento a sinistra, «l’operazione Nenni», per la quale io vi faccio i migliori auguri, di gran cuore. È da molto tempo che abbiamo notato certi accenni di un certo rinascente affetto, o mai spento affetto. I giornali hanno pubblicato anche note di colore su questo tema; hanno osservato che quando gli onorevoli Nenni e De Gasperi si trovano insieme alla Camera, sia pure da opposti banchi, vi è sempre tra loro un certo tono di cortesia, di gentilezza, di reciproca stima. E noi siamo commossi di fronte a questo spettacolo!

Andate innanzi per questa strada! Soltanto devo farvi rilevare (e qui mi indirizzo ai colleghi dell’estrema sinistra) che se poco fa vi ho detto che potrei documentare i vostri «giri di valzer» intorno a questa legge e alla politica che essa postula, devo precisare che la documentazione è molto facile. L’ Unità del 22 novembre 1950, quando la legge fu presentata, si esprimeva così: «La legge Scelba serve al Governo come alibi e come precedente (la mia tesi di poco fa) per fare accettare alla opinione pub­blica quelle tali misure di polizia che l’ostilità generale l’aveva costretto ad abbando­nare». Il Paese del 23 gennaio 1952 riportava un articolo di Berlinguer, dove si leg­geva questo: «La legge Scelba maschera l’intenzione non di punire i fascisti in quanto tali, ma solo in quanto oppositori del Governo, maschera cioè una intenzione ricattatoria nei confronti dei fascisti i quali non sarebbero perseguitati qualora non si opponessero alla politica governativa». Ma non voglio insistere su questa documentazione e ve lo dico francamente perché rilevo che il vostro attuale atteggiamento, in questa discussione generale, in favore della legge e contro di noi, è il solo atteggiamento logico e lecito che possiate tenere, dati i vostri precedenti, i vostri programmi, date le vostre mire politiche. Voi non potete fare altra polemica che questa.

Fatta questa franca ammissione, spero che accetterete un rilievo: che la vostra è una politica nostalgica, che presuppone che il popolo italiano si trovi nello stato d’animo del 1945, mentre è nello stato d’animo del 1952, che è uno stato d’animo diverso. Sarà una situazione ambientale, peggiore o migliore, secondo i punti di vista; comunque è ben diversa. Ho sentito parlare anche qui, dopo averne sentito parlare tante volte e dopo averne anche parlato, di vento del nord e di vento del sud. Io non sono tra coloro che sulle piazze hanno detto che adesso spira il vento del sud. Io sono tra coloro che si limitano a dire: non spira più il vento dal nord. Questo è un fatto obiettivo. Io non voglio che spiri il vento del sud perché non chiedo nessuna divisione degli italiani, sono recisamente contrario a qualsiasi politica di scissione tra nord e sud. Potete anche non credermi, è lo stesso. Comunque, il vento del nord non soffia più.

DI VITTORIO: “Non spira perché nel sud ci siamo anche noi.”

ALMIRANTE: “Ci siete, ma con ben altro linguaggio. Siete troppo abili politici per usare oggi nel sud il tono che usavate sette anni fa nel nord. Non ritornerete con quei toni nel sud e neppure nel nord perché il popolo italiano ha mutato atteggiamento. L’onorevole Sceiba dice che è merito suo, altri dicono che è merito loro, noi abbiamo la presunzione di dire che è un pochino anche merito nostro. Comunque, il calendario politico parla: il 1952 non è il 1945. Non fate i nostalgici voi, quando accusate altri di esserlo: tenete conto della situazione di fatto. Siete troppo fini politici per non rendervene conto. Voi oggi postulate una politica antifascista intesa come 7 anni fa lo fu la politica della Resistenza. È vostro diritto, forse è vostro dovere dal punto di vista sentimentale, dottrinale, ideologico.. “

DI VITTORIO: “E nazionale.”

ALMIRANTE: “Ma dal punto di vista politico no.
Badate che non vi rispondo io in tal modo, perché sarebbe una risposta di parte: noi abbiamo sempre fatto la politica anticiellenistica. Vi risponde il generale Cadorna, che è una voce autorevole; tanto che il Presidente del Consiglio ultimamente alla sua persona si è riferito volendo esaltare gli ideali della Resistenza. Il generale Cadorna, il 22 aprile 1950, così scriveva in un giornale romano: «La convergenza delle forze che diedero vita alla Resistenza e alla lotta di liberazione si esaurì con la liberazione stessa. Tentare di ricreare una coscienza unitaria, che la realtà di ogni giorno smentisce nella impossibilità di usare un comune vocabolario per definire i termini fondamentali della libertà e della democrazia, mi sembra cosa artificiosa». “

LOMBARDI RUGGIERO: “Ma è Graziani che vuole farlo. “

ALMIRANTE: “Ritornerò su questo argomento. Sul piano internazionale la risposta l’ha data l’onorevole Bettiol, il quale alla Camera il 9 giugno 1950 ha detto: «Se oggi noi piangiamo (parlava della situazione internazionale), se oggi ci troviamo in una situazione politica internazionale che ha aspetti negativi, questa è proprio la conclusione, la conseguenza della politica di Yalta e della politica di Potsdam, che è stata per il nostro paese una politica da beccai o da macellai, vale a dire quella politica che ha rotto le vertebre e ha dato al nostro paese il trattato di pace, perché il trattato di pace è conseguenza di questi tristi amori fra oriente ed occidente».

È il capo del gruppo della Democrazia cristiana che parla di «tristi amori tra oriente ed occidente»! E parlare di «tristi amori» oggi è un gentile eufemismo, perché mentre qui in Italia voi volete (e coerentemente, ripeto, dal vostro punto di vista, ma, a mio parere, con la testa un po’ nelle nuvole) ricreare quel clima e quegli accordi politici, non vi accorgete, rifiutando persino di leggere i giornali, degli eventi che si stanno svolgendo in questi giorni negli altri paesi europei dove (e non solo in Francia, ma anche, e purtroppo, in Germania, dove la situazione è ben più grave) il clima è completamente diverso. Voi pensate di poter fare in Italia, nell’attuale situazione, una politica interna in opposizione e nettamente in contrasto con la crisi internazionale che va maturando in un certo senso? Evidentemente siete voi i nostalgici, gli «ipernazionalisti», che non si rendono conto che una politica interna non può essere indipendente dalla politica estera, e che non si può avere una politica estera orientale e occidentale che sia indipendente dagli eventi che si stanno svolgendo negli altri paesi.

Queste vostre strizzatine di occhio, quindi, onorevoli colleghi, queste vostre intese fraterne, si esauriranno con la discussione e con l’approvazione di questo disegno di legge. E con questo credo di aver risposto anche alla intelligente interruzione dell’onorevole Ruggero Lombardi. Può darsi senz’altro che certe nostre manifestazioni siano giudicate imprudenti, diano esca a determinate intese e quasi le postulino sul piano sentimentale; ma non si va e non si deve andare al di là del piano sentimentale, perché quelle tali nostre manifestazioni si sono svolte, appunto, sul piano sentimentale e sul piano politico: anche voi, senza accorgervene, vi muovete sul piano sentimentale, ma non potete farlo sulle stesse linee anche sul piano politico. Non si possono fare, infatti, due politiche in una volta: o fate la politica del «25-18», cioè del miracolo del 18 aprile (e fu un miracolo anticomunista, se non erro), o ne fate un’altra in senso opposto; ma non si può impostare una campagna elettorale così come l’ ha impostata il Presidente del Consiglio, il quale parecchie volte ha dichiarato agli italiani del Mezzogiorno che il bolscevismo è il pericolo numero uno, e nello stesso tempo pretendere di intendersela con Nenni. Sono esplosioni sentimentali, onorevoli colleghi della maggioranza, che giovano alle sinistre perché servono a giustificare le loro tesi, ma danneggiano voi, perché quando vi presenterete un’altra volta agli italiani con la bandiera del 18 aprile e dopo aver strizzato l’occhio a Nenni, gli elettori non abboccheranno più.

Devo ora rispondere ai colleghi che hanno avuto la bontà di intervenire nel dibattito. Rispondo, naturalmente, piuttosto a coloro che hanno parlato a favore della legge, ma prima di tutto devo ringraziare gli onorevoli Capua, Golitto, Giannini Guglielmo, Cuttitta, Tonengo, Cocco Ortu, De Caro Gerardo, Palmieri per i loro interventi a favore della nostra tesi (non dirò a favore nostro), e devo rinnovare il mio ringraziamento all’onorevole Casalinuovo che in anche in Commissione si è battuto per la nostra tesi, e all’onorevole Covelli che ha fatto altrettanto. All’onorevole Guglielmo Giannini e all’onorevole Cocco Ortu, che hanno sostenuto, con diverso tono e da diversi punti di vista, tesi non dissimili, devo una particolare risposta. L’onorevole Giannini ha toccato un tasto delicato, trattato anche nella relazione di maggioranza. Egli ha detto che noi bariamo al giuoco della propaganda e della battaglia politica; e la stessa cosa ha detto, da un diverso punto di vista, l’onorevole Cocco Ortu, che mi duole di non vedere presente perché volevo dirgli che la nobiltà dei suoi accenti è stata tale, anche quando ha parlato, e duramente, contro di noi, che mi ha commosso e che lo ringrazio per ciò che ha detto, anche contro di noi, ripeto, perché lo ha detto in un tono talmente elevato e nobile e con tanta fede, che trovarsi di fronte ad avversari di quel genere fa piacere.

All’onorevole Giannini debbo dunque dire che è vero, si bara al giuoco, soprattutto durante le campagne elettorali. Chi non bara al giuoco elettorale? Nelle elezioni, nei comizi, qual è l’oratore che ha tanto controllo di sé da non scivolare in quello che è un vero e proprio barare al giuoco?”

GIANNINI GUGLIELMO: “Io, per esempio.”

ALMIRANTE: “Gliene rendo atto e merito ben volentieri, pur non avendo seguito la sua campagna elettorale. Io, invece, faccio ammenda e le dirò che può essere capitato anche a me, per primo, durante una campagna elettorale, nell’asprezza di una battaglia elettorale, di barare, credo, abbastanza innocentemente. Giudichino comunque gli avversari. Ma non è, questo, un tema da liquidarsi così; è un tema molto grave, e ci riporta un po’ indietro. Non al ventennio: fermiamoci alle comuni responsabilità di quest’ultimo periodo. Veda, onorevole Giannini, io penso, e molti italiani pensano come me, che colui che ebbe l’idea di far suonare l’8 maggio 1945 le sirene di tutte le città italiane per annunciare non che la guerra era finita (che sarebbe stato giusto), neppure che ci eravamo liberati del peso della guerra e delle catastrofi che essa portava (che sarebbe stato giusto), ma per annunciare, come dissero alla radio, come scrissero le gazzette, come si fece conoscere a tutto il popolo italiano, che questo aveva vinto perdendo; io penso che quel tale abbia barato al gioco, e mi pare che abbiano barato, prima che gli italiani, gli stranieri…”

COLOSSO: “Ma non è esatto! Affermare ciò non è una cosa seria! È una cosa buffonesca…”

ALMIRANTE: “Vede, onorevole Colosso, ella è un po’ il clown di questa Camera, e quindi usa l’aggettivo «buffonesco» che compete a lei, ma non a me. Hanno barato al giuoco gli stranieri, prima degli italiani. Il giuoco della Carta atlantica non fu un po’ un grosso barare? Sapevano di barare? Non lo sapevano? Non possiamo dirlo… “

GIANNINI GUGLIELMO: “Perché non può dirlo? Io questo l’ ho detto molto tempo fa. “

ALMIRANTE: “D’accordo; ma voglio portarla a dire quello che ancora non ha detto e che, insieme con me, potrebbe dire a conclusione di questo dibattito. Quindi mi scusi la piccola furberia. Partivo da lontano per vedere se si potesse, una volta tanto, arrivare concordi alla conclusione. Hanno barato allora al giuoco quei signori, tutti; e hanno continuato a barare. Quando questi signori dicono che Tito è democratico e che contemporaneamente Franco è democratico e che vi sono dei dubbi sulla democraticità del nostro paese, barano tutti al giuoco. Si bara al giuoco, anche in Italia, quando ci si scandalizza perché dei soldati italiani, che il Presidente del Consiglio ha definito eroici, si presentano sulle piazze; e ci si dimentica che coloro che inveiscono per questo corrono il rischio di trovarsi fra poco, nei vari consessi atlantici, in Germania, accanto, non dirò per esempio a Kesselring che è per ora in libertà provvisoria ma certo al generale Guderian, a Von Rahn, a Heusinger. Egregi signori, se si accetta la morale di Norimberga anche quella, secondo me, fu un barare al giuoco sono criminali anche quelli, e per giunta criminali di guerra. Ed allora la morale di Norimberga la si vuole applicare solo in Italia: non è questo un barare al giuoco? C’è un grosso barare in tutti i sensi e in tutte le direzioni, perché anche gli esponenti di sinistra potrebbero trovarsi insieme a von Paulus o insieme a qualche altro generale hitleriano. C’è un barare al giuoco sul piano internazionale, e c’è un barare al giuoco sul piano interno.

Onorevole Giannini, ella è giornalista. Ho fatto anch’io, modestamente, il giornalista, ma sono stato epurato… “

GIANNINI GUGLIELMO: “Anch’io sono stato epurato!”

ALMIRANTE: “Sul piano giornalistico, quando gli italiani leggono certi giornali indipendenti, con articoli di fondo gravi, densi di pensieri, di concetti, di certi direttori che per venti anni hanno, non dico esaltato il regime fascista (sarebbe niente!) ma hanno codificato i principi politici e dottrinali del fascismo, e che il 26 luglio non un giorno prima né un giorno dopo si sono convertiti all’antifascismo, non le pare che si bari così non al giuoco, ma al doppio giuoco, il che è ancora peggio, o addirittura al triplo o al quadruplo giuoco? E quando questo Governo, che si definisce democratico, e che è democratico, fa difendere contro di noi la sua democraticità vogliamo fare un nome? da Mario Missiroli, io mi indigno; e la gente dice: costoro barano al giuoco; non crede alla loro democrazia, non li piglia sul serio. E quando mi presento io, modestissimo, sulle piazze, e dico queste cose, la gente si diverte: la gente viene ad assistere ai nostri comizi perché trova in noi gente che, se mai bara, bara con carte italiane. Abbiamo forse anche noi qualche carta nella manica: sarà l’asso di bastoni, sarà quello che volete, ma sono carte italiane. “

GRILLI: “Sono tedesche… “

MICHELINI: “Le vostre sono russe! “

ALMIRANTE: “Non ho fatto mai doppi giuochi: ho fatto il mio giuoco…”

GRILLI: “Ha fatto quello dei tedeschi, lei, insieme con gli altri! “

ALMIRANTE: “Quindi il nostro giuoco, ammesso e non concesso che bariamo, è un giuoco piuttosto semplice, schietto, semplicione. Voi dite che inganniamo la gente. Ma allora questa gente si ricrederà! Perché avete tanta paura? Diceva bene, ieri sera, l’onorevole Cocco Ortu: con questi uomini mi sento di battermi su una piazza, di denunziare i loro torti, di trascinare con me l’elettorato italiano, dopo questa sfuriata di malcontento! Noi siamo qui, pronti alla prova. Altro non chiediamo. Che abbiamo fatto, in questi cinque anni, se non aderire a tale impostazione, accettando la battaglia sul piano della convinzione (voi dite della corruzione)?

Che altro abbiamo fatto se non parlare agli italiani? E se gli italiani, in parte, sia pure in piccola parte, ma comunque in una certa parte che va aumentando e non diminuendo, votano per noi, ciò non vi dice nulla? Non costituisce questo, per voi, la base di una diversa politica? Pretendete di chiudere la porta a tutto ciò con una legge repressiva? Qui non si tratta onorevole Scelba, di sciogliere il MSI, e non si tratta neppure di legare i dirigenti del MSI, che è forse l’operazione più semplice e comoda. Qui si tratta di captare quei due milioni e mezzo, quei tre milioni di voti, quei tali voti saranno quelli che saranno che le recenti elezioni hanno espresso in nostro favore. Voi potete sciogliere o legare noi, non i voti. L’opinione pubblica, lo stato d’animo, il sentimento popolare giudicateli come volete non solo rimangono, ma s’ingrossano. E ripeto quello che disse molto bene l’onorevole Roberti la vostra politica è fallimentare, in quanto non è da oggi che state cercando di colpire questo settore politico italiano, e questo settore politico italiano cresce di colpo in colpo. Vi sono i finanziamenti, hanno detto taluni colleghi. Vogliamo parlar chiaro in fatto di finanziamenti? Allora vi chiederò: certi quotidiani di partiti i quali a Roma prendono cinquemila, seimila, ventimila voti al massimo come vivono? Chi li finanzia? Quel denaro, quella pecunia, non olet perché arriva ad un certo settore? Olet solo se arriva al nostro? Noi possiamo, per avventura, sostenere che un partito che ha preso a Roma 142.000 voti si sia potuto pagare i suoi manifesti, grazie al sostegno dei suoi simpatizzanti; ma certo non lo possono altri partiti… “

GIANNINI GUGLIELMO: “Potrebbe sostenerlo Lauro! “

ALMIRANTE: “…i quali non esistono più, o quasi più, e tuttavia posseggono costosissimi quotidiani.

I soldi, chi li dà? Non credo che i quotidiani siano finanziati dagli operai. Saranno finanziati da cittadini italiani o stranieri, certamente democratici, poiché si tratta di voi, ma cittadini danarosi, cioè capitalisti od agrari.

Ed allora, che significato ha questa campagna di denigrazione contro il presunto finanziamento del MSI? Vogliamo moralizzare la vita pubblica italiana, la vita dei partiti politici italiani? Fu chiesta, alla Costituente, una legge sul controllo delle fonti finanziarie dei partiti e dei giornali, e ricordo che l’onorevole Giannini si oppose a quella legge. Ma vogliamo riprenderla? Riprendiamola; ma per tutti, e si chiarirà così la situazione. Vi saranno da apprendere cose molto più divertenti di quelle che l’onorevole Preti va denunziando in quest’aula da qualche tempo. Circa il barare al giuoco, la legge elettorale maggioritaria non è un barare al giuoco? L’opinione pubblica non comprende che si tratta di barare al giuoco? E quando il Movimento sociale lo denunzia, bara esso al giuoco, o denunzia chi bara? E se simpatie vanno verso il Movimento sociale, sono simpatie rubate o regalate a noi da questo Governo e dalla maggioranza? La legge Scelba non è il più clamoroso modo di barare al giuoco della democrazia? E non è essa che ci ha portato gran parte dei consensi che abbiamo avuti? Ci si è detto: ringraziate il ministro dell’Interno. Io non mi sento di ringraziarlo, perché il suo stato d’animo è alquanto contrario alla mia parte, e forse alla mia persona. Ma non potrete ringraziarlo neppure voi. Io non ho né ragione, né interesse, né voglia di ringraziarlo. Non credo che potrete ringraziarlo voi, quando questa avventura politica sarà finita. Io, fra l’altro, lo dissi un anno fa: l’onorevole Scelba è pericoloso; sì, ma per la maggioranza. I fatti lo hanno dimostrato: il 25 maggio lo ha dimostrato, sia pure in modo parziale. Volete altri fatti del genere? Andate avanti con questa politica; lasciate che il ministro dell’Interno vada avanti su questa linea, incoraggiatelo con le facili maggioranze di questi giorni, con gli applausi a ripetizione, con gli evviva; incoraggiatelo: sarà la vostra rovina, non la nostra. Ho poche cose da rispondere agli altri oratori. All’onorevole Scalfaro, che non vedo presente, dirò che si è risposto da se stesso, perché dopo aver pronunziato il suo bel discorso, il giorno successivo è corso a Novara ad abbracciare il senatore Moscatelli; in quell’abbraccio si è rivelata la sua linea politica. Se questa sia la linea politica della maggioranza e se convenga alla maggioranza, ditelo voi.

All’onorevole Gorbino, oltre al già detto, devo semplicemente contestare una frase. Nel resoconto è detto testualmente, a proposito del discorso dell’onorevole Gorbino: «Per qualche tempo certa gente dovrà prendere le nostre misure cautelatrici ed avere gli stessi timori che avevano gli antifascisti durante il ventennio». Ed allora si tratta della stessa politica, che costringe altre persone a rifugiarsi ed a nascondersi a causa di una identica persecuzione. È una confessione che, da parte di un liberale, non credo faccia pubblicità a questa legge.

All’onorevole Bettiol ripetendo che il suo intervento è stato moderato, tanto da correggere l’impressione poco buona data da altri interventi, non controllati e non responsabili, del partito di maggioranza nella sua alta responsabilità di capo di un così forte gruppo parlamentare, desidero chiedere una spiegazione sullo strano enigma della legge polivalente e della legge monovalente. Francamente, non ci capisco più nulla. Durante la campagna elettorale, l’onorevole Presidente del Consiglio ha preso l’iniziativa di annunziare, con la presentazione della legge polivalente, la fine di una politica e l’inizio di un’altra. Se le parole hanno il significato che hanno in italiano, il fatto che viene presentata una legge polivalente per la difesa della democrazia significa che si abbandona la strada della legge monovalente per la difesa della democrazia, e s’imbocca un’altra strada.

Durante la campagna elettorale stessa, la dichiarazione del Presidente del Consiglio suscitò un tumulto di commenti e di polemiche; fra l’altro stando ai giornali non so se bene informati polemiche anche intragovernative, in quanto il ministro guardasigilli dava di quella dichiarazione una interpretazione cioè, secondo i giornali, la presentazione della legge polivalente significava ritiro o inglobamento della legge monovalente mentre il ministro dell’Interno dava altra interpretazione, che sembra avere poi trionfato, secondo cui il cammino parlamentare di questa legge avrebbe proseguito ugualmente. Finita la campagna elettorale, la legge polivalente è stata presentata all’altro ramo del Parlamento. Dei suoi articoli parleremo in sede di discussione degli articoli di questa legge. Ma essa contiene una introduzione, una relazione firmata dal ministro guardasigilli, che conferma la nostra interpretazione politica della tesi del Presidente del Consiglio: cioè, che il Governo vuole abbandonare la strada delle leggi speciali o monovalenti, per prendere la strada delle leggi polivalenti.

Ci è parso, allora, logico chiedere che questa legge venisse esaminata insieme con l’altra, per motivi politici e anche per motivi regolamentari; ci è stato invece risposto di no. Non solo, ma l’onorevole Bettiol, parlando di questo argomento, nel suo discorso, ci ha detto, se non sbaglio, che la presente legge dovrà essere poi «inquadrata» nell’altra legge polivalente. Io mi chiedo: che cosa significa «inquadrata»? Che cosa significa inquadrare una legge in un’altra? A me pare che questo vocabolo non abbia, dal punto di vista legislativo, alcun significato. Significa forse che questa legge sarà in vigore sino al giorno in cui non sarà inserita nell’altra? Allora, questa legge, sarebbe una burletta e avrebbe una vita veramente brevissima, se a poca distanza dovesse subentrare la legge polivalente. Significa invece che le due leggi convivranno, in una specie di coabitazione giuridica? Sarebbe una curiosa situazione. Tutto questo, dal punto di vista legislativo e giuridico, non significa nulla. Poiché l’onorevole Bettiol ha poi detto che questa legge deve essere approvata senza emendamenti, io mi permetto di osservare: come si può, a nome del gruppo parlamentare di maggioranza, dichiarare che nessun emendamento a questa legge sarà accolto, prima ancora che eventuali emendamenti siano presentati e stampati? Come potevate presumere che emendamenti non sarebbero stati presentati? Poteva capitare il caso che alcuni appartenenti alla maggioranza presentassero emendamenti intesi a migliorare la legge (a peggiorare la legge, per noi); perché, dunque, non porsi questa ipotesi? Come avete potuto dichiarare che non sarebbe stato accolto alcun emendamento a questa legge senza offendere voi stessi, senza offendere il prestigio e la serietà del Parlamento? Questo veramente vuol dire barare al giuoco. A parte ciò, voi dimenticate che l’articolo 10 della legge attualmente in esame vi impegna a dichiarare decaduta questa legge non appena entreranno in vigore le nuove norme del codice penale. Non potete, ancora una volta, fare due politiche diverse. Voi volete portare avanti questa legge e avete in cuore, forse, di rinunciare all’altra. Dovete dire, non a noi, ma all’opinione pubblica, quale politica intendete svolgere. Mi avvio all’ultima parte del mio discorso, e rispondo all’onorevole ministro dell’Interno. Egli non ha ancora parlato, ma io, pur non avendo a disposizione speciali servizi di informazione, immagino già quali saranno i temi sostanziali del suo discorso.

Credo che l’onorevole ministro, come ha fatto altre volte, intenda trattare nei nostri confronti soprattutto tre argomenti, che tra l’altro sono stati sfiorati da un relatore di maggioranza. Il primo è il tema della pacificazione; il secondo è il concetto di democrazia protetta, il terzo, la nostra particolare responsabilità, soprattutto per quanto attiene alla nostra condotta durante la recente campagna elettorale. Quanto alla pacificazione, ho sentito parlare molto spesso di generosità. Vorrei far rilevare ai colleghi della maggioranza che altro è una politica di generosità, altro è una politica di pacificazione; l’una e l’altra non si possono fare, l’ una esclude in un certo senso l’altra. La politica della generosità dopo una guerra civile si estrinseca in atti amministrativi, in atti di giustizia, come l’indulto, l’amnistia la più clamorosa fu l’amnistia Togliatti i quali sistemano o risistemano in un certo senso la situazione sul piano amministrativo, ma lasciano immutate le discriminazioni sul piano morale, sul piano politico e finanche sul piano giuridico. La politica di pacificazione è un’altra cosa. La politica di pacificazione, come diceva il collega Poletto, mette una pietra sul passato; la pacificazione riguarda il passato, non riguarda il presente, mantiene intatte le divergenze di vedute, le divergenze di indirizzi, le battaglie, le polemiche, gli scontri per quanto riguarda il presente; ma impedisce che avversari politici, i quali differiscono oggi su determinati problemi, non possano oggi stesso o domani ritrovarsi d’accordo su quelli o su altri problemi, in quanto li divida una barriera insormontabile: la barriera del passato e delle responsabilità assunte da ciascuno nel passato. Ancora una volta, voi dovete scegliere; voi dovete dire non a noi, ma all’opinione pubblica se intendete fare politica di generosità, che è una cosa, o una politica di pacificazione, che è un’altra. In tema di generosità noi non intendiamo affatto entrare in polemica. Noi siamo lietissimi ogni qual volta si annunziano provvedimenti intesi ad attribuire o restituire diritti a categorie di cittadini che ne erano stati privati per effetto della guerra civile. Noi siamo stati felicissimi quando abbiamo appreso che presentavate all’altro ramo del Parlamento una legge per concedere le pensioni agli ex combattenti della Repubblica sociale italiana (meno soddisfatti siamo stati, naturalmente, quando abbiamo appreso che l’esame di quella legge è stato rinviato). Comunque accogliamo, come cittadini, ben volentieri la notizia di ogni provvedimento di tal genere e non vorremmo che vi fossero polemiche in materia, perché le polemiche danneggiano i provvedimenti a favore delle categorie che gli uni e gli altri vorrebbero in qualche modo assistere.

FERRARIO: “Ricordi che l’onorevole Franceschini ha presentato qui, prima ancora di quel provvedimento, una proposta di legge in proposito. “

ALMIRANTE: “Lo ricordo volentieri; e rinnovo all’onorevole Franceschini il ringraziamento per il suo gesto. E sto dicendo che prendo atto volentieri di qualsiasi gesto che in tal senso venga fatto. Però, questa non è politica di pacificazione: è politica di generosità; come tale l’avete presentata voi stessi, come tale l’ ha illustrata ancora oggi il relatore per la maggioranza, come tale l’ hanno illustrata altri oratori di maggioranza. La politica della generosità implica un sistema ed una concezione paternalistici; e comporta la discriminazione dei cittadini in due categorie sul piano morale, sul piano politico e sul piano storico. La pacificazione non c’entra. La politica della pacificazione è un’altra. Ma disse al Senato il ministro che cosa volete allora? La resa senza condizioni della democrazia? Volete invertire le parti, volete voi sottoporre a processo gli altri? Non ci limitiamo a dire che la politica della pacificazione, se politica di pacificazione vuoi essere, deve far crollare, coraggiosamente crollare (l’iniziativa non la potete prendere che voi, perché voi siete al Governo) tutte le linee gotiche, chiudere tutte le polemiche sul passato. Il che non vuol dire che non si debbano perseguire i crimini individuali, nei riguardi di chi abbia commesso reati comuni previsti dal diritto penale. Noi non abbiamo nessun interesse a difendere i delinquenti comuni, e neppure voi. Bisogna che i cittadini italiani siano discriminati sulla base del diritto comune e dei delitti che sul piano del diritto comune abbiano potuto commettere. Occorre fare sì che vi siano da un lato tutti i galantuomini, qualunque sia stata la loro parte politica, e dall’altra tutti i disonesti, qualunque sia stata la loro parte politica. Questa è la pacificazione; ma non la possiamo fare noi, la potete fare voi, se la volete fare. Ora, questa legge chiude le porte ad una politica di pacificazione. Può lasciare intatta una politica di generosità. Ho letto giorni fa sui giornali una notizia che spero vera. L’onorevole Rossi, relatore per la maggioranza, avrebbe auspicato che l’approvazione di questa legge venga accompagnata da un indulto per i reati politici. Spero che la notizia sia vera. Mi dispiacerebbe se non lo fosse. “

ROSSI PAOLO: “Non posso confermare né smentire, perché non ho detto nulla. “

ALMIRANTE. I giornali le hanno attribuito una generosa dichiarazione di questo genere. Noi, certo, ce lo auguriamo, ma ciò non ha nulla a che vedere con la pacificazione; sul piano della pacificazione, questa legge dice no, e in maniera definitiva. Può non interessarvi, ma dovete prendere atto che è così. E vi dimostro che è vero. Quando ieri sera sono stati presentati e illustrati ordini del giorno che chiedono, in sostanza, una riapertura dell’epurazione, che chiedono in sostanza un ritorno, sia pure larvato, a magistrature speciali, che chiedono in sostanza un azionismo politico che maturerebbe oggi le sue vendette per essere stato ieri sconfitto e disciolto dall’opinione pubblica italiana, io non mi sono stupito né scandalizzato. Tale è la logica di questa legge. Se questa legge viene approvata, finiscono purtroppo per aver ragione, dal loro punto di vista, coloro che dicono: non basta la legge Scelba, ci vuole anche un’altra magistratura; dell’attuale non ci fidiamo, fa troppi cavilli; ci vogliono tribunali speciali. Ieri sera ho sentito dire: ci vuole, nella magistratura, un «afflato nuovo». Ma che vuol dire questo? Non è chiaro; o lo è anche troppo. Si è detto, ancora: la legge Scelba potrà bloccare un partito politico, ma ci sono troppi ex fascisti tra gli impiegati statali; e si è dimenticato che se questa gente ha aderito alla Repubblica sociale, è stata già epurata una volta e disepurata in virtù di una legge che avete fatto voi e che porta la data del 7 febbraio 1948, legge di propaganda elettorale essa pure. Si dimentica anche questo? Si può, purtroppo, dimenticarlo, perché la logica della legge Scelba si chiama epurazione e magistratura speciale. “

ROBERTI: “Tanto è vero che se ne demanda l’applicazione al potere esecutivo: è la legge della paura. “

ALMIRANTE: “Ben giustamente dice il collega Roberti che è la legge della paura. “

GEUNA: “Non saranno mica le vostre pubblicazioni, per caso, a promuovere la pacificazione? Avete dimenticato che cos’è la vostra stampa? Sono sette anni che continuate a metterci sotto accusa. “

ALMIRANTE: “Questo è un po’ troppo. “

GEUNA: “No: è la realtà dei fatti! “

ALMIRANTE: “La politica di questa legge, la logica di questa legge è la politica dell’antifascismo, tipica del «partito d’azione»: non lo potete negare. Ora, io vi ripeto quello che ho detto poco fa: due politiche insieme non potete farle. Non potete fare la politica di questa legge e insieme la politica del 18 aprile, non potete fare la politica di questa legge e insieme la politica anticomunista, la politica contro il pericolo bolscevico, che è stata anche di recente tratteggiata dall’onorevole De Gasperi. E badate che noi, con questo, non vi sollecitiamo ad un’intesa; brutta o bella che sia, noi abbiamo fatto la nostra strada e continueremo a farla. Quanto alla democrazia protetta, io ve lo dico chiaro: noi siamo d’accordo su ogni legge che, tutelando i diritti dei cittadini e non stabilendo discriminazioni fra i cittadini, protegga le istituzioni contro i tentativi di sovversione violenta. Siamo d’accordo. Ci impegniamo fin da questo momento, come parlamentari e come partito, ad approvare (salvo naturalmente l’esame delle norme) ogni nuova legge che in tale senso difenda la democrazia contro qualsiasi pericolo. Ci impegniamo ad approvarla; e siamo noi a chiedervi di osservare e fare osservare a tutti le norme del diritto comune. Perché non potete far credere (altro che barare al giuoco!) agli italiani che sia enormemente pericoloso per la democrazia il MSI che, d’altra parte, come ho udito ieri sera, viene qualificato come ridicolo, come puerile, come inutile, come «movimentino» di scarsissima importanza; non potete far credere che sia pericoloso il MSI, di fronte ad una politica di protezione della democrazia, e che non siano pericolosi altri partiti che, non so se sia vero, ma voi vi affannate a dichiararlo, avrebbero a disposizione addirittura degli eserciti clandestini! Perché è stato lei, onorevole Scelba, che in questa Camera, nella seduta del 28 ottobre 1950, parlando sul bilancio dell’interno in qualità di ministro, ha dichiarato esistere (parole testuali) un apparato militare clandestino del Partito comunista. Ella ha dichiarato in quella stessa occasione che, in una provincia, le sue autorità avevano appurato essere il segretario amministrativo di quel partito il capo dell’apparato clandestino. Non ho mai saputo e non so se le sue informazioni di quel giorno fossero vere o false, ma, se false erano, il ministro dell’Interno è stato un po’ leggero e facile nel diramarle al Parlamento e all’opinione pubblica; se vere erano, erano di tale gravità da postulare non un’azione politica, ma un’azione penale immediata. Ella denunciava all’opinione pubblica fatti di tanta gravità, e non ne è seguito nulla. Ne è seguita, invece, a pochi giorni di distanza, la presentazione di questa legge! E qui si bara ancora una volta al giuoco.

Volete proteggere la democrazia? Proteggiamola veramente da tutti gli assalti e non contro i mulini a vento che vi fa piacere immaginare per i vostri fini politici particolari! E vengo alla risposta che devo all’onorevole Geuna, e non mi dilungo dal tema perché essa fa parte di quello che devo dire anche all’onorevole ministro. Ci ha detto il relatore di maggioranza, e certamente lo documenterà l’onorevole ministro (ma penso che potrà fare a meno di tale documentazione dopo le dichiarazioni che sto per fare), ci si è detto: durante la recente campagna elettorale, e prima ancora, da molti anni, siete voi che non controllate i vostri toni, che usate toni talvolta di minaccia, che incitate alla vendetta, che avete fatto aperta apologia del passato, che avete risuscitato figure compromettenti del passato, vi siete smascherati. Ha detto l’onorevole Gonella: dopo la campagna elettorale, abbiamo capito tutto.

Rispondo: in primo luogo, bisogna stare attenti con le accuse di tale genere, perché può darsi (non voglio onestamente escluderlo) che oratori del mio partito, più o meno importanti, abbiano durante la recente campagna elettorale potuto eccedere nella battaglia polemica, che era naturalmente la nostra battaglia polemica e non la vostra e, quindi, poteva richiamare determinati motivi. Può darsi. Però è un dato di fatto che, d’altra parte, nelle forme più responsabili, sono venute verso di noi minacce di estrema gravità, dal punto di vista politico lecite agli altri solamente se, dal punto di vista politico, sono lecite anche a noi le controminacce e le contropolemiche.

L’onorevole Togliatti, in uno degli ultimi e più importanti discorsi, pronunciato nell’Italia meridionale, ha detto (non cito le parole esatte testuali perché non le ho qui, ma mi sarà facile portarvi il documento, perché il discorso è noto a tutti): se il MSI dovesse avere un grande successo nel sud, attenzione, perché noi siamo disposti a spazzare via quelle formazioni. L’onorevole Nenni ha fatto dichiarazioni esattamente analoghe. Perfino il piccolo onorevole Romita ha dichiarato che, se noi avessimo dovuto vincere, egli, con le sue immaginarie forze, ci avrebbe spazzato. E il senatore Parri, in piazza Santi Apostoli, ha fatto un discorso ancora più violento e minaccioso. Ed allora, la legge è uguale per tutti? Sta bene. In questa campagna elettorale la polemica è andata oltre il segno, siamo andati noi oltre il segno? Non Posso escluderlo. Però anche gli altri sono andati oltre il segno nei nostri confronti e non possono dire a loro giustificazione: si trattava di un partito vietato. Lo ha detto l’onorevole Poletto: la legge non è retroattiva. Il Movimento sociale è, fino ad oggi, anche nei confronti di questa legge, un partito come tutti gli altri, ha i suoi rappresentanti al Parlamento, ha preso legittima parte alla battaglia elettorale. Lo stesso onorevole Poletto ha riconosciuto che il Movimento sociale rappresenta dei cittadini e degli interessi legittimi, esattamente come gli altri partiti. Quindi, se da un lato si è, per avventura, offeso il rispetto alla democrazia, lo si è offeso anche dall’altro. Possiamo chiudere anche questo capitolo, se si vuole, o possiamo tenerlo aperto, ma in tutti i sensi. Ma certo l’opinione pubblica non accetterebbe, perché gli italiani hanno sentito i nostri discorsi e quelli degli altri, impostazioni post-elettorali di carattere fazioso. Ma debbo dire un’altra cosa, in particolare all’onorevole Geuna. “

GEUNA: “Ella, onorevole Almirante, non mi ha risposto. A me non interessa quello che ha detto l’onorevole Togliatti. Dico che fin dal vostro nascere la vostra stampa ha suonato accusa contro la Resistenza, ed ingiustamente. E noi, che ne avremmo avuto il diritto, nei vostri confronti non abbiamo mai preso questo atteggiamento. Pertanto, chiedo serenamente: da quale parte è venuta la pacificazione? Non accusateci, proprio voi, di uno stato di cose che soltanto voi avete mantenuto. “

ALMIRANTE: “Le rispondo subito. Mi perdonerà: io non ho il dossier del ministro dell’Interno. Non ero pronto a questa sua obiezione e quindi non ho documenti di quello che dico, ma è molto facile trovarli.

Sono 5 anni, da quando il Movimento sociale italiano è nato, che esso è sottoposto (a voi potrà sembrare giusto, a noi certamente no) nei suoi uomini, nei suoi vivi, nei suoi morti, al continuo, tenace e insistente vilipendio da ogni parte. La discussione che si sta chiudendo ne è stata un esempio. Io mi sono sentito dire da un deputato della vostra parte che, sul piano morale, noi, quelli fra noi che sono stati nella Repubblica sociale italiana, siamo al di sotto del bandito Giuliano. È un deputato democristiano, irresponsabile se volete, però è un deputato democristiano che l’ ha detto in quest’aula. Inutile che vi ripeta quello che nei nostri confronti è stato detto. Lasciamo stare le memorie o le tradizioni. Onorevole Geuna, abbiamo fatto la guerra, e purtroppo anche la guerra civile. Dico «purtroppo» perché, mi creda, l’ho fatta con il lutto nel cuore, come l’ ha fatta lei. Non credo fosse per lei divertente, così come non lo è stata per me. Ma non basta essere d’accordo su questo: ci deve unire anche un’altra cosa: il rispetto per quelli che abbiamo visto cadere accanto a noi. Ma voi non avete dato nemmeno sepoltura ai nostri morti. Voi negate i cadaveri alle famiglie. L’attuale Governo non parlo a lei, onorevole Geuna è responsabile di sottrazione di cadaveri. Tra l’altro, è un reato previsto dal codice penale comune. “

Una voce al centro: “Di chi si tratta? “

ALMIRANTE: “Di Mussolini, se non le dispiace. Cominciate a dare sepoltura ai caduti! “

PRESIDENTE: “Onorevole Geuna, prenda atto che tutto il settore a cui appartiene l’onorevole Almirante dichiara che ciò che si sta dicendo non riguarda lei. “

GEUNA: “Siccome la polemica era fra noi due… “

PRESIDENTE: “Siccome a lei non giunge l’espressione di questo settore, ho il dovere di fargliela arrivare. “

GEUNA: “La ringrazio. “

ALMIRANTE: “Se ci vogliamo ritrovare, onorevole Geuna, sono prontissimo a fare ammenda di tutti gli eccessi polemici cui ci siamo potuti abbandonare; ma ciò deve avvenire, con i fatti, anche dall’altra parte. E qui un altro inciso, per dare una risposta che avevo dimenticato ad una cosa grave detta dall’onorevole Scalfaro. Questi ha parlato, a nostro riguardo, dei capi che scappano. Noi cinque deputati del Movimento sociale italiano diciamo che ci assumiamo fin da questo momento tutte intere, fino in fondo, le responsabilità passate, presenti e future del nostro partito. Sia ben chiaro: non siamo i capi che scappano. “

PIGNATELLI: “Il quinto chi è?”

ALMIRANTE: “È l’onorevole Latanza.”

PIGNATELLI: “Anch’egli assume queste responsabilità? “

LATANZA: “Sissignore. “

ALMIRANTE: “Sissignore. E l’essere venuto con noi in questo momento, lo onora. Vorrei rispondere all’insinuazione dell’onorevole Scalfaro e degli oratori di sinistra sul nostro conto: esserci dietro le nostre spalle chissà quali capi che ci manovrerebbero come burattini. Ebbene, se volete dei responsabili, siete pregati di ricercarli fra noi, che non rinunziamo ad assumere alcuna delle responsabilità del nostro partito. “

SANNICOLÒ: “Chi è il vostro presidente? “

ALMIRANTE: “Non è ancora in quest’aula. Potrà venirci se le leggi eccezionali verranno abrogate. Quando ci verrà, lo saluterete. “

SANNICOLO: “Chi è?”

ALMIRANTE: “È un eroico soldato, come ha detto il Presidente del Consiglio.”

SANNICOLO: “È un assassino! “

ALMIRANTE: “Secondo voi; secondo noi, è un eroe. È una medaglia d’oro: rispettatelo! “

GEUNA: “Non sono un comunista, io. Non mi confondete con loro. “

MIEVILLE: “Bravo Geuna! “

ALMIRANTE: “Quanto al dossier che sarebbe stato preparato contro di noi, come ha detto l’onorevole Poletto, soprattutto dopo la campagna elettorale, io devo fare due dichiarazioni. Primo: se è vero quello che i nostri avversari asseriscono, cioè che durante la campagna elettorale da parte nostra vi sarebbero state flagrantissime manifestazioni di apologia, chiedetene conto al ministro dell’Interno e ai suoi funzionari. Esiste la legge del 3 dicembre 1947, che per il reato di apologia è tanto chiara che questa legge ne riprende le norme. Esiste la legge 3 dicembre 1947, esiste il codice penale, esiste il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Nelle mani del ministro dell’Interno e delle autorità che da lui dipendono sono tutti gli strumenti per stroncare le manifestazioni di apologia del fascismo che si ritengono stroncabili. L’altro giorno, con procedura inusitata in questo Parlamento, come i giornali avversari hanno riconosciuto, sono stato portato in giudizio per avere espresso giudizi politici ritenuti apologetici in un comizio tenuto a Ragusa. “

GIANNINI GUGLIELMO: “Hanno fatto apposta per farla assolvere. Ella non si rende conto della collaborazione che ha in questa Camera… “

ALMIRANTE: “Se tale trattamento l’autorità di pubblica sicurezza ha ritenuto di farlo a un deputato del MSI il quale ha espresso, come potete vedere dal testo dell’autorizzazione a procedere, giudizi da voi ritenuti apologetici, ma enormemente meno gravi di quelli che si sono letti tante volte su tanti giornali non sequestrati, ciò significa che il ministro dell’Interno e le autorità, quando vogliono, hanno i mezzi, la volontà, la capacità di stroncare manifestazioni che non siano ritenute conformi alla legge. Se l’onorevole ministro dell’Interno insisterà, dunque, nel denunciare al Parlamento e all’opinione pubblica eventuali mancanze da noi commesse durante la recente campagna elettorale, prendetevela con lui. E lui se la prenda con le sue autorità. Mi risulta che ha indirizzato circolari ai questori affinché usassero il massimo rigore nei nostri confronti. Vi è stata anche qualche piccola circolare che raccomandava di seguire in modo particolare i miei comizi. Ringrazio l’onorevole ministro di questa speciale attenzione. Se ciò è vero, se le mie informazioni sono esatte, cosa hanno fatto le autorità? Non si venga a scaricare su noi la colpa, non si venga a chiedere conto a noi di una mancanza che il Governo può avere commesso durante la recente campagna elettorale. Non è prudente, da parte del ministro dell’Interno, tirar fuori simili argomenti di carattere poliziesco: non attacca. Se le autorità hanno mancato, il Governo le richiami. Noi saremo i primi ad esserne soddisfatti. La legge 3 dicembre 1947 è da noi considerata iniqua, ma è la legge; e noi ci impegniamo ad osservarla; se non la osserviamo, ci si colpisca. Io, deputato, ne ho dato la prova quando ho votato la mia autorizzazione a procedere perché ritengo, come deputato, di dover rispondere due volte alla legge. Ve lo ho dichiarato. Noi non ci siamo coperti, come hanno fatto altri deputati di altri partiti, dietro voti di amici, di compagni ed anche di avversari, noi ci esponiamo in prima linea.

Ma non si vada oltre i limiti, non si tenda contro di noi questo tranellino che non regge. Penso, dunque, che certi dossier possano rientrare in archivio. A meno che non sia esatta un’informazione estremamente grave che è stata pubblicata dai giornali, in piena contraddizione con quanto l’onorevole Poletto ha affermato all’inizio del suo dire. L’onorevole Poletto ha dichiarato che la legge non ha valore retroattivo, che non contempla fatti compiuti anteriormente all’entrata in vigore della legge stessa. Ora io leggo su un giornale che, secondo un’informazione dell’organo socialdemocratico La Giustizia, il Governo avrebbe completato in questi giorni la raccolta di documenti e di materiali relativi al Movimento sociale italiano e ai suoi gerarchi. «Salvo colpi di scena che peraltro non sono previsti scrive il giornale la legge avrà applicazione. Il Movimento sociale italiano di conseguenza sarà disciolto con buona pace di tutti coloro che vanno affermando che il Governo non è deciso a farlo perché lo scioglimento del Movimento sociale italiano costituirebbe un errore politico. È più probabile però (affermazione ufficiosa di agenzia) che la legge non venga applicata al Movimento sociale italiano come tale (bisognerà attendere che il partito definisca chiaramente se stesso con il congresso che chiede di tenere), bensì a qualche suo esponente». La stessa informazione è comparsa in un organo governativo dell’Italia settentrionale. Io in modo formale, come relatore di minoranza, chiedo al Governo che voglia confermare esplicitamente, alla chiusura di questa discussione, quanto ha dichiarato il relatore di maggioranza (mi perdoni, non è una mancanza di riguardo verso di lei, onorevole Poletto, ma si tratta di precisare delle responsabilità) circa l’impossibilità di applicare la presente legge in maniera retroattiva e di contemplare per l’applicazione di questa legge in sede giudiziaria fatti compiuti anteriormente all’entrata in vigore della legge stessa.

Ché se il Governo non confermasse le dichiarazioni esplicite della maggioranza, allora noi diffidiamo formalmente il Governo dal tentare di mettere in moto contro di noi simile macchina propagandistica e poliziesca, diffidiamo il Governo dal raccogliere oggi per domani dei dossier, i quali di fronte alla giustizia ed anche di fronte all’opinione pubblica (e lo dichiaro perché purtroppo il meccanismo dell’articolo 3 di questa legge può mettere in mora la giustizia e la stessa opinione pubblica) non possono trovare applicazione. Dichiaro anche che, avendoci il ministro dell’Interno, tramite la questura di Roma, gentilmente denunciati, or è qualche tempo, in base alla legge 3 dicembre 1947, per la ricostituzione del partito fascista, ed avendo il pubblico ministero chiesto l’archiviazione della denuncia in quanto non sussistevano, a giudizio dello stesso pubblico ministero, i fatti imputatici, ed essendo arrivata questa archiviazione alla firma della procura generale in data 23 maggio, questa firma sta stranamente tardando. Mi sembra che vi siano più che leciti sospetti di intrusione del Governo negli affari della magistratura, se le mie informazioni sono esatte. “

SCELBA: “Le sue informazioni possono essere sospette. Come fa a sapere queste cose, che costituiscono segreto d’ufficio? Lo spieghi alla Camera. “

ALMIRANTE: “Le so. Sono bene, o forse male informato. Mi auguro di essere male informato. “

SCELBA: “Domando: come fa a conoscere questa attività della magistratura, che dovrebbe essere segreta? “

ALMIRANTE: “Onorevole ministro, «credo» di saperlo, e non ho alcun bisogno di dare spiegazioni. Chiedo dunque al Governo assicurazioni… “

SCELBA: “Io non le darò mai assicurazioni di questo genere, perché, in questo caso, ella chiede cosa fuori della legge. “

ALMIRANTE: “Chiedo che il Governo confermi la dichiarazione dell’onorevole Poletto secondo cui questa legge non avrà efficacia retroattiva, anche perché dal punto di vista giuridico, io non sono d’accordo con i relatori di maggioranza quando dicono con assoluta certezza essere impossibile l’applicazione retroattiva di una legge di questo genere. Ciò diventa possibile (come abbiamo già detto in commissione senza essere sufficientemente smentiti o rassicurati) in quanto la legge apre una procedura a carattere induttivo sui precedenti dei presunti rei e in quanto può consentire al Governo di utilizzare, nei confronti di un partito politico o di uomini politici che si vogliono colpire, anche motivi propagandistici e politici relativi all’attività svolta prima che la legge stessa fosse promulgata. Infine, come abbiamo già preannunciato e come abbiamo già avuto occasione di fare con un ordine del giorno apposito, chiediamo al Governo di voler finalmente pronunciarsi sul problema del congresso del MSI. Su questo ho l’impressione che siano concordi molti fra gli stessi deputati che voteranno a favore di questa legge e, comunque, ho l’impressione che sia concorde con noi molta parte dell’opinione pubblica. Noi attendiamo una risposta a questo proposito, anche perché da essa si potrà giudicare quali intendimenti il Governo abbia nei confronti di questa legge e della politica che essa comporta.

Concludo rilevando quanto segue: 1) l’opinione pubblica prende atto che il risultato elettorale del 25 maggio non vi fa mutare indirizzo politico e addirittura esaspera il precedente indirizzo; 2) l’opinione pubblica prende atto che, dopo aver sventolato per l’ennesima volta durante la recente campagna elettorale la bandiera dell’ anticomunismo e dopo averla sventolata anche e soprattutto nei nostri confronti, subito dopo, a conclusione della campagna elettorale, sul problema che maggiormente vi interessa, voi siete d’accordo con l’estrema sinistra; 3) l’opinione pubblica prende atto che, dopo avere annunciato durante la campagna elettorale una politica polivalente in difesa della democrazia, voi avete ammainato anche quella bandiera e continuate a fare una politica monovalente; 4) l’opinione pubblica prende atto che, con un atto concreto di Governo e di Parlamento, voi dite di no alla politica di pacificazione ed aprite la porta ad un periodo ancora più aspro di polemiche interne; 5) l’opinione pubblica prende atto che il Parlamento dà, con questa legge, al Governo qualche cosa di più dei pieni poteri: gli dà poteri discrezionali con l’articolo 3, in materia di libertà di associazione.

Quanto a noi, ringraziamo Iddio di averci messo al centro di una battaglia di questo genere della quale siamo fieri, che abbiamo condotto, nella povertà delle nostre forze, aspramente e duramente fino in fondo; e vi diciamo che riconfermiamo, in questa occasione, l’impegno di continuare a combattere, impegno che abbiamo preso con i nostri elettori. Soprattutto vi diciamo che, qualunque cosa accada, dalle nostre bocche nessuno sentirà mai ripetere il detto veramente nefando: «Perisca la patria, purché crolli un regime». Anche se voi instaurate e tenete in piedi questo regime che per noi è di eccezione; anche se fate questa politica che per noi è di fazione, la patria rimane sempre più grande di voi e di noi. Continueremo a servirla e quando essa ci chiamerà, da chiunque sia rappresentata, ci troverà ai suoi ordini. Questa è la più alta risposta che vi si possa dare; ed è per questo che mi sento di poter concludere questa penosa, dura, faticosa e talvolta ossessionante e umiliante discussione col nostro e, spero, vostro grido: «Viva l’Italia!»

Seduta del 23 Febbraio 1982

// partito dello Stato, per combattere il terrorismo dilagante, cerca il consenso del popolo italiano. Almirante lancia una petizione per chiedere l’applicazione della pena di morte nei confronti del terrorismo. La proposta raccoglie oltre un milione di firme, la prima è quella di Anna Mattei, madre dei martiri di Primavalle. Tra i firmatari della petizione c’è anche il figlio di Giacomo Matteotti, numerose adesioni sono raccolte anche nella «rossa» Bologna: l’Italia è stufa del terrorismo. Dopo numerosi tentativi di procrastinare il dibattito sulla petizione popolare, arriva finalmente il momento in cui se ne discute alla Camera. Almirante parla all’indomani di un congresso che lo ha rieletto per acclamazione segretario del Msi-Dn.

Pena di morte:

la petizione popolare del Msi-Dn

ALMIRANTE: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, il mio compito stamane è quello di replicare all’intervento svolto ieri dal rappresentante del Governo. Non posso peraltro cominciare senza ringraziare affettuosamente l’onorevole Franchi per la brillantissima illustrazione della nostra mozione. Ringrazio anche i tre deputati del gruppo radicale, che hanno ritenuto ieri di intervenire nella discussione pronunciandosi contro le nostre tesi, ma compiendo per lo meno il loro dovere di parlamentari. Poiché i giornali di questa mattina riportano largamente la notizia che ieri quest’, aula era vuota (e oggi è quasi vuota), io desidero dire con onesta franchezza che come parlamentare ne sono mortificato, come segretario del Movimento sociale italiano e firmatario della nostra mozione ne sono invece orgoglioso, perché non si tratta di approvare o di respingere un documento presentato dal Movimento sociale italiano destra nazionale, si tratta di approvare o di respingere una mozione presentata a norma del regolamento sulla base di una petizione popolare, che è stata firmata da oltre un milione di cittadini elettori. Il che vuol dire che la distinzione tra il paese reale e il paese legale non è mai stata tanto netta ed evidente quanto oggi. Ringraziamo i banchi vuoti, ringraziamo i colleghi assenti, perché essi ci concedono, al di là delle nostre stesse speranze e dei nostri stessi meriti, la rappresentanza del paese reale contro il paese legale, contro questo Parlamento inerte, sonnolento e fazioso fino all’inverosimile, anche nell’assenza.

Ciò premesso, onorevole rappresentante del Governo, io debbo denunciare come irresponsabile l’atteggiamento del Governo quanto al merito della questione: lo denuncio come irresponsabile, riferendomi correttamente alla prima parte delle dichiarazioni del sottosegretario, in particolare là dove ha affermato che le nostre argomentazioni, dalla data di presentazione della petizione ad oggi, hanno perduto molto della loro efficacia dialettica. Io ritengo che lei abbia dichiarato ciò in relazione al successo conseguito dalle forze dell’ordine nel «caso Dozier».

Ci siamo rallegrati a suo tempo di quel successo; voglia Iddio che successi ancora più clamorosi abbiano a determinarsi; voglia Iddio che il fenomeno del terrorismo possa essere stroncato con i vostri metodi; ma oggi stiamo ragionando dopo quanto è accaduto dopo la liberazione miracolosa del generale Dozier. Sono accadute alcune cose, onorevole rappresentante del Governo, sulle quali tornerò più avanti, che hanno colpito l’esercito italiano nel suo prestigio, hanno colpito il sindacalismo di regime pesantemente nella sua residua credibilità, hanno colpito notizie di questa mattina la giustizia, perché nell’aula di sicurezza di un tribunale a Napoli è avvenuto proprio ieri un efferato delitto, terroristico nella sostanza (e poi parlerò dei legami tra delinquenza comune e delinquenza terroristica), e in questo momento siamo sotto vigilanza speciale qui, nell’aula di Montecitorio, e voglia Iddio che non ci capiti qualche cosa, perché si ritiene che il lucernario debba essere adeguatamente protetto. Le pare possibile, onorevole sottosegretario, in una situazione di questo genere, in cui per la prima volta nel dopoguerra, anzi, per la prima volta in assoluto, la frequentazione interna dei palazzi del Parlamento rappresenta un rischio anche personale (lo dico sorridendo perché io non ho scorte all’esterno e quindi il non averle all’interno non fa che aumentare il mio compiacimento per questo doveroso rischio che tutti quanti noi corriamo), le pare di poter, proprio in questo momento, iniziare il suo intervento in quel modo? Questo denota, non lo dico a lei personalmente, che è stato estremamente corretto e gentile, ma mi riferisco in generale a tutti i membri del Governo, che voi siete affetti da una mentalità coloniale, coloniale in senso negativo, insomma siete colonizzati. È stata salvata la vita ad un generale americano, che importa poi se diciotto soldati italiani si sono fatti legare come altrettanti salami? Credo che il prestigio dell’esercito italiano valga almeno quanto la vita di un generale americano! E vorrei che questo potessero dirlo i rappresentanti di tutti i gruppi. C’è da vergognarsi, onorevole rappresentante del Governo, a sentir sostenere tesi di questo genere. Ma questa è stata la sua premessa, dopo di che lei si è riferito agli aspetti giuridico – costituzionali della questione. Ed allora, anche a questo riguardo il confronto ci onora, perché noi chiediamo l’applicazione delle norme di legge vigenti e il Governo invece continua a presentare disegni di leggi speciali. Quando lei, onorevole sottosegretario (adesso ne parlerò, sia pure rapidamente, perché ,

m’ interessano gli effetti politici del problema), dichiara che quanto noi chiediamo sarebbe opinabilmente sottolineo: opinabilmente fuori dalla Costituzione, lei dimentica che immediatamente dopo la discussione e la votazione di questa nostra mozione si inizierà l’esame della cosiddetta «legge propenditi» e noi cominceremo presentando una pregiudiziale di incostituzionalità, che non ci siamo inventati, onorevole sottosegretario, visto che cito dai giornali di più recente pubblicazione l’onorevole Violante, a proposito del progetto di legge sui pentiti e della sua costituzionalità, dice: «La nostra linea, essendoci un sospetto di incostituzionalità, è comunque quella di lavorare in futuro per estendere quanto previsto in favore dei terroristi anche ad altri imputati». Le pare poco una eccezione di incostituzionalità a proposito del progetto di legge sui pentiti, perché si fissano, si statuiscono per legge due categorie, direi quelli che si possono pentire e quelli cui è vietato pentirsi o, più esattamente, coloro che asserendo di essersi pentiti ottengono delle guarentigie eccezionali e coloro che, se anche si pentono sinceramente e lo dichiarano, non ottengono alcuna guarentigia eccezionale? Mi sembra che questa sia una eccezione di incostituzionalità grossa come una casa e il Governo dovrebbe vergognarsi nell’ affrontare il problema sollevato dalla nostra mozione proprio sul terreno della incostituzionalità, perché si tratta proprio della pagliuzza in confronto alla trave. C’è una dichiarazione dell’onorevole Felisetti a questo stesso riguardo: «Dal punto di vista morale e da quello del diritto questa legge» non questa mozione, questo progetto di legge, che fra poco voi sosterrete e voterete tutti quanti insieme «grida vendetta. Essa si giustifica solo come legge di emergenza». Oh, santa pace, come fate a dichiarare queste cose onestamente e al tempo stesso a denunziare come incostituzionale la nostra proposta che si riferisce invece a leggi vigenti e che non consiste nel chiedere nuove leggi e tantomeno leggi eccezionali, ma consiste soltanto nel chiedere che la legge vigente venga rispettata e fatta rispettare?

Ma questo discorso sulla costituzionalità della legge cui noi ci riferiamo, questo discorso sulla costituzionalità del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, datato inizialmente, se non erro, 1931, questo discorso sulla costituzionalità dei codici penali militari di guerra in tempo di pace, questo discorso, onorevole rappresentante del Governo e onorevoli colleghi nostri avversari, ci riporta al più ampio discorso sulle responsabilità di tutta la classe dirigente «ciellenistica», di tutta la classe dirigente del cosiddetto «arco costituzionale», da 40 anni a questa parte.

Prendiamo, ad esempio, l’importantissima norma che va sotto il nome di testo unico per le leggi di pubblica sicurezza, una tra le più importanti leggi che esistano: bella o brutta che sia, è una norma fondamentale. Voi ci venite a raccontare oggi che gli articoli più qualificanti di quel testo unico sarebbero contrari alla Costituzione. Siamo nel 1982, voi esercitate in solido il potere qui dentro (voglio essere generoso) dal 1° gennaio 1948 (non alludo ai periodi precedenti), dall’entrata in vigore cioè della Costituzione repubblicana; voi esercitate il potere, noi non lo abbiamo mai esercitato, non vi abbiamo mai nemmeno partecipato; e ci pensate ora? E vi accorgete adesso che sono incostituzionali norme fondamentali di quel testo unico? Voi avete disatteso completamente il vostro dovere, lo avete disatteso da ogni punto di vista. Potevate, con un semplice tratto di penna, sostituire quel testo con un altro testo; potevate abrogare con i voti di tutti quanti quel testo perché «fascista» (lo dico tra virgolette); avete convissuto con la «legislazione fascista» (sempre tra virgolette) in taluni degli aspetti che potevano maggiormente lo dico io e più direttamente richiamare il regime e la mentalità di quel tempo, perché si tratta di norme pesantemente repressive; non vi siete serviti di quelle norme per tentare di salvare l’Italia dal terrorismo: non volete servirvene, non avete avuto il coraggio e la capacità di modificarle, quando altro rimedio non esiste, non solo a nostro avviso, ma ad avviso di milioni di italiani. Infatti, a prescindere dalla nostra petizione popolare, ci sono state le indagini Doxa, le quali, in crescendo, denotano che più della metà degli elettori italiani è favorevole alla nostra proposta della dichiarazione dello stato di guerra, e pertanto al ripristino della pena di morte.

E voi ci venite a raccontare che queste norme sono «opinabilmente» lei, signor sottosegretario, non poteva andare oltre fuori dalla Costituzione! E allora, la Corte costituzionale, che dovrebbe essere presidio della costituzionalità di tutte le norme? E lo stesso intervento del signor Presidente della Repubblica? Ci risulta che il signor Presidente della Repubblica abbia dichiarato che egli non farà mai grazia ad un terrorista o ad un grande spacciatore di droga. Qui si tratta di fare grazia a priori a centinaia o a migliaia di terroristi dopo che essi abbiano compiuto i loro crimini! Non ci risulta, però, che il signor Presidente della Repubblica abbia rifiutato l’assenso a che quel provvedimento insano venisse esaminato dal Parlamento (infatti, è già stato esaminato dal Senato, e oggi arriva in aula alla Camera)!

Ma con quale coerenza? Come vi permettete di sbarrare la strada nella coscienza popolare a questo provvedimento, che noi invochiamo come attuazione di leggi vigenti, non abrogate, non modificate e consacrate dalla compagnia che ci hanno tenuto per quasi 40 anni? Al termine di 40 anni, quando non sapete come cavarvela, quando il terrorismo incombe sui destini di tutti, quando il lucernario di quest’aula incombe su di noi non come una luce, sia pure attenuata, ma come una minaccia, non vi accorgete del ridicolo in cui cadete tutti quanti e dell’irresponsabilità profonda con la quale vi state comportando?

Se volete esserne ancora più convinti, tiro fuori un foglio ingiallito (qualche giornalista in tribuna c’è): è il Corriere della sera di mercoledì 30 dicembre 1908, un’era della quale non posso essere nostalgico, perché, per quanto vecchio, sono nato un po’ dopo. Ci si riferisce al terremoto di Reggio e Messina, agli sciacalli e all’immediata reazione di quel Governo, che non era certamente fascista ma che, come sapete, si servì immediatamente dei codici penali militari per fucilare gli sciacalli. Ma quel che io non ricordavo e che penso nessuno di voi possa ricordare è che la posizione più netta in favore di quei provvedimenti fu presa dal Partito socialista, attraverso l’ Avanti! Dice infatti, il Corriere della sera di quel giorno che

l’ Avanti! era uscito in edizione straordinaria e che, a proposito degli atti di saccheggio compiuti a Messina e dei pieni poteri conferiti alle autorità militari per salvare gli sventurati superstiti «dall’assalto di quei feroci», scriveva: «Noi non esitiamo ad approvare il provvedimento. A San Francesco di California i depredatori venivano sommariamente impiccati. Noi diciamo che in certi casi come questi la difesa sociale può farsi legittimamente anche a suon di fucilate. Uomini che si lancino al saccheggio in quest’ora non sono uomini, ma lupi e vanno trattati come lupi».

Vorrei sapere se i terroristi, dei quali son piene le cronache dei nostri giornali, non siano lupi e non vadano trattati come lupi. Io non chiedo che vengano trattati come lupi, chiedo che vengano sottoposti alla legge militare, in caso di proclamazione dello stato di emergenza, che noi reclamiamo o in tutto il territorio dello Stato italiano o per lo meno in quelle zone che sono particolarmente oggetto di attentati terroristici.

C’è qualcuno il quale non sia disponibile a ripetere oggi il linguaggio che i socialisti (forse Mussolini era ancora nel Partito socialista e chissà che non le abbia vergate lui quelle righe) usavano allora? Credo dobbiate meditare su queste pagine di storia patria, quelle che abbiamo vissuto insieme e quelle che, per ragioni di età, non abbiamo, evidentemente, vissuto insieme.

Non si dica allora, onorevole sottosegretario, che si vorrebbero da parte nostra imporre metodi e sistemi autoritari, che potrebbero portare alla guerra civile. In guerra civile vi piaccia o no sciaguratamente ci siamo. Io, per dir meglio, siamo in guerra incivile, ma incivili sono coloro che applicano la pena di morte e civili siamo noi che fino a questo momento non la abbiamo avuta a disposizione come vorremmo. Qui, onorevole rappresentante del Governo, ripeto una cosa che ha già detto ieri ottimamente l’onorevole Franchi. La voglio ripetere perché mi sembra sia, fra le tante, la considerazione più seria e importante. Guerra civile. La guerra civile esiste, è in atto; è una guerra che si combatte come una partita di calcio ad una porta sola, una guerra che viene combattuta contro il popolo lavoratore italiano senza che lo Stato italiano intervenga a difesa della vita dei cittadini.

Quando parlo della vita dei cittadini italiani ho evidentemente, onorevoli colleghi, l’umano diritto di ricordare a me stesso e anche a voi, e anche agli assenti, che il partito che ho l’onore di dirigere ha pagato un altissimo tributo di sangue:sono stati fino ad oggi ventitré i nostri ragazzi o anziani (ma si è trattato soprattutto di ragazzi) stroncati dal terrorismo. Debbo anche dirvi cosa che mi dispiace di rilevare, perché rientra in un mio esame di coscienza che mi vergogno, mi vergogno profondamente (e ne chiedo scusa al mio partito, alle famiglie degli assassinati) che non siamo riusciti neppure in un caso ad ottenere giustizia. E non parlo di giustizia sommaria, parlo di giustizia attraverso i tribunali. Perché l’unico caso in cui ci siamo parzialmente riusciti c’è stato guastato e corrotto tra le mani dall’intervento del «Soccorso rosso», capitanato dal senatore comunista onorevole Terracini; sicché l’assassinio, a Salerno, di un nostro ragazzo diciannovenne è stato punito con tre anni e mezzo di reclusione effettiva. L’assassino è uscito in libertà e qualche giorno fa mi ha telefonato da Salerno il padre dell’ucciso, credendomi un personaggio importante (e non lo sono), per chiedermi che io facessi tutto ciò che potevo, perché quell’ anarchico sciagurato che gli aveva ucciso il figlio venisse ridotto fuori da Salerno, città nella quale egli continua a passeggiare, davanti alla casa di quel padre che teme ulteriori tragedie per gli altri suoi figlioli!

La prima firmataria della petizione è Anna Mattei: gli assassini dei fratelli Mattei (il primo di 8 e l’altro di 23 anni) sono in questo momento in Sudafrica, dopo essere stati in Svezia, perché «Soccorso rosso» ve li ha mandati: la giustizia italiana li aveva condannati, ma per colpa dei magistrati non è stata nella condizione di catturarli… Onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, non parlo come uomo di parte perché lo stesso cordoglio io provo ed esprimo nei confronti di tutti coloro che sono caduti in questa battaglia. Non dimentichiamo perché l’abbiamo compianto tutti insieme, quale che fosse il nostro pensiero politico l’onorevole Moro, il più illustre tra i caduti in questa battaglia; non dimentico, colleghi della sinistra, il sindacalista Rossa assassinato a Genova, nella città che ha visto il primo caduto per terrorismo (lo ha visto accanto a me, esattamente accanto a me) il 18 aprile 1970, Ugo Venturini, operaio di 33 anni, assassinato da «prebrigatisti» (ancora le Brigate rosse non avevano cominciato il loro triste ufficio funebre); non dimentico i giornalisti di parte socialista, anche illustri; non dimentico le vittime appartenenti alla Democrazia cristiana; non dimentichiamo soprattutto gli agenti delle forze dell’ordine, i soldati, gli agenti di polizia, i carabinieri. Nei confronti di tutti costoro io mi vergogno, e credo che, entro voi stessi, dobbiate vergognarvi soprattutto voi, uomini di Governo, perché quasi mai la giustizia ha raggiunto i colpevoli! Ora che sembrava possibile che la giustizia cominciasse a raggiungerli, subito interviene la legge «pro pentiti», per salvarne e rimetterne in circolazione una buona parte: e a questo punto la mia personale vergogna si trasforma in sdegno e denunzia. Si raggiungono e superano i vertici della viltà: mai c’eravamo trovati di fronte ad uno spettacolo così degradante!

Voglio rileggere una dichiarazione per me fondamentale, ieri citata giustamente dall’onorevole Franchi: sono le motivazioni del giudice Francesco Amato per il mandato di cattura contro 260 brigatisti rossi: «Il piano eversivo apertamente conseguito e propagandato mediante la diffusione di volantini, opuscoli ed altri scritti, prevede il compimento d’azioni delittuose volte sistematicamente a colpire le strutture portanti ed i gangli vitali dello Stato e della società; a mobilitare la più vasta ed unitaria offensiva armata contro la Repubblica; a suscitare la guerra civile, ad attaccare e distruggere il vigente sistema democratico, ad organizzare ovunque il potere proletario armato per l’insurrezione e la presa di potere. La dimensione e l’efficienza dell’ organizzazione politico-militare, dotata di denaro, armi, basi, tipografie e strumenti di falsificazione, nonché servizi logistici, pongono un concreto pericolo per l’esistenza e l’incolumità dei poteri dello Stato, per l’ordine e la sicurezza interna. Tutto ciò porta alla configurazione dei reati d’insurrezione armata per suscitare la guerra civile». Lo dice un magistrato, responsabilmente e nel momento in cui denunzia 260 brigatisti rossi; lo dice avendo evidentemente compiuto indagini, sia pur preliminari; lo dice sulla base di documenti e di ciò che tutti sappiamo e viviamo, in ogni parte d’Italia! Lo dice anche perché, onorevole rappresentante del Governo, sembra vi sfuggano (nel suo intervento quasi non se ne parla o non se parla affatto) i due dati fondamentali: la saldatura in atto tra la delinquenza politica e quella comune. I magistrati napoletani si sono accorti che occorre approvare al più presto la «leggina» per l’equiparazione della camorra alla mafia. Ma quand’anche tale equiparazione avvenisse, il problema rimarrebbe irrisolto; il problema a Napoli dovrebbero saperlo non è solo politico. Il rapimento del democristiano Ciro Cirillo rapimento che era politico e di malavita ha dimostrato con tutta evidenza la realtà di quanto affermo: è in atto la saldatura tra la delinquenza comune e quella politica. Questo vuol dire che i portatori della guerra civile non sono le centinaia o le migliaia di unità che ci eravamo abituati a ritenere; si tratta invece di decine di migliaia di persone, che operano in questa Italia devastata dalla corruzione, dalla delinquenza, che voi, attraverso la gestione clientelare del potere, avete favorito, tutelato, protetto. Non c’è comune d’Italia che non sia un centro di malavita, che non abbia i fautori, i padrini della malavita. Voi avete esteso la mafia in tutt’ Italia; vi sono, oggi, decine di migliaia di delinquenti organizzati. Vi è la delinquenza dei sequestri di persona, quella della droga ancor più vasta e ramificata , quella dei ricatti, quella camorristica, quella della «’ndrangheta» calabrese e quella della mafia, che ormai si è trasferita anche nel settentrione d’Italia. Tutto ciò si salda con la delinquenza politica, e la legge relativa ai «pentiti» offre la possibilità di nuovi reclutamenti. Sarà infatti comodo, d’ora in poi nel caso questo sciagurato provvedimento venga approvato, delinquere, incassare, uccidere, per poi «pentirsi» ed infine ricominciare dopo qualche tempo a delinquere, incassare, ed uccidere nuovamente. Voi ci state consegnando alla delinquenza; tra quella di vertice e quella di base la saldatura è stretta.

Il secondo aspetto inquietante della situazione lo ha riconosciuto persino il Presidente del Consiglio Spadolini è rappresentato dalle intese a livello internazionale. Anche in questo caso voglio citare come testimonianza la voce di un magistrato, il giudice istruttore Carlo Nordio di Venezia, il quale, rinviando a giudizio un gruppo di brigatisti rossi, ha affermato: «Il giudice istruttore ritiene di dover rilevare, sulla base non di illazioni gratuite, ma di prove concrete, che sono emersi solidi legami tra le Brigate rosse ed altre formazioni internazionali e che l’Italia sia stata e sia tuttora oggetto di mire destabilizzanti ed egemoniche di paesi stranieri». Il Presidente Spadolini, pochi giorni fa cito a memoria, ma lo avete letto su tutti i giornali, ha parlato finalmente di due riferimenti precisi: il KGB ed il «bandito» Gheddafi. Bandito lo dico io, però mi dovete consentire di sottolineare in questa sede vi dirò poi il motivo, che è anche personale un giudizio che è parso imprudente o eccessivo a coloro che lo hanno ascoltato attraverso la televisione o lo hanno visto scritto sui giornali.

Onorevoli colleghi, io leggo i giornali molto attentamente, ma qualche volta ho l’impressione che voi non li leggiate. Su Gheddafi e sul «banditismo» gheddafiano in Italia vi sono documentazioni impressionanti, vi sono prese di posizione in ogni parte del mondo. Alcune prese di posizione sono state, tra l’altro, pubblicate con evidenza da alcuni nostri giornali. Ho qui davanti un titolo apparso sul periodico Oggi, in cui il presidente del Sudan si esprime in tal guisa da giustificare un titolo a tutta pagina: «Appello al mondo: isolate Gheddafi». Nel sottotitolo il capo dello Stato del Sudan così si esprime: «Mi rivolgo a tutti i capi di Stato affinché non collaborino con un uomo indegno di stare in un consesso civile; so che dopo Sadat toccherà a me, ma non temo la morte. Il tiranno di Tripoli ha già fatto bombardare alcuni nostri villaggi di confine abitati da poveri contadini ed ha fatto gettare petrolio nelle acque del Nilo per inquinarle. Gheddafi non è un essere umano! Solo quando sparirà dalla terra molta gente, e non solo in Africa, potrà vivere in pace».

Su Il mattino del 30 giugno 1980 leggo una denunzia che si riferisce sia a Gheddafi come fautore del terrorismo in Italia, sia alla solita Cecoslovacchia, di cui tanto si parla. Onorevole Sanza, penso che lei debba ascoltare questa parte del mio intervento perché, non oggi ma in seguito, il Ministero dell’interno dovrà dare qualche notizia o fornire qualche smentita sull’argomento. Finora il suo Ministero ha taciuto di fronte a quello che è stato pubblicato e che sto per leggere. Dunque, su Il mattino del 30 giugno 1980 è scritto: «Sui più segreti scaffali dell’archivio del Ministero dell’ interno dedicato al terrorismo, accanto al «dossier Cecoslovacchia», c’è quello sulla Libia. Sono ormai entrambi piuttosto voluminosi. Riposano nelle stanze blindate dei sotterranei del Viminale». Se si custodissero le vite dei carabinieri come si custodiscono i dossier che non bisogna tirare fuori perché, altrimenti, i rapporti con Gheddafi o, più esattamente, i traffici di petrolio con Gheddafi, nei quali siete tutti, nessun settore escluso tranne il nostro, alquanto esercitati si potrebbero guastare, penso che si sarebbe risparmiata la vita di molti carabinieri, di molti soldati, di molti agenti di polizia, di molti giovani ed anziani d’ogni parte politica, anche se avreste incassato qualche tangente in meno.

Continua l’articolo: «Per evitare che commandos di terroristi possano arrivare fin lì per distruggerli, ogni documento è stato miniaturizzato ed «imparato a memoria» da un cervello elettronico che ha classificato nomi, dati, rapporti riservati ed episodi. Il secondo fascicolo (il dossier Libia) è tenuto nascosto perché la sua pubblicazione potrebbe indurre Gheddafi a chiuderci i rubinetti del suo petrolio, revocando affari d’enorme portata». Io impegno il Governo, ed il Ministero dell’interno in particolare, a dare, non oggi perché non voglio metterla in difficoltà, onorevole Sanza, ma nei prossimi giorni una risposta. Altrimenti, apriremo un’inchiesta a livello popolare e parlamentare, su questi dati vergognosi. Credo che potremo farlo anche per un altro motivo, onorevole sottosegretario: c’è qualcuno che ricorda ancora, qui dentro, la strage di Fiumicino ? Come mai vi ricordate giustamente, per carità? di tutte le altre stragi? Come mai, da anni a questa parte, si parla tanto delle stragi falsamente attribuite alla destra, mentre della strage di Fiumicino non si parla più? Perché? Cosa c’è dietro? Lo sappiamo benissimo! Gheddafi! Dunque anche questo, onorevole sottosegretario ed onorevole ministro assente, si trova negli archivi segreti, memorizzato e miniaturizzato? Voi conoscete dati e nomi: perché l’inchiesta non procede? Come mai, di recente, il Governo italiano, si è precipitato per offrire a Gheddafi l’acquisto di petrolio pagando qualche dollaro in più per ogni barile? Come mai? Forse è ancora la guerra del petrolio contro il sangue? Il sangue è quello dei poveri diavoli, dei poveri «cristi» del nostro paese! E il petrolio abbonda! Ed allora si parla, a suon di petrolio, di socialismo tricolore! Le speranze dell’onorevole Craxi procedono e poi procedono quelle dei nuovi raggruppamenti di «solidarietà nazionale», tanto cari all’onorevole Andreotti! E dietro ogni formula di Governo, dietro ogni possibile crisi di Governo, ci sono le tangenti ed i traffici! Continuate pure i vostri traffici, ma non fateli pagare con il sangue al popolo lavoratore italiano.

Quando vi si chiede di salvare la pelle degli italiani, siate solleciti per lo meno quanto lo siete nell’ intascare o nel lasciare che s’intaschi o nel non voler denunziare i loschi traffici in cui sono impastati, senza alcuna eccezione, tutti i vostri partiti.

Perché parlo del «bandito» Gheddafi? Perché pur essendo io una modesta persona, mentre il «bandito» Gheddafi è un uomo importante mi sembra che esista un fatto personale. La rivista Sicilia oggi si stampa con il denaro di Gheddafi. Voi sapete che Pantelleria è per metà di proprietà di Gheddafi e conoscete pure la vicenda perché ne hanno parlato tutti i giornali della moschea costruita a Catania in onore dì Gheddafi; voi sapete che in Sicilia gli affari «gheddafiani» procedono . Ebbene, in questa rivista, che reca in prima pagina l’effigie dell’«eroe» e che è tutta in sua difesa, anzi in sua esaltazione, una pagina è dedicata al sottoscritto. In essa, fra le tante amenità sanguigne, si dice: «Non si capisce come si possa prescrivere una ricetta politica secondo la quale si dovrebbero chiudere le porte in faccia a Gheddafi, che dà lavoro a tanti italiani, per aprirle a chi vuole vendere all’Italia qualche decina di miliardi di dollari di armi». A prescindere dai miliardi di dollari di armi, a proposito di Gheddafi che dà lavoro a tanti italiani nessuno ricorda la vicenda, ben più grave di quella dell’aeroporto di Fiumicino, della cacciata a pedate nel sedere dei lavoratori italiani dalla Libia? Nessuno ricorda, sui banchi governativi, che si è trattato di una cacciata vile, di un furto collettivo? Nessuno sa che i nostri coloni sono stati ricacciati in Italia senza una lira, che sono stati persino derubati dei conti correnti postali? Che sono stati derubati di tutti i loro averi, di tutto quello che avevano costruito? Onorevole sottosegretario in questo caso Almirante non parla come fascista, ma come vecchio combattente in Africa settentrionale, io ero un ragazzo quando conobbi la Libia e la conobbi, certamente attraverso le armi, ma soprattutto attraverso le strade che erano state costruite dagli italiani. Ho potuto vedere l’opera dei coloni, le case costruite dai 20 mila coloni, Chi si ricorda più dei 20 mila coloni cacciati a pedate nel sedere dal «bandito» Gheddafi? E adesso si sputa sul sangue dei morti, sul lavoro dei sopravvissuti, si sputa su questa vicenda che non ha niente di nostalgico e niente di imperiale, perché è la vicenda, auspicata da Giovanni Pascoli, della «grande proletaria» che si era mossa finalmente nel Mediterraneo e più in là, per dare lavoro, per far fiorire il deserto! Siamo a questo punto: per quattro barili in più l’Italia ufficiale si vende persino le memorie del passato, perfino le memorie che sono sacre a tutti noi, perché penso che in questo, almeno, tutta l’Assemblea possa essere concorde e ricordare con riconoscenza l’opera dei coloni italiani che hanno affermato non il colonialismo italiano, ma la capacità italiana di dare la civiltà. I libici ebbero persino, in tempo fascista, la cittadinanza speciale: riconoscimento che nessun altro popolo colonizzatore ha mai pensato di dare ai propri «colonizzati»! Ma adesso dimentichiamo tutto: e si trattasse solo di affari, onorevole rappresentante del Governo! Si tratta, infatti, anche di ingerenza ignobile negli affari interni del nostro paese!

Non posso, e non voglio, farvi perdere tempo, ma ho qui, per esempio, un’intervista del «bandito» Gheddafi ad Epoca del 25 novembre 1980, in cui si parla della situazione alla FIAT. Se ne parla perché Gheddafi è uno dei più grossi azionisti della FIAT ed egli, in questa intervista del 1980, diceva che avrebbe volentieri spinto all’occupazione della fabbrica gli operai attraverso l’influenza di cui, come grande azionista, poteva godere. Certo, si è trattato di minacce a vuoto ma, se si vuole davvero capire quel che sta accadendo nel sindacalismo di regime in questo momento, posso rifarmi alla dolorosa confessione di Giorgio Benvenuto, che forse avete letto, ma che è interessante rileggere. Giorgio Benvenuto, su La Repubblica del 12 febbraio 1982, afferma: «Sì, i terroristi nel sindacato ci sono e sono anche più diffusi e presenti di quanto non si pensi di solito. È un terrorismo di tipo nuovo, che non spara a questo e a quel dirigente » per ora, dico io «ma ha come obiettivo quello di attaccare il sindacalismo anni ’80. Questo nuovo terrorismo io lo respingo nelle grandi fabbriche: ci attaccano, ci dileggiano e non ci lasciano parlare. Non abbiamo proposte, sappiamo solo dire di no e rischiamo di essere emarginati, di non contare più niente. Siamo in presenza di una nuova generazione di terroristi, ad una nuova fase, ben più pericolosa delle precedenti». Giorgio Benvenuto respira il terrorismo in fabbrica, noi respiriamo il terrorismo a Montecitorio: si respira il terrorismo ovunque! Lo Stato democratico è infetto di terrorismo e, invece di reagire con delle antitossine virulente ed efficaci, reagisce attraverso una immissione di ulteriori tossine terroristiche nel tessuto connettivo del nostro paese. Questa è la realtà. Tra gli argomenti adottati dal rappresentante del Governo e adottati largamente anche sulla stampa contro di noi e contro la nostra mozione, nonché, a suo tempo, contro la nostra petizione popolare, il più diffuso e, al tempo stesso, il più singolare è quello che, se venisse approvata la nostra proposta, si darebbe ai terroristi il «riconoscimento» (tra virgolette) come combattenti. Ma vogliamo paragonare il «riconoscimento» (tra virgolette) come combattenti che noi daremmo (con tre emme, perché due non bastano) ed il riconoscimento come pentiti che voi vi accingete a dare? Se lo stato di guerra che noi chiediamo, se lo stato di emergenza, lo stato di pericolo venissero messi in funzione e i tribunali militari giudicassero sui reati compiuti dai terroristi, di quali reati si tratterebbe? Evidentemente, si tratterebbe di reati di sabotaggio, di attentato contro i militari impegnati. Secondo voi, i disertori, riconosciuti come tali e puniti come tali, fanno parte dei combattenti? Secondo voi, i sabotatori, riconosciuti come tali e giustiziati come tali, fanno parte dei combattenti? Secondo voi, le spie che, secondo la legge di guerra, devono essere punite con la condanna a morte fanno parte dei combattenti?

Ma dove siamo, onorevole sottosegretario, anche con l’uso della lingua italiana? Voi continuate a parlare il linguaggio ciellenista dopo tanti anni. Non avete ancora stabilito la differenza tra il combattere per la patria ed il combattere contro la patria? Non lo avete ancora capito? Eppure, quello che è successo tanti anni fa dovrebbe avervi messo in guardia contro equivoci di questo genere. Quando noi chiediamo l’applicazione della legge di guerra nei confronti dei terroristi, perché lo stato di guerra (avete sentito la testimonianza del magistrato) non può purtroppo non essere riconosciuto, noi chiediamo che la legge di guerra venga attuata contro i nemici.

Non riusciamo a capire perché applicare la legge di guerra significherebbe disarmare i combattenti o significherebbe dare dignità di combattente al nemico. Scusate, in guerra che cosa impone la legge? Si spari contro il nemico! In tempo di guerra che cosa impone la legge? Si giustizi, s’impicchi, si fucili il sabotatore, il traditore, il disertore! E come li volete considerare nella più benevola tra le ipotesi? Non volete equiparare il terrorista al disertore, al traditore in guerra, al pugnalatore alle spalle? Come li volete considerare? E noi diamo loro onore applicando la legge di guerra, inchiodandoli al muro, chiedendo che siano fatti fuori? Mi sembra veramente che stiate esagerando, proprio nel momento in cui voi state per innalzare a categorie da privilegiare, da beneficiare, da salvare, la vecchia, squalificata categoria dei confidenti. Ma servitevi dei confidenti! Per carità, servitevi dei confidenti! Li avete nelle vostre file! Il Partito socialista, nella sua ala manciniana, ha tutti i confidenti che vuole! Il Partito socialista ha preso Piperno, che è venuto in Italia sotto l’usbergo delle mancate estradizioni. Lo ha fatto parlare a Mondoperaio, lo ha fatto parlare al balcone della federazione socialista di Cosenza. Perché non lo avete invitato a confidarsi? Poteva confidarsi! Quante cose avrà raccontato Piperno a Mancini! E Mancini a Piperno! E Flora Ardizzone! C’è tutta una fungaia di terroristi al vertice del Partito socialista. Usateli! E chi si scandalizza! Date loro denaro! Chi si scandalizza! Chiedete fondi speciali perché il Ministero dell’interno possa pagare i confidenti: noi voteremo a favore. Tra i tanti denari che rubate questi saranno almeno spesi bene, se li spenderete in quel modo! Ma quando mai il confidente è stato promosso a categoria politica, addirittura a categoria morale? In tutti i paesi del mondo, in tutte le polizie ci si serve dei confidenti e li si tratta adeguatamente. Forniteli di passaporti falsi! Forniteli di tutte le tutele! Non fateli ammazzare, come li fate ammazzare stupidamente e vilmente, perché poi con queste segnalazioni ad honorem, evidentemente, qualche Peci finisce sempre per pagare. E ce ne dispiace sinceramente, perché si trattava di una creatura umana, che non meritava quel destino, perché tentava di comportarsi bene. Ma non dite a noi che trasformiamo i terroristi in combattenti e diamo loro un rango d’onore, perché l’unico rango che noi vogliamo dare ai terroristi, naturalmente dopo il giudizio…”

PRESIDENTE: “Onorevole Almirante, il tempo a sua disposizione non è scaduto ma, poiché non vorrei strozzare il suo discorso, la avverto che ha ancora due o tre minuti a disposizione.

ALMIRANTE: “Grazie, Presidente. Credo quindi che la più pesante tra le accuse che ci vengono rivolte sia questa e che io abbia potuto agevolmente dimostrarne non solo l’infondatezza ma la paradossale inadeguatezza. Concludo subito, signor Presidente, con le parole di un altro parlamentare, molto più illustre di me e caro al cuore di tutti noi, il quale, il 16 marzo 1978, il giorno di via Fani, ebbe a dire: «Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Presidente del Consiglio, abbiamo tutti credo la consapevolezza di vivere l’ora più drammatica della nostra Repubblica. Dopo aver sacrificato decine di vite di cittadini che compivano il loro dovere (forze dell’ordine, magistrati, avvocati e giornalisti), queste bande di terroristi sono arrivate al vertice della nostra vita politica democratica. Credo che a questo occorra reagire: guai a pronunciare discorsi di circostanza, perché questa non è una circostanza. Si è dichiarata guerra allo Stato, si è proclamata la guerra allo Stato democratico, ma lo Stato democratico risponde con una dichiarazione di guerra. Una democrazia cui si rivolge una sfida di guerra non risponde con proclamazioni di pace. Salta l’economia, saltano le finanze, salta l’ordine pubblico e si uccidono magistrati, avvocati, poliziotti; saltano i vertici della vita democratica e noi siamo qui a discutere della fiducia al Governo. È un po’ poco, onorevoli colleghi!».

È un po’ poco, onorevoli colleghi, discutere, fra qualche ora, della legge sui pentiti. È un po’ poco, banchi vuoti; è un po’ poco, Camera irresponsabile; è un po’ poco, Governo al vertice della irresponsabilità… Vergognatevi nel ricordo di Ugo La Malfa!”

Seduta del 22 gennaio 1979

È antifascismo anche un colpo di pistola alla nuca sparato da un agente di polizia contro un giovane di destra. La vittima è Alberto Giaquinto, diciassette anni; l’assassino è un sistema politico tutto intero che protegge, fino al processo, l’autore del delitto. È una emblematica vicenda di regime: dalla morte di Alberto (al termine di una manifestazione organizzata per commemorare il primo anniversario della strage di via Acca Larenzia) fino alla Corte di Cassazione, che addirittura prescrive il reato per il tempo trascorso invano. Anche per il sistema uccidere un fascista non è reato?

L’assassinio di Alberto Giaquinto

ALMIRANTE: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole ministro, questo dibattito esprime lo squallore, il grottesco e il dramma della situazione del nostro paese in questo momento sotto l’egida di quella che, con efficacia dispregiativa, il popolo italiano chiama ormai 1’«ammucchiata».

La logica dell’«ammucchiata» l’abbiamo testé udita attraverso la parola del presidente del gruppo parlamentare del Partito comunista, il quale ha dimenticato evidentemente, come penso abbiano dimenticato i gruppi parlamentari del Partito socialista, del Partito socialdemocratico e del Partito repubblicano, che questa formula di Governo e di maggioranza, con tutte le responsabilità anche programmatiche e orientative e non soltanto esecutive che le competono, è nata, per la sventura d’ Italia, nel mese di luglio del 1976, attraverso la corresponsabilità della non sfiducia, per perfezionarsi poi, il tragico 16 marzo 1978, con il voto di fiducia ad un Governo, ad un programma e ad una linea di azione squallida. La logica della «ammucchiata» è questa. Nei momenti gravi, quando i nodi di sangue, di danaro, di vergogna o di omicidio vengono al pettine, la logica dell”«ammucchiata» è quella di lasciare sola la Democrazia cristiana; la logica della Democrazia cristiana è quella di lasciare solo il Governo; la logica del Presidente del Consiglio è quella di lasciare solo il ministro responsabile. Se il ministro è più furbo o più cinico, come lei, fa pagare un alto funzionario, se viceversa il ministro è meno furbo o meno cinico, come un suo predecessore, al tempo della fuga di Kappler, è il ministro che paga.

Questa è una vergogna, mi si permetta di dirlo, è uno schifo: ed è lo squallore dell’ ammucchiata», che riunisce tutti, non a titolo personale, certo, ma come uomini politici e come responsabili di Governo e di maggioranza. Pertanto, quando il presidente del gruppo parlamentare del Partito comunista, uno dei massimi responsabili della situazione, fa il giudice, il suo cinismo è talmente ripugnante che sono felice che i deputati comunisti siano usciti, come al solito, in omaggio ad una parola d’ordine che respinge non il Movimento sociale italiano-Destra nazionale, ma la verità, che ha quei sepolcri «imbiancati» di rosso, e che dispiace sentirsi dire.

Quanto al grottesco, signor ministro, me la cavo con una battuta: lei forse non si è accorto, e non se ne è accorto neanche il Presidente del Consiglio che ha assistito alla prima parte della seduta, che l’arbitro della vita del Governo oggi non è né Berlinguer né Craxi, ma Giannettini. Se scappa Giannettini, cade il Governo, se Giannettini non scappa, è molto probabile che il Governo resti in piedi. Poiché i comunisti non vogliono la crisi (e tutti lo sappiamo); poiché i comunisti ed i socialisti ed anche gli altri partiti dell’«ammucchiata», tranne forse qualche settore della Democrazia cristiana, non vogliono le elezioni anticipate (e tutti lo sappiamo); io penso che in questo momento Giannettini sia custodito sul serio, perché arbitro della vita o della morte di questo Governo.

Ma del grottesco, cioè del caso Ventura, io intendo parlare pochissimo, perché altro è l’argomento del mio intervento. Intendo parlare pochissimo su questo argomento per ricordare a me stesso, e ai banchi, che il Ventura si è sempre professato socialista durante tutto il corso del processo di Catanzaro e che si è professato socialista anche attraverso confermati legami che, per amore della documentazione, della buona memoria, io rilevo attraverso un’interrogazione che fu presentata dal nostro gruppo, e per esso anni or sono dall’onorevole Niccolai nella precedente legislatura: un’interrogazione che chiedeva di «sapere se sia esatto che Piero Comacchio, uomo vicino al segretario nazionale del Partito socialista» che era allora, lo dico di sfuggita, non importa, l’onorevole Mancini «amministratore della ERI-RAI TV, la casa editrice della RAI-TV, ha fondato insieme a Ventura la casa editrice Lithopress». Perché ricordo questa interrogazione che ebbe la solita risposta deludente (si disse che il segreto istruttorio impediva di …)? Non abbiamo mai avuto risposta, ma erano tutte cose vere. Perché, allora, la ricordo questa sera? Perché ho letto sui giornali che un misterioso camioncino, appartenente ad una casa editrice, era comparso al momento della fuga di Freda, poi scomparso e ricomparso adesso.

Io vorrei dare una mano ai suoi servizi di informazione, signor ministro, ammesso che esistano: perché non si informano se il misterioso camioncino appartenesse ad una casa editrice a suo tempo gestita dal Ventura insieme a qualche grosso esponente del Partito socialista? Vogliamo andare a vedere? Mi pare che potrebbe essere interessante. Questa mia semplice considerazione le dice, signor ministro, che siamo veramente al grottesco, siamo al grottesco con pesantissime responsabilità. Per congedarmi dal caso Ventura, voglio ricordare a tutti che, se Ventura è scappato (e vi sono le responsabilità obiettive, come si dice), vi è una responsabilità pregressa: lei sa, signor ministro, chi ha dato una mano a Ventura perché scappasse, sa chi ha creato le condizioni necessarie, e in fin dei conti sufficienti, perché Ventura scappasse e perché Freda, prima di lui, scappasse? Un certo Valpreda. Eh, sì; lei non era ministro dell’Interno allora, ma il signor onorevole Andreotti era Presidente del Consiglio quando, se non sbaglio verso la fine del 1972, la cosiddetta «legge Valpreda» venne presentata da quel Governo (presieduto dall’onorevole Andreotti), che non era un Governo monocolore democristiano, come una legge giusta e valida. Ecco le conseguenze di quella legge, che oggi vengono denunziate da tutta la stampa di regime!

Ho letto sul Corriere della sera, in questi giorni, a firma di un uomo della Resistenza, Leo Valiani, un articolo contro il permissivismo legislativo di questi ultimi anni, che avrei potuto (chiedo scusa a Leo Valiani e alla Resistenza, per carità!) sottoscrivere. Quindi, attenzione ad andare alla ricerca delle responsabilità. Quanto ai mandanti, infatti, onorevole ministro, «grattate» vicino invece di cercare lontano. Vi ricordo Manzoni e la monaca di Monza: grattate vicino! Del nostro gruppo fa parte l’onorevole generale Miceli. Se non sbaglio, la sua testimonianza a Catanzaro è servita a far dare un anno di carcere ad un malizioso generale di nome Malizia, molto vicino al signor attuale Presidente del Consiglio. Grattate vicino se volete scoprire i mandanti di potere, perché si è trattato di una strage di Stato e perché si continua ad uccidere in nome dello Stato. Questa è la realtà, è questo il collegamento tra il grottesco ed il drammatico al quale mi riferisco! E l’anello di congiungimento tra il grottesco ed il drammatico l’ ho qui, signor ministro! È la seconda volta, nel giro di quattro anni, che porto a conoscenza di un ministro dell’Interno (la volta scorsa si trattava dell’onorevole Taviani) un fatto inaudito: che si stampa cioè, si pubblica e si vende liberamente il giornale delle Brigate rosse! Il giornale in questione è Controinformazione. Quello in mio possesso è l’ultimo numero uscito, se sono ben informato. Se lo procuri! Se lo procuri per i motivi che dirò. Faccia presto! O se lo faccia procurare dai servizi di informazione. Non credo che l’agenzia ANSA le darà questa notizia; non può, perciò, affidarsi alle normali informazioni. Ripeto, se lo procuri, onorevole ministro. Lo faccia perché ella va, insieme a tutti i responsabili, incontro ad una denunzia da parte nostra. Le spiego subito i motivi.

Comincio con leggerle l’indice di questa pubblicazione, una parte dell’indice, le cose più interessanti. A pagina 18: «Le lotte autonome contro ogni ghetto Intervista a Daniele Pifano». Ho avuto altre volte motivo di fare il nome di Daniele Pifano. Lo feci in piazza, a Roma, due giorni dopo l’assassinio di un nostro ragazzo: Mario Zicchieri, di 17 anni. Ho denunziato in piazza il signor Pifano, come mandante dell’omicidio, dovuto a mio avviso (non ho i servizi di informazione, che d’altronde non ha nemmeno lei) al «Collettivo di via dei Volsci». Nel nome del «Collettivo di via dei Volsci», di cui si è fatto finta di chiudere la sede (costoro continuano, infatti, ad agire e ad operare), si sono commessi molti delitti, a Roma, in questi ultimi anni. Il signor Pifano è stato recentemente assolto con formula dubitativa per le sue gesta al Policlinico di Roma. Il signor Pifano dicevo è in libertà e l’altro giorno parlava a Radio città futura. Teneva lui banco, durante il corteo. Parlava lui, perché è un libero propagandista! Ma questo è niente. Ed il fascicolo in mio possesso dimostra che egli è collegato alle Brigate rosse. Ed ancora, a pagina 46: «Carceri speciali, documenti e testimonianze: carcere di Cuneo, carcere di Fossombrone, carcere di Trani, carcere di Favignana, carcere dell’Asinara, carceri femminili, carceri di Pianosa». In questo fascicolo sono, dunque, contenute le norme e le istruzioni per evadere dalle carceri speciali. C’è tutto, tutto è spiegato. Vi sono le cartine, dettagliatissime. C’è tutto, tutto in modo assoluto; ed è fatto da tecnici, i quali, evidentemente, sono quelli delle Brigate rosse. Ma si vende liberamente questa pubblicazione! Ancora, a pagina 72: «Lotta armata in Italia: documenti, programmi e tesi delle organizzazioni politico-militari». L’articolo 18 della Costituzione, onorevole ministro, non esiste, è vero? Per carità, non lo si deve applicare! Continuate a non applicarlo! «Documenti, programmi e tesi delle organizzazioni politico-militari. Brigate rosse: risoluzioni della direzione strategica, febbraio 1978. Elementi sulla fase iniziale e sullo sviluppo della lotta armata in Italia», poi i nomi: Pasquale Abbatangelo, Domenico Delli Veneri, Giorgio Panizzari. «Giornale della brigata d’assalto Dante Nanni», «Organizzazione comunista combattente Prima linea»: sono quelli che hanno ammazzato ieri quel povero giovane a Torino.. «Nuclei armati per il potere operaio».

Credete che si tratti di una pubblicazione clandestina? No. C’è il comitato di redazione, che è costituito da Antonio Bellavita in testa. Questi è in Francia, ma attraverso questa pubblicazione annunzia che continua nel suo lavoro di direzione, dal momento che in Francia non hanno concesso l’estradizione. Quando il fuoruscitismo brigatista otterrà gli stessi riconoscimenti che ottenne un altro fuoruscitismo, l’Italia se lo vedrà ministro, no? Sono grossi meriti, questi. Poi, insieme a lui, Erminio Gallo, Maurizio Greco, Gaetano Tavoliere, Francesca Ventricelli, Giovanni Zamboni: ci sono, quindi, ostentatamente i responsabili di questa pubblicazione. È indicata pure la tipografia: «Stampa a cura della grafica editoriale “La Virgola”, via Acquedotto greco 70, Catania, con i tipi della “Alfa grafica SGROI”, via Santa Maria della Catena 87, Catania». C’è l’indirizzo della redazione, infine: «Corso di porta Ticinese 87, Milano», il numero di conto corrente, intestato a Controinformazione.

Le dicevo, signor ministro, ho denunziato un’altra volta la stessa cosa, quando era ministro dell’Interno l’onorevole Taviani. Sa perché denunziai la stessa cosa? Perché era uscito anche allora un numero di Controinformazione, un numero speciale, uscito nel mese di luglio del 1974, dopo il primo duplice crimine delle Brigate rosse, che il 17 giugno 1974 assassinarono a Padova, nella nostra sede provinciale, due cittadini italiani, signor ministro, che non erano teppisti poi parleremo di quelli che ella definisce teppisti, ma due cittadini italiani, un giovane, Giralucci e un anziano pensionato, Mazzola, che avevano l’unica colpa di essere nella sede della loro federazione provinciale alle 9 del mattino, per fare il loro dovere. Assassinati, con il colpo alla nuca, dai brigatisti rossi, i quali, nel numero di luglio di questo sporco giornale, non soltanto rivendicarono il duplice delitto, ma lo raccontarono nei particolari. Dopo di allora, niente! La magistratura, le autorità, nulla! Tentarono è una vergogna che è stata denunziata in un magnifico articolo di Bartoli vanamente, ma impunemente, di far credere che si fosse trattato di una faida in casa missina. Lo si tentò, persino, dopo il rogo dei fratelli Mattei, qui a Roma. Vergogna! Schifo! A questo punto siamo arrivati!

Nel luglio del 1974, gettando sul banco del Governo cosa che questa sera mi risparmio di fare quel numero di giornale, credetti di poter raggiungere qualche risultato. Credetti che il ministro, gli alti funzionari del Ministero si muovessero. Nulla, assolutamente. E nei momenti più pesanti ritorna questa sinistra pubblicazione.

E passiamo, signor ministro, alla tragedia di Roma. Come ella ha visto, ho rinunziato a svolgere le nostre interpellanze ed ho preferito parlare in sede di replica: coltivavo una speranza. Coltivavo la speranza che ella non ripetesse quello che aveva detto qualche giorno fa al Senato. Questo, insieme a quanto ha ripetuto qui alla Camera, ci muove all’indignazione, non solo alla protesta. È vergognoso quello che ha fatto. È ancora più vergognoso perché ella, oggi, è stato in grado di dire una cosa nuova. È una cosa positiva, che noi speravamo si verificasse: ella oggi ha annunziato che il Procuratore generale ha ritenuto di mandare avanti gli atti. Che significa questo fatto, importante e positivo, di mandare avanti gli atti in ordine alle responsabilità dell’agente che ha assassinato, con un colpo alla nuca, il giovane Giaquinto? Significa che il Procuratore della Repubblica ritiene che non vi sia stato uso legittimo delle armi, lo ritiene dopo una prima e sommaria istruttoria, ma lo ritiene, sicché è ancora più vergognoso, signor ministro, ma anche più incauto, più imprudente perché più scoperto, più manifestamente complice dell’assassinio, quello che oggi ci è venuto a dire. Come si fa a ripetere la versione che le hanno fatto leggere in Senato? Il questore di Roma, carico solo di acidità e di responsabilità, lo tenete ancora in servizio. Si caccia il capo della polizia perché è scappato Ventura, ma il questore di Roma, che ha tentato di infangare la figura di un giovane assassinato, il questore di Roma che avalla ed incoraggia il colpo alla nuca, il questore di Roma che è complice di un assassinio, deve stare al suo posto. Il signor ministro viene qui e ripete a pappagallo quello che gli ha detto, mentendo, il questore di Roma, e quando dico mentendo, lo dico con il concorso di tutta la stampa italiana, ivi compreso Paese Sera e tutta la stampa di regime: non c’è giornale che non abbia reagito di fronte alla madornale menzogna della questura di Roma.

Prima di passare alla ricostruzione dei fatti, vorrei, signor ministro, porre una domanda. Posso capire che all’inizio, terrorizzato per le conseguenze politiche e personali di quanto era accaduto, il questore di Roma abbia potuto diffondere una voce falsa, ma non posso capire che a distanza di due settimane si insista nella menzogna, si insista nel dire che il ragazzo aveva un’arma, si insista nel dire che il ragazzo avesse minacciato il sottufficiale che gli ha sparato, il che era impossibile stando al risultato delle perizie, ed è ritenuto impossibile da tutta la stampa italiana, da tutti coloro che si sono occupati di ciò. Perché, da parte della questura di Roma, si insiste, e, cosa più grave, si insiste anche da parte del Ministero dell’interno? Non perché si voglia coprire qualcuno, bensì perché si vuole ricattare qualcuno. Voi avete paura dell’interrogatorio dell’assassino, avete paura che per coprirsi egli scopra altri. Il questore di Roma ha paura di questo processo che si farà e nel corso del quale verrà fuori la verità.

Signor ministro, le dico qualcosa che la questura di Roma le ha taciuto e che bisogna che l’opinione pubblica sappia. Le hanno fatto mentire persino quando le hanno fatto dire in Senato che il ragazzo era stato immediatamente soccorso e trasportato in ospedale. Il ragazzo è stato lasciato per 20 minuti sulla strada, egli non era morto, bensì agonizzante. Se fosse stato portato immediatamente in sala di rianimazione, un miracolo si poteva verificare, se ne sono verificati in casi del genere. So di dire una cosa atroce, che non avrei voluto dire, ma voi ci costringete a rivelare anche questo. Le dico poi una cosa ancora più grave. Mentre i familiari erano stati avvertiti ed erano corsi in ospedale, il signor questore di Roma chiedo scusa, il questore di Roma ha disposto una perquisizione in quella casa sapendo che i familiari non c’erano era presente solo un custode, e la perquisizione è stata effettuata da un maresciallo e da due agenti, con un metodo di cui mi vergogno, io che ho sempre difeso la polizia come istituto. Mi sono sempre rifiutato di dire «sbirri», ma questa volta lo devo dire: con un metodo sbirresco, imposto dal capo sbirro il questore di Roma hanno rovistato nella casa e mentre rovistavano ho le testimonianze dirette che porteremo avanti codesti poveri sciagurati, che adempivano un triste mestiere, telefonavano di tanto in tanto alla questura e dicevano: la pistola non la troviamo! Dalla questura si rispondeva: dovete trovarla!

Cercavano una pistola, che dovevano trovare, perché doveva risultare anche questo; bisognava infangare la famiglia, non soltanto il ragazzo; bisognava dimostrare che era un pericoloso bandito. Vergogna!

Si accertino questi fatti; si sarebbero dovuti accertare prima. Ma che razza di ministro dell’Interno è un ministro che ripete il mattinale della questura, di una squalificata questura, di uno squalificato questore, quando ci sono dei ragazzi assassinati? Lei ha persino avuto il coraggio di dire che noi abbiamo fatto del vittimismo a questo riguardo. Del vittimismo? State a sentire. L’anno scorso, tra il 28 dicembre ed il 7 gennaio, ci hanno ammazzato – mi si permetta di dire «ci hanno ammazzato», perché mi sento padre di questa famiglia, come segretario di questo partito quattro ragazzi, purtroppo non soltanto i due assassinati il 7 gennaio davanti alla sede di via Acca Larentia; c’è anche un altro ragazzo, assassinato il 7 gennaio nello stesso luogo, e un altro giovane assassinato il 28 dicembre, pochi giorni prima. Vittimismo? Che abbiamo fatto, signor ministro? Abbiamo riempito Roma di manifestazioni, di comizi, di cortei? Cosa abbiamo fatto, abbiamo mobilitato l’opinione pubblica? Si sono letti appelli di intellettuali? Ma per carità! Si trattava di quattro tipi di destra, lei avrebbe detto «quattro teppisti». Che cosa abbiamo fatto? Abbiamo chiesto, un anno dopo gliel’ ho chiesto io personalmente di poter celebrare un corteo silenzioso; e nel momento in cui lo chiedevo al sottosegretario per l’Interno, all’onorevole Darida, gli chiarivo che il corteo sarebbe stato preceduto dai parlamentari e dai massimi esponenti del partito per garantirne la correttezza; che non vi sarebbe stata alcuna speculazione; gli spiegavo che non volevamo tenere comizi, perché i comizi sono di pessimo gusto quando si tratta di dare la parola a chi ha dato il sangue. Dopo di che ci avete fatto aspettare giorni e giorni; e voglio dirlo perché è vero, e lei non lo può smentire ci avete detto di sì, nell’imminenza della giornata che stava per giungere; e ci avete detto: «Andate dal questore per concordare con lui le modalità». Ci siamo andati, e ci siamo sentiti dire da quel tipo che, finché lui fosse rimasto al posto di questore di Roma, cortei non se ne sarebbero fatti mai. Faccia tosta; faccia di bronzo, abbiamo scritto nel manifesto; altro che faccia di bronzo! Il corteo, infatti, è stato vietato; e non abbiamo voluto tenere, per rispetto a quei morti, un comizio che sarebbe sfociato certamente in disordini, data la eccitazione naturale dei giovani e dati gli ordini provocatori che il questore lo si è visto aveva già impartito ai reparti da lui dipendenti.

Non esistono squadre speciali? Signor ministro, non so come le chiamiate. Il collega De Cataldo ha ricordato e non dico che mi faccia piacere, anzi mi addolora, perché si tratta di morti un precedente che non avrei potuto con la stessa autorità e sincerità di testimonianze ricordare io: Walter Rossi (colpo alla nuca) e Giorgiana Masi (sembra, colpo alla nuca). Vittimisti noi, signor ministro? In memoria di Walter Rossi decine di nostri ragazzi sono stati incarcerati, sono stati processati, sono stati assolti per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussisteva; e sono stati perseguitati, direi scientificamente, con tutta una serie di ingiuriose imputazioni. Si è cominciato ad incriminarli per omicidio premeditato, poi il reato si è declassato a concorso in omicidio, poi concorso morale in omicidio, poi rissa aggravata, poi… niente. E nel frattempo voi non volete dare il nome del brigadiere assassino? Ma il nome del nostro iscritto Lenaz non fu dato in pasto alla stampa, all’opinione pubblica, agli avversari politici? Ed egli aveva un alibi, che poté dimostrare: era lontano da Roma 180 chilometri. E stasera, finalmente, sento parlare qui di colpo alla nuca da parte dello Stato nei confronti di Walter Rossi, per gettare noi allo sbaraglio. State molto attenti nel trattare da teppisti i nostri ragazzi e nel trattare noi in questo modo, perché non ci stiamo.

Dopo il delitto, ma soprattutto dopo le prime menzogne della questura di Roma a questo riguardo, ho fatto una pesantissima dichiarazione alla televisione, che ha suscitato le proteste di una parte della stampa di regime e soprattutto dei partiti di estrema sinistra, Partito comunista in testa. L’Unità mi ha dedicato un corsivo in prima pagina: «Il caporione fascista minaccia!». Bene, non a titolo di minaccia, per carità, ma a titolo di avvertimento e di chiarimento, ripeto quelle dichiarazioni qui in Parlamento e uno dei motivi per i quali ho desiderato parlare era proprio questo con estrema chiarezza. Sono il segretario del Movimento sociale italiano-Destra nazionale, partito nato 32 anni or sono, che ha onoratamente vissuto alla opposizione quasi tutta, posso dire tutta, la sua vicenda politica, nel bene e nel male, sbagliando o a ragione. Siamo rimasti in numero minore di quelli che legittimamente entrarono in quest’aula e nell’aula del Senato a seguito delle elezioni del 20 giugno 1976, ma proprio questo essere rimasti in numero minore ed i motivi per i quali siamo rimasti in numero minore mi consentono di dire, onorevole ministro, che a questo partito dovete guardare con attenzione e con rispetto, anche perché non avete nulla da darci e non abbiamo nulla da darvi, se non la nostra seria e responsabile partecipazione alla vita politica del nostro paese; non avete nulla da darci, lo ripeto. Non abbiamo mai partecipato alla lottizzazioni, che piacciono tanto a voi, ai vostri amici, ai vostri scherani, ai vostri complici, ai vostri mercenari. Ed allora parliamoci chiaro. Ritenete di poterci tenere, ritenete di poter tenere questo partito, non solo nella sua classe dirigente ma nella sua gioventù che c’è, alla faccia vostra! al di fuori delle norme della convivenza umana e civile? Ritenete di non potere dar luogo a giustizia per quanto ci riguarda, perché questo noi reclamiamo (non privilegi ma giustizia)? La giustizia se lo ricordi, onorevole ministro, nell’esercizio della sua funzione è la sola alternativa alla violenza. Non ne esistono altre. È inutile parlare di pacificazione. No, la giustizia ci vuole! I giovani questo vogliono, a questo hanno diritto. E parlo dei giovani, non dei nostri soltanto, dei giovani puliti, che ci sono, in ogni senso, in ogni direzione; ci sono tanti giovani puliti, ci sono milioni di giovani puliti i quali vogliono giustizia. Ebbene, in nome dei giovani, nostri ed altrui, noi vogliamo giustizia e non molleremo, onorevole ministro. Che cosa credete di fare? Tenerci fuori perché siamo il partito fascista? Avanti!

All’ordine del giorno, da tempo immemorabile, giacciono le richieste di autorizzazione a procedere a questo riguardo contro di noi e mi dicono secondo la relazione democristiana particolarmente contro di me. Avanti, che cosa aspettate? Oppure vi fa comodo ritenere di poterci tenere sotto questa cappa di piombo e continuare a parlare il linguaggio equivoco di una «violenza di destra», che non avete quasi mai il coraggio di dire missina, ma che, definendola «di destra», attribuite a noi per lo meno come complici morali o come mandanti? Coraggio! Avanti! Giudicateci, processateci!

Il Presidente del Consiglio era in aula il 24 maggio 1973, quando cominciò questo sporco gioco contro di noi come ricostitutori del partito fascista. Ve lo ricordate? L’aula era piena allora, perché non si trattava di fare giustizia né di dare pace al popolo italiano, ma si trattava di far ripiombare il popolo italiano in un clima di guerra civile. C’eravate tutti allora; ed il Presidente del Consiglio Andreotti riteneva di fare una grossa cosa mandandoci sotto processo. Sono passati degli anni: avanti, coraggio! Coraggio, e tenete presente che non vi consentiamo e non vi consentiremo di confonderci con i terroristi di destra o i violenti di destra, se per avventura esistono, se si tratta davvero di sigle, di targhe, di etichette, di ambienti che possano essere definiti, sia pure genericamente, di destra. Ne dubitiamo, ma se per avventura si tratta di ambienti che possano essere definiti di destra e che pratichino la violenza fino al terrorismo, io non ho che da ripetere quello che ho detto alla televisione: sono i nostri peggiori nemici e sono i vostri migliori alleati, vostri e soprattutto dei comunisti! Ricordatevelo, e fate attenzione perché state facendo la fine degli apprendisti stregoni. Ritenete di avere messo in moto questo meccanismo infernale contro di noi, ma si sta ritorcendo contro di voi. Cadono i nostri ragazzi, e me ne duole infinitamente. Cadono ragazzi di sinistra o di altre parti; me ne duole altrettanto, ma cominciate a cadere anche voi, perché siete marci, in questo meccanismo di corruzione indotta, di viltà contagiosa, di menzogna invereconda!

Ecco, signor ministro, quanto avevo da dirle questa sera con tutto il mio ed il nostro disprezzo nei confronti del Governo e anche nei confronti degli uomini che ai vostri ordini si comportano come hanno osato comportarsi nei confronti dei nostri eroici ragazzi.”

Seduta del 19 Maggio 1978

Le Brigate rosse hanno fatto ritrovare il corpo senza vita di Aldo Moro. Si è chiuso così un drammatico periodo nella storia della Repubblica italiana, fra i partiti la tensione è salita alle stelle, ci si rinfacciano vicendevolmente dubbi e certezze, apprensioni e sicurezze, silenzi e iniziative. Il dibattito alla Camera vede il Msi-Dn schierato in difesa dello Stato, che non può abdicare nella lotta al terrorismo. Almirante chiede misure concrete, il regime non risponde. La catena di lutti non cesserà: il terrorismo continuerà a colpire per altri anni ancora, l’assassinio di Moro sembra dar nuovo coraggio alle bande armate dell’ultrasinistra che credono possibile la «rivoluzione comunista».

L’assassinio del presidente della Dc

ALMIRANTE: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Presidente del Consiglio, prima di tutto desidero ringraziare i colleghi del mio gruppo onorevole Franchi, onorevole Trantino, onorevole Vito Miceli per i loro interventi, così penetranti, così vasti, soprattutto così coraggiosi e responsabili, che rendono questo mio intervento conclusivo, a questo punto della discussione (salvo, ovviamente, le dichiarazioni di voto), puramente integrativo e complementare di quanto il mio gruppo ha già detto. A proposito dei precedenti interventi e riferendomi, in particolare, all’accorato intervento dell’onorevole Franchi, onorevole Presidente del Consiglio, mi studiavo stamane di trovare il modo di tornare sull’argomento relativo al suo comportamento di ieri, al tipo di discorso che ella ha ritenuto di voler scegliere, quando mi è venuto incontro l’Avanti! di oggi, il quale rileva che ella si è comportato in modo tale che il Governo appare, quanto alla lotta contro il terrorismo, come senza carta di navigazione, senza bussola e senza timone. Io non avrei potuto dir di più. Prendo atto che, dopo e malgrado il vertice che ha preceduto questo dibattito, permangono nella maggioranza governativa più che ombre, più che sospetti; permangono dei dissensi estremamente pesanti, che danno luogo a giudizi ancora più pesanti, formalmente e forse sostanzialmente, di quelli che avrei potuto permettermi io, onorevole Presidente del Consiglio, nei suoi confronti. Quando si dice, infatti, che questo Governo è senza carta di navigazione, si vuol dire, evidentemente, che non ha un programma in tema di lotta contro il terrorismo, si vuole evidentemente evidenziare che ella ieri non ha parlato come Presidente del Consiglio e come ministro dell’Interno ad interim, come avrebbe potuto e dovuto, ma come Presidente del Consiglio ad interini. Questa è la sola definizione credo corretta e garbata, ma penetrante che posso dare del suo comportamento di ieri, che vogliamo tutti sperare (ritengo di poterlo dire a nome di tutti i colleghi, al di là e al di sopra delle parti) possa essere corretto dal suo atteggiamento di oggi. Ci auguriamo una replica molto diversa e molto più responsabile, quali che siano le tesi che ella vorrà sostenere, di quanto non sia stato il suo discorso di ieri.

Parlo di questo argomento anche e soprattutto per chiarire il compito ed il comportamento dell’opposizione da noi rappresentata in Parlamento, di fronte all’evidente tentativo, che si sta ripetendo di giorno in giorno in Commissione e in aula, da parte della maggioranza del 95 per cento e (talora, soprattutto) da parte del Governo, di tappare la bocca al Parlamento, o comunque di rendere sempre meno responsabili, sempre meno rilevanti i dibattiti parlamentari, anche quando il tema sia di tanta importanza. Ci siamo sentiti, dai banchi comunisti, delle dure reprimende, l’altro giorno, delle minacce, una specie di «quos ego» da parte dell’onorevole Natta, a proposito del sabotaggio e l’, Unità, se non erro, questo termine ha usato che l’opposizione, in particolare la nostra opposizione (d’altronde, non in particolare, ma la nostra opposizione), condurrebbe ai danni del Parlamento. Ora, signor Presidente della Camera, il sabotaggio è questo: un discorso di sabotaggio è stato il discorso di ieri dell’onorevole Andreotti; comportamento di sabotaggio e di diserzione è quello dei leaders della maggioranza i quali, se «radiofante» si informa bene, non partecipano in prima persona a questo dibattito; sabotaggio, infine, è il fatto che, mentre si discute delle dimissioni del ministro dell’Interno, cioè di un episodio di primaria importanza, inusitato, inconsueto, significante, che non può non interessare (ed interessa) i destini di tutti gli italiani, dal dibattito in corso emerge l’irresponsabilità del Parlamento in genere, dovuta non certamente alla opposizione ma, ripeto, all’atteggiamento di diserzione (che è molto più che sabotaggio) dei leaders della maggioranza, di tutta la maggioranza e dello stesso Governo.

Questo atteggiamento è così evidente, e così sconcertante, e così sconfortante che, lo voglio confessare, discutevamo noi stessi, tra noi, se valesse la pena di prendere parte in maniera impegnata a questo dibattito. È bene che il Presidente della Camera sappia dalla nostra correttezza e dalla nostra lealtà che quanto più si tenterà, in aula e in Commissione e a tutti i livelli, di sabotare il Parlamento nelle sue responsabilità, tanto più noi ci impegneremo, non per contrapporre sabotaggio a sabotaggio, ma per fare il nostro dovere, visto che non stanno facendo il loro dovere, ostentatamente, né il Presidente del Consiglio, né i suoi colleghi di Governo, né i leaders ed i capi della maggioranza del 95 per cento. Questo anche perché, signor Presidente del Consiglio, l’ex ministro dell’Interno, nella sua lettera di dimissioni tanto esaltata ed elogiata, ma, mi pare, non sufficientemente meditata nei suoi passi più importanti, aveva reclamato, preannunziato e, direi, addirittura introdotto un dibattito parlamentare sulle sue dimissioni. A me pare che sia molto scorretto prendere atto e dare atto della correttezza dell’onorevole Cossiga (oh, finalmente un ministro che si dimette!) e poi non discutere delle sue dimissioni. Infatti non se ne sta discutendo da parte della maggioranza. In attesa del nuovo ministro dell’Interno non si sta, ripeto, discutendo delle dimissioni del precedente ministro dell’Interno, il quale nella sua lettera ha scritto: «Per questo rinnovato impegno e per questa nuova consapevolezza, il Parlamento nazionale ha il diritto ed il dovere di controllare quanto è stato fatto e di esprimere il suo meditato giudizio anche al fine di adottare le determinazioni di competenza».

Ecco, commentiamo tra noi questo passo della lettera tanto decantata, ma anche tanto ignorata, dell’onorevole Cossiga. Egli correttamente dice che il Parlamento ha il dovere, prima di tutto, ed il diritto di controllare quanto è stato fatto. Ma di questo diritto-dovere, il Presidente del Consiglio ieri ci ha spogliato ed espropriato; infatti, ha rifiutato di dire quanto è stato fatto. Ha detto: ciò che è stato fatto, in parte lo avete imparato dai giornali, e accontentatevi, in parte non ve lo posso dire perché ritengo di non doverlo dire. Di conseguenza noi non abbiamo alcuna possibilità, in questo momento, da parte del Presidente del Consiglio, se non ci aiutassero le indiscrezioni giornalistiche, di controllare quanto è stato fatto. Non abbiamo, d’altra parte, la possibilità di concorrere ad adottare le determinazioni di competenza perché il Presidente del Consiglio ci ha detto che, in attesa del nuovo ministro dell’Interno, non intendeva riferire sugli orientamenti relativi alle nuove disposizioni; pertanto, facciamo sulla pelle di sei morti e dello Stato italiano agonizzante un dibattito accademico. Tutto questo è ignobile! Chiedo scusa se mi è sfuggito un aggettivo che può essere considerato eccessivo, ma rimane il fatto che si tratta di una cosa ignobile. Non so come si possa definire diversamente, in termini di correttezza politica, un atteggiamento di questo genere, il quale non è ignobile nei confronti dell’opposizione! Infatti, se io fossi alla testa di una opposizione eversiva o puramente negativa e demolitrice, io dovrei accogliere con soddisfazione e registrare questi atteggiamenti di diserzione, di irresponsabilità da parte della maggioranza del 95 per cento. Ma siccome ho la fortuna e l’onore, non certamente il merito, di essere alla testa di una opposizione nazionale responsabile, io sono angosciato molto più di voi per il comportamento del Presidente del Consiglio, del Governo e di tutti i leaders della maggioranza, nessuno escluso. Inoltre sono angosciato, soprattutto, perché, signor Presidente del Consiglio, le dimissioni dell’onorevole Cossiga (e non vi fate illusioni!), dopo quanto è accaduto, riaprono tutto il discorso che da molti anni si sta facendo, in guise sbagliate o provocatorie, sul grande tema che non è più nemmeno quello dell’ordine pubblico, ma che è il tema della sicurezza dello Stato e della sicurezza del cittadino nello Stato. Tutto il discorso sulla strategia della tensione sulle sue responsabilità, sull’episodio di Genova del 1960, che si è trascinato per diciotto anni con grosso spargimento di sangue e progressiva insicurezza delle istituzioni sin quasi al crollo agonizzante delle medesime: tutto questo discorso dovrete farlo!

L’onorevole Costamagna ha fatto dichiarazioni (non dico rivelazioni) sconcertanti; infatti non ha rivelato cose che già non si sapessero. Comunque, sono sensazionali, le sue rivelazioni, perché provenienti da quei banchi, a proposito delle origini delle Brigate rosse (origini umane, dottrinarie ed ideologiche), delle responsabilità di coloro che hanno messo in piedi talune facoltà di sociologia, da Trento, da Padova fino a Cosenza. Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Camera, rispettosamente questo discorso ci riguarda perché, non a caso, la facoltà di sociologia di Trento ricorda uno degli episodi più dolorosi della nostra vita di partito e di comunità umana: il sequestro di un nostro deputato regionale, l’onorevole Mitolo. Un corteo sovversivo, per le vie di Trento, fu protetto dalla municipalità per tutta la sua durata di cinque ore, con ludibrio non solo di quello che siamo ancora abituati a denominare rispetto della legge e libertà, ma anche dei successivi processi, che si sono svolti in seguito a quell’evento; essi hanno visto non soltanto assolti o quasi del tutto prosciolti i criminali sovversivi, ma hanno registrato anche tutta una montatura di stampa e propaganda di partiti e sindacati in favore dei sovversivi, che stanno poi all’origine delle Brigate rosse, come l’onorevole Costamagna ha ricordato ed in parte documentato. A tale montatura (senza saperlo, evidentemente: non parlo di responsabilità vostre personali, ma di responsabilità politiche di settore) avete concorso tutti, dall’estrema sinistra all’intera Democrazia cristiana! Quando si parla di attività iniziali e successive delle Brigate rosse, lo specialista comunista in materia d’ordine pubblico, l’onorevole Pecchioli, in una intervista rilasciata in questi giorni alla Gazzetta del Popolo, dichiara: «Sì, l’estrema destra è stata risparmiata dalle Brigate rosse. Mi pare che abbiano aggredito un usciere, una volta, a Padova».

Onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio e signor Presidente della Camera: io non rivendico mica dei primati a questo riguardo, sarebbe di pessimo gusto. Vorrei proprio non dover dire quello che sto per ricordare: purtroppo, il primo sequestrato dalle Brigate rosse fu un nostro iscritto, Bruno Labate di Torino, sindacalista alla FIAT- Mirafiori. Purtroppo, i primi due assassinati dalle Brigate rosse sono stati due nostri iscritti, uccisi con colpi d’arma da fuoco alla nuca, nella nostra sede di Padova il 17 giugno 1974. Mi consentirete di soffermarmi un momento su questo episodio che ebbe un’eco in Parlamento, perché ne parlai. Se non vado errato, era ministro dell’Interno l’onorevole Taviani. Signor Presidente del Consiglio, ne parlai riferendomi alle Brigate rosse perché queste, in quell’epoca (giugno-luglio 1974, non preistoria!), pubblicavano un loro giornale ufficiale, intitolato Controinformazione, con tanto di autorizzazione e registrazione presso il tribunale di Milano. L’indirizzo della redazione figurava nella testata.

Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Camera: ella non presiedeva allora la Camera, ma c’era un Presidente; vi erano stenografi che hanno qui registrato quello che sto per ripetere. Esisteva, allora, un giornale ufficiale mensile delle Brigate rosse che si chiamava Controinformazione, che era regolarmente registrato presso il tribunale di Milano, con l’indirizzo nella testata: corso di porta Ticinese n. 86, Milano, e con un numero telefonico che io controllai personalmente prima di venire alla Camera a parlare. Nel numero di luglio dico luglio 1974 il mensile ufficiale delle Brigate rosse si riferiva al duplice delitto di Padova, in cui furono assassinati due nostri iscritti Giralucci, un ragazzo di 23 anni, e Mazzola, un pensionato, che faceva l’usciere presso la nostra federazione, di oltre 70 anni ó rivendicando l’episodio, pur dicendo che le Brigate rosse si attribuivano «ideologicamente» quel delitto (era giusto perché si trattava di due fascisti che dovevano essere assassinati; «eliminati»: questo è il termine esatto) ma ritenevano che ci fosse stato un incidente di esecuzione, perché lo scopo era quello di portare via i documenti dalla sede di Padova, in un’ora nella quale si riteneva che non vi fosse alcuno. Sicché, «poverini», essendo dovuti andare a viso scoperto come al solito avevano dovuto eseguire una improvvisata, ma per altro rivendicata e non condannata da quel giornale, esecuzione nei confronti del Mazzola e del Giralucci. Siccome si trattava di due assassinati di destra, non fu convocato il Parlamento in seduta straordinaria e nessuno pensò sulla stampa di dar luogo a mobilitazioni di opinione, come giustamente è avvenuto successivamente, per altri morti in divisa o in borghese. Siccome si trattava di due missini, si arrivò addirittura a tentativi di inquinamento delle prove, che pur erano evidentissime, da pare della magistratura di Padova, di certa magistratura di Padova che è responsabile in primissima linea di tutto ciò che allora, e anche successivamente e recentissimamente, è accaduto in quella città. La stampa di regime registrò ampiamente gli inquinamenti o i tentativi di inquinamento delle prove. Io venni in Parlamento dopo avere usato il numero telefonico del mensile delle Brigate rosse, perché volli compiere un piccolo controllo personale; e lo feci, registrando la telefonata in partenza dal numero di telefono della sede del partito che ho l’onore di dirigere. Certamente non qualificandomi chiesi al telefono se quello fosse il giornale delle Brigate rosse. Dall’altra parte del telefono mi rispose quel tale Bellavista, che in questo momento è a Parigi, vive tranquillamente con i soldi dei riscatti e se ne frega scusate il termine della Repubblica italiana e della maestà delle sue leggi, perché è stata rifiutata la sua estradizione, dato che è un «combattente» o, meglio, un criminale politico. Ebbene il Bellavista, capo redattore allora del mensile ufficiale delle Brigate rosse, mi rispose al telefono; io gli chiesi: «È il mensile delle Brigate rosse?», egli mi rispose: «Certamente»; gli domandi ancora: «Continuerete a pubblicare questo mensile che mi piace tanto, che dice cose tanto interessanti, sebbene voi addirittura rivendichiate degli atti di guerra o dei delitti?». Egli rispose: «Ma certamente». Gli chiesi: «Avete noie con le autorità?», «Nessuna noia, il nostro giornale è regolarmente autorizzato. Stiamo procurandoci la carta patinata Per il prossimo numero e questa è la sola difficoltà che abbiamo».

Venni in Parlamento, era seduto sui banchi del Governo l’onorevole Paolo Emilio Taviani, assertore non degli opposti estremisti, ma solo del pericolo che veniva da destra e sostenitore della tesi secondo cui a sinistra c’erano solo dei ragazzi un pò deviati, insubordinati o meglio vivaci: era questa la parola più dura che l’onorevole Taviani era abituato a pronunciare contro i criminali della sinistra extraparlamentare. Io esposi allora quello che sto dicendo, avendo nella nostra collettività umana il sangue ancora caldo versato da due morti. Eravamo stati ai funerali, in Padova, il 18 giugno del 1974, e non c’erano state onoranze di Stato, né alcuna potenza, naturale o soprannaturale, era intervenuta per benedire quei poveri morti, perché erano morti di destra, o fascisti, chiamateli come volete. La mia fu una arringa appassionata e inutile, come probabilmente inutile sarà nei vostri confronti, non nei confronti della pubblica opinione! anche la modestissima arringa che sto pronunziando in questo momento. Ma queste sono cose serie e gravi: non ci si può battere il petto perché è morto qualcuno, senza battersi il petto perché è morto qualcun altro; non si può continuare a distinguere e discriminare non più soltanto tra i vivi, ma tra i morti; ma, soprattutto, non si può non riaprire tutto il discorso delle responsabilità: il mio è un j ‘accuse! di fronte ad un’aula distratta e semivuota, ad un Presidente del Consiglio il quale ha dimostrato, politicamente parlando, indifferenza e cinismo come neppure osavamo permetterci di immaginare.

Si riapre però tutto il discorso: si riapre il discorso di Genova 1960; si riapre, colleghi comunisti, il discorso sul signor Lazagna, vostro esponente ed ispiratore fin dal 1960 di tutto quello che a Genova, e da Genova a Torino, si è organizzato e tramato. È venuto «frate mitra» a raccontare qualcosa in Italia, con grande coraggio e con enorme viltà da parte di chi lo ha costretto a esibirsi, a mostrarsi, e così a correre pericoli che non avrebbe dovuto correre; e, guarda caso, i magistrati lo hanno pregato di fare un salto a Padova, dopo Torino, per riandare alle origini, o a una delle origini del fenomeno Brigate rosse, per intrattenersi con quei magistrati, per sapere qualche cosa, se possibile, del caso Mazzola – Giralucci, dei nostri due assassinati nella federazione di Padova. Ma, signor Presidente del Consiglio, perché non torniamo a Genova, allora, dove, ad opera degli stessi criminali, il 18 aprile del 1970, accanto a me, fu assassinato il nostro operaio trentatreenne Ugo Venturini? Perché non si viene a Roma per chiederci chi abbia assassinato il ragazzino Mario Zicchieri? Io in piazza ho fatto il nome lo ripeto qui del sicuro mandante del delitto Zicchieri, un ragazzino di 16 anni e mezzo, assassinato a Roma mentre entrava in una nostra sede al Prenestino. Ho fatto il nome, e lo rifaccio; non ho alcuna paura, per carità; mi vergognerei se l’avessi. Ho fatto il nome del Pifano, il capo del «collettivo» di via dei Volsci. Andate a studiarvi le inchieste che sono state compiute a proposito del «collettivo» di via dei Volsci; chiedetevi perché un magistrato abbia proposto che tutto fosse archiviato, perché si trattava di un circolo culturale; chiedetevi perché, qualche settimana dopo, quel magistrato si sia suicidato; chiedetevi perché, anche di recente, il Pifano abbia goduto di incredibili tolleranze da parte della magistratura romana; chiedetevi se sia vero che la sede di via dei Volsci sia stata chiusa e sigillata, oppure se quel collettivo non continui a funzionare; chiedetevi se, essendo stati assassinati il 7 gennaio tre nostri ragazzi, non sia vero che il 9 di gennaio di quest’anno, nell’aula magna della mia vecchia, cara facoltà di lettere, non si sia riunito un collettivo del cosiddetto «Contropotere territoriale» (altra organizzazione che fa capo all’insieme di quelle eversive, che poi hanno il loro cervello, la loro guida nelle Brigate rosse); documentatevi, per cortesia, ci sono perfino le registrazioni, che noi inutilmente abbiamo messo a disposizione delle autorità, da cui risulta che quel collettivo, il 9 gennaio in quell’aula magna, ha rivendicato il triplice delitto di due giorni prima, senza maschere, con nomi e cognomi non dico degli esecutori ma certamente dei complici e senza alcun dubbio dei mandanti. Chiedetevi perché, a seguito di tutto ciò, la questura di Roma e il Ministero dell’interno non abbiano mosso un dito. Chiedetevi se è vero anche se sembra incredibile che dopo quel triplice delitto era carne venduta, di destra, fascista, chiamatela come volete, ma erano tre ragazzini, il più vecchio aveva 23 anni e il più giovane 17 non vi è stato un fermo, una perquisizione, un’indagine! Chiedetevi il perché di tutto questo. Non sfuggite perché non sfuggirete alla riapertura di tutto il vasto discorso sulla «strategia della tensione» e sulle sue responsabilità. Per questo mi sarebbe piaciuto che il dibattito sulle dimissioni dell’onorevole Cossiga si fosse svolto responsabilmente in un’aula piena, con l’onorevole Cossiga presente e con un Governo in diverso atteggiamento. Perché, è vero, l’onorevole Cossiga è stato correttissimo per carità, se ne è andato, finalmente un ministro che se ne va ma è anche vero che il 16 marzo in quest’aula io fui il solo a chiedere le immediate dimissioni dell’onorevole Cossiga. Le chiesi per motivi politici e non personali. Ho il dovere di non manifestare risentimento verso alcuno e non manifesto risentimento personale verso nessuno, neanche nei confronti dell’onorevole Cossiga, come nei confronti del suo sciagurato predecessore, onorevole Taviani, ma ne stiamo discutendo politicamente. E allora, ricordiamoci che l’onorevole Cossiga il 6 ottobre dell’anno scorso, nell’altro ramo del Parlamento, ha pronunziato un ignobile discorso, che si è rivelato falso dalla prima all’ultima considerazione, ingiurioso e provocatorio, nel quale ha testualmente affermato che tutte le responsabilità della violenza e della tensione ricadono sulla classe dirigente del Msi-Destra nazionale.

In questo discorso l’onorevole Cossiga è andato al di là delle stesse posizioni provocatorie precedenti dell’onorevole Taviani e da me ora ricordate, in una cupidigia di servilismo nei confronti di quell’estrema sinistra che ha tenuto in piedi, finché ha potuto, l’onorevole Cossiga, come ministro dell’Interno. In un dibattito serio avremmo dovuto sapere se è vero ed io credo che lo sia che l’accettazione delle dimissioni dell’onorevole Cossiga, atto di esclusiva competenza del signor Presidente del Consiglio, ha avuto luogo non dopo un colloquio a due, ma a tre. I giornali hanno raccontato che l’onorevole Pajetta si sarebbe introdotto nella stanza del Presidente del Consiglio a palazzo Chigi mentre questi discuteva di questo argomento con l’onorevole Cossiga, e che la decisione di accettare le dimissioni dell’onorevole Cossiga…”

ANDREOTTI: “Perché crede a queste cose!

ALMIRANTE: “Perché non sono state smentite, signor Presidente del Consiglio.”

ANDREOTTI: “Se dovessimo smentire tutte le stupidaggini che vengono dette…!”

ALMIRANTE: “Non si tratta di una stupidaggine, si tratta di un colloquio che…”

ANDREOTTI: “Comunque, è una stupidaggine.”

ALMIRANTE: “La ringrazio di questa sua precisazione che dà degli stupidi a dei giornalisti che servono la sua persona ed il regime ogni giorno. Prendano atto in tribuna stampa che i servizi resi alla Presidenza del Consiglio e al Partito comunista sono così gratificati.

Sarebbe stato molto meglio, molto più corretto, mi perdoni signor Presidente del Consiglio ma è un problema di estrema importanza lo vorrà riconoscere che gli italiani non dico i parlamentari, per carità, non abbiamo nessun diritto come parlamentari di ricevere tempestive informazioni fossero informati che era una stupidaggine quello pubblicato da parecchi giornali circa un colloquio a tre, Andreotti, Cossiga e Pajetta, nell’ufficio del Presidente del Consiglio. Se ella lo avesse smentito, sarebbe stato indubbiamente bene. Ad ogni modo…”

ANDREOTTI: “Ci vorrebbe un ufficio smentite, che lavorerebbe troppe ore al giorno.”

ALMIRANTE: “Non serve un ufficio smentite. Così come ha fatto pochissima fatica in questo momento a dare una rettifica, per me cortese, per i giornalisti indubbiamente meno, ma se lo meritano forse, poteva incaricare qualcuno per la smentita. L’onorevole Evangelisti ne dice tante non di stupidaggini, per carità è sempre a disposizione dell’opinione pubblica italiana nel «Transatlantico» per smentire cose vere e dire cose false, che una volta tanto avrebbe potuto smentire una stupidaggine detta da altri e non messa in giro dagli stessi ambienti della Presidenza del Consiglio o dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

Comunque, non ho voluto svilire mi perdoni le argomentazioni serie di cui stiamo parlando, attraverso questo episodio. Voglio soltanto dire che il dibattito sulle dimissioni del ministro Cossiga non c’è stato e che noi, nel quadro di un dibattito che portiamo avanti malgrado la atonia del Governo e della maggioranza, rileviamo che, fra i motivi politici che hanno portato alle dimissioni del ministro Cossiga, il più importante, il più rilevante sta proprio nel fatto che l’onorevole Cossiga si è allineato per ordine comunista o no, per intervento di suo cugino Berlinguer- o no: non ha nessuna importanza su posizioni false e provocatorie, che hanno stravolto il giudizio del Parlamento, della stampa, della radio, della televisione per mesi e per anni, ma soprattutto in questi ultimi tempi, tentando di addossare responsabilità, che noi non avevamo, sulle spalle della classe dirigente del Movimento sociale italiano. Signor Presidente se tutto fosse qui, direi: pazienza, facciamo una battaglia di opposizione, di opposizione vera, autentica, senza tregua; è logico che ne paghiamo le spese, è logico che il Governo e la maggioranza ce le facciano pagare, addebitandoci responsabilità che non abbiamo. Ma il guaio è, la tragedia è che ha pagato povera gente, soprattutto giovane gente, che ci ha lasciato la pelle.

Queste dichiarazioni provocatorie hanno giustificato, hanno avallato le provocazioni di piazza, di strada, gli agguati di scuola. Noi non sfuggiamo al discorso globale sulle responsabilità, signor Presidente. Il giorno in cui si facesse speriamo un dibattito serio sulle responsabilità, non saremmo alieni dall’assumerci anche le nostre. Può darsi che abbiamo sbagliato anche noi, può darsi che taluni nostri atti, talune nostre parole, talune mie parole, possano essere ricondotti a responsabilità di carattere generale o di carattere particolare o di carattere personale. Sta di fatto che il Governo, rappresentato dal ministro dell’Interno, recentemente ha assunto una posizione che è costata lacrime e sangue al popolo italiano e che si è rivelata, alla stregua dei fatti, delle prove, dei documenti, delle stesse dimissioni del ministro dell’Interno, una posizione provocatoria, strumentata senza alcun dubbio da chi ne aveva più interesse, e cioè dalla Democrazia cristiana e dal Partito comunista.

Bisogna anche che vi rendiate conto, signor Presidente del Consiglio, che il discorso sulle Brigate rosse non può non condurre ad un approfondito discorso di carattere internazionale. Ho qui documenti che, per brevità, eviterò di leggere o addirittura di citare. Ma lei sa benissimo, signor Presidente del Consiglio, che alla favoletta delle Brigate rosse nate sotto un cavoluccio italiano non crede nessuno. Non c’è osservatore politico, non c’è giornalista, non c’è parlamentare, non c’è uomo di Governo che ci creda. Si sono lette interviste, su giornali certo non a noi vicini, non smentite dichiarazioni cito solo quella dell’onorevole Piccoli, perché è il presidente in carica del gruppo della Democrazia cristiana relative ai collegamenti tra le Brigate rosse e la Baader-Meinhof o fra le Brigate rosse e l’OLP o fra le Brigate rosse e i famosi centri di addestramento al di là della cortina di ferro. Così, anche oggi, dalle parole dell’onorevole Costamagna sono state lanciate sia pur generiche accuse o, comunque, indicazioni; si sono fatti dei riferimenti ad interessi di altre potenze, addirittura del mondo occidentale, o intromissioni di altri servizi più o meno segreti.

E un discorso che bisogna fare, quello sulle corresponsabilità o responsabilità internazionali. Noi lo abbiamo fatto e lo stiamo facendo sulla nostra stampa, nelle piazze d’Italia, durante le recenti campagne elettorali. Credo che a Trieste ora si dovrà fare, per evidenti motivi, questo discorso, perché Trieste, se sono vere talune interpretazioni, che noi riteniamo non inesatte, si trova in prima linea, o per lo meno è un crocevia di estrema importanza. Non si può sfuggire, signor Presidente del Consiglio, a questa parte del discorso. Quindi, non possiamo non prendere atto con soddisfazione del fatto che in Senato se siamo bene informati una settantina di parlamentari della Democrazia cristiana stanno promovendo un’inchiesta parlamentare. Noi riteniamo urgente che il Governo aderisca a questa iniziativa e la favorisca, cosicché i Presidenti delle due Camere la portino avanti e non la considerino se da noi sostenuta come un atto di sabotaggio nei confronti delle attività parlamentari.

Dico questo anche perché ci capita di dover leggere sui giornali certamente non a noi vicini notizie sconcertanti e di grosso rilievo, che richiedono dei chiarimenti.

Ecco, di tutte le citazioni che mi proponevo di utilizzare quest’oggi, ne utilizzo una sola, perché è la più fresca, perché non se ne è ancora parlato: qui il giornale La Repubblica, questa mattina, reca un grosso titolo: «Servizi segreti in allarme per le “confessioni” di Moro». Pubblica un’intervista con un alto ufficiale dei servizi segreti che fa delle rivelazioni assai gravi, naturalmente senza fornire il proprio nome. Egli comunica di aver completato un importante lavoro, al quale hanno collaborato, come è comprensibile, anche i servizi segreti di altri paesi dell’Alleanza atlantica questo vuol dire che è stata compiuta una certa scelta di campo nelle indagini: ne prendiamo atto, con soddisfazione, magari, ma è importante che si sappia e che se ne parli ed aggiunge di aver raggiunto la prova «che quelle missive contengono una sorta di codice, anche se non in senso proprio, di un vero messaggio cifrato». E aggiunge che i risultati di questa prima indagine sono questi: «Aldo Moro» tengo a precisare che sto citando testualmente, perché non vorrei essere accusato di irriverenza nei confronti della memoria dell’onorevole Moro «ha fatto numerose e gravi rivelazioni ai suoi carcerieri a proposito di uomini, cose e situazioni. Sia di carattere politico, sia di carattere militare». Ora, io non pretendo, per carità, dal Presidente del Consiglio nessuna dichiarazione a riguardo, in questo momento, né alcuna smentita né, tanto meno, alcuna conferma, ma non si può non portare avanti il discorso a livello parlamentare. Il Parlamento, infatti, ha il diritto e il dovere di occuparsi di queste cose e di chiarirle. Possiamo riunirci in seduta segreta, possiamo dare luogo a una commissione che lavori sotto la copertura di un’istruttoria formalmente garantita, ma, quello che è certo, noi non accettiamo di rimanere estranei, come parlamentari e come rappresentanti dell’opposizione a dibattiti di questo genere. Non può continuare questo gioco delle tre carte, non è possibile che tutto questo resti all’interno delle strutture dei servizi di regime. Noi reclamiamo, signor Presidente della Camera, il diritto di intervenire, nei modi dovuti, ripeto, rispettando le competenze e le responsabilità. Quello che è certo, noi deputati di opposizione abbiamo il diritto di occuparci di queste cose, perché da una indagine di questo genere può dipendere la salvaguardia del nostro paese. Noi diciamo questo perché fino ad ora abbiamo dato una certa interpretazione di quanto avviene in Italia per quanto concerne gli interessi internazionali. Noi rileviamo credo che sia assolutamente obiettivo farlo che in questo momento il comunismo imperialista sovietico uso queste terminologie che sanno un poco di Brigate rosse alla rovescia, ma mi riferisco alla realtà è all’attacco in due continenti: in Africa e in Europa.

In Africa è all’attacco con i metodi che voi sapete, con le scoperture che sono note, perché si tratta di aggredire paesi posso dirlo senza offendere il terzo mondo di non ancora accreditata stabilità democratica. Aggredisce come è possibile aggredire quei paesi, senza coperture. Dall’altra parte (lo leggiamo sui giornali di oggi) si risponde con atti di guerra ad atti di guerra. Sono già in funzione o stanno per entrare in funzione ponti aerei dalla Francia e dal Belgio; entrano in azione anche milizie addestrate particolarmente a questo tipo di guerra, guerriglia o di controaggressione.

In Europa, l’unico paese aggredito è l’Italia, tornata ad essere il «ventre molle» dell’Europa. L’Italia, almeno per ora, non può essere aggredita con i metodi che il comunismo imperialista sovietico adotta nel continente africano, per cui la aggressione viene condotta attraverso l’onorevole Enrico Berlinguer ed il suo sorridente eurocomunismo. La docilità della Democrazia cristiana nei confronti dei piani dell ‘onorevole Berlinguer viene contestualmente condotta attraverso l’aggressione delle Brigate rosse.

Se le notizie apparse su La Repubblica di stamane hanno un fondamento di verità, si tratta di una clamorosa, dolorosa, preoccupante conferma di quello che noi finora siamo andati dicendo, assumendocene la responsabilità, non perché ne abbiamo prove o documenti o perché possiamo attingere a tali documenti, ma perché ci affidiamo alla tragica esperienza che da italiani stiamo vivendo da tanti anni a questa parte, nonché al buon senso ed agli orientamenti che la nostra assoluta autonomia ci suggerisce. Questi sono discorsi, signor Presidente del Consiglio, che si debbono fare e che verranno fatti; noi, da parte nostra, continueremo a farli: forse sarà la nostra delenda Carthago, signor Presidente del Consiglio. Rassegnatevi, noi non molliamo questa presa finché non si sarà capito… Non è pensabile che si possa battere il pauroso fenomeno delle Brigate rosse, qualora questo fenomeno abbia come certamente ha dei riferimenti e dei punti internazionali, se non nel quadro di una strategia anche in politica estera che a nostro avviso è incompatibile con l’attuale formula di maggioranza e con l’attuale programma di Governo. Dico questo non per motivi di risentimento personale o perché andiamo cercando l’occasione per mettere in difficoltà la sua persona o il Governo; si tratta di motivi di sicurezza e di salvaguardia nazionale, europea ed occidentale. Noi non molleremo la presa fino a quando non si sarà riusciti, come parlamentari, a compiere il nostro dovere di controllo e di indagine per sapere cosa c’è dietro tutto questo.

L’onorevole Vito Miceli ha dato luogo ad accenti estremamente interessanti e gravi; non ci si può fermare qui. Occorre procedere con estrema attenzione. In questo quadro, signor Presidente, vorrei dare un’occhiata alle responsabilità dei partiti politici a cominciare da quelle della stessa Democrazia cristiana, la quale è stata, un po’ da tutta la stampa di regime, dalla radio e dalla televisione, apologizzata per la sua fermezza. Senza dilungarmi, mi fermerò (tanto perché non si parli di nostre posizioni polemiche o preconcette) al comunicato ufficiale su Il Popolo da parte della delegazione formata dal segretario politico Zaccagnini, dai vicesegretari Gaspari e Galloni, dai capigruppo Piccoli e Bartolomei, dagli onorevoli Bodrato e Belci, dopo il colloquio con la segreteria del Partito socialista. In quel comunicato ufficiale è testualmente detto (siamo al 4 maggio): «In ogni caso» (siccome si tratta di messaggi cifrati, bisogna fermarsi su ogni parola)… «In ogni caso» (questo vuole dire qualche cosa!) «la Repubblica, attraverso le forze che la esprimono, dinnanzi alla restituzione in libertà di Aldo Moro ed a comportamenti che indicassero una svolta nell’uso della violenza, saprà certamente trovare forme di generosità e di clemenza coerenti con gli ideali e le norme della costituzione».

Onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, questa non è una trattativa? Se io dico a qualcuno o faccio sapere a qualcuno: «comportati in un determinato modo e certamente ti retribuirò in quest’altro determinato modo», questa non è una trattativa? E che cos’è? Quando la delegazione democristiana si permette di dire: «la Repubblica attraverso le forze che la esprimono» e ne parla in relazione a «forme di generosità e di clemenza», ebbene la Repubblica non può essere che identificata ed individuata nel Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica in carica o il Presidente della Repubblica da nominare entro il 24 settembre, ma forse anche prima, qualora si arrivasse a componimenti che consentissero di giungere prima alle elezioni di un nuovo Presidente della Repubblica dotato di un particolare potere di generosità e di clemenza, cioè di grazia. Signor Presidente del Consiglio, sono cose inaudite quelle alle quali sto alludendo se veramente, ma anche correttamente, non sono mai accadute in Italia? Non c’è un precedente di un Presidente della Repubblica, politicamente condizionato in un certo modo, che si è regolato con generosità e clemenza nei confronti di un certo esponente di una certa parte politica che era stato condannato, dalla giustizia italiana, alla stessa pena cui potrebbe essere condannato, nell’eventualità per lui peggiore, il compagno Curcio? II compagno Curcio ieri ha fruito della clemenza della corte di Torino, che, di fronte ad una richiesta del pubblico ministero di due anni e sei mesi, per apologia di reato, ha addolcito la pena ad 1 anno e 6 mesi. Non vi sono, quindi, precedenti? Non c’erano agganci quando la delegazione democristiana emanava questo comunicato? Mi permetto di condannare in termini umani i delegati della Democrazia cristiana? Nemmeno per sogno; umanamente mi metto nei vostri panni, comprendo il vostro travaglio, condivido le vostre ansie di allora e siccome nei vostri confronti l’animo mio non è turbato da nessuno di quei motivi che turbano le convivenze all’interno di singoli partiti, voglio assicurarvi che la mia comprensione è piena; però, se questo è stato il vostro atteggiamento, non andate a raccontare che il vostro atteggiamento è stato un altro.

In realtà, voi, Democrazia cristiana, non avete seguito né la linea molle né la linea dura, avete dato luogo ad un inizio di trattative mal cominciate e mal condotte senza avere il coraggio di assumervene la responsabilità e non avete avuto, d’altra parte, il coraggio di adottare la vera linea dura che non poteva consistere nell’attendere le condizioni, i pareri, le volontà, le decisioni e i crimini delle Brigate rosse, ma doveva consistere nel prendere iniziative, nel ricacciare in gola alle Brigate rosse i loro ultimatum, nel porre l’ ultimatum dello Stato, le condizioni dello Stato nel pretendere dal Governo una linea di fermezza di questo genere.

Si è trattato permettete che ve lo dica, siccome lo avete fatto sulla pelle del vostro presidente di una mistificazione ignobile, uso ancora questo termine, in quanto avete fatto finta di apparire come i difensori estremi della legalità contro il crimine, contro le Brigate rosse, contro il ricatto delle Brigate rosse, ma in realtà avete adottato una linea di mollezza ammantata da parole di durezza e senza, d’altra parte, la capacità neppure di utilizzare la vostra congeniale mollezza per tentare di salvare il presidente del vostro partito che vi implorava dal carcere, mediante messaggi più o meno cifrati, di restituirlo alla propria famiglia. Questa mi sembra sia la realtà, una realtà alla quale pone scarsi e tardivi rimedi l’improvvisa, e per altro molto prevista e prevedibile, impennata del senatore Fanfani, il quale parla ora di «negligenze pregresse». L’onorevole Fanfani era in quest’aula, e al suo posto, signor Presidente del Consiglio. Noi abbiamo buona memoria (almeno questo diritto l’opposizione lo rivendica, il diritto alla memoria): era al suo posto il 6 agosto 1960 tanti anni fa quando i predecessori delle Brigate rosse furono da lui difesi sulla pelle politica, per fortuna non fisica, di un altro Presidente del Consiglio e furono da lui definiti cittadini democratici, che, come potevano e come sapevano, avevano difeso il loro punto di vista, e lo avevano difeso, come tutti ricordiamo, mandando all’ospedale, a Genova, in un pomeriggio, 150 tra carabinieri, soldati e agenti di polizia.

È cominciata di lì la questione. Quindi, se negligenze come dice ora il senatore Fanfani vi sono state, di queste lamentele e delle conseguenti negligenze il senatore Fanfani è stato come al solito l’antemarcia, essendo egli l’antemarcia di ogni tipo di politica che in Italia si conduca sulle rovine del nostro paese da tanti anni a questa parte. Consentiteci questo rilievo, che crediamo assolutamente obiettivo. Ma siccome sembra che l’altro «cavallo di razza», essendo deceduto il primo, voglia riacquisire la primazia al vertice della Democrazia cristiana per carità, buona fortuna, tanti auguri, buon lavoro! cerchiamo di non capovolgere il gioco delle responsabilità, perché le responsabilità sono di tutti, e talora accade che siano soprattutto di coloro che vorrebbero rifarsi oggi una verginità sulla pelle della gente. E parlo della povera gente di destra, che ci ha rimesso, dal 1960 in qua, largamente la pelle.

Un discorso ancora più serio e più grave, anche se contenutissimo nella durata e nei termini, è quello che dobbiamo rivolgere ai responsabili de Partito comunista. Abbiamo letto sui giornali l’autocritica del senatore Bufalini, in comitato centrale del Partito comunista; abbiamo letto sui giornali autocritiche ancora più esplicite di altri esponenti specializzati del Partito comunista. Ne leggo una sola, è la più recente ed è del senatore Pecchioli, che su l’Unità scrive di solito tutti gli articoli più qualificati ed autorevoli sui problemi dell’ordine pubblico e della sicurezza dello Stato. Alla domanda, rivoltagli da un redattore della Gazzetta del popolo: «Dove si è sbagliato?», il responsabile comunista della politica dell’ordine pubblico, onorevole Pecchioli, risponde: «Nel non valutare l’ampiezza e la pericolosità del fenomeno del terrorismo: si è tardato a capire che l’ondata di piena montava da sinistra».

A questo punto, non posso chiedere le dimissioni di tutta la classe dirigente del Partito comunista! Se avesse così parlato un ministro responsabile o un Presidente del Consiglio, credo che tutto il Parlamento gli avrebbe detto: vattene, perché hai sbagliato! Cossiga se n’è andato per gli stessi motivi. È ora di finirla con il Partito comunista partito di lotta e partito di Governo o partito di autocritica, di lotta e di Governo. È ora di finirla con un Partito comunista responsabile ed irresponsabile! Da due anni a questa parte ve lo siete preso per mano, onorevole Andreotti! Avete preso per la mano il Partito comunista, perché bisognava introdurlo nella maggioranza, allo scopo soprattutto (ricordo il preambolo di quel vostro patto del 1976 e del programma del mese di luglio 1977) di affrontare e superare l’emergenza. In termini di emergenza dell’ordine pubblico e dell’ordine sociale è stato indispensabile associare il Partito comunista. Il giorno 13 luglio 1977 avete presentato a questo ramo del Parlamento un’ampia mozione programmatica, in cui i temi dell’ordine pubblico e della magistratura erano uno per uno indicati; e si proponevano i rimedi, che noi combattevamo con un nostro programma di alternativa, ma che comunque facevano parte di un organico programma di rimedi. Non ne avete attuato nemmeno uno, ed io voglio capire in quanto non riesco a capirlo perché la Democrazia cristiana, in questa specie di cupidigia, di suicidio, neanche più di servilismo, voglia attribuirsi tutte le responsabilità e non chiami ad una resa dei conti il Partito comunista, che fa l’autocritica, che non è stato capace di tutto l’arco di questi ultimi mesi di fare una proposta. Noi leggiamo, un giorno sì e l’altro no, su l’Unità ed io vi cito titoli testuali «Bisogna uscire dalla paralisi!», «Bisogna uscire dall’impotenza!», «Ci vuole un colpo d’ala, ci vuole un’impennata». Ma mi vuoi dire codesto novello D’Annunzio, che è l’onorevole Berlinguer, quali siano i colpi d’ala e le impennate che il Partito comunista è capace di suggerire in questo momento alla maggioranza e al Governo?

Durante questi mesi il Partito comunista su l’Unità e su Rinascita ho, ripeto, qui i documenti, ma non vi faccio perdere del tempo ha mosso delle accuse molto pesanti, non a noi una volta tanto ci hanno risparmiato ma a voi e a tutto il regime. È uscito il pesante articolo su l’Unità, di cui si è molto parlato, intitolato «I santuari»; e i santuari sono, secondo l’Unità, quei centri misteriosi di potere, economico, giudiziario, politico, militare, poliziesco, che essendo stati estromessi o limitati nei loro privilegi, si sarebbero vendicati dando luogo ad attività o concorrendo alle attività sovversive, terroristiche, come quelle delle Brigate rosse.

Quando la stampa, il testo della stampa italiana ed alcuni ambienti politici, a cominciare dai nostri, hanno chiesto spiegazioni al Partito comunista relativamente a questo grosso articolo e a quello su Rinascita («Una sfida decisiva»), è apparsa sulla stessa Rinascita una precisazione: «Ma… alcuni articoli apparsi sulla nostra stampa ed alcune riviste o dichiarazioni di dirigenti comunisti sono stati male interpretati e nella sostanza travisati. Non ci siamo mai lanciati in congetture, più o meno fantasiose, su complotti.» No, per carità! Questi sono i titoli su l’Unità e su Rinascita «Non ci siamo mai lanciati né abbiamo fatto nomi» certo! «né tanto meno indicato piste per gli indagatori». No, le trame, questa volta, il Partito comunista non le ha inventate; rinunzia alla paternità dell’invenzione delle trame, però ha lanciato il sasso e ritira la manina.

E vi pare possibile che si stia al gioco? Ci potete stare voi, che avete con il Partito comunista i vostri accordi, che avete dal Partito comunista i voti per sorreggere il vostro impotente Governo, potete voi prendervi ogni mattina ceffoni dal Partito comunista, essere accusati di incapacità da coloro che, insieme a voi, dimostrano la loro incapacità. Ma noi non ci stiamo a questo gioco. Chiediamo chiarimenti. Si parli. Mi auguro che nella seduta di oggi il Partito comunista incarichi qualche responsabile di parlare. Ci spieghi in che cosa consistono i «santuari», quali sono i poteri occulti che il Partito comunista ha messo in rilievo, quali sono le proposte del Partito comunista perché se ne esca. Ed anche dall’onorevole Craxi (i socialisti sono globalmente assenti, fino ad ora, a questo dibattito) è ora che si chiedano dei chiarimenti, e non solo a porte chiuse. Perché l’onorevole Craxi a porte chiuse parla in Italia, ma concede interviste, ha concesso una intervista ad uno dei giornali più diffusi e più noti del mondo, a Stern, in cui, per esempio, si dice che «tutti i terroristi conosciuti fino ad ora hanno un passato comunista», in cui si afferma che «è indubbio che le Brigate rosse hanno una matrice leninista», in cui si dice che «è indubbio che funzionari stalinisti del Partito comunista piemontese e ligure lavorino per i servizi segreti dell’Europa orientale». Bene, l’onorevole Craxi, l’umanitario onorevole Craxi o si occupa soltanto di problemi umanitari, ed è rispettabilissimo in questa sua attività, o assume posizioni di questo genere, ed allora le deve chiarire. Il Parlamento deve sapere di che cosa si tratta.

Infine, onorevoli colleghi, vengo al nostro atteggiamento. Io , al riguardo, non faccio altro che ripetere in sintesi quanto è stato già detto dai colleghi che mi hanno preceduto, ma, come segretario di questo partito, ho il dovere di spiegarmi con chiarezza, non voglio dire per l’ultima volta, perché se ne riparlerà, ma in maniera, per quanto ci riguarda, definitiva.

Noi non abbiamo chiesto sin qui alcuna norma eccezionale; non siamo affatto allergici ad eventuali richieste di norme eccezionali qualora se ne rivelasse l’opportunità o la necessità. Non esiste al mondo Stato democratico, non esiste Parlamento democratico, il quale, di fronte ad una situazione eccezionale, non prenda in considerazione la possibilità di misure eccezionali. Se non le abbiamo chieste e non le chiediamo è perché non crediamo ve ne sia bisogno; se non crediamo che ve ne sia bisogno è perché reclamiamo l’applicazione delle leggi vigenti; se reclamiamo l’applicazione delle leggi vigenti è perché reclamiamo in primo luogo l’applicazione puntuale e globale della Carta costituzionale italiana. A questo riguardo, sia detto una volta per tutte, noi non abbiamo avuto l’onore di essere presenti all’Assemblea costituente e quindi in calce alla Carta costituzionale non c’è la firma del nostro partito, che in quel momento non era ancora stato fondato. Ma siamo qui dalla prima legislatura e dalla prima legislatura, se mi consentite, particolarmente io, che ho sempre fatto parte o della Commissione interni o della Commissione affari costituzionali, mi sono occupato e dedicato a questi problemi e la nostra tesi è sempre stata quella della puntuale, fedele, leale, globale applicazione della Costituzione di tutta la Costituzione ivi compreso l’articolo 138, il quale stabilisce le guise nelle quali la Costituzione può essere, con le maggioranze adeguate, eventualmente modificata.

Qual è il comportamento, in questo momento, dei partiti politici di fronte alla Carta costituzionale? C’è un solo partito, il nostro, che rivendica l’applicazione globale della Costituzione, a cominciare dall’articolo 138; tutti gli altri partiti, nessuno escluso, disattendono l’applicazione della Costituzione nelle norme che agli altri partiti non fanno comodo, o non piacciono. È clamoroso in questi giorni il caso delle norme, tanto citate e bistrattate, degli articoli 39 e 40 della Costituente. Ho letto ieri su una rivista autorevole, anche se iettatoria, che si chiama Astrolabio, una incredibile nota nella quale un padre della Costituzione della Repubblica arriva a dichiarare testualmente, quanto agli articoli 39 e 40, che si può far benissimo a meno di applicarli o si possono applicare nella parte che conviene. Quanto all’articolo 40, per esempio, si può far benissimo a meno di applicare la seconda parte che si riferisce all’ambito delle leggi che regolano l’istituto, in quanto basta applicare la prima parte, che dice che lo sciopero è ammesso. Così per l’articolo 27 della Costituzione, che è invece quello che in questo momento ci interessa relativamente alla ammissibilità o meno della pena di morte nel nostro diritto. Noi sosteniamo che la Costituzione, tutta intera, debba essere applicata. L’onorevole Franchi ha spiegato che il combinato disposto degli articoli 27 e 87 della Costituzione consente, non tanto perché non è questo il problema che ci interessa in prima linea l’applicazione o la reintegrazione, come inesattamente si dice, della pena di morte nel nostro diritto; concerne più vastamente il modo per affrontare l’emergenza. La Costituzione repubblicana, all’articolo 87, affida al Capo dello Stato poteri costituzionali di emergenza e al Parlamento affida la deliberazione in ordine alla dichiarazione dello stato di guerra, che il Capo dello Stato adotta ed esegue. La Costituzione, all’articolo 27, dichiara non ammissibile la pena di morte tranne nei casi previsti dalle leggi militari di guerra e «tranne nei casi» costituzionalizza la pena di morte. Quindi, non si tratta da parte nostra né di una posizione di richiesta di leggi eccezionali, né di una posizione extra-costituzionale, tanto meno anticostituzionale; si tratta di chiedere che le norme, che esistono nel nostro diritto costituzionale e che concernono i casi di emergenza, vengano attuate. Si tratta, sostanzialmente, da parte del Parlamento e del Governo, di rispondere ad un quesito: la situazione è di emergenza per quanto riguarda lo stato di sicurezza della nazione italiana o no? Se la risposta è positiva, altro quesito: quali leggi ci occorrono per poter affrontare la situazione di emergenza? C’è bisogno di leggi eccezionali o no? Se la risposta è negativa, il nostro esame di coscienza deve procedere: qualora le leggi vigenti siano sufficienti, a quali di esse bisogna guardare? E la risposta è molto semplice: si tratta della Carta costituzionale, dei suoi articoli 27 e 87; soprattutto si tratta del codice penale vigente; si tratta del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza vigente; si tratta dei codici penali militari di guerra e di pace, pienamente vigenti; si tratta di affidarsi a queste leggi e di decidere, di stabilire sulla base di esse. Quel che noi non possiamo accettare, quello che non possiamo condividere, quello che neppure psicologicamente sopportiamo è la condizione di atarassia in cui si trovano il Governo, il Parlamento, la Presidenza della Repubblica, le Presidenze delle Camere a questo riguardo.

Io ricordo (e spero che tutti noi lo ricordiamo) quanto ebbe a dire il 16 marzo in quest’aula in un’aula ben altrimenti attenta e affollata, traumatizzata l’onorevole Ugo La Malfa, quando ci richiamò alle responsabilità che noi abbiamo come parlamentari nei confronti di tutti i cittadini italiani. Ed allora io chiedo, onorevole colleghi (e Iddio non voglia che quanto sto per dire possa avverarsi; ma è molto difficile che non si avveri, perché la logica delle cose è quella che è): se dovessimo trovarci in questa stessa aula in un altro 16 marzo, voi che cosa pensereste di fare? Pensereste di riportarvi ai discorsi di allora e di oggi, all’impotenza di allora e di oggi, all’ atarassia di allora e di oggi, al cinismo di allora e di oggi, alla confusione mentale di allora e di oggi, ai giochi di compromesso di allora e di oggi, essendo da allora ad oggi la situazione peggiorata, a livello di vertice, perché allora avevamo un ministro dell’Interno che sbagliava , adesso abbiamo un Presidente del Consiglio, ministro dell’Interno ad interini, che non ha avuto e non ha neppure la possibilità di tirar fuori dal forcipe del compromesso storico uno straccio di ministro dell’Interno che venga qui ad assumersi le sue responsabilità? Se Iddio non voglia si ripetesse una seduta come quella del 16 marzo, il discorso valido, vero, utile, giusto, sacrificale e responsabile sarebbe il vostro, quello dei vostri banchi vuoti, o sarebbe questo, il discorso dell’opposizione? E vorrete sentirvi dire, a proposito di nuovi, eventuali, sciagurati eventi, che Iddio allontani dalle vostre e dalle nostre teste quello che oggi, sia pure sinteticamente ed appassionatamente, vi ho ricordato a proposito di precedenti lutti, di precedenti traine, di precedenti complotti, di precedenti crimini, di precedenti responsabili ai quali non avete voluto dare ascolto, perché il richiamo veniva dalla nostra opposizione, perché il sacrificio di sangue era da questa parte?

Io, per il bene dell’Italia, mi auguro con tutto il cuore che vi rendiate conto del gravame di responsabilità umane che pesa su di voi. Non posso perché sarei in malafede, se lo facessi auspicare che questo Governo e questa maggioranza trovino le illuminazioni necessarie al loro interno; mi auguro che, sia pure per questi dolorosi motivi, dopo questo lavacro di sangue e di sacrificio che tutti hanno pagato e potrebbero pagare, si determini una svolta politica che dia finalmente a chi governa l’Italia la possibilità di parlare in italiano agli italiani, di chiarire i misteri di questa Repubblica, di assumersi le proprie responsabilità e di salvare, prima che sia troppo tardi, le fondamenta stesse della nostra civiltà.”

Seduta del 16 marzo 1978

La «solidarietà nazionale» l’abbraccio nella stessa maggioranza tra Dc e Pci nasce contemporaneamente al sequestro di Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana. Nell’azione terroristica, le Brigate rosse uccidono cinque agenti della scorta dell’esponente politico. Il Msi-Dn con alla testa il segretario del partito chiede che lo Stato non rimanga fermo a guardare la tracotante offensiva del terrore; Ugo La Malfa, per i repubblicani, invoca la pena di morte contro le bande criminali. Almirante chiede provvedimenti decisi contro il terrorismo e mostra nel mirabile discorso grande senso di responsabilità ed impegno profondo.

Le Brigate Rosse sequestrano Aldo Moro

ALMIRANTE: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Presidente del Consiglio, a nome del gruppo e del partito che ho l’onore di rappresentare e a titolo personale esprimo la più ferma solidarietà al partito della Democrazia Cristiana, al suo presidente così duramente colpito e al suo segretario. Esprimo il nostro cordoglio alle famiglie delle sei vittime ci siamo dimenticati il povero maresciallo ucciso a Torino nei giorni scorsi nello stesso quadro delinquenziale di questi giorni. Signor Presidente, la prego di consentirmi, nel quadro dei discorsi di circostanza che abbiamo udito non alludo né al discorso dell’onorevole Zaccagnini né al discorso dell’onorevole La Malfa di inserire un discorso di opposizione, pur breve e composto, come l’occasione consiglia ed impone. Se non erro è il primo discorso di opposizione pronunciato oggi in quest’aula, opposizione della quale noi sentiamo altissimo il senso di responsabilità, perché crediamo di non errare affermando che in momenti come questi, e comunque in ogni momento, l’opposizione ha non soltanto il diritto, ma il dovere, proprio perché opposizione, di sentirsi rappresentante genuina dello Stato e della società, purché si tratti ed in questo caso vi assicuro che è così, e tenterò di dimostrarvelo di un’,opposizione responsabile, certamente di contrasto, ma senza dubbio di proposta e di alternativa. In questo momento abbiamo infatti delle proposte concrete da avanzare. Abbiamo sentito con soddisfazione le coraggiose parole pronunciate dall’onorevole La Malfa. Egli ha detto «a guerra, guerra», «alla emergenza si risponde con misure di emergenza»; e abbiamo sentito, con minore soddisfazione, ma con interesse, dichiarazioni analoghe, anche se molto più sfumate e attenuate, da parte dell’onorevole Craxi e da parte dell’onorevole Romita, i quali hanno accennato alla possibilità di «misure straordinarie» (credo di riferire con esattezza il loro pensiero).

Ebbene, noi proponiamo che qualche cosa si faccia immediatamente. Le nostre proposte sono le seguenti: in primo luogo, il signor ministro dell’Interno sia invitato in questo momento a presentare le dimissioni. Si tratta e lo dico senza alcuna inflessione di carattere personale, se siamo bene informati, se le notizie riportate dai giornali sono esatte, dell’unico ministro che il Partito Comunista italiano ha voluto imporre in quel dicastero a questo Governo.”

NATTA ALESSANDRO: “Sono favole!”

ALMIRANTE: “Sono favole di cui i giornali hanno parlato. Mi assumo la responsabilità di riferirle in questa libera democrazia, e credo di poterlo fare. Si tratta, comunque, di un ministro che aveva espresso, fino a non molto tempo fa, il libero desiderio (che noi abbiamo apprezzato e di cui pure si è parlato sui giornali) di essere preposto ad altro dicastero. Chiediamo che egli sia invitato oggi stesso a presentare le dimissioni, e che il signor Presidente della Repubblica sia posto nelle condizioni di firmare i relativi decreti, perché chiediamo che al dicastero dell’Interno sia chiamato immediatamente un militare. Si sorride di proposte che un minuto fa sono state fatte, sia pure in maniera non altrettanto chiara.”

Una voce dall’estrema sinistra: “Mandiamoci Miceli!”

ALMIRANTE: “E vi invito a rilevare che, quando un’opposizione come la nostra, così combattuta (non dallo Stato, ma dai rappresentanti dello Stato), avanza, come in questo momento, proposte di questo genere, da prova di alto senso di responsabilità, di grande disinteresse, e anche di un certo coraggio. Chiediamo che venga presentata nelle prossime quarantott’ ore una legge speciale («all’emergenza misure di emergenza») o straordinaria contro il terrorismo. Anche a questo riguardo, signor Presidente della Camera, abbiamo le carte in regola. Non voglio far perdere tempo né a lei né ai colleghi, ma ricordo diverse proposte di legge, indubbiamente meritevoli della denominazione di «eccezionali» o «speciali» per la tutela dell’ordine pubblico, che noi abbiamo avuto l’onore di presentare,alcune addirittura nella precedente legislatura, molte all’inizio di questa legislatura: proposte di legge che la Camera finora non si è degnata di prendere in esame, ma che riteniamo valide. Esse riguardano non sorridete il ripristino della pena di morte per i reati più efferati; l’applicazione del codice penale militare in momento ed in zone di emergenza, in luogo del codice penale comune; lo scioglimento per legge dei movimenti anticostituzionali e comunque dediti alla violenza sistematica; l’istituzione di Commissioni parlamentari d’inchiesta sulle radici, sulle origini, sui mandanti del terrorismo e della violenza. Non chiediamo che queste proposte di legge siano approvate; chiediamo che esse siano prese in esame dal Parlamento assieme ad un disegno di legge speciale contro il terrorismo che il Governo deve impegnarsi a presentare. Siamo prontissimi a rinunciare alla paternità delle nostre proposte, qualora le nostre firme dessero fastidio, ma non siamo pronti ad accettare passivamente che di questo grave problema si parli occasionalmente nei prossimi giorni e nelle prossime settimane.

Le chiediamo inoltre, signor Presidente della Camera, di voler disporre affinché la Camera resti aperta e non si conceda alcuna vacanza nei prossimi giorni, almeno fino a quando non sarà stato adottato qualche provvedimento e la situazione del paese non si sarà tranquillizzata; almeno fino a quando maggioranza ed opposizione non avranno avuto la possibilità di fare insieme il loro dovere da questi banchi e su questi banchi, perché i cittadini sappiano di essere da noi interpretati e difesi nel quadro e nei limiti degli obblighi costituzionali e delle leggi che il Parlamento vorrà approvare.

Chiediamo infine che venga riunito d’urgenza dal signor Presidente della Repubblica il Consiglio supremo di difesa, del quale egli è presidente. Senza mezzi termini, con durezza, mi permetto di dichiarare che, se il signor Presidente della Repubblica non ritiene di essere nella condizione, in questo momento, di ottemperare, sulla base dell’articolo 87 della Costituzione, a questo suo altissimo dovere, egli ha il dovere di anticipare la fine del suo mandato prevista per il 24 dicembre, in modo da consentire allo Stato italiano di essere rappresentato da chi gode della pienezza della sua autorità e dei suoi poteri. Queste sono alcune tra le proposte che noi avanziamo e comunque le prime urgenti proposte di emergenza che noi facciamo. Ciò premesso, e chiarito che siamo opposizione di proposta e di alternativa, che adempiamo questo dovere assumendocene le relative responsabilità, mi dovete consentire di rappresentare noi stessi anche come opposizione di denunzia, in questo momento, delle responsabilità presenti e di quelle pregresse.

Onorevole Presidente del Consiglio, questa mattina ella ha perso una grossa occasione politica, parlamentare e, direi, anche personale. Se avesse consegnato, come avrebbe dovuto fare e come l’opposizione aveva consentito che si potesse fare, le cartelle dattiloscritte della sua esposizione programmatica agli stenografi, e avesse espresso la volontà politica del Governo e della nuova maggioranza in termini di piena assunzione di responsabilità, di determinante decisione, d’ iniziativa; se avesse onorevole Presidente del Consiglio, nelle poche ore che ha avuto a disposizione, riunito il Consiglio dei ministri e consultato i capi della maggioranza parlamentare che la controllano per potersi presentare in un certo modo non tanto al Parlamento quanto al paese (gli italiani, infatti, hanno ascoltato la sua esposizione programmatica, e mi tormento immaginando in quale stato di rassegnazione, di disperazione o di profondo scetticismo ella, certamente senza volerlo, li ha indotti attraverso l’infelice esposizione di questa mattina); se ella avesse avuto il coraggio di presentarsi al Parlamento davvero come interprete di una nuova maggioranza, quale che essa sia, di un nuovo Governo in termini di emergenza; se ella avesse così agito, onorevole Presidente del Consiglio, certo la cosa non avrebbe avuto il minimo rilievo, per carità, e non avrebbe comunque avuto il nostro voto, per le motivazioni politiche che abbiamo in precedenza espresso nelle sedi opportune e che quest’oggi io sono chiamato a esprimere di nuovo sinteticamente, ma, senza alcun dubbio, avrebbe avuto l’approvazione del paese e del Parlamento e avrebbe messo l’opposizione in un grosso imbarazzo, anche umano. Le è mancata la sensibilità? Le è mancata la libertà d’iniziativa? Era stato forse come credo di avere compreso attraverso un passo del discorso dell’onorevole Berlinguer sollecitato dal nuovo padrone comunista a dire a tutti i costi determinate «cosucce» che il Partito comunista aveva bisogno fossero dette da lei questa mattina, per giustificare il passaggio del Partito comunista dal « ni » al sì? Io non so rispondere a questo interrogativo. So però, onorevole Presidente del Consiglio, che ella ha denunciato oggi paurose carenze di indirizzo, di senso di responsabilità, di adeguamento alla situazione, di capacità di governo, che io non sono così ingeneroso da volere attribuire alla sua persona, ma che attribuisco senz’altro alle penose condizioni in cui il suo partito si è messo, onorevole Presidente del Consiglio, attraverso l’adesione al nuovo patto d’intesa e di alleanza con il Partito comunista.

Lei ha detto, onorevole Presidente del Consiglio, a proposito della nuova maggioranza, che si tratta di un esplicito e solidale accordo parlamentare. Voglio sperare, a seguito di questa sua esplicita dichiarazione, che si cessi di parlare in tutti i settori politici e giornalistici di un accordo programmatico che non consisterebbe in un mutamento del quadro politico perché a meno di voler ammettere che in Parlamento non si fa politica, un chiaro, esplicito e solidale accordo parlamentare altro non è che un esplicito e solidale accordo politico fra la Democrazia cristiana e il Partito comunista. Allora, onorevoli colleghi di tutte le parti politiche che compongono la maggioranza, delle responsabilità pregresse, attuali e future, da ora in poi, rispondete tutti insieme! E voi della Democrazia cristiana dovete assumervi, nel momento in cui chiamate queste forze nella maggioranza insieme con voi, non soltanto le responsabilità attuali, ma anche soprattutto in relazione al problema dell’ordine pubblico le responsabilità pregresse delle sinistre e del Partito comunista in particolare; responsabilità pregresse che in questo momento dobbiamo ricordare e che non dico giustificano, ma spiegano e chiariscono lo sbiadito discorso testé pronunciato dall’onorevole Berlinguer, il quale, come unico rimedio alla situazione d’emergenza in cui l’ordine pubblico si trova in Italia, ha suggerito ed indicato lo sciopero generale e la sospensione del lavoro in tutte le fabbriche o in molte fabbriche. Questo è il progressismo dell’estrema sinistra! Siamo all’arcaismo, alla barba di Carlo Marx! Siamo, oltre tutto e soprattutto, a rimedi che sono peggiori del male. Siamo alla esasperazione dei conflitti sociali, nel momento in cui il Presidente del Consiglio, il Governo e la maggioranza formalmente debbono pur invitare ed a parole invitano il popolo italiano ad una ripresa di solidarietà globale e collettiva.

Ed allora, cosa c’è dietro le «Brigate rosse», nel tempo? Nel tempo, dietro le «Brigate rosse», c’è il clima di guerra civile che le sinistre fin dal 1960 hanno imposto all’Italia. Dietro le «Brigate rosse» c’è la lotta di classe, l’odio di classe e la conflittualità permanente che le sinistre ed in particolare il Partito comunista da tanti anni hanno imposto all’Italia. C’è, in correlazione alla escalation comunista verso il potere, la descalation dello Stato, quanto ad autorità e, addirittura, a rispettabilità. C’è il cinismo con il quale il Partito comunista ha saputo sfruttare, anno per anno, mese per mese, occasione per occasione, direi giorno per giorno e ora per ora, la debolezza congenita della classe dirigente della Democrazia cristiana, la predisposizione di una larga parte almeno della classe dirigente della Democrazia cristiana alla resa. C’è non dobbiamo dimenticarcene proprio in questo momento, dopo che su tutti i giornali se n’è parlato, dopo che ne hanno parlato autorevoli esponenti della stessa Democrazia cristiana, a cominciare dal presidente del gruppo parlamentare alla Camera, onorevole Piccoli c’è, dicevo, l’evidente collegamento tra il terrorismo internazionale, promosso dall’Unione Sovietica e dai suoi alleati o sudditi, ed il terrorismo interno.

Non ci si verrà a raccontare che le «Brigate rosse» hanno tecnicamente e autonomamente le capacità che hanno dimostrato! Non ci si verrà a raccontare che non esistono collegamenti organici tra la banda Baader-Meinhof e le «Brigate rosse»! Non si vorrà dimenticare quanto è stato pubblicato su tutti i giornali, circa i collegamenti tra le «Brigate rosse», i NAP ed i servizi segreti cecoslovacchi! Non si vorrà dimenticare quanto è stato pubblicato su tutti i giornali circa i probabili collegamenti tra le «Brigate rosse», i terroristi che operano all’interno del nostro paese ed il KGB! Non si vorrà dimenticare quanto è stato pubblicato su tutta la stampa mondiale a proposito dei collegamenti con il libico Gheddafi oltre a quelli con la Cecoslovacchia e con il KGB dei terroristi che operano in Italia! Tutto questo che significa? Significa che esiste rispondo agli ansiosi interrogativi che stamane si poneva l’onorevole Andreotti un programma mondiale di eversione e di terrorismo, che in Europa si sviluppa in queste guise e che in Africa si sviluppa più apertamente (basti pensare a quel che sta accadendo nel Corno d’Africa). Questo è l’internazionalismo dei nostri giorni! Questa è la solidarietà interna­zionalista, in nome della quale l’onorevole Berlinguer ha pronunziato i famosi sei minuti di discorso ó tanto apprezzati in termini eurocomunistici! ó al Cremlino! E proprio in un momento come questo, dopo tali testimonianze, alla presenza di de terminati dati di fatto, al cospetto di questi pericoli, nel pieno di questa congiura, nel pieno di questa tempesta, di questo caos com’, è stato scritto sul Times che colpisce l’Italia, proprio mentre siamo nell’occhio del ciclone (ed il ciclone è «comunistico», a livello internazionale ed a livello interno), proprio in questo momento la Democrazia cristiana molla, capitola ed accetta la maggioranza politica, parlamentare e programmatica, e quindi anche la corresponsabilità morale con il Partito comunista italiano e con il Partito socialista; ma soprattutto con il Partito comunista che anche se possiamo pensare che non vi siano corresponsabilità dirette e personali (non sto lanciando accuse contro le persone) rappresenta comunque quel mondo, che rappresenta quegli interessi, che rappresenta quei pericoli e quelle, insidie, che da trent’anni in Italia semina odio, predica odio per raccogliere una tempesta da scatenare su tutti quanti voi, ed in particolare proprio su voi democristiani, che vi prestate assieme ad altri piccoli complici di strada a manovre e a coperture di questo genere.

Questa è la denunzia accorta, responsabile, seria dell’opposizione, una denunzia che giustamente mi sembra colpisca non soltanto il Partito comunista, ma la Democrazia cristiana, tutta intera la Democrazia cristiana. Io non mi permetto di inserire alcuna ironia, in un momento così grave, in un discorso che tento di fare in modo rapidissimo (sono quasi alla conclusione) e composto. Ma i cosiddetti «cento» dove sono, che faranno stasera? Che farete? Probabilmente non parlate neppure, perché hanno rapito il presidente del vostro partito. Ma proprio perché hanno rapito il presidente del vostro partito avete il dovere non dico di parlare in quest’aula, ma di parlare al paese, di parlare alle vostre coscienze. Ma dovete dirci soprattutto quale sia la prospettiva. Il signor Presidente del Consiglio, a proposito della tragedia di questa mattina a Roma, ha notato che c’è (cito testualmente) un «preciso movente politico reso ancora più discutibile dalla giornata scelta». Quale movente? Movente vagamente e genericamente eversivo? Oppure un golpe all’italiana? Un movente politico verso destra, signor Presidente del Consiglio? I casi sono due: o non si tratta di un movente politico vero e proprio, ma soltanto del ricatto delle «Brigate rosse» nel tentativo di ottenere la liberazione di Curcio e compagni; o, se c’è un movente politico, data l’organizzazione che sostiene tale movente politico, dati i collegamenti espliciti di quell’ organizzazione con altre che vivono ed operano nel campo comunistico, quel movente politico tende a spostare l’asse del nostro paese ancora più a sinistra, tutto a sinistra.

Che cosa aspettate, onorevoli colleghi della Democrazia cristiana? Aspettate il terzo tempo? Quando fu realizzato il primo tempo, nel luglio 1976, noi, nella modestia delle nostre posizioni, vi avvertimmo, e tentammo di avvertire l’opinione pubblica. Abbiamo pagato un caro prezzo per quel nostro atteggiamento, che rivendichiamo a nostro onore perché i fatti, purtroppo (se ci avessero smentito ne saremmo stati felici), ci hanno dato ragione. Ora siamo al secondo tempo. Erano già stati precostituiti, nei giorni scorsi, i movimenti e le date del terzo. Può darsi che siano stati spostati, ma il terzo in vista è quello: il Partito comunista al Governo. Avete perduto e ve ne muoviamo rimprovero un’occasione storica. Sono passati sessanta giorni dall’apertura della crisi, dal 16 di gennaio: il tempo di una battaglia elettorale. Se l’Italia avesse potuto pronunciarsi con il voto, il comunismo non sarebbe andato avanti. Non so se saremmo andati avanti noi; certo si sarebbe stabilita, a livello di giudizio di popolo, una situazione quale domenica prossima si determinerà in Francia, quale si è determinata pochi giorni fa a Monaco di Baviera, quale si è determinata, da qualche tempo a questa parte, in tutti i paesi democratici in cui si è votato. Non è vero che il mondo vada a sinistra; è vero, purtroppo, che si tenta di strangolare da sinistra l’Italia nel momento in cui la conquista politica dell’Italia è un dato di importanza determinante per il blocco mondiale sovietico. Si sta combattendo, qui, la guerra; e voi, invece di combatterla sulla vostra trincea, sulla trincea politica del vostro stesso interesse (non voglio dire della vostra moralità o delle vostre tradizioni, perché non mi permetto di entrare in quelle che possono essere le scelte e le vicende interne del vostro partito: io ragiono, o tento di ragionare, con tutto il vostro partito); proprio in questo momento, quando avete assai probabilmente con voi il favore popolare per una battaglia di questo genere; quando avete ancora la possibilità di tenere in mano il potere di fronte ad un opposizione come la nostra, che è in battaglia, che non ha alcuna ambizione di potere e che ha la sola ambizione pulita di rappresentare gli italiani che la pensano in questo modo e non vi illudete: soprattutto a livello giovanile sono tanti!, voi tremate, vi rannicchiate tra le non robuste braccia di Enrico Berlinguer e date al paese un’, impressione che è di scoramento e di rassegnazione.

Ecco la denuncia che la nostra opposizione muove, denuncia non vana perché destinata senza dubbio ad avere larghe ripercussioni nell’opinione pubblica.

Vedremo, signor Presidente del Consiglio, che cosa farete nelle prossime ore o nei prossimi giorni: dico soprattutto nelle prossime ore. Voglio sperare che, immediatamente dopo il voto di fiducia, si riunisca il Consiglio dei ministri. Lo si è fatto in altri paesi in relazione a rapimenti di personaggi molto meno importanti di quanto non sia il vertice della Democrazia cristiana e dell’ordinamento politico italiano, l’onorevole Moro. Non ci avete pensato? Non poteva, signor Presidente del Consiglio, annunziare almeno questo? Qualcuno ha chiesto in aula che si riuniscano i capigruppo della maggioranza: riunite il Consiglio dei ministri, operate come Governo, assumetevi le vostre responsabilità. Gli italiani leggono sui giornali e apprendono dalla radio che le «Brigate rosse» hanno lanciato un ultimatum che dura 48 ore, minacciando Iddio non voglia un evento fatale qualora non vengano accontentate. Cosa sta facendo lo Stato italiano? Il signor Presidente della Repubblica dove è? Si è fatto vivo? Il signor Presidente del Consiglio ci ha «leggicchiato» un programmino che nessuno ascoltava, onorevole Andreotti, questa mattina, a cominciare dai deputati della Democrazia cristiana ai quali non do certamente torto.

Dov’è la vostra capacità di governare, la vostra fantasia, la vostra energia, la vostra solidarietà umana nei confronti del presidente del vostro partito? Dove sono gli strumenti a disposizione dello Stato, quegli strumenti che paghiamo tutti noi con il nostro denaro e, qualche volta, dalla mia parte, anche con il nostro sangue? Dov’è la vostra capacità di reagire virilmente e democraticamente, e nel quadro della Costituzione repubblicana che nessuno vuol toccare, ma che anzi tutti vorremmo ben attuata nelle larghe parti che voi da trent’anni avete lasciato inevase (soprattutto le parti sociali, vitali, fondamentali)? Dov’è il Governo? Se ci sei batti un colpo!

Onorevole Andreotti, glielo dice un oppositore, ma un oppositore leale: muovetevi nelle prossime ore, date prova di vitalità e non veniteci a lanciare inutili, vani, modesti, tardivi appelli ad un generico patriottismo. Quando al Governo c’è la capitolazione, anche il patriottismo è all’opposizione.”

Seduta del 10 gennaio 1978

La strage di via Acca Larenzia, al Tuscolano, quartiere di Roma, ha molte analogie con il delitto Zicchieri. L’, ultrasinistra vuole «punire» l’impegno militante della gioventù missino nelle zone a più forte radicamento popolare e dove si nota un grande consenso alle battaglie nazionali. In questo clima matura l’assassinio di Franco Bigonzetti e Stefano Ciavatta, il 7 gennaio 1980, uccisi da un ben organizzato gruppo terroristico. Poche ore dopo l’imboscata, un capitano dei carabinieri spara a altezza d’uomo contro altri giovani missini, senza alcuna necessità: viene colpito Stefano Recchioni, morirà qualche giorno più tardi, senza riprendersi dal coma.

La strage di via Acca Larenzia

ALMIRANTE: “Signor Presidente, prima di tutto assicuro lei e i colleghi che mi terrò al di sotto dei venti minuti gentilmente concessimi, anche perché, per la prima volta in trent’anni di attività parlamentare i colleghi me ne possono dare atto mi accingo a leggere un testo, perché desidero rimanere nella misura del tempo stabilito e, soprattutto, nella misura dei contenuti, data la estrema gravita dell’argomento e dato il peso delle responsabilità personali e collettive del gruppo e del partito, che in questo momento ho l’onore e anche l’onere, signor Presidente ed onorevoli colleghi, di rappresentare. Civilmente, ringrazio lei, signor Presidente, ringrazio il signor ministro dell’Interno e il Governo, ringrazio le forze politiche e sociali, i parlamentari, i dirigenti di partito, i pubblici amministratori, a cominciare da quelli della capitale d’Italia, che in questi giorni si sono associati al lutto che ha colpito la famiglia della destra nazionale. Questa atmosfera di rispetto e, in molti casi, di sincero cordoglio che il martirio di tre giovani di destra ha determinato rende meno arduo il mio compito, che è pur sempre difficilissimo, perché si tratta di comprimere e di reprimere stati d’animo, pur legittimi e comprensibili, sentimenti, risentimenti, per nobilitare e responsabilizzare, per parte nostra, questa discussione, come comandano i giovani puliti e cari che sono morti per la libertà di tutti, come comandano i loro familiari, dalle labbra dei quali (il Presidente ed anche il ministro dell’Interno hanno avuto modo di citare una delle loro dichiarazioni) non è uscita la minima invocazione alla vendetta, ma una chiara, ferma, severa richiesta di giustizia e di pace; la richiesta, soprattutto, che da questo sangue altro sangue non esca, la richiesta che sia finalmente rotta la spirale dell’odio e della guerra civile.

A questo punto, il discorso che occorre fare è quello delle responsabilità, passate, presenti e future; il discorso delle responsabilità morali e civili, il discorso delle responsabilità esecutive, in termini sia di prevenzione sia di repressione. Le responsabilità civili e morali sono le più gravi, perché nel tempo hanno determinato e aggravato le altre. Oggi, al cospetto di questo triplice crimine, tutti o quasi si inducono a parlare di pace e a smettere la propaganda dell’odio: e mi è doloroso dire quel «quasi», ma perfino in questa occasione si sono letti su giornali, anche quotidiani, accenti di odio e di discriminazione perduranti. Ma quanti parlavano tale linguaggio sereno e responsabile fino a qualche giorno fa? Quanti tra voi, quanti tra noi tutti hanno veramente contribuito, nei mesi e negli anni passati, a disintossicare l’atmosfera, ad educare alla pace e alla comprensione le giovani generazioni?

Io non mi voglio presentare in veste di giudice, ma in veste di testimone, sì: ho il diritto di farlo, perché da trent’anni non partecipo, e non partecipiamo, alle responsabilità e nemmeno alle possibilità del potere. Invece, quale gravame di responsabilità morali pesa su coloro che hanno gestito il potere, a tutti i livelli, su coloro che hanno controllato e controllano la radio, la televisione, lo spettacolo, la scuola, il sindacato, la stessa cultura!

Perfino in questi giorni, la radio e la televisione ve lo denuncio sono state faziose, rifiutando di dare per esteso le nostre comunicazioni, che pur erano intese a placare gli animi; rifiutandomi la possibilità di lanciare un appello ai giovani in nome della pace. Perfino in questi giorni è stata chiusa e faziosa la scuola, nelle responsabilità politiche di vertice, non dando ascolto signor ministro Malfatti alla nostra richiesta di proclamare un giorno di lutto nelle scuole in memoria dei giovani assassinati, di tutti gli studenti assassinati. D’altra parte, lei stesso, signor ministro dell’Interno, ha parlato il 6 ottobre, nell’Assemblea dell’altro ramo del Parlamento, il linguaggio dell’odio, della provocazione, dell’istigazione a delinquere contro la nostra parte, contro i nostri stessi giovani e anche, mi duole dirlo, il linguaggio della calunnia, tanto è vero che i ragazzi che lei ha mandato in galera per quei fatti non devono più rispondere di omicidio, né di concorso in omicidio, né di rissa, ma soltanto e tornerò su questo argomento di presunti reati politici e di opinione. Quanto alle responsabilità politiche, voi tutti avete costituito in questi ultimi mesi un regime, perché avete tentato di appropriarvi delle guarentigie costituzionali, chiamandovi «arco costituzionale» o «partiti costituzionali» o «partiti democratici», quasi che questi valori vi appartenessero in esclusiva. La logica dei regimi, di qualunque colore essi siano, è la discriminazione e con la discriminazione la violenza, con la violenza l’odio e la spinta verso la guerra civile.

Ora siete in crisi e allora o lo sbocco della crisi sarà ancora il patto a sei, il compromesso storico allargato (finché dura), e in tal caso dovrete tener conto del fatto che noi siamo all’opposizione e che il tentativo di criminalizzare o di soffocare o, comunque, di discriminare l’opposizione in quanto tale equivale alla riapertura di quella spirale dell’odio e della vendetta che in questi giorni dite di voler spezzare, oppure lo sbocco della crisi sarà il fallimento del compromesso storico e del precedente patto a sei, e allora ve lo suggerisce il Corriere della sera di oggi un clamoroso articolo di prima pagina non si dovrà parlare di Governo di emergenza, ma di Governo di salute pubblica nazionale, cioè di una formula di reggimento del paese che non escluda alcuna componente, non già in termini di partecipazione alla maggioranza o al Governo e tanto meno di lottizzazione del potere, ma in termini di corresponsabilizzazione, e quindi di pacificazione nazionale come noi la intendiamo e la vogliamo . Ciò significa che la pacificazione nazionale, la salvezza della nazione non si può realizzare, signor Presidente, signor ministro, senza o contro i nostri ragazzi, senza o contro la nostra famiglia umana, ma soltanto in un clima di generale abbattimento delle frontiere morali, ferme restando le differenze e le divergenze politiche e programmatiche.

Quanto alle responsabilità esecutive, di ordine sia preventivo sia repressivo, debbo rilevare, signor ministro, che sarebbe da parte mia e da parte nostra in questo momento forse ingeneroso prendersela con l’attuale Governo, che non esiste più, anche volendo ammettere che sia mai esistito, e quindi con l’attuale ministro dell’Interno. Debbo però definire irricevibili e forse anche ignobili due passi del suo discorso, signor ministro: quello relativo alle responsabilità dell’ufficiale dei carabinieri che ha ucciso il giovane Recchioni, e quello relativo al solito discorso delle presunte indagini, quando le vittime sono di destra. Nessun fermato, nessun arrestato, nessun covo chiuso, buio totale, signor ministro. Come lei stesso ha detto, e come i giornali pubblicano questa mattina, riferendo passi tra virgolette di quanto in un’assemblea alla città universitaria è stato ieri proclamato dai cosiddetti «autonomi», questi ultimi hanno rivendicato delle responsabilità; la questura di Roma lo sa, il Ministero dell ‘ interno lo sa, ma nulla è stato fatto: non un fermato, non un arrestato. Se i tre morti fossero stati di sinistra, che cosa sarebbe accaduto a quest’ora? Lo sapete sulla base di precedenti e non lontane esperienze.

Quanto all’ufficiale dei carabinieri, signor ministro, lei ha sostenuto testé la tesi della legittima difesa. Ma allora, in primo luogo, sostenetela sempre questa tesi della legittima difesa nei confronti degli agenti dell’ordine e dei carabinieri. In recenti e meno recenti occasioni, voi avete gettato nelle fauci dell’estrema sinistra extraparlamentare carabinieri o agenti di polizia che effettivamente, secondo le indagini esperite, si erano legittimamente difesi, o comunque si erano difesi. In questo caso, nessuno è stato ferito dai presunti sparatori di destra; nessuno è stato contuso dalla presunta sassaiola di destra; un ragazzo è stato ucciso da un ufficiale dei carabinieri. Lei si è contraddetto, signor ministro, sostenendo prima la tesi della legittima difesa e poi affermando che quell’ufficiale è caduto, e, cadendo, gli è partito un col­po. Questa non è legittima difesa, e mi dispiace che un giurista come lei incappi in così banali e plateali contraddizioni, che dimostrano mi dispiace dirlo la malafede sua e di coloro che l’ hanno costretta o indotta a dire cose assurde. Per lo meno, in attesa della conclusione delle indagini, quell’ufficiale dei carabinieri doveva essere sospeso dal servizio. Invece, egli è ancora in servizio. Lasciatemi ricordare che qualche mese fa, quando non si trattava dell’assassinio di un giovane, ma della fuga di un vecchio, l’Arma dei carabinieri fu sconvolta da un terremoto, e quasi nessuno la difese, se non proprio la destra nazionale.

Del resto, non è impotente il Governo, ma è impotente lo Stato, perché in questi anni, sinistre imperando, è stata portata avanti la strategia della smobilitazione dello Stato molto più della cosiddetta strategia della tensione. Il Corriere della sera metteva in rilievo quattro giorni fa che, ad un mese dalla entrata in vigore della legge sui nuovi servizi di informazione, di prevenzione e di sicurezza, la legge giace perché motivi interni di lottizzazione del potere impediscono di darle esecuzione, il che, ancor prima di essere un errore, è una gravissima colpa.”

NATTA ALESSANDRO: “Che c’entra la sinistra? C’entrerà il Governo!”

ALMIRANTE: “Nel luglio scorso i sei partiti di Governo hanno varato un programma comune, che era pur sempre presentato come un programma di emergenza o di salute pubblica. Ora quel programma è in pezzi nella sua parte sociale ed economica, ma è in pezzi anche e soprattutto nella parte relativa all’ordine pubblico, di cui fin da allora il Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale rilevò le gravi insufficienze.

Il modo più serio per onorare i ragazzi assassinati consiste dunque nel riprendere da capo il discorso sull’ordine pubblico e sulla necessità di quelle cure chirurgiche che ormai si impongono e delle quali siamo pronti a renderci corresponsabili. Siamo pronti, onorevole ministro, perché, sia chiaro, non siamo disposti, specie alla luce di quanto sta accadendo, a consentire che il nostro partito, e personalmente noi dirigenti del partito, veniamo criminalizzati e non soltanto discriminati dal regime e che poi siano i nostri giovani a pagarne lo scotto, i giovani che vengono assassinati, i giovani che finiscono in galera per presunti reati politici e di opinione. Premesso che con i veri criminali e anche con i numerosi teppisti e teppistelli che circolano per le strade d’Italia e specialmente di Roma, non abbiamo nulla a che vedere e, anzi, sono nostri nemici mortali i teppisti che si dichiarano di sinistra e che iscrivono il mio nome nelle liste di proscrizione, come è accaduto in questi giorni; ma sono nostri nemici anche, e talora soprattutto, i teppisti che fingono di essere o dichiarano di essere di destra, noi dichiariamo alto e forte che non accetteremo più che paghino per noi, per tutti, i nostri ragazzi: così come non vogliamo che paghino per tutti i ragazzi puliti che stanno politicamente al centro o a sinistra. Vogliamo pagare noi, da ogni punto di vista; vogliamo essere giudicati noi.

Giacciono da anni nei nostri confronti le autorizzazioni a procedere ai sensi della legge Scelba. Avanti, approvatele! Noi voteremo in favore, perché vogliamo che il regime ci faccia finalmente questo tante volte minacciato, questo assurdo e ridicolo, ma veramente emblematico, processo. Io sono stato privato dell’immunità parlamentare il 24 maggio 1973, signor Presidente; sono dovuto andare personalmente alla procura della Repubblica di Roma per ottenere la comunicazione giudiziaria il 31 luglio dello stesso anno. Non sono mai stato interrogato. È questa una copertura? È un privilegio? Se lo fosse, dovrebbe coincidere con l’archiviazione delle procedure. Ma siccome non lo è, siccome l’ombra del processo deve incombere su di me, su di noi, per soffocarci e per criminalizzarci, salvo a tenere in galera i nostri ragazzi, avanti, sbrigatevi, votate insieme a noi le autorizzazioni a procedere e finalmente sospendete, in attesa del nostro processo, le ignobili montature giudiziarie contro i giovani in corso in tante parti d’Italia! Altrimenti, non riuscirete davvero a piegare il nostro partito, ma continuerete a seminare odio nelle giovani menti e nelle tenere coscienze. Signor Presidente, la TV di regime nega in questi giorni la possibilità di lanciare un appello ai giovani, ai giovani puliti, al di sopra delle parti, nel nome della giustizia, della libertà e della pace. Mi sia consentito levare tale appello in Parlamento. E’ il migliore omaggio, è l’unico omaggio possibile ai tre nostri ragazzi assassinati.”

Seduta del 30 ottobre 1975

Ancora sangue a Roma, ancora sangue contro il Msi-Dn. Nel quartiere Prenestino, un altro quartiere popolare, opera un’attiva e forte sezione del partito, frequentata da ragazzi coraggiosi e per nulla disposti a seguire i falsi miti della sinistra. La sinistra «rivoluzionaria» odia quei giovani che non sono mai scappati e decide l’imboscata. Il piano è deciso per il 29 ottobre 1975, il commando spara non appena due giovani si trovano davanti alla sezione: Mario Zicchieri, giovanissimo il suo soprannome è «Cremino» cade, crivellato da colpi di lupara. Resta gravemente ferito un altro giovane missino. Il giorno dopo la civile protesta missino approda alla Camera.

L’uccisione di Mario Zicchieri al Prenestino

ALMIRANTE: “Mi permetto inizialmente di pregare il vicepresidente onorevole Nilde Jotti di voler porgere il nostro apprezzamento ed il nostro ringraziamento voglio dire il mio personale e, se mi si consente, quello di tutto il gruppo e quello del partito che ho l’onore di dirigere e di rappresentare all’onorevole Presidente Pertini, per aver voluto scendere in aula a pronunziare egli stesso le nobili e ferme parole che ha pronunziato. Debbo osservare che non altrettanto ha fatto il ministro dell’Interno; e l’osservazione è tanto più pertinente e grave in quanto quello del ministro contrasta con l’atteggiamento tenuto dal Presidente della Camera.

Credo che il Presidente della Camera non abbia voluto dare una lezione al Governo, perché ritengo che egli pensasse come pensavamo noi che, essendo il signor ministro dell’Interno (tanto l’attuale quanto il precedente: parlo del ministro dell’Interno come organo) sempre intervenuto quando si è trattato di crimini di questo genere, ma addossati, non dico alla nostra parte, bensì al nostro ambiente, così avrebbe fatto anche questa volta. È veramente un fatto politico ed anche un dato morale e di costume degradante l’assenza, oggi, del signor ministro dell’Interno.

Siffatte assenze, quella del signor ministro e quella della maggior parte dei nostri colleghi perdonatemi le parole gravi, ma siamo in presenza di un assassinio nei confronti di un ragazzo di nemmeno diciassette anni, e penso che le parole gravi siano consentite, soprattutto se pronunziate con profondo dolore e con tono pacato queste assenze si chiamano cinismo e viltà, signor sottosegretario; così debbono essere chiamate, a livello di Governo e me ne dispiace a livello di gruppi parlamentari. Le prediche, onorevole sottosegretario, sono perfettamente inutili quando vengono da un Governo e da un consesso che in questo modo rinunziano ad esercitare la loro autorità morale. Il primo deterrente deve venire da quei banchi, quando essi siano affollati dai ministri responsabili, e da quegli altri banchi, quando essi siano affollati dai deputati o, nell’altra aula del Parlamento, dai senatori responsabili. Questo squallido spettacolo, onorevoli colleghi, è un incoraggiamento alla criminalità. L’incoraggiamento viene da qui, ed è qui che dobbiamo fare discorsi chiari e non generici. Tali discorsi debbono centrarsi su tre punti: primo, assunzione di responsabilità da parte di tutti, guardandoci in faccia, anche personalmente; secondo, come prevenire; terzo, come reprimere. Mi studierò di esprimere questi concetti nei pochissimi minuti che ho a disposizione, anche perché mi rendo conto che sarebbe di pessimo gusto fare o tentare di fare in occasioni simili dei lunghi discorsi.

In primo luogo, dicevo, assunzione di responsabilità globale, per un chiarimento globale. Noi, onorevoli colleghi, ci siamo assunti le nostre responsabilità e lo abbiamo fatto ripetutamente, prima che si entrasse nella fase acuta della cosiddetta strategia della tensione, all’inizio di questa legislatura, chiedendo, con una proposta di legge, che le organizzazioni extraparlamentari di ogni tipo venissero messe fuori legge e considerate come associazioni a delinquere. Nessun settore della Camera o del Senato ci ha però voluto ascoltare e il Governo non ha neppure ritenuto di prendere in considerazione polemica quella nostra proposta, con il risultato che il gruppo del Manifesto, è entrato a far parte dell’arco costituzionale a livello periferico (e se potesse anche a livello nazionale) con il vostro beneplacito. Mi sono riferito volutamente al gruppo del Manifesto perché stamattina abbiamo rilevato che la stampa in genere, un po’ di tutti i partiti, si è portata bene (lo dico con soddisfazione e con riconoscenza) nei confronti di quanto purtroppo è accaduto ieri. C’è stata una sola eccezione, il quotidiano Il Manifesto, il quale, riferendosi all’assassinio di un ragazzo di nemmeno diciassette anni e al grave ferimento di un ragazzino, quasi di un bimbo, di quindici anni, ha avuto stamani il coraggio di scrivere: «Secondo alcune voci raccolte nel quartiere, intorno alla sezione missina di via Gattamelata fioriscono diversi traffici oscuri e i contatti con la malavita non sono infrequenti. Su questo intreccio di traffici ai margini della legalità e di azioni teppistiche starebbe indagando anche la squadra mobile della questura romana». Cosa volete che vi dica: vergogna? Sì, vergogna, ma non nei confronti degli autori di queste infamie, ma di chi ha il coraggio di stringere loro le mani a livello, oramai, dei consigli regionali, dei consigli comunali dei capoluoghi, dei consigli provinciali, di incontri politici ad alto livello.

Questa è la logica della politica discriminatoria dell’arco costituzionale.

Guardiamoci in faccia responsabilmente: è verissimo che in numerose occasioni l’Unità e qualche volta l ‘Avanti! hanno dissociato le responsabilità del Partito comunista e del Partito socialista dalle responsabilità teppistiche dei gruppi extraparlamentari. Ma è altrettanto vero che infinite volte i dirigenti nazionali del Partito comunista e del Partito socialista, nonché i rispettivi parlamentari (insieme, numerose volte, con i parlamentari e i dirigenti del Partito socialdemocratico e della stessa Democrazia cristiana) hanno partecipato a pubbliche manifestazioni insieme con i dirigenti dei gruppi extraparlamentari. Non siamo dunque giunti in Italia ad un chiarimento positivo. Al contrario, siamo giunti a un chiarimento negativo, alla associazione, alla consociazione, alla correità dei dirigenti e dei parlamentari di quasi tutti i partiti del cosiddetto arco costituzionale con gli autori della violenza. Violenza lo ripeto da qualunque parte venga. Affermo ciò perché ho il coraggio e la possibilità di parlar chiaro, in quanto posso dirvi un’altra cosa (e ve lo dico guardandovi in faccia): il Msi-Destra nazionale ha stabilito, su mia proposta (una proposta che ha avuto seguito in puntuali attuazioni) che sia incompatibile l’appartenenza al nostro partito con l’appartenenza o la semplice frequentazione dei gruppi extraparlamentari.

Io ho espulso dal mio partito agenti provocatori (non molti perché per fortuna i casi erano limitati) che in esso si erano infiltrati, come può accadere lo riconosco anche ad altri partiti. È noto invece (tanto per fare un esempio, che però è il più grave) che nella Democrazia Cristiana, a livello di organizzazione sindacale (e non mi dite «autonoma») si accetta e si pratica il triplice tesseramento: DC, CISL e gruppi extraparlamentari. È stato pubblicato e non smentito (anzi, la dirigenza della CISL ha risposto con qualche compiacimento) che, specialmente nel settentrione d’Italia, i cosiddetti «cubisti» fanno parte dello stato maggiore della CISL. E così il teppismo politico, quello sindacale, metasindacale o parasindacale si congiungono con il teppismo e con la delinquenza comune. E allora, non potete fuggire dalle vostre responsabilità, non potete venirci a raccontare, dai comunisti fino ai democristiani, che siete d’accordo contro la violenza.

Io credo senz’altro che in linea di principio voi siate d’accordo nel deprecare la violenza, non ne ho dubbio; ma, in linea di fatto, non solo non fate niente per stroncarla alle sue origini, ma la coltivate nei vostri rispettivi orticelli o perché ne avete paura, o perché siete tatticamente d’accordo, o perché non avete il coraggio e l’onestà di fare il vostro dovere nei vostri rispettivi settori, in una Italia in cui è difficile fare il proprio dovere. Nelle precedenti discussioni, quando eravamo noi, ingiustamente e a torto, sul banco degli accusati, onorevole rappresentante del Governo, noi eravamo tutti qui.

Voi tutti ricordate i dibattiti provocatori portati avanti dall’ex ministro dell’Interno, onorevole Taviani, su stragi che puntualmente venivano attribuite ad una matrice fascista; noi eravamo qui a parlare, non a discolparci certamente, ma ad assumerci le nostre responsabilità. Che significano questi alibi, queste continue fughe dalle rispettive responsabilità da parte di tutti? Secondo: prevenire. Noi abbiamo approvato di recente con larga ma non larghissima maggioranza una legge per l’ordine pubblico intesa a prevenire. Come era costituita quella maggioranza, onorevole rappresentante del Governo? Quella maggioranza teneva fuori, alla opposizione, i comunisti, ed ha visto, tentennanti fino all’ultimo, anche sul voto finale, i socialisti, e comunque ha visto questi ultimi pesantemente in contrasto sui singoli articoli ed emendamenti a quella legge. Dopo di che voi avete portato avanti un quadro politico opposto; la maggioranza che era venuta a costituirsi per l’ordine è stata sostituita da una maggioranza di fatto che non essendo per l’ordine ma contro di esso è evidentemente essa stessa, con la sua presenza, suscitatrice del disordine. Questo ho inteso dire in una dichiarazione, che il quotidiano comunista definisce imprudente e non capisco il perché e che invece è molto chiara e logica. Questo ho inteso dire quando ieri, subito dopo la notizia, in una dichiarazione che ho reso alla stampa e alla televisione, ho affermato che i provocatori dei gruppi extraparlamentari favoriscono il disegno che sta portando il Partito comunista al potere. Non si tratta di una mia invenzione, provocazione o imprudenza: è la logica delle cose.

Se fosse venuta avanti in questi ultimi mesi la maggioranza che ha voluto la legge per l’ordine, contro il Partito comunista il deterrente morale, politico e costituzionale forse avrebbero funzionato, ma voi avete, con i nostri voti, potuto far passare quella legge e immediatamente dopo avete voluto portare avanti, voi democristiani soprattutto, un quadro politico in contrasto con quella legge, con quel principio che tutti noi avevamo definito una misura preventiva e nella cui efficacia voi speravate.

Infine, reprimere. Signor rappresentante del Governo, non me la prendo certamente con lei, ma mi consenta di chiederle perché un questore, un vicequestore, un commissario di polizia, un agente dovrebbero alzarsi dai loro letti od uscire dai loro uffici per far il loro dovere affrontando la criminalità per reprimerla, non potendo prevenirla, quando il signor ministro dell’Interno non esce dal chiuso del proprio ufficio per venire qui a fare il suo dovere? Di che cosa aveva paura il signor ministro dell’Interno? Delle nostre parole? Non lo credo. Gliene ho dette tante: scivolano come acqua sul marmo. Di che cosa aveva allora paura? Di qualche interruzione ingiuriosa? Forse lo avremmo minacciato? Non credo. Se in un paese civile, il ministro dell’Interno non ha il coraggio, la lealtà, l’onestà, la pulizia morale e politica di venire a dire quel che deve dire per assumersi a titolo personale qui, ripeto, si tratta anche di guardarci in faccia e di assumere le personali responsabilità le proprie responsabilità, come può l’opinione pubblica, la gente, e come posso io rimproverare un agente di polizia, un carabiniere, un questore di essere timidi come qualche volta, o spesso purtroppo, sono costretti ad essere di fronte al duro adempimento del dovere di pronta, energica e definitiva repressione? Ecco, onorevoli colleghi, le poche cose che ho voluto dire non dimenticando neanche per un istante la figura del ragazzo assassinato e soprattutto le figure dolenti dei suoi familiari. Consentite che io termini ringraziando ancora una volta il Presidente della Camera e tutta la gente civile, di qualunque parte essa sia, che in questo momento comprende non soltanto l’immenso dolore di chi è stato colpito da questa sciagura, ma anche la ferma, fermissima volontà di contribuire a far si che si esca da una situazione che diventa ogni giorno più intollerabile.”

Seduta del 5 agosto 1974

4 agosto 1974, strage sul treno Italicus. Immediata l’etichetta coniata dal regime: le bombe sono «fasciste». Il giorno dopo a Montecitorio si svolge una seduta tempestosa. Per il Msi-Dn si alza a parlare, fra violente contestazioni degli avversari politici, Giorgio Almirante, che svolge un intervento in replica alle dichiarazioni del ministro dell’Interno. Almirante smonta un castello di accuse infamanti, dimostra che non si è voluto prevenire l’attentato. La sinistra che nel paese ha scatenato i suoi uomini contro il Msi-Dn perde le staffe anche in Parlamento: la destra non deve potersi difendere dalle accuse! Ma Almirante non ci sta  

La strage dell’Italicus:

un infuocato dibattito

ALMIRANTE: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, non soltanto cordoglio, ma orrore e volontà comune, estesa credo a tutti, senza alcuna eccezione, di operare perché i criminali, da qualunque parte vengano, siano smascherati e messi in condizione di non nuocere.

Noi crediamo, signor ministro dell’Interno, di aver dato l’esempio, anche in questa occasione e soprattutto in quest’occasione. Ella ce ne ha dato atto ed io la ringrazio per questo, anche se debbo aggiungere alle sue dichiarazioni talune integrazioni e correzioni che mi sembrano di estrema importanza ai fini delle indagini in corso. A quanto ella ha detto, signor ministro, aggiungo che l’avvocato, un avvocato del foro di Roma, il quale ci diede la possibilità di dare immediatamente al Ministero dell’interno informazioni preziose è a disposizione della giustizia e, dopo aver riferito agli organi di polizia, ha riferito, almeno inizialmente, al magistrato, senza tacere alcun particolare. Aggiungo che siamo stati in grado, signor ministro, onorevoli colleghi, di comunicare personalmente l’onorevole Covelli, presidente del nostro partito, ed il sottoscritto il mattino del 17 luglio al dottor Santillo, nel suo ufficio al Ministero dell’interno, che un attentato era in via di preparazione alla stazione Tiburtina, con ora d’inizio le 17,30, l’ora precisa (ora ve lo chiarirò) in cui si forma il treno «Italicus». L’informazione che ci era stata data e che riferimmo la mattina del 17 luglio era inesatta solo per un particolare di notevole importanza, perché nell’informazione si parlava del «Palatino», il treno Roma – Parigi, e non dell’ «Italicus». Poiché, però, si parlava della stazione Tiburtina e si riferiva l’ora esatta rispondente alla formazione del convoglio dell’«Italicus», la nostra notizia era talmente precisa che il giorno dopo mi telefonò il dottor Santillo per dire: abbiamo accertato che il «Palatino» non parte dalla stazione Tiburtina, ma dalla stazione Termini, dopo essere stato formato alla stazione Tuscolana; comunque sia abbiamo stabilito partic­lari rinforzi di salvaguardia (espressione testuale) tanto alla Tuscolana, quanto a Termini, quanto alla Tiburtina. Il signor ministro lo ha confermato oggi; è stata una conferma imprudente, perché posso dichiararvi, onorevoli colleghi sulla base di informazioni di stampa, che questa mattina riprendo, per esempio, non smentite, dal Corriere della sera posso informarvi che tanto poco erano stati accresciuti i servizi si salvaguardia alla stazione Tiburtina che il giorno precedente il tragico incidente, cioè nel pomeriggio in cui l’attentato probabilmente fu perpetrato, nella stazione stessa erano in servizio 4 agenti di polizia, più esattamente un brigadiere e tre appuntati. Dei tre appuntati uno era al magazzino ed uno negli uffici: sicché per tutta la stazione Tiburtina erano presenti in servizio due uomini soltanto, un maresciallo ed un appuntato. Il convoglio, perché lo sappiate ecco la precisione delle informazioni che ci erano pervenute il convoglio si ferma ogni giorno alle ore 17,30 sul binario numero 3 credo di non sbagliare mentre è in stazione verso mezzo­giorno in un binario morto; si ferma alle 17,30 sul binario numero 3 perché, trattandosi di un convoglio sul quale viaggiano, come è stato giustamente scritto, centinaia, talora migliaia di persone soprattutto famiglie di emigrati che tornano in Germania è un treno il cui carico richiede molto tempo. Alle 17,30 salgono gli uomini addetti alle pulizie e gli agenti, quando ci sono, e poi cominciano a salire i viaggiatori. Il treno è rimasto quel giorno incustodito (perché in tutta la stazione erano in servizio due soli agenti) dalle 17,30 fino alle 20,42, ora in cui il convoglio si è mosso. Quindi, nella dichiarazione del ministro è contenuta questa prima gravissima inesattezza che potrebbe spiegare, io penso, tante cose.

La seconda inesattezza consiste in una lacuna, ed è ancora più grave; perché, a distanza di due giorni dal ricordato colloquio del 17 luglio con il dottor Santillo, io fui in condizioni di mandare un biglietto al dottor Santillo e di farlo seguire da una telefonata. Gli mandai un biglietto nel quale, con allegata una mia carta da visita, per assumermi le mie responsabilità e sono responsabilità pesanti, che si pagano con rischi politici e anche personali, penso ve ne rendiate conto erano indicati tre nomi, i nomi dei presunti organizzatori dell’attentato (dico «presunti» perché non sono vile e disonesto come tanti i quali attribuiscono paternità di attentati a uomini che non riescono nemmeno a essere indicati o indiziati come presunti; dico correttamente «presunti»), tre nomi e cognomi segnalati al dottor Santillo perché esperisse le indagini. Non so se le indagini siano state esperite. So per certo che quei tre indiziati o presunti indiziati o presunti colpevoli o presunti organizzatori appartengono a gruppi extraparlamentari di sinistra operanti in Roma e più esattamente all’università di Roma. Non vi dico i tre nomi, li ho comunicati al dottor Santillo, sono a disposizione per comunicarli al magistrato. Non credo sarebbe serio da parte mia esibire qui dei nomi, perché potrei, tra l’altro, essere accusato di aiutare a salvarsi qualche criminale. Ma posso attestare che si tratta di tre elementi dell’estrema sinistra extraparlamentare operanti in Roma. Nomi e cognomi. Quali indagini…”

SALVATORE: “Questa è copertura, Ripeto, questa è un’azione di copertura!”

RICCIO STEFANO: “Facciamo la legge sul fermo di polizia e queste cose non accadranno più!”

ALMIRANTE: “Posso dire e ripetere che si tratta di elementi extraparlamentari di sinistra; e a proposito delle presunte indagini, dei presunti interrogatori, delle presunte perquisizioni che avrebbero dovuto svolgersi tra il 17 luglio e l’altro ieri, io le chiedo, signor ministro, come mai ieri mattina il Ministero dell’interno tentasse di indagare all’anagrafe di Roma sul cognome del primo fra gli elementi da me indicati in quanto vi era una lieve inesattezza nella trasmissione del cognome; mentre vi erano, attenzione, notizie estremamente precise sui modi attraverso i quali avrebbe potuto essere rintracciato lui, insieme con gli altri, perché erano stati indicati i luoghi che questi personaggi frequentano, erano state indicate le macchine che questi personaggi usano, erano state indicate con precisione le loro abitudini. Non risulta che siano stati interrogati, fermati, indiziati; e ciò non risulta, onorevoli colleghi, anche a loro danno, perché, se per avventura erano indenni da ogni accusa o potevano dimostrare di essere indenni da ogni accusa, era conveniente e giusto per loro stessi che fossero individuati e interrogati. Non hanno avuto neppure la possibilità di rispondere ad un interrogatorio… “

Una voce a sinistra : “Vi date la zappa sui piedi!”

ALMIRANTE: “…nel corso di tutti questi giorni; il signor ministro dell’Interno ha pertanto detto cosa inesatta (non voglio dire falsa), quando ha affermato che negli scorsi giorni sono state esperite le dovute indagini a seguito delle notizie da noi fornite. Aggiungo, per quanto riguarda la protezione al treno, un particolare prezioso, che emerge da quanto l’agenzia ANSA oggi stesso, poche ore fa, ha precisato e comunicato, e cioè che non vi era scorta di polizia al treno «Italicus», perché la scorta di polizia viene disposta soltanto per i treni che portano posta o personalità politiche. Siccome era un treno che portava povera gente, non vi era scorta di polizia né alla stazione, contrariamente a quanto è stato affermato dal signore ministro dell’Interno, né sul treno, nonostante le segnalazioni esatte quanto all’ora e alla stazione di formazione del treno che noi avevamo ritenuto fosse nostro dovere (e ci onoriamo di averlo fatto) offrire alla meditazione, all’indagine e al senso di responsabilità del signor ministro dell’Interno e dei suoi collaboratori. Onorevoli colleghi, credo che sia la prima volta nel dopoguerra che i massimi esponenti di un partito politico, pur essendo nettamente all’opposizione, si comportano come noi abbiamo ritenuto di comportarci. Avremmo potuto comportarci alla stregua di altri partiti e di altri personaggi; avremmo potuto dar luogo a scandali giornalistici e ad accuse più o meno a vuoto, con il solo risultato di offrire impunità ai delinquenti e di consentire loro di fuggirsene per la tangente.”

PRESIDENTE: “Onorevole Almirante, il tempo a sua disposizione sta per scadere.”

ALMIRANTE: “Ho quasi terminato, signor Presidente. Invece, ci siamo comportati, avendo la coscienza pulita Vivissime interruzioni all’estrema sinistra e a sinistra come leali cittadini, i quali Ripetute interruzioni a sinistra hanno sempre fatto, continuano a fare…

SCIPIONI: “Bandito!”

CAPPONI BENTIVEGNA CARLA: “Avete fatto il delitto perfetto! Con l’alibi! Avete costruito bene il vostro delitto! (Vive proteste a destra ).

PRESIDENTE: “Onorevoli colleghi!”

ALMIRANTE: “Continueremo a comportarci così, facendo il nostro dovere; e a questo riguardo, signor Presidente, poiché ella ha detto «fatti e non parole, esempio e non parole», oltre alle richieste che abbiamo già formulate in precedenti occasioni…”

PRESIDENTE: “La prego di concludere, onorevole Almirante.”

ALMIRANTE: “…perché siano sciolte tutte le organizzazioni extraparlamentari, perché siano abolite le norme lassiste e permissive, perché sia introdotta la pena di morte contro gli autori di delitti di strage… Vivi rumori e interruzioni all’estrema sinistra e a sinistra ).

Una voce all’estrema sinistra: “Servo di Hitler! Fascista! Fucilatore! Massacratore di partigiani!”

ALMIRANTE: “…aggiungo una formale proposta perché una Commissione di inchiesta parlamentare sia nominata al più presto e possa indagare in ogni senso e in ogni direzione sulla violenza, sui suoi responsabili, sui suoi autori, sui suoi mandanti, nessuno escluso. ( Vivissime, ripetute proteste all’estrema sinistra e a sinistra ).

Questa è la voce di un partito il quale, difendendo se stesso, l’onestà e la pulizia dei propri uomini, è deciso, nell’interesse di tutto il popolo italiano, a contribuire a ripristinare l’ordine, la pace civile, nel nostro troppo tormentato paese.