FARE OPPOSIZIONE ESSERE ALTERNATIVA

Il Caso talvolta é più perfido degli Uomini.

I 75 anni dalla fondazione del Movimento sociale sono arrivati mentre si consumava lo spettacolo della elezione del presidente della Repubblica: teatro dell’assurdo? commedia dell’arte? tragedia? avanspettacolo? opera dei pupi? farsa? gioco di ruolo? pochade? sceneggiata? commedia? oppure soltanto dramma storico?

Abbiamo assistito al fallimento (1) dei partiti, divenuti ormai tempio supremo della incapacità, della inaffidabilità e della non rappresentatività del corpo vivo della Nazione, i cittadini-elettori.

Abbiamo preso atto che questa politica resta commissariata a vantaggio di una oligarchia tecnocratica che fonda la propria illegittima egemonia non sul consenso ma sui gruppi di potere senza volto che affollano l’Unione europea e non solo.

Abbiamo capito che il ricorso al voto continua ad essere rinviato per non disturbare chi ci comanda.

Abbiamo poi registrato la fine del centrodestra, un’alleanza che da politica era diventata solo elettorale e che per la verità portava da sempre dentro di sé l’equivoco mai chiarito tra chi, moderato, concepisce i sovranisti solamente come portatori di voti e chi, sovranista, smania spasmodicamente per farsi accettare a qualunque costo nei salotti buoni della politica.

E gli italiani? Fuori dai giochi, fuori dal Palazzo.

Quello che è avvenuto è una pagina di Storia contemporanea che nessun libro di fantapolitica aveva potuto prevedere. Gli storici futuri lo racconteranno per quello che è: il Titanic della partitocrazia italiana.

E’ collassata la democrazia-parlamentare e, insieme, è fallita la “marcia verso il centro” intrapresa dalla destra (2).

Per capirlo fino in fondo ci soccorre proprio il 75mo anniversario di una forza politica che sin dal suo primo documento (il Decalogo) e per tutta la sua esistenza non si stancò mai di predicare e di motivare, non solo politicamente ma culturalmente e giuridicamente, una radicale riforma della Costituzione che coinvolgesse il Paese reale con la elezione diretta del Capo dello Stato.

A dire più o meno le stesse cose sin dalla Costituente (prima quindi della fondazione del Msi) si levarono le autorevoli voci di Valiani, Mortati, Codacci Pisanelli, Orlando, Bozzi e Calamandrei (3) ma anche negli anni successivi quelle di Maranini, Pacciardi, De Stefanis, Crisafulli, Ciccardini, Giannini, Miglio, Craxi, Labriola, Baldassarre e tanti altri ancora.

Fare ricorso alla volontà popolare era ed è un altissimo atto di democrazia praticata, e non solo proclamata, che non scavalca la legittimità dell’azione dei partiti fondata peraltro su un voto di tutt’altro tipo, politico.

Ma era ed è anche un modo, costituzionalmente ineccepibile, per “far presto”, cioè per evitare la pratica mortifera dei compromessi, delle trappole, degli agguati, delle pugnalate alle spalle, delle impasses imposte dalle giravolte, in un parola dei trasformismi dei quali in effetti sarebbe stata costellata gran parte della nostra vita politica con il conseguente progressivo logoramento della politica senza la P maiuscola.

Non una furbesca e sterile scorciatoia insomma, ma un adeguamento effettivo alla velocità odierna dei tempi decisionali con cui gestire meglio e meglio risolvere le molteplici e crescenti problematiche che arrivano sul tavolo di chi comanda.

Ma questa proposta missina era anche il primo passo di una organica riforma della Carta costituzionale di cui non soltanto il Movimento sociale italiano avvertiva la necessità.

Montanelli, il moderato Montanelli, il conservatore Montanelli, il liberale Montanelli scrisse un editoriale che fu ad un tempo l’epitaffio del Sistema ma anche un urlo a cambiare tutto pur di salvare l’Italia (4).

Quella che si auspicava era (e sarebbe ancor oggi) una riforma organica del Sistema fondata sull’elezione popolare del Capo dello Stato e sull’inserimento nel Parlamento, al fianco dei partiti, delle competenze tecniche assicurate dai rappresentanti delle categorie, dei mestieri, delle professioni, insomma della produzione e dai prescelti del mondo dei saperi, arte, scienza, cultura. Insomma tutto quel bagaglio di capacità e di esperienze che la democrazia-parlamentare non potrà mai garantire e infatti non ha mai garantito.

Selezioni dal basso e non nomine dall’alto, ovviamente.

In poche parole si chiedeva di riformare il Sistema prendendone di petto la  fisionomia istituzionale.

E oggi che la necessità assoluta di una riforma (quantomeno) del modo di elezione del Capo dello Stato è diventata tema non teorico né dilazionabile ma concreto e urgente di qualunque politica nuova, il confronto con chi, con lungimiranza innegabile, sollevò queste questioni e avanzò queste proposte innovative diventa quantomeno opportuno, meglio: necessario. Basta leggere la Relazione d’accompagnamento del ddl 703 presentata durante la 17ma Legislatura per rendersi conto del fruttuoso cammino fatto su queste tematiche dalle sensibilità più riformatrici della politica nazionale.

E’ un cammino da riprendere e da concludere.

L’alternativa a una grande iniziativa riformatrice come questa  è il “declino senza cambiamento” (5).

L’occasione oggi c’è tutta. Chi di dovere la colga.

Ma chi di dovere colga anche ciò che insegna l’altro fallimento: la sterile rincorsa della destra all’ambiguo e scivoloso moderatismo dei centristi.

Per capire chi sono “i moderati” basterebbe rileggere Abel Bonnard e farne tesoro.

I rappresentanti di questi “moderati” sono oggi gli artefici principali di quel che è avvenuto e del “come” è avvenuto. Ci hanno messo la firma.

Ora si accingono a veleggiare verso il Grande Centro, verso questo Mar dei Sargassi della politica nostrana nel quale da anni trovano posto, aggrovigliati gli uni sugli altri, tutti i rottami degli equivoci, dei trasformismi e dei fallimenti della Nuova Italietta.

Sia chiaro: questi “moderati” non sono traditori. Tradire è un atto legato alla morale. E se la Morale non appartiene alla Politica, figuriamoci se la Morale appartiene al Trasformismo, il cui Tempio è da sempre assiduamente frequentato appunto da moderati, centristi e liberal-conservatori.

Questi moderati sono parte essenziale di un Sistema che non può essere ridotto a sola ingegneria costituzionale ma è soprattutto un modo, uno stile, una grande melassa nella quale banche, media, partiti, multinazionali, Episcopato modernista, finanza mondiale, ong, think-thank, Servizi segreti deviati, Club esclusivi gonfi di capitali e senza bandiere tirano le fila del mondo e quindi anche della nostra malconcia Penisola. Questi moderati parlano lo stesso linguaggio degli altri. Hanno in mente gli stessi modelli degli altri. Seguono gli stessi codici comportamentali, gli stessi riflessi pavloviani, gli stessi tabù. Solo con gli altri sono a loro agio.

Per il Quirinale questi moderati hanno semplicemente esercitato il diritto-dovere di cambiare strada in barba agli accordi presi con una destra che non serviva più.

A questi moderati non importava dove avrebbe portato la strada nuova. Né con chi sarebbe stata percorsa. L’importante era che a intraprenderla si fosse comunque in tanti, e pure appassionatamente.

La coerenza? Che c’entra la coerenza? Roba fuori moda, ci hanno detto.

Per tutti, traditori e traditi, c’entra invece la spasmodica necessità di essere gente di Governo a qualunque costo, frequentatori entusiasti, ancorchè non à la page, delle stanze dei bottoni nella illusione di essere disinvolti (magari più degli altri) nel maneggiare le leve del potere. Obiettivo: per i traditi non essere più i paria di questa Repubblica che peraltro non li ha mai chiamati “figli”; per i traditori restare a galla abbarbicati a qualunque ciambella di salvataggio che passa.

E il popolo? il Paese reale? la società civile?

Alla finestra, ad assistere allo spettacolo.

La società civile è da parecchio tempo aggredita da una progressiva radicalizzazione dei problemi, in particolare di quelli sociali, e da un progressivo malfunzionamento della macchina istituzionale preposta a risolverli. E’ una fase tutt’altro che prossima a chiudersi.

Per fronteggiarla occorrono coraggiose misure radicali, non già misure moderate, pannicelli caldi, insipida acqua calda.

Sul fronte sociale e su quello istituzionale occorre fare scelte parimenti forti, organiche, che abbiano come obiettivo il bene supremo del nostro Paese e non il tornaconto di quei gruppi di potere. Occorre un colpo d’ala che può venire solo da una risposta all’altezza delle domande drammatiche che salgono ogni giorno dalla società civile.

E’ qui, su questa nuova identificazione tra Paese legale e Paese reale che si gioca il futuro prossimo e che può scaturire la grande novità politica che tutti cercano e che nessuno trova in questo Sistema bloccato e logoro.

E’ roba da moderati, da liberali, da conservatori? C’è davvero chi crede che da costoro possano pervenire le giuste risposte alla crisi istituzionale e a quella sociale?

Le risposte giuste non stanno da quelle parti.

Stanno altrove.

Stanno nelle radici ideali che quel partito non rescisse mai, stanno proprio in quella coerenza che consentì a quel partito “fuori della Storia” di durare mezzo secolo contro tutto e contro tutti e di seminare idee, di elaborare tesi, di creare suggestioni ideali e programmatiche, di contare nel Palazzo perché contava nel Paese.

Senza mai restaurare e senza mai rinnegare.

Oggi é il tempo delle idee e delle proposte che scaturiscono da quella Storia onorevole e affidabile senza la quale nessuno, ma proprio nessuno, starebbe dove oggi sta.

Occorre darsi coraggio e innalzare l’Identità come una bandiera. Senza ascoltare le sirene di chi ti consiglia di continuare sulla strada franata.

E’ ora di cambiarla, quella strada.

E’ ora di fare opposizione. E di essere alternativa.

Massimo Magliaro

Nova Historica. I 75 anni del Msi. Editoriale sul Quirinale

 

Note

 

  • (1) Perfino Guido Melis sul it del 30 gennaio 2022 ha parlato di “classe politica fallimentare”.
  • (2) Andrea Ungari, “La marcia verso il centro e la prospettiva di una destra moderata”, relazione presentata al Convegno di studio su “Antagonismo e riformismo a destra e a sinistra. Miti, politica e cultura nella società italiana dalla guerra al centrosinistra” organizzato a Roma dall’Istituto di studi sulla storia contemporanea (13-14 dicembre 2002) e pubblicato su Ventesimo Secolo vol. 4, n. 7, aprile 2005.
  • (3) In particolare l’intervento di Calamandrei nella seduta dell’Assemblea costituentedel 6 settembre 1946.
  • (4) Indro Montanelli, “Un morto tra noi”, editoriale del Giornale nuovo del 4 dicembre 1982: “L’attuale sistema basato sulla partitocrazia è cotto e da esso non possiamo aspettarci più nulla”; “La Costituzione non è soltanto invecchiata, ma anche sbagliata”; “Se non ci decidiamo a seppellire il cadavere di questo regime fallito, diventerà aria appestata”.
  • (5) Carlo Ferruccio Ferrajoli su Costituzionalismo.it fascicolo 1, 2019.

 

 

 

 

 

 

 

 

La lettera. L’abbaglio di Scanzi su Almirante

Il giornalista toscano descrive il leader del Msi come “un criminale”. Ma gli addebiti non tornano…

Marino Pagano su Barbadillo.it  03/01/2022

Un bel tipo questo Andrea Scanzi. Ah, premessa. Il suddetto ama il suo ego in senso proverbiale, così proverbiale che si fa fatica a trovare esempi simili a lui. E dunque: nessuna volontà di promozione da parte nostra, giacché solo quella egli va cercando, da pura star del nulla cosmico e catodico. Né sta a noi scrivere la sua fenomenologia, materia che volentieri lasciamo agli esperti sulle personalità. E allora. Succede che leggendo il suo libro -sì, per lavoro si fa anche questo- scopri davvero delle belle -si fa per dire-. Eccoci a pagina 152. All’interno di uno dei suoi soliti discorsetti faziosi, cita Giorgio Almirante, tra i politici più importanti della storia repubblicana, segretario del Movimento Sociale Italiano, definito tout court “criminale fascista”. Espressione indubbiamente forte, c’è tuttavia di più e di peggio. Almirante, sempre nella stessa pagina, diventa “responsabile in prima persona di rastrellamenti e deportazioni di ebrei”. E ti chiedi se il tipo di cui sopra ci sia o ci faccia. Soprattutto, se sia d’accordo non con un altro tipo ma col tipo in questione medesimo, ossia con Scanzi stesso. Fu infatti proprio lui, nel libro “La politica è una cosa seria” (Rizzoli, 2019), riferendosi ai funerali di Berlinguer e alla famosa visita del leader del Msi al feretro del capo del Pci, a scrivere: “Tra quel milione di persone c’era anche Giorgio Almirante, perché tra avversari ci si stima. Quando c’è motivo di stimarsi”. 

È sempre Scanzi, bellezza. Oppure lo Scanzi quando gli gira (quasi) bene. 

Ora, diteci voi, di grazia, se Berlinguer poteva mai stimare un autore di “rastrellamenti” verso ebrei? Che è poi espressione abnorme, senza filtro storico (storiografico men che meno, figurarsi). Un qualcosa, quantomeno, di non direttamente noto agli storici. Inutile qui stare a recuperare le vecchie polemiche ideologiche, gli scontri anni ’70 attorno ad un celebre manifesto afferente al periodo della guerra civile tra italiani, periodo drammatico e tragico oltre misura, frangente che con grande intelligenza l’Italia postbellica, quella seria, seppe mettersi subito alle spalle. Dice nulla l’amnistia voluta dall’allora guardasigilli Togliatti? Palmiro Togliatti, chiaro? Un mettersi alle spalle non certo per dimenticare. Ma per andare avanti come Paese. Il tutto pochissimo tempo dopo quei drammi, col sangue ancora vivo. Ed oggi? Oggi che succede? Oggi arriva Scanzi e scrive assurdità senza un minimo costrutto storico. Segno di quanto ci si stia incattivendo. Difficilmente, un decennio o un ventennio fa, avrebbe avuto cittadinanza un ‘pensiero’ così. Era il tempo dei Violante e dei Ciampi. Tentata pacificazione nazionale. Dopo quei tempi il buio e gli Scanzi avvelenatori di pozzi. Oltre che abili nel portare indietro le lancette della storia. Chissà se Scanzi sa -e lo sa-  che il suo ex direttore del Fatto Quotidiano Antonio Padellaro, sulla stima tra Berlinguer ed Almirante, ci ha addirittura scritto un libro, prendendo anche più volte posizioni favorevoli e positive, come sguardo storico, rispetto alla figura di Almirante, pur nel netto distinguo delle parti. Almirante leader democratico di una destra che, in quanto presente in Parlamento come espressione della volontà degli elettori, era precisa parte, di sicuro minoritaria, di quella stessa democrazia. Questo lo sapeva Berlinguer e lo sa Padellaro. Scanzi professa invece l’odio per l’odio. 

Tra l’altro, una frase su Almirante -in un libro che di passaggi discutibili ne contiene non pochi- che, per quanto scarsa fiducia si nutra nelle qualità raziocinanti del suo autore, davvero facciamo fatica a spiegarci. Ma lo diamo ancora un senso alle parole o no? Non sono forse “importanti” le parole, come disse un regista probabilmente caro a Scanzi (e pure a noi, quando dismette gli abiti fanatici)? Almirante è stato, certo, il segretario di redazione della rivista La Difesa della Razza; è stato anche capo di gabinetto del ministro Rsi alla Cultura Popolare Ferdinando Mezzasoma e responsabile della comunicazione; ha sicuramente scritto pensieri razzisti su quel giornale (come tanti, tantissimi futuri antifascisti, su altre riviste: i nomi per questa volta ve li risparmiamo) ma su quali basi possa dirsi, senza vergogna, quel che Scanzi ha detto non è dato sapere. “Rastrellamenti di ebrei”! Dove, come, quando? Almirante, piuttosto, come riportano tutte le biografie a lui dedicate (e sono molte, alcune anche legittimamente critiche), salvò personalmente un’intera famiglia di ebrei, da sottosegretario del ministro. Era la famiglia Levi, di cui faceva parte un amico di sempre di Almirante: Emanuele Levi. Lo stesso Levi, lo stesso amico che poi, anni dopo, si ricorderà di quel gesto e ‘salverà’ il futuro segretario del Movimento Sociale. Quando nel 2018 l’ex sindaco di Roma Virginia Raggi negò una strada ad Almirante, tra le tante reazioni, ecco quella di Giuliana De’ Medici, figlia di Giorgio. “Ci sono state tante persone ebree vicine ad Almirante. Lui ha salvato la vita a Emanuele Levi. Lo nascose addirittura a Salò, durante il periodo della Repubblica Sociale, con sua moglie e il suo bambino. Cortesia che gli fu ricambiata a Milano, quando poi Almirante era latitante. Ho qui in casa una dichiarazione in cui sul Monte Sinai sono stati piantati due alberi di olivo in onore di Almirante da una amica ebrea. Quindi dobbiamo stemperare queste cose, sempre con profondo rispetto e grande umiltà nei confronti della Comunità ebraica”. Così la figlia di Almirante. Tutte cose ben note, chi conosce la storia non si inventa nulla. Altri non sappiamo. Intelligenti pauca. Ma poi: intelligenti?! Quanto ottimismo. 

26 dicembre 1946 – 26 dicembre 2021.

Il valore determinante fu l’appartenenza nonchè il dovere morale di dare voce agli inascoltati, quest’ultimi emarginati e bollati con i peggior epiteti possibili; furono mossi pure dal diritto di raccontare la verità scomoda, vedi Giorgio Pisanò; presentandosi uniti dal filo conduttore del disegno sociale e popolare come perno centrale di chi si riconosce nel nostro ideale. Tutto questo, fu. Il verbo al passato remoto, ahimè, calza a pennello: fu. Poi è avvenuta la caduta libera, perdendo la carica morale e la moralità il giorno stesso che gli eletti salirono al Quirinale per formare il primo Governo. Nel frattempo il nostro Simbolo era passato in mani a dir poco ridicole, di una coppia da carro carnevalesco, e per noi militanti calò la vergogna. Quello che fu il MSI era diventato un manipolo di imitatori della dolce vita, in doppiopetto firmato e lontani anni luce dal Popolo e dalle battaglie sociali. Arrivisti in carriera, yuppie del terzo millennio uniti dal coro: avanti, si mangia (il caviale). La fine ingloriosa della CISNAL fu tra i primi mattoni a cadere, poi fu la volta delle Federazioni, della scuola di Montesilvano, del cameratismo, della meritocrazia, dell’aiuto al prossimo. Per buona pace di chi, su qui Valori fondanti, aveva creduto fino alla fine dei sui giorni. Fossero essi sconosciuti Militanti o personaggi come Almirante, Niccolai, Rauti, Buontempo…  Tutto questo fu. Tutto questo è stato. Oggi siamo solo degli orfani politici

Marco Vannucci

LA DESTRA ITALIANA SIA SEMPRE GRATA AD ALMIRANTE.

Intitolare un circolo di Fratelli d’Italia all’onorevole Giorgio Almirante è un atto di rispetto e di amore nei confronti di uno dei padri della destra italiana; un atto che deve essere costante non solo a parole ma soprattutto con i fatti. FdI è l’erede del Movimento Sociale Italiano e della ‘fiamma tricolore’ che, non a caso, compare sul simbolo del nostro partito e che, in passato, era già presente sia in Alleanza Nazionale sia nel MSI fondato nel 1947 da Giorgio Almirante e Pino Romualdi.
E fu lo stesso Almirante a disegnare la ‘fiamma’ ispirandosi al distintivo degli Arditi della Prima guerra mondiale, un simbolo che ha attraversato tutto il Novecento italiano e che è presente sulle schede elettorali da oltre settant’anni. Nessun leader della destra italiana si è mai sognato di cancellarlo e spero che ciò non accada mai! La ‘fiamma’ compare anche in Francia quando nel 1972 Almirante autorizzò Jean Marie Le Pen a utilizzarla per il simbolo del suo Front National sostituendo semplicemente il verde di casa nostra con il blu del tricolore francese. Anche in Spagna il partito post-franchista, il Movimento Social Repubblicano, tentò di scalare le vette della politica con questo simbolo.
Il recente dibattito sul ritorno del fascismo alimentato in queste ultime settimane dai ‘pompieri’ della sinistra, ovvero quelli che vorrebbero spegnere la ‘fiamma tricolore’, soprattutto (e non è un caso!) a ridosso delle consultazioni elettorali, mi fa pensare che il fascismo sia ancora vivo e vegeto. Grazie a chi? … Ai cosiddetti “antifascisti”, abili riesumatori “di comodo” del Ventennio in cui Benito Mussolini, nel bene e nel male, ha governato la Nazione.
Sembra un paradosso, ma è così. Se per un verso vi sono alcuni esponenti della Destra italiana che tentano di prendere le distanze dalle proprie radici soccombendo a questa sinistra, dall’altro c’è chi continua a parlare di fascismo in maniera strumentale. Dice bene Marcello Veneziani quando afferma che ‘Il fascismo è l’ossessione di chi non sa vivere senza nemici e rancore’.
C’è poi da chiedersi perché ancora tanta gente ha un giudizio positivo del fascismo.
Non si può ricordare del fascismo la violenza, la guerra, la persecuzione razziale (che riguarda il nazismo e solo di riflesso, in modo infame e caricaturale l’ultima fase del fascismo) dimenticando le opere realizzate, la tutela sociale, l’integrazione nazionale, i passi da gigante compiuti dall’Italia nel segno della modernizzazione, la forte passione ideale e civile, il consenso …
Durante il fascismo gli Italiani ebbero in assoluto il maggior attaccamento allo Stato e maggior fiducia nelle istituzioni, e potrei continuare. Il fascismo fu una rivoluzione conservatrice che modernizzò la Patria nel nome di valori e primati tradizionali.
Chi mi conosce, sa che non mi sono mai accontentato della verità ufficiale, quella scritta dei vincitori e ho sempre voluto approfondire le mie conoscenze.
Mi piace allora rammentare che in origine il movimento fascista, inizialmente noto come “sansepolcristi”, nacque come “antipartito” (era composto da ex socialisti, repubblicani, sindacalisti rivoluzionari, futuristi) al termine della “Grande Guerra” e che si fece portavoce del disagio diffuso soprattutto tra i ceti medi, i militari e gli ex combattenti rivendicando inoltre la cosiddetta “vittoria mutilata” in cui l’Italia non aveva ottenuto il giusto riconoscimento ai suoi sacrifici bellici e umani.
Nel “Programma di San Sepolcro” possiamo notare che vi furono una serie di provvedimenti volti a cercare di risolvere la difficile situazione sociale instauratasi in Italia all’indomani della fine del conflitto bellico: tra le altre cose si chiedeva una norma che sancisse la giornata legale di otto ore di lavoro, una modifica alla legge sull’assicurazione e sulla vecchiaia (la pensione potremmo dire) con abbassamento del limite di età da 65 a 55 anni. Quindi un programma che prevedeva riforme importanti fra cui un salario minimo, il suffragio universale, una imposta fortemente progressiva e una partecipazione proletaria nel processo produttivo … un programma sostanzialmente di “sinistra” e repubblicano … Correva l’anno 1919!
Oggi il fascismo è un fatto storico e il primo ad averlo in qualche modo storicizzato fu proprio Giorgio Almirante, il leader della Destra nazionale con il suo “non rinnegare, non restaurare”. Un uomo serio, onesto e laborioso che è stato per quarant’anni in Parlamento, che ha guidato un partito che aveva milioni di voti; che ha partecipato a pieno titolo alla vita politica e parlamentare della repubblica italiana; che fu un grande se non il migliore oratore della storia repubblicana; che i suoi discorsi sono stati pubblicati dal Parlamento, che è stato ricordato in tutte le sedi istituzionali da presidenti della repubblica, premier, leader di ogni versante politico e presidenti delle Camere. Almirante diede il via alla creazione di una destra di pacificazione nazionale, di condizionamento politico, di alternativa al sistema, corporativa, europea, occidentale. Il suo successo fu nell’aver guidato un partito come l’MSI in anni difficili, salvaguardandone la sua identità tra mille difficoltà e scissioni. Nonostante l’essere stato un politico “contro”, si guadagnò il rispetto degli antagonisti politici perché era un “signore” e lo dimostrò quando rese omaggio alla salma di Enrico Berlinguer (a mio avviso altro grande statista dimenticato proprio dai suoi), nella camera ardente allestita a Roma in via delle Botteghe Oscure mettendosi in coda come “compagno” qualunque. La sua presenza colpì i militanti e i dirigenti comunisti. Disse che era lì per rendere omaggio a un avversario, non a un nemico. Almirante fu un uomo di altri tempi ma il tempo non ha cancellato il suo insegnamento sebbene molti politici di oggi (anche di destra) hanno ancora molto da imparare. La Destra italiana sia sempre grata a Giorgio Almirante perché ‘le radici profonde non gelano mai’!

Fabrizio Marabello
Presidente Circolo Fratelli d’Italia “Giorgio Almirante” di Ceriale (SV)

QUIRINALE

Siamo già entrati da una trentina di giorni in quello che viene chiamato “semestre bianco”, ovverosia i sei mesi che precedono l ‘elezione del nuovo Presidente della Repubblica al termine del settennato in cui è stato in carica Sergio Mattarella. Il figlio dell’ex leader della democrazia cristiana siciliana Bernardo Mattarella (l’uomo che sponsorizzò l’ascesa a sindaco di Palermo del discusso Vito Ciancimino), venne eletto dopo quattro votazioni svoltesi fra il 29 ed il 31 gennaio del 2015. La sua proclamazione ufficiale ed il suo giuramento come Presidente ebbero luogo il 3 febbraio alla presenza di quasi tutti i suoi familiari tranne un fratello, Nino, che, non si capisce per quale motivo, non viene mai citato nelle cronache giornalistiche al contrario del fratello Piersanti ucciso dalla mafia in un agguato a Palermo nel 1980.
Ancora non è stata stabilita la data precisa delle votazioni che si svolgeranno comunque in seduta congiunta Camera Senato ai quali rappresentanti si aggiungeranno quelli delegati dalle Regioni. E’ probabile che venga scelta proprio la giornata del 3 febbraio, quando Mattarella prestò giuramento, e mentre nelle prime tre votazioni verrà richiesta una maggioranza dei due terzi dei votanti, dalla quarta in poi sarà sufficiente quella semplice. Fra le ipotesi sul tappeto vi è anche da considerare, come già è avvenuto per Giorgio Napolitano, che qualcuno proponga un bis nell’incarico per l’attuale Presidente anche se il primo a smentire questa possibilità è proprio lui.
L’altro nome che, fino al voto delle recenti amministrative, andava per la maggiora è quello dell’attuale Presidente del Consiglio Mario Draghi che ben presto verrà anche giudicato meritevole del premio Nobel per la pace, possibile primo astronauta italiano a scendere su Marte, unico uomo mondiale in grado di occuparsi in maniera proficua di clima ed ambiente e visto che siamo in Italia e lo sport conta, anche prossimo allenatore della nazionale di calcio dopo Mancini. Peccato sia anche la persona che, insieme ad Andreatta e Prodi, si battè maggiormente per le privatizzazioni e la svendita all’estero delle più importanti società italiane, la stesso che venne ospitato sul Britannia ormeggiato a Civitavecchia insieme al faccendiere Soros e al comico Beppe Grillo per parlare della situazione economica italiana ( a quale titolo sia stato invitato il saltimbanco ligure ancora ce lo devono spiegare), il fine cervellone che per aiutare l’attuale governo a navigare negli scogli infidi della politica italiana ha ritenuto necessario imbarcare personaggi come l’ex commissario straordinario all’emergenza covid, Domenico Arcuri , accusato di corruzione, peculato ed abuso d’ufficio per la vergognosa storia delle mascherine acquistate dalla Cina tramite il faccendiere ed ex giornalista rai Mario Benotti, e la strenua paladina dei diritti del lavoratori l’ex ministro Elsa Fornero. Grazie al supporto di quest’ultima si andrà in pensione minimo a settanta anni compiuti e con 45 anni di contributi buttandoci finalmente alle spalle l’odiosa quota cento. Per entrambi, alla faccia dei pensionati al minimo, sono stati stanziati lauti compensi perché è giusto che i sacrifici li facciano gli altri mentre continui il “bengodi” per chi ha sempre avuto le mani in pasta.
A favore di un SuperDraghi alla Presidenza della Repubblica si sono schierati immediatamente sia il leader della Lega Matteo Salvini che la sua omologa Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia. Per salire al Quirinale Draghi dovrà lasciare vuota la poltrona di Palazzo Chigi e questo porterà dritti dritti a seguire la strada delle elezioni anticipate perchè sarà difficile se non impossibile trovare un personaggio che sia gradito alla maggior parte dei partiti che siedono in Parlamento per continuare a governare un paese senza rivolgersi alle urne. E’ vero che i precedenti di Monti, Renzi, Conte , Draghi stanno lì a dimostrarci esattamente il contrario ma è altrettanto vero che a furia di tirarla la corda si spezza.
In questa situazione il Pd si pone in una cauta posizione di attesa ed il segretario Enrico Letta ha assicurato che di Quirinale si parlerà soltanto dopo le festività natalizie. Ancora più mellifluo il vero uomo-ombra del Pd, Goffredo Bettini che, parlando dell’ipotesi Mario Draghi, non ha esitato ad affermare: “Non vorrei che Draghi, per uno sfortunato combinato disposto, ossia, non fa il capo dello Stato e poi fanno cadere il suo governo, scomparisse dalla scena politica italiana. Sarebbe un disastro”. Il pensiero è andato immediatamente alle votazioni del 2013 quando Romano Prodi, che era il candidato del Pd, venne impallinato da cento franchi tiratori provenienti proprio dal suo gruppo.
Ancora una volta a tirare nascostamente i fili di quello che potrebbe essere lo scenario delle votazioni di febbraio non manca l’apporto del mai domo Silvio Berlusconi che, in questi giorni, è anche uno dei più strenui sostenitori e difensori del governo Draghi.
Nonostante gli acciacchi (orma entra ed esce dagli ospedali italiani ed esteri con una velocità impressionante anche se non è sfuggito ai più che questo spesso capita in occasione della celebrazione di processi a suo carico) ed il peso delle numerose primavere (fortunatamente per lui ha spento già per 85 volte le candeline del suo genetliaco) Silvio Berlusconi ha sempre religiosamente conservato la speranza di finire la sua carriera sul gradino più alto del Colle come autentico “Padre della Patria”. Visto che i suoi predecessori non hanno sicuramente dimostrato di essere dei luminari della politica, della democrazia e del buon gusto (basta citare il fatto che per almeno due di loro sono ancora consultabili gli articoli pubblicati sull’Unità in cui si esaltava l’ingresso dei carri armati sovietici in Ungheria e l’uccisione di chi osava ribellarsi al terrore comunista) si deve essere prefisso l’idea di togliersi quest’ultima soddisfazione. E’ per questo che, anche recentemente , non ha esitato a dichiarare: “Draghi sarebbe sicuramente un ottimo Presidente della Repubblica ma mi chiedo se il suo ruolo attuale, potendo continuare nel tempo, non porterebbe maggiori vantaggi al nostro Paese”
Sicuramente non gli manca l’abilità nello sgusciare come un’anguilla e la facilità nel convincere le persone, basti ricordare quando ,nel 2010, 314 parlamentari italiani votarono in aula che Ruby era la nipote del Presidente egiziano Mubarak e che le sette telefonate fatte da Berlusconi alla Questura di Milano erano esclusivamente dovute al suo ruolo di Stato nei confronti della nipotina di un uomo con un ruolo importante nel Mediterraneo.
Del resto l’ex direttore di Panorama ed attuale parlamentare di Forza Italia, Mulè, non ha esitato nel dire di essere soddisfatto perché, dopo dieci anni, Berlusconi è stato assolto dall’accusa di aver corrotto i testimoni del processo Rubi ter. “Sono convinto che abbia un credito enorme con l’Italia, la legittimazione alla Presidenza della Repubblica sarebbe un minimo risarcimento per quello che ha subito. Io lo voterò convintamente quando ce ne sarà la possibilità, argomentandolo dal punto di vista storico, attuale , politico “.
Chissà se Mulè, attento giornalista, si sarà reso conto che , solo pochi giorni dopo, la Cassazione ha definitivamente confermato la sentenza di condanna a due anni e dieci mesi per l’imprenditore pugliese Giampaolo Tarantini accusato di aver reclutato escort, negli anni che vanno dal 2008 al 2010, e averle portate nelle residenze proprio di Silvio Berlusconi
In effetti nella vita ti può capitare di tutto ma di fronte a certi avvenimenti quello che si richiede è almeno un po’ di buon gusto. Soprattutto a chi pensa di poter essere scelto quale Presidente di tutti gli italiani. Certe volte ritirarsi in buon ordine evita almeno di fare brutte figure.
Roberto Rosseti.

Pubblichiamo l’articolo di Marco Vannucci nostro associato

Ma stavolta, le giustificazioni, ricordano quando marinavamo la scuola firmando la scusa sul diario imitando la firma di un genitore. 9 su 10 venivamo scoperti, ed allora erano guai. Ed il centro destra, alle recenti amministrative, ha perso. Inguaiandosi. E perso male. Quindi avanti con le giustificazioni, che sono arrivate, puntuali. Immancabili. Iniziando dal ricordare come nessuna, delle metropoli, era amministrata dal centro destra. Tutto vero, ma neppure dal centro sinistra vedi Roma e Torino, per esempio, oppure Napoli, guidata da una lista civica. Analizziamo questa sconfitta, anziutto la scelta dei candidati: nomi eccellenti, per carità! Ma nessuno di loro capace di smuovere la passione del Popolo, e nessuno di loro mai visto prima tra la gente comune. Sono apparsi all’improvviso come usciti dal cappello di un prestigiatore. Ed i leader dei partiti della coalizione del centro destra, Meloni e Salvini in testa, hanno le loro brave colpe, eccome! Purtroppo, nel ascoltare le loro dichiarazioni, non le hanno ancora capite. Mettersi contro il green pass è stata una scelta infelice quando i dati parlano di oltre lo 80% degli italiani vaccinati. Massimo rispetto per i no vax e nemmeno discuto sull’efficacia dei vaccini o se sono preferibili cure alternative, non sono un medico e non m’inoltro in materie a me sconosciute, però meritava andare contro la stragrande maggioranza degli italiani? Il no al green pass è una scelta di libertà, e potrei essere pure d’accordo, un green pass inutile iniziando dal trasporto urbano, ma lo Stato ha il diritto dovere di tentare di arginare questa maledetta pandemia ad ogni costo. Seppure commettendo errori. Che li ha fatti e pure tanti, soprattutto con le improvvide improvvsazioni del Governo precedente. Banchini con le rotelle, inutili e costosissimi, docet. La seconda nota, ancora più dolente, è l’accanimento politico contro il reddito di cittadinanza. Sappiamo tutti che, così com’è, il reddito di cittadinanza presenta delle gravissime lacune artefici dello sfruttamento da parte di persone indegne, dai mafiosi agli stranieri neppure residenti in Italia, ma promettere l’aiuto alle imprese, le assunzioni e quant’altro, sono promesse sulla carta. Mentre milioni di famiglie vivono con il sostentamento del reddito di cittadinanza. Famiglie che hanno fame oggi, non dopodomani. Inalienabile è il diritto dovere di serrarare ed intensificare i controlli, di migliorare la procedura in ogni fase, impiegare i riceventi il reddito in lavori socialmente utili. Si può togliere? Certamente, ma solo dopo che avrai dato il lavoro. Toglierlo senza il lavoro certo, cara Giorgia Meloni, significa l’essere lontani anni luce da quella destra sociale disegnata da Almirante. Non stupirti, quindi, se quelli come me non si sono recati alle urne. Non voto chi non mi vuole, non voto chi non mi difende, non voto chi vuole cacciarmi. E non voto, sappi, chi mescola galant’uomini come Giovanni Gentile con i neo Farinacci, esaltati e violenti come lo fu il Roberto da Isernia, seguendo gli stereotipi falsi come una moneta da 3 euro, che non esiste, fatti passare dalla sinistra che odia accusando gli altri di odiare.

Marco Vannucci

Batosta a Roma per aver buttato a mare una grande storia

Pubblichiamo perche’ condividiamo in pieno le parole  di Francesco Storace .

L’articolo e’ stato pubblicato sul www.7colli.it il 19/10/2021

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Leggo i risultati di Roma e mi chiedo a che serva buttare a mare una storia. Nella scelta della candidatura e nella gestione della campagna elettorale del centrodestra.

Fascisti non si deve essere. Missini nemmeno. Magari è più gradito dichiararsi democristiani.

Una storia mortificata a Roma

Poi, non ci si può meravigliare se all’improvviso scopri che gli elettori hanno preferito il mare ad ottobre, perché non trovavano la destra. Preferiscono le piazze ai seggi. Vota pochissima gente e non sarà facile essere rappresentativo per Roberto Gualtieri, al quale facciamo comunque gli auguri di buon lavoro.

Ma è incredibile come il centrodestra si sia fatto mettere sotto dalla propaganda altrui. E qui non c’entra nulla Enrico Michetti, al quale hanno affidato lo scettro. Bravissima persona, non c’è dubbio, ma non si può combattere il vento contrario con le mani. Si lotta, si chiama la controffensiva, si risponde colpo su colpo. Chi aveva venerato Giorgio Almirante in gioventù, si sentiva l’apologia di Alcide De Gasperi per rispondere alla Cgil…

Con l’elezione diretta dei sindaci non si può essere ecumenici. Con la bassa percentuale di affluenza che si è registrata, andava bene anche il candidato divisivo, che doveva caricare a molla i suoi e portarli tutti ai seggi. Ora ci siamo messi in testa di dover prendere voti in campo altrui e li perdiamo a casa nostra.

Prendiamo Fratelli d’Italia. A che è servita la caccia interna ai “nostalgici” nel partito? Non lo sapete che ce ne sono a iosa? Perché metterli alla porta? Per Fanpage? (e non mi riferisco a quelli un po’ strani, diciamo).

Nessuno insegue dittature del passato, ma ho la sensazione che quei “nostalgici” pretendano solo rispetto per i nostri padri.

Se si vuole anche io mi sono espulso da solo da questa politica, per non inquinare questi partiti cosiddetti democratici dove i leader comandano in solitudine. Non capisci più dove ti trovi quando persino uno come Guido Crosetto si arrabbia e ti insulta etichettandoti come “una brutta persona” per un tweet assolutamente innocente.

Csiamo abituati. Se avessi un programma tv lo intitolerei “I suscettibiliSono quelli che se dici qualcosa che non gli garba, piagnucolano e telefonano all’editore.

Poi toccherà alla Fiamma tricolore

La prossima sarà togliere la fiamma tricolore dal simbolo. È lillusione della democristianitudineper mondarsi della gioventù fascista. Peccato.

Chi pensa di essere maggioranza del Paese – e vale pure per Matteo Salvini, non solo per Giorgia Meloni – non deve nascondere storie, uomini, candidati. Deve esserne orgoglioso senza soccombere a questa sinistra. A Roma la storia c’era e poteva costruire il futuro.

Adnkronos intervista Giuliana de’ Medici segretaria nazionale della Fondazione Giorgio Almirante

FASCISMO: FIGLIA ALMIRANTE, 'PER DONNA ASSUNTA VERO PROBLEMA E' CHI NON ARRIVA A FINE MESE'** =
'cosa frega alla gente di tutto questo? Su Fn Lamorgese si
assuma sue responsabilita, non certo Meloni'
Roma, 14 ott. (Adnkronos) - ''Anche mia madre pensa che il vero
problema oggi non è il fascismo e l'anti fascismo, ma la povera gente
che deve arrivare alla fine del mese...''. Lo dice all'Adnkronos
Giuliana de' Medici Almirante, figlia dello storico leader missino
Giorgio e di Donna Assunta, che lo scorso luglio ha compiuto 100 anni
e da tutti viene considerata la memoria storica vivente della destra
italiana, quella della Fiamma tricolore. Donna Assunta non concede
interviste da anni, per scelta, spiega la Giuliana de' Medici che però
lascia intendere chiaramente il disagio della madre difronte alle
roventi polemiche di questi giorni sul fascismo, scatenate dagli
scontri di piazza con i vertici di Forza Nuova a 'cavalcare' la
protesta dei no green pass.
"In questo momento -insiste- il vero problema non è il fascismo e
l'antifascismo, ma la gente che è esasperata, ha bisogno di lavoro e
più libertà, non sa come fare per comprare qualcosa da mangiare. La
gente vuole uscire, vuole anche tornare a divertirsi. Chiediamoci come
mai tanta gente era in piazza sabato scorso. Sicuramente è andata lì e
si è fatta condizionare da quattro scellerati ma non posso credere che
Forza Nuova riesca a convogliare tutte quelle persone in piazza, un
sabato pomeriggio. Evidentemente tanti italiani non ce la fanno più".
Da qui la stoccata al governo Draghi: ''Che ce ne frega del fascismo e
dell'antifascismo ora, si occupassero dei problemi concreti della
gente, del lavoro, di come arrivare a fine mese. Basta con queste
polemiche sul fascismo nel 2021, il governo si preoccupasse delle cose
serie.
"E' inutile polemizzare su queste cose- avverte Giuliana de' Medici
che gestisce la segretaria nazionale della Fondazione dedicata a suo
padre-. Ci sono frange extraparlamentari che scimmiottano i simboli
fascisti, ma che non sono fascisti. Ai tempi del fascismo ci sono
state delle cose positive e delle cose negative, come la mancanza di
libertà. Almirante ha sempre detto: 'non rinnegare ma non
restaurare...'''. Le critiche alla Lamorgese? ''Il ministro
dell'Interno deve fare il ministro e quando ha questi personaggi
davanti'', come Fiore e Castellino, "non può autorizzare una
manifestazione, è assurdo. Voglio, infine, rispondere a Letta: è la
Lamorgese che si deve assumere le responsabilita, non certo la
Meloni".
(Vam/Adnkronos)

FORZA NUOVA: FIGLIA ALMIRANTE, 'FIORE E CASTELLINO DELINQUENTI, MIO PADRE SEMPRE PRESO DISTANZE' =
Giuliana de’ Medici, 'fascismo finito con Mussolini, Meloni non
deve rinnegare nulla ma non tagli legame con Msi'
Roma, 14 ott. (Adnkronos) - "Fiore e Castellino? Sono solo dei
delinquenti, non si può definire in altro modo gente che in piazza si
comporta in questa maniera...''. Giuliana de' Medici Almirante, figlia
dello storico leader missino Giorgio e di Donna Assunta, non usa mezzi
termini per condannare i vertici di Forza Nuova, Roberto Fiore e
Giuliano Castellino, che hanno partecipato all'assedio della sede
della Cgil e agli scontri di piazza sabato scorso in occasione delle
manifestazioni no green pass. ''Dirò una cosa che non ho mai sentito
dire: in piazza -si sfoga con l'Adnkronos- non c'erano dei fascisti,
ma semplicemente dei delinquenti e i delinquenti non sono né fascisti,
né comunisti, sono dei delinquenti e basta...''.
Giuliana de' Medici Almirante, che si dedica a tempo pieno come
segretario nazionale all'attività della 'Fondazione Almirante' cita le
parole del padre: ''Almirante diceva sempre che queste persone
procuravano danni due volte: in piazza per quello che facevano e
danneggiavano il suo lavoro e quello del partito, l'Msi. Non
dimentichiamo che mio padre è stato eletto democraticamente dal popolo
italiano e sedeva legittimamente in Parlamento. Lui -assicura- non
aveva niente a che fare con questi signori: li ha sempre tenuti alla
larga, non aveva nessun contatto con loro. Dopodichè, quando si inizia
a fare un discorso di carattere politico sul fascismo, io sono
convinta che nessuno deve prendere distanze da niente".
Da qui un suggerimento a Giorgia Meloni: ''Non deve rinnegare nulla
perchè non ha nulla da rinnegare'', ma ''non pensi di tagliare
qualsiasi legame con l'Msi, perchè in questo caso sbaglierebbe visto
che l'Msi rappresenta la storia della destra italiana. Quanti ragazzi
sono morti in nome di questo partito e quante persone hanno lavorato
senza ricevere nulla? Msi è stato all'opposizione in Parlamento senza
avere avuto mai posti di governo, nè nei cda di aziende, ma solo
perchè credeva nelle idee. Questa è e deve essere l'anima della destra
italiana. Fdi non può rifiutare l'Msi, anche perchè nel suo simbolo
conserva la fiamma tricolore'', rimarca Giuliana de' Medici, che si
richiama ancora una volta ''all'insegnamento'' del leader del
Movimento sociale: ''In tempi ben lontani Almirante spiegò in modo
semplice e chiaro che il fascismo è nato e morto con Benito Mussolini.
Non c'è, quindi, possibilità di replica del fascismo, non essendoci
più l'uomo che lo ha creato''.
(Vam/Adnkronos)

FASCISMO: FIGLIA ALMIRANTE, 'OK CASSAZIONE SU SALUTO ROMANO, E' MOMENTO COMMEMORATIVO' =
Giuliana de' Medici, 'in tempo di Covid non stringersi mano è la
cosa migliore, non c'è paura di contagio...'
Roma, 14 ott. (Adnkronos) - ''Secondo me è vero quel che dice la
Cassazione, perchè si tratta di un momento commemorativo. Ricordano i
morti come loro erano abituati a salutarsi allora''. Giuliana de'
Medici Almirante, figlia dello storico leader missino Giorgio e di
Donna Assunta, commenta con favore all'Adnkronos la decisione della
Cassazione di non considerare reato il 'saluto romano' in un contesto
'commemorativo' e di annullare senza rinvio "perché il fatto non
sussiste" la condanna in appello dei quattro imputati che il 25 aprile
del 2016, nel cimitero Maggiore di Milano, si erano riuniti al Campo X
per commemorare i morti della Repubblica sociale italiana.
''E poi'', dice con una battuta per sdrammatizzare Giuliana de'
Medici, "oggi come oggi, in tempo di Covid, il saluto fascista è la
cosa migliore che ci possa essere. Non ci si stringe la mano, così non
abbiamo paura di contagiarci, meglio di così...".
(Vam/Adnkronos)

Perché mezza Italia e forse più non è antifascista

Ma finitela con questa caccia al fascista, al saluto romano, al busto del duce, al cimelio dell’epoca, alla mezza frase nostalgica e al gesto cameratesco. Si capisce lontano un miglio la malafede della caccia al fascismo ripresa con le ultime inchieste: serve a colpire e inguaiare la Meloni e il suo partito. E ancora più subdoli e cretini sono i finti consigli alla suddetta: diventa antifascista, fai come Fini. Che infatti finì nel nulla, bocciato dagli elettori, scomparso senza gloria. Un’esortazione al suicidio per ottenere post mortem la patente democratica e la riabilitazione in memoria.

Ponetevi piuttosto un problema molto più serio e molto più attuale: perché mezza Italia e forse più non si riconosce nell’antifascismo, non si definisce antifascista, anzi nutre riserve e rigetto? E’ una domanda seria da porsi, dopo che il fascismo fu sconfitto, abbattuto e vituperato, dopo che furono appesi i corpi dei capi, dopo che fu vietata ogni apologia, dopo che sono passati quasi ottant’anni tra tonnellate di condanne, paginate infinite, manifestazioni antifasciste, divieti, lavaggi del cervello a scuola e in tv, perché c’è ancora mezza Italia che non vuole definirsi antifascista? Quella maggioranza non è antifascista ma non è affatto fascista, se non in una piccola percentuale residua, se non amatoriale; gran parte di loro non si riconoscono affatto nel fascismo, lo reputano improponibile, superato. Per loro è assurdo già solo porsi la domanda. Ripudiano violenza, razzismo, guerra e dittatura. Semmai una larga fetta di loro ritiene che si debba giudicare il fascismo nei suoi lati negativi e positivi, senza demonizzazioni; neanche il comunismo fu male assoluto. Molti di loro vorrebbero un giudizio storico più equilibrato, più onesto, più veritiero.

Il vero problema che evitate di vedere non è la persistenza presunta del fascismo nella società italiana ma l’ampiezza dell’area di opinione che non vuol definirsi antifascista e non si riconosce nell’antifascismo. Avete provato almeno una volta a porvi la domanda, senza aggirare le risposte con moduli prestampati e retorica celebrativa? Noi ce la siamo posta e non da oggi. E la riassumiamo così.

Tanti italiani non si definiscono antifascisti perché a loro sembra grottesco usare una definizione che aveva un senso nel ’45, all’età dei loro nonni, quando invece vivono coi pronipoti del terzo millennio. Non si definiscono antifascisti perché a molti di loro sembrerebbe monca, carente una definizione del genere perché così escluderebbero o addirittura assolverebbero altre forme di dittatura, di totalitarismo e di dispotismo, a partire dal comunismo.

Tanti italiani non si definiscono antifascisti perché è ben vivo il ricordo delle bandiere rosse che monopolizzavano l’antifascismo, dei cortei militanti col pugno chiuso e più recentemente dei movimenti antifà e dei nuovi partigiani a scoppio ritardato. Sanno che l’antifascismo fu l’alibi per i compromessi storici, le aperture e l’egemonia comunista e si tengono alla larga.

Tanti italiani non si definiscono antifascisti, come invece viene loro prescritto, perché non credono al bianco e al nero, hanno conosciuto per vie traverse e quasi clandestine le storie che non si vogliono far sapere, e che riguardano sia il regime, sia i suoi avversari, sia la guerra partigiana e non vogliono schierarsi conoscendo crimini e misfatti di quel tempo e di quei versanti.

Senza andare lontano, anzi restando in casa, molti italiani ricordano loro padre, loro nonno fascista e hanno di lui una memoria e un giudizio molto diversi rispetto al mostro dipinto dalla vulgata antifascista. E ricordano cosa raccontava. Tanti italiani non si riconoscono nell’antifascismo perché non ci stanno a considerare i loro famigliari in camicia nera come dei criminali, sanno che non è vero, non è giusto; e poi, sono i loro cari.

Tanti italiani non si definiscono antifascisti perché reputano balorda, divisiva e riduttiva la rappresentazione storica che ne deriva, con tutta la storia e l’identità del Paese ridotta alla distinzione manichea tra fascisti-antifascisti. Preferiscono attenersi alla realtà e diffidano dell’ideologia.

Tanti italiani non si definiscono antifascisti perché non sono di sinistra e non vogliono avallare il loro gioco politico, non vogliono farsi strumentalizzare, capiscono che serve solo per arrecare danni e vantaggi alla politica presente.

Il nostalgismo fascista oggi non ha valenza politica in Italia ma solo emotiva, sentimentale, simbolica, araldica, al più cameratesca; fa parte del modernariato. Mentre il rifiuto dell’antifascismo, quello sì, ha una precisa valenza e ricaduta politica, è un chiaro messaggio politico su cui dovreste riflettere.

Aggiungo che fanno bene quei tanti italiani a non cascare nel gioco di pretendere un’abiura davvero insensata e anacronistica. Allontanando dalla politica l’uso improprio del fascismo, si può invece rivendicare il diritto a un diverso giudizio storico sul passato e sul fascismo, fondato sulla realtà e sul lavoro degli storici seri. È sacrosanto tentare di ricucire la storia d’Italia nelle sue scissioni più dolorose e cogliere il filo unitario che la percorre, anche nelle lacerazioni. Non certo per vellicare propositi revanscisti che sarebbero come minimo falsi e ridicoli; sia fascisti che antifascisti. Non si rimpiange un ventennio dopo un ottantennio, c’è un limite matematico e logico, oltre che di buon senso.

Infine, se credete davvero che la storia d’Italia debba cominciare e finire con l’antifascismo, elevato a religione civile, obbligo di leva, e perno costituzionale, chiedetevi perché mezza Italia non si riconosce in questo schema. Se dopo tanti decenni di rieducazione, repressione, propaganda e religione civile, mezza Italia e forse più non si riconosce nell’antifascismo, il problema non è della Meloni ma è vostro, di voi antifascisti in servizio permanente effettivo e dell’esempio che avete dato. Diciamolo: avete fallito.

Riportiamo l’articolo di Marcello Veneziani pubblicato su La Verita’ il 10 ottobre 2021

 

La scapigliatura di un quattordicenne

La scapigliatura di un quattordicenne

Capelli neri, fitti, lunghi. All’epoca un ragazzo con queste caratteristiche, era molto facile di trovarsi bollato dai “matusa” del momento come “capellone”. Categoria giovanile guardata con sospetto. Portatrice di sommovimenti della società strutturali e profonde. Un mondo, che come era stato trovato, alle nuove generazioni stava stretto. Parleremo di fatti accaduti a “68 già avvenuto. Esploso, con la prepotente carica d’innovazione, e il pesante fardello di estremizzazioni e contraddizioni. Nodi al giorno d’oggi non ancora pienamente sciolti. Dalla lettura di quella fase, ancora non univoca. In quell’atmosfera calda, per non dire bollente di tensioni, che attraversavano la società, dal mondo del lavoro a quello della scuola e dell’Università, il poco più che ragazzino in oggetto cominciò a cercare un porto dove poter far attraccare il suo veliero di entusiasmi. Il quale come naturale che fosse era carico di progetti e aspettative. Il primo elemento da seguire, per trovare un giusto porto d’attracco, secondo il suo acerbo ma profondo sentire era, trovare luoghi ove ci fosse la bandiera. Il Tricolore. Quello costituiva il parametro primo, fondamentale. Punto cardinale, per poter cogliere al meglio i molteplici allettamenti e sollecitazioni di quell’età. Per il giovane, non rappresentava certo, solo un simbolo attorno al quale raccogliersi in occasione delle partite della Nazionale di calcio. La bandiera, per lui era qualcosa di più, molto di più. Un simbolo fortemente evocativo riassuntivo dei valori che aveva respirato in casa. Riferimenti, che con accenti diversi, aleggiavano da, generazioni nella famiglia. Confesso: ebbene quel quattordicenne ero io. Con la chioma fluente dell’epoca, che ben poco aveva da invidiare ai capelloni tutti d’un pezzo.  Quella è l’età, nella quale si cominciano a effettuare le prime svolte necessarie, affrontando i crocevia della vita. Cominciai così a frequentare i corsi delle scuole superiori. Passaggio, articolato, complesso. Per tutte le novità, che esso comportava dalla conoscenza dei nuovi compagni di scuola, alla dimensione della scuola stessa, che mi sembrava gigantesca. Nella quale inizialmente avevo timore di potermici perdere. Tutto era all’insegna dell’assoluta novità. La vita, è densa di misteri, casualità, coincidenze, destino. Nell’alveo di queste possibilità è contenuto il fatto che fui iscritto all’Istituto Tecnico Commerciale Duca degli Abbruzzi. Il primo anno di frequenza era il “71- “72. Il fatto, o il fato volle che sulla strada ove era ubicata la mia scuola, in Via Palestro si affacciasse una traversa. Cosa assolutamente consueta. Questa strada, che non era poi molto grande aveva da pochissimo acquistato una peculiarità. Specificità che la renderà nota in certi ambienti a livello nazionale. Nel Settembre del 1971 vi era stata inaugurata la sezione del Fronte della Gioventù. Insieme di circostanze, che segnarono la mia vita. La neocostituita formazione politica del mondo giovanile della Destra gravitante attorno al MSI. Come simbolo aveva una torcia fiammeggiante dai colori del vessillo nazionale. La strada dove era stata inaugurata la sede era Via Sommacampagna. Avevo trovato, dove andare a cercare il mio Tricolore. Così un giorno d’Ottobre di quell’anno, uscito da scuola andai a Sommacampagna. Con un po’ di imbarazzo e timidezza, suonai al campanello della porta. Accesso che nel giro di pochi anni diventò, da semplice porta a porta blindata. Reiterati atti di vandalismo e danneggiamenti, suggerirono alla dirigenza, di agire in tal senso. Luogo, la sede, fin dalle prime battute della sua esistenza, oggetto delle “attenzioni” degli avversari. Una volta, all’interno, mi confrontai, con una percepibile un’atmosfera che definirei elettrica. I presenti erano tutti indaffaratissimi, chi a fare rotoli di manifesti, chi a preparare la colla e chi trafficava intorno al ciclostile, nel tentativo di stampare al meglio dei volantini. Tutte attività, fino a quel momento a me poco conosciute. Diventeranno il mio pane quotidiano. Cominciando dallo scomodissimo portare il secchio della colla. Scomodità che era dato dal peso stesso del secchio, e dagli inevitabili schizzi di colla che facevano dei propri capi d’abbigliamento, ottimi candidati a lavaggi accurati in tintoria. Con estrema rapidità, quale segno di riconoscimento e inserimento in quel mondo dalle mille sfaccettature, cominciai a chiamare con linguaggio quasi da iniziato, quella sezione semplicemente Somma. Come è attualmente chiamata ancora oggi dai militanti. “Devo andare a Somma”, “La riunione è a Somma alle 16.00” “Il concentramento per il corteo parte da Somma”. Cominciai a frequentare. Ebbi modo così di conoscere, svariate persone, primo fra tutti “l’anima del Fronte” ossia Teodoro Buontempo, che l’aveva pensato, progettato e fondato. attivisti e dirigenti quali Mario Codogni, Guido Morice, Sergio Mariani, solo per citarne alcuni tra i maggiormente significativi di quel periodo. Un paio d’anni dopo, in una delle tante riunioni, ebbi modo di conoscere come coordinatore dei fiduciari d’Istituto Gianfranco Fini. Ben presto Somma, diventò per me, come per tutti più di una sede. Molto di più. Una concreta possibilità di alternativa, ai vari conformismi di pensiero e comportamentali. Somma, cominciò a operare nel pieno della “furia ideologica” dai quali erano contraddistinti i tempi. Quasi immediatamente compresi che bisognava difenderla con le unghie e con i denti. Attività che nei fatti eravamo quotidianamente chiamati a fare. Questo comportava una presenza e mobilitazione attivistica costante e di tutto rilievo. Nel giro di breve compresi quale era la posta in gioco. La smodata aggressività nei confronti di Somma e dei suoi frequentatori da parte dei gruppi di sinistra, nelle varie articolazioni mirava a d’impedirci qualsiasi spazio “di agibilità politica” come si diceva un tempo.  A quelli come noi volevano negare tutto. Il diritto di parola, ‘espressione, la libertà. Nei casi più drammatici come tragicamente quegli anni ci insegnarono l’esistenza stessa. Si viveva in costante stato d’allerta. Nonostante queste tensioni fra noi c’era grande affiatamento cementato anche dalle situazioni di pericolo oggettivo alle quali ci esponevamo. Un senso goliardico era fortemente presente. Fioccavano i soprannomi che ci davamo l’un l’altro, ne ricordo alcuni Geppo, Grissino, er Braciola, Igor, Tortelin, Folgorino, Lupomanno, e molti altri ancora. Per quanto mi riguarda il soprannome fu er Chiacchiera, che si riferiva, credo a mie capacità nell’esporre con una buona “parlantina” gli argomenti. Se ben ricordo, me lo affibbiò Maurizio Gasparri, con il quale, con lui Segretario, ero entrato nella rinnovata Giunta di Roma e Provincia del F.d.G. Nel frattempo il confronto politico diventava sempre più incattivito. Sempre più aspro. Quel vulcano d’iniziative, e di lungimiranza che era Teodoro Buontempo, per tutti noi Teo, ancora una volta spiazzò tutti, amici, avversari, i vertici del Partito. Fondò e rese operativa, in una parte dei locali di Somma una emittente radiofonica. Iniziativa, semplicemente impensabile in quel contesto. Radio Alternativa, la quale cominciò a tramettere dal Settembre del 1976. Teo, aveva prefigurato nuove possibilità di sviluppo, e nuovi percorsi per la militanza. Radio Alternativa, diventò un altro spazio del nostro cuore. Un mondo, che con altre modalità, certamente più efficaci, manteneva e amplificava il suo diritto di parola. L’esperienza di Somma, mi ha insegnato le cose vere della vita: l’abnegazione nel perseguire la realizzazione di un progetto, la faccia di una politica onesta, pulita, scevra da interessi personali, filamenti di una comunità umana che nonostante il passare di 50 anni non si sono spezzati. Ma la forza attrattiva che ancora esercita quel luogo, ancora oggi desta in me stupore. Prendendo completamente in contropiede la madre e me, nostro figlio, senza avere mai subito alcuna pressione, da parte nostra in tal senso, un bel giorno ci ha dato un annuncio. “Sono andato a iscrivermi a Gioventù Nazionale” “Dove?” chiedemmo all’unisono completamente sorpresi. “In Via Sommacampagna”. Questo avveniva quando Goffredo Maria, era nel vortice dei suoi sedici anni. Da quel momento, è tutto un risuonare per casa nostra di frasi del tipo: “Devo andare a Somma”, “Ho riunione a Somma”, “Mi chiamano da Somma”. Di Somma in Somma lascio a voi fare il totale.

 

Massimo Pedroni