Seduta del 23 Febbraio 1982

// partito dello Stato, per combattere il terrorismo dilagante, cerca il consenso del popolo italiano. Almirante lancia una petizione per chiedere l’applicazione della pena di morte nei confronti del terrorismo. La proposta raccoglie oltre un milione di firme, la prima è quella di Anna Mattei, madre dei martiri di Primavalle. Tra i firmatari della petizione c’è anche il figlio di Giacomo Matteotti, numerose adesioni sono raccolte anche nella «rossa» Bologna: l’Italia è stufa del terrorismo. Dopo numerosi tentativi di procrastinare il dibattito sulla petizione popolare, arriva finalmente il momento in cui se ne discute alla Camera. Almirante parla all’indomani di un congresso che lo ha rieletto per acclamazione segretario del Msi-Dn.

Pena di morte:

la petizione popolare del Msi-Dn

ALMIRANTE: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, il mio compito stamane è quello di replicare all’intervento svolto ieri dal rappresentante del Governo. Non posso peraltro cominciare senza ringraziare affettuosamente l’onorevole Franchi per la brillantissima illustrazione della nostra mozione. Ringrazio anche i tre deputati del gruppo radicale, che hanno ritenuto ieri di intervenire nella discussione pronunciandosi contro le nostre tesi, ma compiendo per lo meno il loro dovere di parlamentari. Poiché i giornali di questa mattina riportano largamente la notizia che ieri quest’, aula era vuota (e oggi è quasi vuota), io desidero dire con onesta franchezza che come parlamentare ne sono mortificato, come segretario del Movimento sociale italiano e firmatario della nostra mozione ne sono invece orgoglioso, perché non si tratta di approvare o di respingere un documento presentato dal Movimento sociale italiano destra nazionale, si tratta di approvare o di respingere una mozione presentata a norma del regolamento sulla base di una petizione popolare, che è stata firmata da oltre un milione di cittadini elettori. Il che vuol dire che la distinzione tra il paese reale e il paese legale non è mai stata tanto netta ed evidente quanto oggi. Ringraziamo i banchi vuoti, ringraziamo i colleghi assenti, perché essi ci concedono, al di là delle nostre stesse speranze e dei nostri stessi meriti, la rappresentanza del paese reale contro il paese legale, contro questo Parlamento inerte, sonnolento e fazioso fino all’inverosimile, anche nell’assenza.

Ciò premesso, onorevole rappresentante del Governo, io debbo denunciare come irresponsabile l’atteggiamento del Governo quanto al merito della questione: lo denuncio come irresponsabile, riferendomi correttamente alla prima parte delle dichiarazioni del sottosegretario, in particolare là dove ha affermato che le nostre argomentazioni, dalla data di presentazione della petizione ad oggi, hanno perduto molto della loro efficacia dialettica. Io ritengo che lei abbia dichiarato ciò in relazione al successo conseguito dalle forze dell’ordine nel «caso Dozier».

Ci siamo rallegrati a suo tempo di quel successo; voglia Iddio che successi ancora più clamorosi abbiano a determinarsi; voglia Iddio che il fenomeno del terrorismo possa essere stroncato con i vostri metodi; ma oggi stiamo ragionando dopo quanto è accaduto dopo la liberazione miracolosa del generale Dozier. Sono accadute alcune cose, onorevole rappresentante del Governo, sulle quali tornerò più avanti, che hanno colpito l’esercito italiano nel suo prestigio, hanno colpito il sindacalismo di regime pesantemente nella sua residua credibilità, hanno colpito notizie di questa mattina la giustizia, perché nell’aula di sicurezza di un tribunale a Napoli è avvenuto proprio ieri un efferato delitto, terroristico nella sostanza (e poi parlerò dei legami tra delinquenza comune e delinquenza terroristica), e in questo momento siamo sotto vigilanza speciale qui, nell’aula di Montecitorio, e voglia Iddio che non ci capiti qualche cosa, perché si ritiene che il lucernario debba essere adeguatamente protetto. Le pare possibile, onorevole sottosegretario, in una situazione di questo genere, in cui per la prima volta nel dopoguerra, anzi, per la prima volta in assoluto, la frequentazione interna dei palazzi del Parlamento rappresenta un rischio anche personale (lo dico sorridendo perché io non ho scorte all’esterno e quindi il non averle all’interno non fa che aumentare il mio compiacimento per questo doveroso rischio che tutti quanti noi corriamo), le pare di poter, proprio in questo momento, iniziare il suo intervento in quel modo? Questo denota, non lo dico a lei personalmente, che è stato estremamente corretto e gentile, ma mi riferisco in generale a tutti i membri del Governo, che voi siete affetti da una mentalità coloniale, coloniale in senso negativo, insomma siete colonizzati. È stata salvata la vita ad un generale americano, che importa poi se diciotto soldati italiani si sono fatti legare come altrettanti salami? Credo che il prestigio dell’esercito italiano valga almeno quanto la vita di un generale americano! E vorrei che questo potessero dirlo i rappresentanti di tutti i gruppi. C’è da vergognarsi, onorevole rappresentante del Governo, a sentir sostenere tesi di questo genere. Ma questa è stata la sua premessa, dopo di che lei si è riferito agli aspetti giuridico – costituzionali della questione. Ed allora, anche a questo riguardo il confronto ci onora, perché noi chiediamo l’applicazione delle norme di legge vigenti e il Governo invece continua a presentare disegni di leggi speciali. Quando lei, onorevole sottosegretario (adesso ne parlerò, sia pure rapidamente, perché ,

m’ interessano gli effetti politici del problema), dichiara che quanto noi chiediamo sarebbe opinabilmente sottolineo: opinabilmente fuori dalla Costituzione, lei dimentica che immediatamente dopo la discussione e la votazione di questa nostra mozione si inizierà l’esame della cosiddetta «legge propenditi» e noi cominceremo presentando una pregiudiziale di incostituzionalità, che non ci siamo inventati, onorevole sottosegretario, visto che cito dai giornali di più recente pubblicazione l’onorevole Violante, a proposito del progetto di legge sui pentiti e della sua costituzionalità, dice: «La nostra linea, essendoci un sospetto di incostituzionalità, è comunque quella di lavorare in futuro per estendere quanto previsto in favore dei terroristi anche ad altri imputati». Le pare poco una eccezione di incostituzionalità a proposito del progetto di legge sui pentiti, perché si fissano, si statuiscono per legge due categorie, direi quelli che si possono pentire e quelli cui è vietato pentirsi o, più esattamente, coloro che asserendo di essersi pentiti ottengono delle guarentigie eccezionali e coloro che, se anche si pentono sinceramente e lo dichiarano, non ottengono alcuna guarentigia eccezionale? Mi sembra che questa sia una eccezione di incostituzionalità grossa come una casa e il Governo dovrebbe vergognarsi nell’ affrontare il problema sollevato dalla nostra mozione proprio sul terreno della incostituzionalità, perché si tratta proprio della pagliuzza in confronto alla trave. C’è una dichiarazione dell’onorevole Felisetti a questo stesso riguardo: «Dal punto di vista morale e da quello del diritto questa legge» non questa mozione, questo progetto di legge, che fra poco voi sosterrete e voterete tutti quanti insieme «grida vendetta. Essa si giustifica solo come legge di emergenza». Oh, santa pace, come fate a dichiarare queste cose onestamente e al tempo stesso a denunziare come incostituzionale la nostra proposta che si riferisce invece a leggi vigenti e che non consiste nel chiedere nuove leggi e tantomeno leggi eccezionali, ma consiste soltanto nel chiedere che la legge vigente venga rispettata e fatta rispettare?

Ma questo discorso sulla costituzionalità della legge cui noi ci riferiamo, questo discorso sulla costituzionalità del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, datato inizialmente, se non erro, 1931, questo discorso sulla costituzionalità dei codici penali militari di guerra in tempo di pace, questo discorso, onorevole rappresentante del Governo e onorevoli colleghi nostri avversari, ci riporta al più ampio discorso sulle responsabilità di tutta la classe dirigente «ciellenistica», di tutta la classe dirigente del cosiddetto «arco costituzionale», da 40 anni a questa parte.

Prendiamo, ad esempio, l’importantissima norma che va sotto il nome di testo unico per le leggi di pubblica sicurezza, una tra le più importanti leggi che esistano: bella o brutta che sia, è una norma fondamentale. Voi ci venite a raccontare oggi che gli articoli più qualificanti di quel testo unico sarebbero contrari alla Costituzione. Siamo nel 1982, voi esercitate in solido il potere qui dentro (voglio essere generoso) dal 1° gennaio 1948 (non alludo ai periodi precedenti), dall’entrata in vigore cioè della Costituzione repubblicana; voi esercitate il potere, noi non lo abbiamo mai esercitato, non vi abbiamo mai nemmeno partecipato; e ci pensate ora? E vi accorgete adesso che sono incostituzionali norme fondamentali di quel testo unico? Voi avete disatteso completamente il vostro dovere, lo avete disatteso da ogni punto di vista. Potevate, con un semplice tratto di penna, sostituire quel testo con un altro testo; potevate abrogare con i voti di tutti quanti quel testo perché «fascista» (lo dico tra virgolette); avete convissuto con la «legislazione fascista» (sempre tra virgolette) in taluni degli aspetti che potevano maggiormente lo dico io e più direttamente richiamare il regime e la mentalità di quel tempo, perché si tratta di norme pesantemente repressive; non vi siete serviti di quelle norme per tentare di salvare l’Italia dal terrorismo: non volete servirvene, non avete avuto il coraggio e la capacità di modificarle, quando altro rimedio non esiste, non solo a nostro avviso, ma ad avviso di milioni di italiani. Infatti, a prescindere dalla nostra petizione popolare, ci sono state le indagini Doxa, le quali, in crescendo, denotano che più della metà degli elettori italiani è favorevole alla nostra proposta della dichiarazione dello stato di guerra, e pertanto al ripristino della pena di morte.

E voi ci venite a raccontare che queste norme sono «opinabilmente» lei, signor sottosegretario, non poteva andare oltre fuori dalla Costituzione! E allora, la Corte costituzionale, che dovrebbe essere presidio della costituzionalità di tutte le norme? E lo stesso intervento del signor Presidente della Repubblica? Ci risulta che il signor Presidente della Repubblica abbia dichiarato che egli non farà mai grazia ad un terrorista o ad un grande spacciatore di droga. Qui si tratta di fare grazia a priori a centinaia o a migliaia di terroristi dopo che essi abbiano compiuto i loro crimini! Non ci risulta, però, che il signor Presidente della Repubblica abbia rifiutato l’assenso a che quel provvedimento insano venisse esaminato dal Parlamento (infatti, è già stato esaminato dal Senato, e oggi arriva in aula alla Camera)!

Ma con quale coerenza? Come vi permettete di sbarrare la strada nella coscienza popolare a questo provvedimento, che noi invochiamo come attuazione di leggi vigenti, non abrogate, non modificate e consacrate dalla compagnia che ci hanno tenuto per quasi 40 anni? Al termine di 40 anni, quando non sapete come cavarvela, quando il terrorismo incombe sui destini di tutti, quando il lucernario di quest’aula incombe su di noi non come una luce, sia pure attenuata, ma come una minaccia, non vi accorgete del ridicolo in cui cadete tutti quanti e dell’irresponsabilità profonda con la quale vi state comportando?

Se volete esserne ancora più convinti, tiro fuori un foglio ingiallito (qualche giornalista in tribuna c’è): è il Corriere della sera di mercoledì 30 dicembre 1908, un’era della quale non posso essere nostalgico, perché, per quanto vecchio, sono nato un po’ dopo. Ci si riferisce al terremoto di Reggio e Messina, agli sciacalli e all’immediata reazione di quel Governo, che non era certamente fascista ma che, come sapete, si servì immediatamente dei codici penali militari per fucilare gli sciacalli. Ma quel che io non ricordavo e che penso nessuno di voi possa ricordare è che la posizione più netta in favore di quei provvedimenti fu presa dal Partito socialista, attraverso l’ Avanti! Dice infatti, il Corriere della sera di quel giorno che

l’ Avanti! era uscito in edizione straordinaria e che, a proposito degli atti di saccheggio compiuti a Messina e dei pieni poteri conferiti alle autorità militari per salvare gli sventurati superstiti «dall’assalto di quei feroci», scriveva: «Noi non esitiamo ad approvare il provvedimento. A San Francesco di California i depredatori venivano sommariamente impiccati. Noi diciamo che in certi casi come questi la difesa sociale può farsi legittimamente anche a suon di fucilate. Uomini che si lancino al saccheggio in quest’ora non sono uomini, ma lupi e vanno trattati come lupi».

Vorrei sapere se i terroristi, dei quali son piene le cronache dei nostri giornali, non siano lupi e non vadano trattati come lupi. Io non chiedo che vengano trattati come lupi, chiedo che vengano sottoposti alla legge militare, in caso di proclamazione dello stato di emergenza, che noi reclamiamo o in tutto il territorio dello Stato italiano o per lo meno in quelle zone che sono particolarmente oggetto di attentati terroristici.

C’è qualcuno il quale non sia disponibile a ripetere oggi il linguaggio che i socialisti (forse Mussolini era ancora nel Partito socialista e chissà che non le abbia vergate lui quelle righe) usavano allora? Credo dobbiate meditare su queste pagine di storia patria, quelle che abbiamo vissuto insieme e quelle che, per ragioni di età, non abbiamo, evidentemente, vissuto insieme.

Non si dica allora, onorevole sottosegretario, che si vorrebbero da parte nostra imporre metodi e sistemi autoritari, che potrebbero portare alla guerra civile. In guerra civile vi piaccia o no sciaguratamente ci siamo. Io, per dir meglio, siamo in guerra incivile, ma incivili sono coloro che applicano la pena di morte e civili siamo noi che fino a questo momento non la abbiamo avuta a disposizione come vorremmo. Qui, onorevole rappresentante del Governo, ripeto una cosa che ha già detto ieri ottimamente l’onorevole Franchi. La voglio ripetere perché mi sembra sia, fra le tante, la considerazione più seria e importante. Guerra civile. La guerra civile esiste, è in atto; è una guerra che si combatte come una partita di calcio ad una porta sola, una guerra che viene combattuta contro il popolo lavoratore italiano senza che lo Stato italiano intervenga a difesa della vita dei cittadini.

Quando parlo della vita dei cittadini italiani ho evidentemente, onorevoli colleghi, l’umano diritto di ricordare a me stesso e anche a voi, e anche agli assenti, che il partito che ho l’onore di dirigere ha pagato un altissimo tributo di sangue:sono stati fino ad oggi ventitré i nostri ragazzi o anziani (ma si è trattato soprattutto di ragazzi) stroncati dal terrorismo. Debbo anche dirvi cosa che mi dispiace di rilevare, perché rientra in un mio esame di coscienza che mi vergogno, mi vergogno profondamente (e ne chiedo scusa al mio partito, alle famiglie degli assassinati) che non siamo riusciti neppure in un caso ad ottenere giustizia. E non parlo di giustizia sommaria, parlo di giustizia attraverso i tribunali. Perché l’unico caso in cui ci siamo parzialmente riusciti c’è stato guastato e corrotto tra le mani dall’intervento del «Soccorso rosso», capitanato dal senatore comunista onorevole Terracini; sicché l’assassinio, a Salerno, di un nostro ragazzo diciannovenne è stato punito con tre anni e mezzo di reclusione effettiva. L’assassino è uscito in libertà e qualche giorno fa mi ha telefonato da Salerno il padre dell’ucciso, credendomi un personaggio importante (e non lo sono), per chiedermi che io facessi tutto ciò che potevo, perché quell’ anarchico sciagurato che gli aveva ucciso il figlio venisse ridotto fuori da Salerno, città nella quale egli continua a passeggiare, davanti alla casa di quel padre che teme ulteriori tragedie per gli altri suoi figlioli!

La prima firmataria della petizione è Anna Mattei: gli assassini dei fratelli Mattei (il primo di 8 e l’altro di 23 anni) sono in questo momento in Sudafrica, dopo essere stati in Svezia, perché «Soccorso rosso» ve li ha mandati: la giustizia italiana li aveva condannati, ma per colpa dei magistrati non è stata nella condizione di catturarli… Onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, non parlo come uomo di parte perché lo stesso cordoglio io provo ed esprimo nei confronti di tutti coloro che sono caduti in questa battaglia. Non dimentichiamo perché l’abbiamo compianto tutti insieme, quale che fosse il nostro pensiero politico l’onorevole Moro, il più illustre tra i caduti in questa battaglia; non dimentico, colleghi della sinistra, il sindacalista Rossa assassinato a Genova, nella città che ha visto il primo caduto per terrorismo (lo ha visto accanto a me, esattamente accanto a me) il 18 aprile 1970, Ugo Venturini, operaio di 33 anni, assassinato da «prebrigatisti» (ancora le Brigate rosse non avevano cominciato il loro triste ufficio funebre); non dimentico i giornalisti di parte socialista, anche illustri; non dimentico le vittime appartenenti alla Democrazia cristiana; non dimentichiamo soprattutto gli agenti delle forze dell’ordine, i soldati, gli agenti di polizia, i carabinieri. Nei confronti di tutti costoro io mi vergogno, e credo che, entro voi stessi, dobbiate vergognarvi soprattutto voi, uomini di Governo, perché quasi mai la giustizia ha raggiunto i colpevoli! Ora che sembrava possibile che la giustizia cominciasse a raggiungerli, subito interviene la legge «pro pentiti», per salvarne e rimetterne in circolazione una buona parte: e a questo punto la mia personale vergogna si trasforma in sdegno e denunzia. Si raggiungono e superano i vertici della viltà: mai c’eravamo trovati di fronte ad uno spettacolo così degradante!

Voglio rileggere una dichiarazione per me fondamentale, ieri citata giustamente dall’onorevole Franchi: sono le motivazioni del giudice Francesco Amato per il mandato di cattura contro 260 brigatisti rossi: «Il piano eversivo apertamente conseguito e propagandato mediante la diffusione di volantini, opuscoli ed altri scritti, prevede il compimento d’azioni delittuose volte sistematicamente a colpire le strutture portanti ed i gangli vitali dello Stato e della società; a mobilitare la più vasta ed unitaria offensiva armata contro la Repubblica; a suscitare la guerra civile, ad attaccare e distruggere il vigente sistema democratico, ad organizzare ovunque il potere proletario armato per l’insurrezione e la presa di potere. La dimensione e l’efficienza dell’ organizzazione politico-militare, dotata di denaro, armi, basi, tipografie e strumenti di falsificazione, nonché servizi logistici, pongono un concreto pericolo per l’esistenza e l’incolumità dei poteri dello Stato, per l’ordine e la sicurezza interna. Tutto ciò porta alla configurazione dei reati d’insurrezione armata per suscitare la guerra civile». Lo dice un magistrato, responsabilmente e nel momento in cui denunzia 260 brigatisti rossi; lo dice avendo evidentemente compiuto indagini, sia pur preliminari; lo dice sulla base di documenti e di ciò che tutti sappiamo e viviamo, in ogni parte d’Italia! Lo dice anche perché, onorevole rappresentante del Governo, sembra vi sfuggano (nel suo intervento quasi non se ne parla o non se parla affatto) i due dati fondamentali: la saldatura in atto tra la delinquenza politica e quella comune. I magistrati napoletani si sono accorti che occorre approvare al più presto la «leggina» per l’equiparazione della camorra alla mafia. Ma quand’anche tale equiparazione avvenisse, il problema rimarrebbe irrisolto; il problema a Napoli dovrebbero saperlo non è solo politico. Il rapimento del democristiano Ciro Cirillo rapimento che era politico e di malavita ha dimostrato con tutta evidenza la realtà di quanto affermo: è in atto la saldatura tra la delinquenza comune e quella politica. Questo vuol dire che i portatori della guerra civile non sono le centinaia o le migliaia di unità che ci eravamo abituati a ritenere; si tratta invece di decine di migliaia di persone, che operano in questa Italia devastata dalla corruzione, dalla delinquenza, che voi, attraverso la gestione clientelare del potere, avete favorito, tutelato, protetto. Non c’è comune d’Italia che non sia un centro di malavita, che non abbia i fautori, i padrini della malavita. Voi avete esteso la mafia in tutt’ Italia; vi sono, oggi, decine di migliaia di delinquenti organizzati. Vi è la delinquenza dei sequestri di persona, quella della droga ancor più vasta e ramificata , quella dei ricatti, quella camorristica, quella della «’ndrangheta» calabrese e quella della mafia, che ormai si è trasferita anche nel settentrione d’Italia. Tutto ciò si salda con la delinquenza politica, e la legge relativa ai «pentiti» offre la possibilità di nuovi reclutamenti. Sarà infatti comodo, d’ora in poi nel caso questo sciagurato provvedimento venga approvato, delinquere, incassare, uccidere, per poi «pentirsi» ed infine ricominciare dopo qualche tempo a delinquere, incassare, ed uccidere nuovamente. Voi ci state consegnando alla delinquenza; tra quella di vertice e quella di base la saldatura è stretta.

Il secondo aspetto inquietante della situazione lo ha riconosciuto persino il Presidente del Consiglio Spadolini è rappresentato dalle intese a livello internazionale. Anche in questo caso voglio citare come testimonianza la voce di un magistrato, il giudice istruttore Carlo Nordio di Venezia, il quale, rinviando a giudizio un gruppo di brigatisti rossi, ha affermato: «Il giudice istruttore ritiene di dover rilevare, sulla base non di illazioni gratuite, ma di prove concrete, che sono emersi solidi legami tra le Brigate rosse ed altre formazioni internazionali e che l’Italia sia stata e sia tuttora oggetto di mire destabilizzanti ed egemoniche di paesi stranieri». Il Presidente Spadolini, pochi giorni fa cito a memoria, ma lo avete letto su tutti i giornali, ha parlato finalmente di due riferimenti precisi: il KGB ed il «bandito» Gheddafi. Bandito lo dico io, però mi dovete consentire di sottolineare in questa sede vi dirò poi il motivo, che è anche personale un giudizio che è parso imprudente o eccessivo a coloro che lo hanno ascoltato attraverso la televisione o lo hanno visto scritto sui giornali.

Onorevoli colleghi, io leggo i giornali molto attentamente, ma qualche volta ho l’impressione che voi non li leggiate. Su Gheddafi e sul «banditismo» gheddafiano in Italia vi sono documentazioni impressionanti, vi sono prese di posizione in ogni parte del mondo. Alcune prese di posizione sono state, tra l’altro, pubblicate con evidenza da alcuni nostri giornali. Ho qui davanti un titolo apparso sul periodico Oggi, in cui il presidente del Sudan si esprime in tal guisa da giustificare un titolo a tutta pagina: «Appello al mondo: isolate Gheddafi». Nel sottotitolo il capo dello Stato del Sudan così si esprime: «Mi rivolgo a tutti i capi di Stato affinché non collaborino con un uomo indegno di stare in un consesso civile; so che dopo Sadat toccherà a me, ma non temo la morte. Il tiranno di Tripoli ha già fatto bombardare alcuni nostri villaggi di confine abitati da poveri contadini ed ha fatto gettare petrolio nelle acque del Nilo per inquinarle. Gheddafi non è un essere umano! Solo quando sparirà dalla terra molta gente, e non solo in Africa, potrà vivere in pace».

Su Il mattino del 30 giugno 1980 leggo una denunzia che si riferisce sia a Gheddafi come fautore del terrorismo in Italia, sia alla solita Cecoslovacchia, di cui tanto si parla. Onorevole Sanza, penso che lei debba ascoltare questa parte del mio intervento perché, non oggi ma in seguito, il Ministero dell’interno dovrà dare qualche notizia o fornire qualche smentita sull’argomento. Finora il suo Ministero ha taciuto di fronte a quello che è stato pubblicato e che sto per leggere. Dunque, su Il mattino del 30 giugno 1980 è scritto: «Sui più segreti scaffali dell’archivio del Ministero dell’ interno dedicato al terrorismo, accanto al «dossier Cecoslovacchia», c’è quello sulla Libia. Sono ormai entrambi piuttosto voluminosi. Riposano nelle stanze blindate dei sotterranei del Viminale». Se si custodissero le vite dei carabinieri come si custodiscono i dossier che non bisogna tirare fuori perché, altrimenti, i rapporti con Gheddafi o, più esattamente, i traffici di petrolio con Gheddafi, nei quali siete tutti, nessun settore escluso tranne il nostro, alquanto esercitati si potrebbero guastare, penso che si sarebbe risparmiata la vita di molti carabinieri, di molti soldati, di molti agenti di polizia, di molti giovani ed anziani d’ogni parte politica, anche se avreste incassato qualche tangente in meno.

Continua l’articolo: «Per evitare che commandos di terroristi possano arrivare fin lì per distruggerli, ogni documento è stato miniaturizzato ed «imparato a memoria» da un cervello elettronico che ha classificato nomi, dati, rapporti riservati ed episodi. Il secondo fascicolo (il dossier Libia) è tenuto nascosto perché la sua pubblicazione potrebbe indurre Gheddafi a chiuderci i rubinetti del suo petrolio, revocando affari d’enorme portata». Io impegno il Governo, ed il Ministero dell’interno in particolare, a dare, non oggi perché non voglio metterla in difficoltà, onorevole Sanza, ma nei prossimi giorni una risposta. Altrimenti, apriremo un’inchiesta a livello popolare e parlamentare, su questi dati vergognosi. Credo che potremo farlo anche per un altro motivo, onorevole sottosegretario: c’è qualcuno che ricorda ancora, qui dentro, la strage di Fiumicino ? Come mai vi ricordate giustamente, per carità? di tutte le altre stragi? Come mai, da anni a questa parte, si parla tanto delle stragi falsamente attribuite alla destra, mentre della strage di Fiumicino non si parla più? Perché? Cosa c’è dietro? Lo sappiamo benissimo! Gheddafi! Dunque anche questo, onorevole sottosegretario ed onorevole ministro assente, si trova negli archivi segreti, memorizzato e miniaturizzato? Voi conoscete dati e nomi: perché l’inchiesta non procede? Come mai, di recente, il Governo italiano, si è precipitato per offrire a Gheddafi l’acquisto di petrolio pagando qualche dollaro in più per ogni barile? Come mai? Forse è ancora la guerra del petrolio contro il sangue? Il sangue è quello dei poveri diavoli, dei poveri «cristi» del nostro paese! E il petrolio abbonda! Ed allora si parla, a suon di petrolio, di socialismo tricolore! Le speranze dell’onorevole Craxi procedono e poi procedono quelle dei nuovi raggruppamenti di «solidarietà nazionale», tanto cari all’onorevole Andreotti! E dietro ogni formula di Governo, dietro ogni possibile crisi di Governo, ci sono le tangenti ed i traffici! Continuate pure i vostri traffici, ma non fateli pagare con il sangue al popolo lavoratore italiano.

Quando vi si chiede di salvare la pelle degli italiani, siate solleciti per lo meno quanto lo siete nell’ intascare o nel lasciare che s’intaschi o nel non voler denunziare i loschi traffici in cui sono impastati, senza alcuna eccezione, tutti i vostri partiti.

Perché parlo del «bandito» Gheddafi? Perché pur essendo io una modesta persona, mentre il «bandito» Gheddafi è un uomo importante mi sembra che esista un fatto personale. La rivista Sicilia oggi si stampa con il denaro di Gheddafi. Voi sapete che Pantelleria è per metà di proprietà di Gheddafi e conoscete pure la vicenda perché ne hanno parlato tutti i giornali della moschea costruita a Catania in onore dì Gheddafi; voi sapete che in Sicilia gli affari «gheddafiani» procedono . Ebbene, in questa rivista, che reca in prima pagina l’effigie dell’«eroe» e che è tutta in sua difesa, anzi in sua esaltazione, una pagina è dedicata al sottoscritto. In essa, fra le tante amenità sanguigne, si dice: «Non si capisce come si possa prescrivere una ricetta politica secondo la quale si dovrebbero chiudere le porte in faccia a Gheddafi, che dà lavoro a tanti italiani, per aprirle a chi vuole vendere all’Italia qualche decina di miliardi di dollari di armi». A prescindere dai miliardi di dollari di armi, a proposito di Gheddafi che dà lavoro a tanti italiani nessuno ricorda la vicenda, ben più grave di quella dell’aeroporto di Fiumicino, della cacciata a pedate nel sedere dei lavoratori italiani dalla Libia? Nessuno ricorda, sui banchi governativi, che si è trattato di una cacciata vile, di un furto collettivo? Nessuno sa che i nostri coloni sono stati ricacciati in Italia senza una lira, che sono stati persino derubati dei conti correnti postali? Che sono stati derubati di tutti i loro averi, di tutto quello che avevano costruito? Onorevole sottosegretario in questo caso Almirante non parla come fascista, ma come vecchio combattente in Africa settentrionale, io ero un ragazzo quando conobbi la Libia e la conobbi, certamente attraverso le armi, ma soprattutto attraverso le strade che erano state costruite dagli italiani. Ho potuto vedere l’opera dei coloni, le case costruite dai 20 mila coloni, Chi si ricorda più dei 20 mila coloni cacciati a pedate nel sedere dal «bandito» Gheddafi? E adesso si sputa sul sangue dei morti, sul lavoro dei sopravvissuti, si sputa su questa vicenda che non ha niente di nostalgico e niente di imperiale, perché è la vicenda, auspicata da Giovanni Pascoli, della «grande proletaria» che si era mossa finalmente nel Mediterraneo e più in là, per dare lavoro, per far fiorire il deserto! Siamo a questo punto: per quattro barili in più l’Italia ufficiale si vende persino le memorie del passato, perfino le memorie che sono sacre a tutti noi, perché penso che in questo, almeno, tutta l’Assemblea possa essere concorde e ricordare con riconoscenza l’opera dei coloni italiani che hanno affermato non il colonialismo italiano, ma la capacità italiana di dare la civiltà. I libici ebbero persino, in tempo fascista, la cittadinanza speciale: riconoscimento che nessun altro popolo colonizzatore ha mai pensato di dare ai propri «colonizzati»! Ma adesso dimentichiamo tutto: e si trattasse solo di affari, onorevole rappresentante del Governo! Si tratta, infatti, anche di ingerenza ignobile negli affari interni del nostro paese!

Non posso, e non voglio, farvi perdere tempo, ma ho qui, per esempio, un’intervista del «bandito» Gheddafi ad Epoca del 25 novembre 1980, in cui si parla della situazione alla FIAT. Se ne parla perché Gheddafi è uno dei più grossi azionisti della FIAT ed egli, in questa intervista del 1980, diceva che avrebbe volentieri spinto all’occupazione della fabbrica gli operai attraverso l’influenza di cui, come grande azionista, poteva godere. Certo, si è trattato di minacce a vuoto ma, se si vuole davvero capire quel che sta accadendo nel sindacalismo di regime in questo momento, posso rifarmi alla dolorosa confessione di Giorgio Benvenuto, che forse avete letto, ma che è interessante rileggere. Giorgio Benvenuto, su La Repubblica del 12 febbraio 1982, afferma: «Sì, i terroristi nel sindacato ci sono e sono anche più diffusi e presenti di quanto non si pensi di solito. È un terrorismo di tipo nuovo, che non spara a questo e a quel dirigente » per ora, dico io «ma ha come obiettivo quello di attaccare il sindacalismo anni ’80. Questo nuovo terrorismo io lo respingo nelle grandi fabbriche: ci attaccano, ci dileggiano e non ci lasciano parlare. Non abbiamo proposte, sappiamo solo dire di no e rischiamo di essere emarginati, di non contare più niente. Siamo in presenza di una nuova generazione di terroristi, ad una nuova fase, ben più pericolosa delle precedenti». Giorgio Benvenuto respira il terrorismo in fabbrica, noi respiriamo il terrorismo a Montecitorio: si respira il terrorismo ovunque! Lo Stato democratico è infetto di terrorismo e, invece di reagire con delle antitossine virulente ed efficaci, reagisce attraverso una immissione di ulteriori tossine terroristiche nel tessuto connettivo del nostro paese. Questa è la realtà. Tra gli argomenti adottati dal rappresentante del Governo e adottati largamente anche sulla stampa contro di noi e contro la nostra mozione, nonché, a suo tempo, contro la nostra petizione popolare, il più diffuso e, al tempo stesso, il più singolare è quello che, se venisse approvata la nostra proposta, si darebbe ai terroristi il «riconoscimento» (tra virgolette) come combattenti. Ma vogliamo paragonare il «riconoscimento» (tra virgolette) come combattenti che noi daremmo (con tre emme, perché due non bastano) ed il riconoscimento come pentiti che voi vi accingete a dare? Se lo stato di guerra che noi chiediamo, se lo stato di emergenza, lo stato di pericolo venissero messi in funzione e i tribunali militari giudicassero sui reati compiuti dai terroristi, di quali reati si tratterebbe? Evidentemente, si tratterebbe di reati di sabotaggio, di attentato contro i militari impegnati. Secondo voi, i disertori, riconosciuti come tali e puniti come tali, fanno parte dei combattenti? Secondo voi, i sabotatori, riconosciuti come tali e giustiziati come tali, fanno parte dei combattenti? Secondo voi, le spie che, secondo la legge di guerra, devono essere punite con la condanna a morte fanno parte dei combattenti?

Ma dove siamo, onorevole sottosegretario, anche con l’uso della lingua italiana? Voi continuate a parlare il linguaggio ciellenista dopo tanti anni. Non avete ancora stabilito la differenza tra il combattere per la patria ed il combattere contro la patria? Non lo avete ancora capito? Eppure, quello che è successo tanti anni fa dovrebbe avervi messo in guardia contro equivoci di questo genere. Quando noi chiediamo l’applicazione della legge di guerra nei confronti dei terroristi, perché lo stato di guerra (avete sentito la testimonianza del magistrato) non può purtroppo non essere riconosciuto, noi chiediamo che la legge di guerra venga attuata contro i nemici.

Non riusciamo a capire perché applicare la legge di guerra significherebbe disarmare i combattenti o significherebbe dare dignità di combattente al nemico. Scusate, in guerra che cosa impone la legge? Si spari contro il nemico! In tempo di guerra che cosa impone la legge? Si giustizi, s’impicchi, si fucili il sabotatore, il traditore, il disertore! E come li volete considerare nella più benevola tra le ipotesi? Non volete equiparare il terrorista al disertore, al traditore in guerra, al pugnalatore alle spalle? Come li volete considerare? E noi diamo loro onore applicando la legge di guerra, inchiodandoli al muro, chiedendo che siano fatti fuori? Mi sembra veramente che stiate esagerando, proprio nel momento in cui voi state per innalzare a categorie da privilegiare, da beneficiare, da salvare, la vecchia, squalificata categoria dei confidenti. Ma servitevi dei confidenti! Per carità, servitevi dei confidenti! Li avete nelle vostre file! Il Partito socialista, nella sua ala manciniana, ha tutti i confidenti che vuole! Il Partito socialista ha preso Piperno, che è venuto in Italia sotto l’usbergo delle mancate estradizioni. Lo ha fatto parlare a Mondoperaio, lo ha fatto parlare al balcone della federazione socialista di Cosenza. Perché non lo avete invitato a confidarsi? Poteva confidarsi! Quante cose avrà raccontato Piperno a Mancini! E Mancini a Piperno! E Flora Ardizzone! C’è tutta una fungaia di terroristi al vertice del Partito socialista. Usateli! E chi si scandalizza! Date loro denaro! Chi si scandalizza! Chiedete fondi speciali perché il Ministero dell’interno possa pagare i confidenti: noi voteremo a favore. Tra i tanti denari che rubate questi saranno almeno spesi bene, se li spenderete in quel modo! Ma quando mai il confidente è stato promosso a categoria politica, addirittura a categoria morale? In tutti i paesi del mondo, in tutte le polizie ci si serve dei confidenti e li si tratta adeguatamente. Forniteli di passaporti falsi! Forniteli di tutte le tutele! Non fateli ammazzare, come li fate ammazzare stupidamente e vilmente, perché poi con queste segnalazioni ad honorem, evidentemente, qualche Peci finisce sempre per pagare. E ce ne dispiace sinceramente, perché si trattava di una creatura umana, che non meritava quel destino, perché tentava di comportarsi bene. Ma non dite a noi che trasformiamo i terroristi in combattenti e diamo loro un rango d’onore, perché l’unico rango che noi vogliamo dare ai terroristi, naturalmente dopo il giudizio…”

PRESIDENTE: “Onorevole Almirante, il tempo a sua disposizione non è scaduto ma, poiché non vorrei strozzare il suo discorso, la avverto che ha ancora due o tre minuti a disposizione.

ALMIRANTE: “Grazie, Presidente. Credo quindi che la più pesante tra le accuse che ci vengono rivolte sia questa e che io abbia potuto agevolmente dimostrarne non solo l’infondatezza ma la paradossale inadeguatezza. Concludo subito, signor Presidente, con le parole di un altro parlamentare, molto più illustre di me e caro al cuore di tutti noi, il quale, il 16 marzo 1978, il giorno di via Fani, ebbe a dire: «Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Presidente del Consiglio, abbiamo tutti credo la consapevolezza di vivere l’ora più drammatica della nostra Repubblica. Dopo aver sacrificato decine di vite di cittadini che compivano il loro dovere (forze dell’ordine, magistrati, avvocati e giornalisti), queste bande di terroristi sono arrivate al vertice della nostra vita politica democratica. Credo che a questo occorra reagire: guai a pronunciare discorsi di circostanza, perché questa non è una circostanza. Si è dichiarata guerra allo Stato, si è proclamata la guerra allo Stato democratico, ma lo Stato democratico risponde con una dichiarazione di guerra. Una democrazia cui si rivolge una sfida di guerra non risponde con proclamazioni di pace. Salta l’economia, saltano le finanze, salta l’ordine pubblico e si uccidono magistrati, avvocati, poliziotti; saltano i vertici della vita democratica e noi siamo qui a discutere della fiducia al Governo. È un po’ poco, onorevoli colleghi!».

È un po’ poco, onorevoli colleghi, discutere, fra qualche ora, della legge sui pentiti. È un po’ poco, banchi vuoti; è un po’ poco, Camera irresponsabile; è un po’ poco, Governo al vertice della irresponsabilità… Vergognatevi nel ricordo di Ugo La Malfa!”

Seduta del 22 gennaio 1979

È antifascismo anche un colpo di pistola alla nuca sparato da un agente di polizia contro un giovane di destra. La vittima è Alberto Giaquinto, diciassette anni; l’assassino è un sistema politico tutto intero che protegge, fino al processo, l’autore del delitto. È una emblematica vicenda di regime: dalla morte di Alberto (al termine di una manifestazione organizzata per commemorare il primo anniversario della strage di via Acca Larenzia) fino alla Corte di Cassazione, che addirittura prescrive il reato per il tempo trascorso invano. Anche per il sistema uccidere un fascista non è reato?

L’assassinio di Alberto Giaquinto

ALMIRANTE: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole ministro, questo dibattito esprime lo squallore, il grottesco e il dramma della situazione del nostro paese in questo momento sotto l’egida di quella che, con efficacia dispregiativa, il popolo italiano chiama ormai 1’«ammucchiata».

La logica dell’«ammucchiata» l’abbiamo testé udita attraverso la parola del presidente del gruppo parlamentare del Partito comunista, il quale ha dimenticato evidentemente, come penso abbiano dimenticato i gruppi parlamentari del Partito socialista, del Partito socialdemocratico e del Partito repubblicano, che questa formula di Governo e di maggioranza, con tutte le responsabilità anche programmatiche e orientative e non soltanto esecutive che le competono, è nata, per la sventura d’ Italia, nel mese di luglio del 1976, attraverso la corresponsabilità della non sfiducia, per perfezionarsi poi, il tragico 16 marzo 1978, con il voto di fiducia ad un Governo, ad un programma e ad una linea di azione squallida. La logica della «ammucchiata» è questa. Nei momenti gravi, quando i nodi di sangue, di danaro, di vergogna o di omicidio vengono al pettine, la logica dell”«ammucchiata» è quella di lasciare sola la Democrazia cristiana; la logica della Democrazia cristiana è quella di lasciare solo il Governo; la logica del Presidente del Consiglio è quella di lasciare solo il ministro responsabile. Se il ministro è più furbo o più cinico, come lei, fa pagare un alto funzionario, se viceversa il ministro è meno furbo o meno cinico, come un suo predecessore, al tempo della fuga di Kappler, è il ministro che paga.

Questa è una vergogna, mi si permetta di dirlo, è uno schifo: ed è lo squallore dell’ ammucchiata», che riunisce tutti, non a titolo personale, certo, ma come uomini politici e come responsabili di Governo e di maggioranza. Pertanto, quando il presidente del gruppo parlamentare del Partito comunista, uno dei massimi responsabili della situazione, fa il giudice, il suo cinismo è talmente ripugnante che sono felice che i deputati comunisti siano usciti, come al solito, in omaggio ad una parola d’ordine che respinge non il Movimento sociale italiano-Destra nazionale, ma la verità, che ha quei sepolcri «imbiancati» di rosso, e che dispiace sentirsi dire.

Quanto al grottesco, signor ministro, me la cavo con una battuta: lei forse non si è accorto, e non se ne è accorto neanche il Presidente del Consiglio che ha assistito alla prima parte della seduta, che l’arbitro della vita del Governo oggi non è né Berlinguer né Craxi, ma Giannettini. Se scappa Giannettini, cade il Governo, se Giannettini non scappa, è molto probabile che il Governo resti in piedi. Poiché i comunisti non vogliono la crisi (e tutti lo sappiamo); poiché i comunisti ed i socialisti ed anche gli altri partiti dell’«ammucchiata», tranne forse qualche settore della Democrazia cristiana, non vogliono le elezioni anticipate (e tutti lo sappiamo); io penso che in questo momento Giannettini sia custodito sul serio, perché arbitro della vita o della morte di questo Governo.

Ma del grottesco, cioè del caso Ventura, io intendo parlare pochissimo, perché altro è l’argomento del mio intervento. Intendo parlare pochissimo su questo argomento per ricordare a me stesso, e ai banchi, che il Ventura si è sempre professato socialista durante tutto il corso del processo di Catanzaro e che si è professato socialista anche attraverso confermati legami che, per amore della documentazione, della buona memoria, io rilevo attraverso un’interrogazione che fu presentata dal nostro gruppo, e per esso anni or sono dall’onorevole Niccolai nella precedente legislatura: un’interrogazione che chiedeva di «sapere se sia esatto che Piero Comacchio, uomo vicino al segretario nazionale del Partito socialista» che era allora, lo dico di sfuggita, non importa, l’onorevole Mancini «amministratore della ERI-RAI TV, la casa editrice della RAI-TV, ha fondato insieme a Ventura la casa editrice Lithopress». Perché ricordo questa interrogazione che ebbe la solita risposta deludente (si disse che il segreto istruttorio impediva di …)? Non abbiamo mai avuto risposta, ma erano tutte cose vere. Perché, allora, la ricordo questa sera? Perché ho letto sui giornali che un misterioso camioncino, appartenente ad una casa editrice, era comparso al momento della fuga di Freda, poi scomparso e ricomparso adesso.

Io vorrei dare una mano ai suoi servizi di informazione, signor ministro, ammesso che esistano: perché non si informano se il misterioso camioncino appartenesse ad una casa editrice a suo tempo gestita dal Ventura insieme a qualche grosso esponente del Partito socialista? Vogliamo andare a vedere? Mi pare che potrebbe essere interessante. Questa mia semplice considerazione le dice, signor ministro, che siamo veramente al grottesco, siamo al grottesco con pesantissime responsabilità. Per congedarmi dal caso Ventura, voglio ricordare a tutti che, se Ventura è scappato (e vi sono le responsabilità obiettive, come si dice), vi è una responsabilità pregressa: lei sa, signor ministro, chi ha dato una mano a Ventura perché scappasse, sa chi ha creato le condizioni necessarie, e in fin dei conti sufficienti, perché Ventura scappasse e perché Freda, prima di lui, scappasse? Un certo Valpreda. Eh, sì; lei non era ministro dell’Interno allora, ma il signor onorevole Andreotti era Presidente del Consiglio quando, se non sbaglio verso la fine del 1972, la cosiddetta «legge Valpreda» venne presentata da quel Governo (presieduto dall’onorevole Andreotti), che non era un Governo monocolore democristiano, come una legge giusta e valida. Ecco le conseguenze di quella legge, che oggi vengono denunziate da tutta la stampa di regime!

Ho letto sul Corriere della sera, in questi giorni, a firma di un uomo della Resistenza, Leo Valiani, un articolo contro il permissivismo legislativo di questi ultimi anni, che avrei potuto (chiedo scusa a Leo Valiani e alla Resistenza, per carità!) sottoscrivere. Quindi, attenzione ad andare alla ricerca delle responsabilità. Quanto ai mandanti, infatti, onorevole ministro, «grattate» vicino invece di cercare lontano. Vi ricordo Manzoni e la monaca di Monza: grattate vicino! Del nostro gruppo fa parte l’onorevole generale Miceli. Se non sbaglio, la sua testimonianza a Catanzaro è servita a far dare un anno di carcere ad un malizioso generale di nome Malizia, molto vicino al signor attuale Presidente del Consiglio. Grattate vicino se volete scoprire i mandanti di potere, perché si è trattato di una strage di Stato e perché si continua ad uccidere in nome dello Stato. Questa è la realtà, è questo il collegamento tra il grottesco ed il drammatico al quale mi riferisco! E l’anello di congiungimento tra il grottesco ed il drammatico l’ ho qui, signor ministro! È la seconda volta, nel giro di quattro anni, che porto a conoscenza di un ministro dell’Interno (la volta scorsa si trattava dell’onorevole Taviani) un fatto inaudito: che si stampa cioè, si pubblica e si vende liberamente il giornale delle Brigate rosse! Il giornale in questione è Controinformazione. Quello in mio possesso è l’ultimo numero uscito, se sono ben informato. Se lo procuri! Se lo procuri per i motivi che dirò. Faccia presto! O se lo faccia procurare dai servizi di informazione. Non credo che l’agenzia ANSA le darà questa notizia; non può, perciò, affidarsi alle normali informazioni. Ripeto, se lo procuri, onorevole ministro. Lo faccia perché ella va, insieme a tutti i responsabili, incontro ad una denunzia da parte nostra. Le spiego subito i motivi.

Comincio con leggerle l’indice di questa pubblicazione, una parte dell’indice, le cose più interessanti. A pagina 18: «Le lotte autonome contro ogni ghetto Intervista a Daniele Pifano». Ho avuto altre volte motivo di fare il nome di Daniele Pifano. Lo feci in piazza, a Roma, due giorni dopo l’assassinio di un nostro ragazzo: Mario Zicchieri, di 17 anni. Ho denunziato in piazza il signor Pifano, come mandante dell’omicidio, dovuto a mio avviso (non ho i servizi di informazione, che d’altronde non ha nemmeno lei) al «Collettivo di via dei Volsci». Nel nome del «Collettivo di via dei Volsci», di cui si è fatto finta di chiudere la sede (costoro continuano, infatti, ad agire e ad operare), si sono commessi molti delitti, a Roma, in questi ultimi anni. Il signor Pifano è stato recentemente assolto con formula dubitativa per le sue gesta al Policlinico di Roma. Il signor Pifano dicevo è in libertà e l’altro giorno parlava a Radio città futura. Teneva lui banco, durante il corteo. Parlava lui, perché è un libero propagandista! Ma questo è niente. Ed il fascicolo in mio possesso dimostra che egli è collegato alle Brigate rosse. Ed ancora, a pagina 46: «Carceri speciali, documenti e testimonianze: carcere di Cuneo, carcere di Fossombrone, carcere di Trani, carcere di Favignana, carcere dell’Asinara, carceri femminili, carceri di Pianosa». In questo fascicolo sono, dunque, contenute le norme e le istruzioni per evadere dalle carceri speciali. C’è tutto, tutto è spiegato. Vi sono le cartine, dettagliatissime. C’è tutto, tutto in modo assoluto; ed è fatto da tecnici, i quali, evidentemente, sono quelli delle Brigate rosse. Ma si vende liberamente questa pubblicazione! Ancora, a pagina 72: «Lotta armata in Italia: documenti, programmi e tesi delle organizzazioni politico-militari». L’articolo 18 della Costituzione, onorevole ministro, non esiste, è vero? Per carità, non lo si deve applicare! Continuate a non applicarlo! «Documenti, programmi e tesi delle organizzazioni politico-militari. Brigate rosse: risoluzioni della direzione strategica, febbraio 1978. Elementi sulla fase iniziale e sullo sviluppo della lotta armata in Italia», poi i nomi: Pasquale Abbatangelo, Domenico Delli Veneri, Giorgio Panizzari. «Giornale della brigata d’assalto Dante Nanni», «Organizzazione comunista combattente Prima linea»: sono quelli che hanno ammazzato ieri quel povero giovane a Torino.. «Nuclei armati per il potere operaio».

Credete che si tratti di una pubblicazione clandestina? No. C’è il comitato di redazione, che è costituito da Antonio Bellavita in testa. Questi è in Francia, ma attraverso questa pubblicazione annunzia che continua nel suo lavoro di direzione, dal momento che in Francia non hanno concesso l’estradizione. Quando il fuoruscitismo brigatista otterrà gli stessi riconoscimenti che ottenne un altro fuoruscitismo, l’Italia se lo vedrà ministro, no? Sono grossi meriti, questi. Poi, insieme a lui, Erminio Gallo, Maurizio Greco, Gaetano Tavoliere, Francesca Ventricelli, Giovanni Zamboni: ci sono, quindi, ostentatamente i responsabili di questa pubblicazione. È indicata pure la tipografia: «Stampa a cura della grafica editoriale “La Virgola”, via Acquedotto greco 70, Catania, con i tipi della “Alfa grafica SGROI”, via Santa Maria della Catena 87, Catania». C’è l’indirizzo della redazione, infine: «Corso di porta Ticinese 87, Milano», il numero di conto corrente, intestato a Controinformazione.

Le dicevo, signor ministro, ho denunziato un’altra volta la stessa cosa, quando era ministro dell’Interno l’onorevole Taviani. Sa perché denunziai la stessa cosa? Perché era uscito anche allora un numero di Controinformazione, un numero speciale, uscito nel mese di luglio del 1974, dopo il primo duplice crimine delle Brigate rosse, che il 17 giugno 1974 assassinarono a Padova, nella nostra sede provinciale, due cittadini italiani, signor ministro, che non erano teppisti poi parleremo di quelli che ella definisce teppisti, ma due cittadini italiani, un giovane, Giralucci e un anziano pensionato, Mazzola, che avevano l’unica colpa di essere nella sede della loro federazione provinciale alle 9 del mattino, per fare il loro dovere. Assassinati, con il colpo alla nuca, dai brigatisti rossi, i quali, nel numero di luglio di questo sporco giornale, non soltanto rivendicarono il duplice delitto, ma lo raccontarono nei particolari. Dopo di allora, niente! La magistratura, le autorità, nulla! Tentarono è una vergogna che è stata denunziata in un magnifico articolo di Bartoli vanamente, ma impunemente, di far credere che si fosse trattato di una faida in casa missina. Lo si tentò, persino, dopo il rogo dei fratelli Mattei, qui a Roma. Vergogna! Schifo! A questo punto siamo arrivati!

Nel luglio del 1974, gettando sul banco del Governo cosa che questa sera mi risparmio di fare quel numero di giornale, credetti di poter raggiungere qualche risultato. Credetti che il ministro, gli alti funzionari del Ministero si muovessero. Nulla, assolutamente. E nei momenti più pesanti ritorna questa sinistra pubblicazione.

E passiamo, signor ministro, alla tragedia di Roma. Come ella ha visto, ho rinunziato a svolgere le nostre interpellanze ed ho preferito parlare in sede di replica: coltivavo una speranza. Coltivavo la speranza che ella non ripetesse quello che aveva detto qualche giorno fa al Senato. Questo, insieme a quanto ha ripetuto qui alla Camera, ci muove all’indignazione, non solo alla protesta. È vergognoso quello che ha fatto. È ancora più vergognoso perché ella, oggi, è stato in grado di dire una cosa nuova. È una cosa positiva, che noi speravamo si verificasse: ella oggi ha annunziato che il Procuratore generale ha ritenuto di mandare avanti gli atti. Che significa questo fatto, importante e positivo, di mandare avanti gli atti in ordine alle responsabilità dell’agente che ha assassinato, con un colpo alla nuca, il giovane Giaquinto? Significa che il Procuratore della Repubblica ritiene che non vi sia stato uso legittimo delle armi, lo ritiene dopo una prima e sommaria istruttoria, ma lo ritiene, sicché è ancora più vergognoso, signor ministro, ma anche più incauto, più imprudente perché più scoperto, più manifestamente complice dell’assassinio, quello che oggi ci è venuto a dire. Come si fa a ripetere la versione che le hanno fatto leggere in Senato? Il questore di Roma, carico solo di acidità e di responsabilità, lo tenete ancora in servizio. Si caccia il capo della polizia perché è scappato Ventura, ma il questore di Roma, che ha tentato di infangare la figura di un giovane assassinato, il questore di Roma che avalla ed incoraggia il colpo alla nuca, il questore di Roma che è complice di un assassinio, deve stare al suo posto. Il signor ministro viene qui e ripete a pappagallo quello che gli ha detto, mentendo, il questore di Roma, e quando dico mentendo, lo dico con il concorso di tutta la stampa italiana, ivi compreso Paese Sera e tutta la stampa di regime: non c’è giornale che non abbia reagito di fronte alla madornale menzogna della questura di Roma.

Prima di passare alla ricostruzione dei fatti, vorrei, signor ministro, porre una domanda. Posso capire che all’inizio, terrorizzato per le conseguenze politiche e personali di quanto era accaduto, il questore di Roma abbia potuto diffondere una voce falsa, ma non posso capire che a distanza di due settimane si insista nella menzogna, si insista nel dire che il ragazzo aveva un’arma, si insista nel dire che il ragazzo avesse minacciato il sottufficiale che gli ha sparato, il che era impossibile stando al risultato delle perizie, ed è ritenuto impossibile da tutta la stampa italiana, da tutti coloro che si sono occupati di ciò. Perché, da parte della questura di Roma, si insiste, e, cosa più grave, si insiste anche da parte del Ministero dell’interno? Non perché si voglia coprire qualcuno, bensì perché si vuole ricattare qualcuno. Voi avete paura dell’interrogatorio dell’assassino, avete paura che per coprirsi egli scopra altri. Il questore di Roma ha paura di questo processo che si farà e nel corso del quale verrà fuori la verità.

Signor ministro, le dico qualcosa che la questura di Roma le ha taciuto e che bisogna che l’opinione pubblica sappia. Le hanno fatto mentire persino quando le hanno fatto dire in Senato che il ragazzo era stato immediatamente soccorso e trasportato in ospedale. Il ragazzo è stato lasciato per 20 minuti sulla strada, egli non era morto, bensì agonizzante. Se fosse stato portato immediatamente in sala di rianimazione, un miracolo si poteva verificare, se ne sono verificati in casi del genere. So di dire una cosa atroce, che non avrei voluto dire, ma voi ci costringete a rivelare anche questo. Le dico poi una cosa ancora più grave. Mentre i familiari erano stati avvertiti ed erano corsi in ospedale, il signor questore di Roma chiedo scusa, il questore di Roma ha disposto una perquisizione in quella casa sapendo che i familiari non c’erano era presente solo un custode, e la perquisizione è stata effettuata da un maresciallo e da due agenti, con un metodo di cui mi vergogno, io che ho sempre difeso la polizia come istituto. Mi sono sempre rifiutato di dire «sbirri», ma questa volta lo devo dire: con un metodo sbirresco, imposto dal capo sbirro il questore di Roma hanno rovistato nella casa e mentre rovistavano ho le testimonianze dirette che porteremo avanti codesti poveri sciagurati, che adempivano un triste mestiere, telefonavano di tanto in tanto alla questura e dicevano: la pistola non la troviamo! Dalla questura si rispondeva: dovete trovarla!

Cercavano una pistola, che dovevano trovare, perché doveva risultare anche questo; bisognava infangare la famiglia, non soltanto il ragazzo; bisognava dimostrare che era un pericoloso bandito. Vergogna!

Si accertino questi fatti; si sarebbero dovuti accertare prima. Ma che razza di ministro dell’Interno è un ministro che ripete il mattinale della questura, di una squalificata questura, di uno squalificato questore, quando ci sono dei ragazzi assassinati? Lei ha persino avuto il coraggio di dire che noi abbiamo fatto del vittimismo a questo riguardo. Del vittimismo? State a sentire. L’anno scorso, tra il 28 dicembre ed il 7 gennaio, ci hanno ammazzato – mi si permetta di dire «ci hanno ammazzato», perché mi sento padre di questa famiglia, come segretario di questo partito quattro ragazzi, purtroppo non soltanto i due assassinati il 7 gennaio davanti alla sede di via Acca Larentia; c’è anche un altro ragazzo, assassinato il 7 gennaio nello stesso luogo, e un altro giovane assassinato il 28 dicembre, pochi giorni prima. Vittimismo? Che abbiamo fatto, signor ministro? Abbiamo riempito Roma di manifestazioni, di comizi, di cortei? Cosa abbiamo fatto, abbiamo mobilitato l’opinione pubblica? Si sono letti appelli di intellettuali? Ma per carità! Si trattava di quattro tipi di destra, lei avrebbe detto «quattro teppisti». Che cosa abbiamo fatto? Abbiamo chiesto, un anno dopo gliel’ ho chiesto io personalmente di poter celebrare un corteo silenzioso; e nel momento in cui lo chiedevo al sottosegretario per l’Interno, all’onorevole Darida, gli chiarivo che il corteo sarebbe stato preceduto dai parlamentari e dai massimi esponenti del partito per garantirne la correttezza; che non vi sarebbe stata alcuna speculazione; gli spiegavo che non volevamo tenere comizi, perché i comizi sono di pessimo gusto quando si tratta di dare la parola a chi ha dato il sangue. Dopo di che ci avete fatto aspettare giorni e giorni; e voglio dirlo perché è vero, e lei non lo può smentire ci avete detto di sì, nell’imminenza della giornata che stava per giungere; e ci avete detto: «Andate dal questore per concordare con lui le modalità». Ci siamo andati, e ci siamo sentiti dire da quel tipo che, finché lui fosse rimasto al posto di questore di Roma, cortei non se ne sarebbero fatti mai. Faccia tosta; faccia di bronzo, abbiamo scritto nel manifesto; altro che faccia di bronzo! Il corteo, infatti, è stato vietato; e non abbiamo voluto tenere, per rispetto a quei morti, un comizio che sarebbe sfociato certamente in disordini, data la eccitazione naturale dei giovani e dati gli ordini provocatori che il questore lo si è visto aveva già impartito ai reparti da lui dipendenti.

Non esistono squadre speciali? Signor ministro, non so come le chiamiate. Il collega De Cataldo ha ricordato e non dico che mi faccia piacere, anzi mi addolora, perché si tratta di morti un precedente che non avrei potuto con la stessa autorità e sincerità di testimonianze ricordare io: Walter Rossi (colpo alla nuca) e Giorgiana Masi (sembra, colpo alla nuca). Vittimisti noi, signor ministro? In memoria di Walter Rossi decine di nostri ragazzi sono stati incarcerati, sono stati processati, sono stati assolti per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussisteva; e sono stati perseguitati, direi scientificamente, con tutta una serie di ingiuriose imputazioni. Si è cominciato ad incriminarli per omicidio premeditato, poi il reato si è declassato a concorso in omicidio, poi concorso morale in omicidio, poi rissa aggravata, poi… niente. E nel frattempo voi non volete dare il nome del brigadiere assassino? Ma il nome del nostro iscritto Lenaz non fu dato in pasto alla stampa, all’opinione pubblica, agli avversari politici? Ed egli aveva un alibi, che poté dimostrare: era lontano da Roma 180 chilometri. E stasera, finalmente, sento parlare qui di colpo alla nuca da parte dello Stato nei confronti di Walter Rossi, per gettare noi allo sbaraglio. State molto attenti nel trattare da teppisti i nostri ragazzi e nel trattare noi in questo modo, perché non ci stiamo.

Dopo il delitto, ma soprattutto dopo le prime menzogne della questura di Roma a questo riguardo, ho fatto una pesantissima dichiarazione alla televisione, che ha suscitato le proteste di una parte della stampa di regime e soprattutto dei partiti di estrema sinistra, Partito comunista in testa. L’Unità mi ha dedicato un corsivo in prima pagina: «Il caporione fascista minaccia!». Bene, non a titolo di minaccia, per carità, ma a titolo di avvertimento e di chiarimento, ripeto quelle dichiarazioni qui in Parlamento e uno dei motivi per i quali ho desiderato parlare era proprio questo con estrema chiarezza. Sono il segretario del Movimento sociale italiano-Destra nazionale, partito nato 32 anni or sono, che ha onoratamente vissuto alla opposizione quasi tutta, posso dire tutta, la sua vicenda politica, nel bene e nel male, sbagliando o a ragione. Siamo rimasti in numero minore di quelli che legittimamente entrarono in quest’aula e nell’aula del Senato a seguito delle elezioni del 20 giugno 1976, ma proprio questo essere rimasti in numero minore ed i motivi per i quali siamo rimasti in numero minore mi consentono di dire, onorevole ministro, che a questo partito dovete guardare con attenzione e con rispetto, anche perché non avete nulla da darci e non abbiamo nulla da darvi, se non la nostra seria e responsabile partecipazione alla vita politica del nostro paese; non avete nulla da darci, lo ripeto. Non abbiamo mai partecipato alla lottizzazioni, che piacciono tanto a voi, ai vostri amici, ai vostri scherani, ai vostri complici, ai vostri mercenari. Ed allora parliamoci chiaro. Ritenete di poterci tenere, ritenete di poter tenere questo partito, non solo nella sua classe dirigente ma nella sua gioventù che c’è, alla faccia vostra! al di fuori delle norme della convivenza umana e civile? Ritenete di non potere dar luogo a giustizia per quanto ci riguarda, perché questo noi reclamiamo (non privilegi ma giustizia)? La giustizia se lo ricordi, onorevole ministro, nell’esercizio della sua funzione è la sola alternativa alla violenza. Non ne esistono altre. È inutile parlare di pacificazione. No, la giustizia ci vuole! I giovani questo vogliono, a questo hanno diritto. E parlo dei giovani, non dei nostri soltanto, dei giovani puliti, che ci sono, in ogni senso, in ogni direzione; ci sono tanti giovani puliti, ci sono milioni di giovani puliti i quali vogliono giustizia. Ebbene, in nome dei giovani, nostri ed altrui, noi vogliamo giustizia e non molleremo, onorevole ministro. Che cosa credete di fare? Tenerci fuori perché siamo il partito fascista? Avanti!

All’ordine del giorno, da tempo immemorabile, giacciono le richieste di autorizzazione a procedere a questo riguardo contro di noi e mi dicono secondo la relazione democristiana particolarmente contro di me. Avanti, che cosa aspettate? Oppure vi fa comodo ritenere di poterci tenere sotto questa cappa di piombo e continuare a parlare il linguaggio equivoco di una «violenza di destra», che non avete quasi mai il coraggio di dire missina, ma che, definendola «di destra», attribuite a noi per lo meno come complici morali o come mandanti? Coraggio! Avanti! Giudicateci, processateci!

Il Presidente del Consiglio era in aula il 24 maggio 1973, quando cominciò questo sporco gioco contro di noi come ricostitutori del partito fascista. Ve lo ricordate? L’aula era piena allora, perché non si trattava di fare giustizia né di dare pace al popolo italiano, ma si trattava di far ripiombare il popolo italiano in un clima di guerra civile. C’eravate tutti allora; ed il Presidente del Consiglio Andreotti riteneva di fare una grossa cosa mandandoci sotto processo. Sono passati degli anni: avanti, coraggio! Coraggio, e tenete presente che non vi consentiamo e non vi consentiremo di confonderci con i terroristi di destra o i violenti di destra, se per avventura esistono, se si tratta davvero di sigle, di targhe, di etichette, di ambienti che possano essere definiti, sia pure genericamente, di destra. Ne dubitiamo, ma se per avventura si tratta di ambienti che possano essere definiti di destra e che pratichino la violenza fino al terrorismo, io non ho che da ripetere quello che ho detto alla televisione: sono i nostri peggiori nemici e sono i vostri migliori alleati, vostri e soprattutto dei comunisti! Ricordatevelo, e fate attenzione perché state facendo la fine degli apprendisti stregoni. Ritenete di avere messo in moto questo meccanismo infernale contro di noi, ma si sta ritorcendo contro di voi. Cadono i nostri ragazzi, e me ne duole infinitamente. Cadono ragazzi di sinistra o di altre parti; me ne duole altrettanto, ma cominciate a cadere anche voi, perché siete marci, in questo meccanismo di corruzione indotta, di viltà contagiosa, di menzogna invereconda!

Ecco, signor ministro, quanto avevo da dirle questa sera con tutto il mio ed il nostro disprezzo nei confronti del Governo e anche nei confronti degli uomini che ai vostri ordini si comportano come hanno osato comportarsi nei confronti dei nostri eroici ragazzi.”

Seduta del 19 Maggio 1978

Le Brigate rosse hanno fatto ritrovare il corpo senza vita di Aldo Moro. Si è chiuso così un drammatico periodo nella storia della Repubblica italiana, fra i partiti la tensione è salita alle stelle, ci si rinfacciano vicendevolmente dubbi e certezze, apprensioni e sicurezze, silenzi e iniziative. Il dibattito alla Camera vede il Msi-Dn schierato in difesa dello Stato, che non può abdicare nella lotta al terrorismo. Almirante chiede misure concrete, il regime non risponde. La catena di lutti non cesserà: il terrorismo continuerà a colpire per altri anni ancora, l’assassinio di Moro sembra dar nuovo coraggio alle bande armate dell’ultrasinistra che credono possibile la «rivoluzione comunista».

L’assassinio del presidente della Dc

ALMIRANTE: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Presidente del Consiglio, prima di tutto desidero ringraziare i colleghi del mio gruppo onorevole Franchi, onorevole Trantino, onorevole Vito Miceli per i loro interventi, così penetranti, così vasti, soprattutto così coraggiosi e responsabili, che rendono questo mio intervento conclusivo, a questo punto della discussione (salvo, ovviamente, le dichiarazioni di voto), puramente integrativo e complementare di quanto il mio gruppo ha già detto. A proposito dei precedenti interventi e riferendomi, in particolare, all’accorato intervento dell’onorevole Franchi, onorevole Presidente del Consiglio, mi studiavo stamane di trovare il modo di tornare sull’argomento relativo al suo comportamento di ieri, al tipo di discorso che ella ha ritenuto di voler scegliere, quando mi è venuto incontro l’Avanti! di oggi, il quale rileva che ella si è comportato in modo tale che il Governo appare, quanto alla lotta contro il terrorismo, come senza carta di navigazione, senza bussola e senza timone. Io non avrei potuto dir di più. Prendo atto che, dopo e malgrado il vertice che ha preceduto questo dibattito, permangono nella maggioranza governativa più che ombre, più che sospetti; permangono dei dissensi estremamente pesanti, che danno luogo a giudizi ancora più pesanti, formalmente e forse sostanzialmente, di quelli che avrei potuto permettermi io, onorevole Presidente del Consiglio, nei suoi confronti. Quando si dice, infatti, che questo Governo è senza carta di navigazione, si vuol dire, evidentemente, che non ha un programma in tema di lotta contro il terrorismo, si vuole evidentemente evidenziare che ella ieri non ha parlato come Presidente del Consiglio e come ministro dell’Interno ad interim, come avrebbe potuto e dovuto, ma come Presidente del Consiglio ad interini. Questa è la sola definizione credo corretta e garbata, ma penetrante che posso dare del suo comportamento di ieri, che vogliamo tutti sperare (ritengo di poterlo dire a nome di tutti i colleghi, al di là e al di sopra delle parti) possa essere corretto dal suo atteggiamento di oggi. Ci auguriamo una replica molto diversa e molto più responsabile, quali che siano le tesi che ella vorrà sostenere, di quanto non sia stato il suo discorso di ieri.

Parlo di questo argomento anche e soprattutto per chiarire il compito ed il comportamento dell’opposizione da noi rappresentata in Parlamento, di fronte all’evidente tentativo, che si sta ripetendo di giorno in giorno in Commissione e in aula, da parte della maggioranza del 95 per cento e (talora, soprattutto) da parte del Governo, di tappare la bocca al Parlamento, o comunque di rendere sempre meno responsabili, sempre meno rilevanti i dibattiti parlamentari, anche quando il tema sia di tanta importanza. Ci siamo sentiti, dai banchi comunisti, delle dure reprimende, l’altro giorno, delle minacce, una specie di «quos ego» da parte dell’onorevole Natta, a proposito del sabotaggio e l’, Unità, se non erro, questo termine ha usato che l’opposizione, in particolare la nostra opposizione (d’altronde, non in particolare, ma la nostra opposizione), condurrebbe ai danni del Parlamento. Ora, signor Presidente della Camera, il sabotaggio è questo: un discorso di sabotaggio è stato il discorso di ieri dell’onorevole Andreotti; comportamento di sabotaggio e di diserzione è quello dei leaders della maggioranza i quali, se «radiofante» si informa bene, non partecipano in prima persona a questo dibattito; sabotaggio, infine, è il fatto che, mentre si discute delle dimissioni del ministro dell’Interno, cioè di un episodio di primaria importanza, inusitato, inconsueto, significante, che non può non interessare (ed interessa) i destini di tutti gli italiani, dal dibattito in corso emerge l’irresponsabilità del Parlamento in genere, dovuta non certamente alla opposizione ma, ripeto, all’atteggiamento di diserzione (che è molto più che sabotaggio) dei leaders della maggioranza, di tutta la maggioranza e dello stesso Governo.

Questo atteggiamento è così evidente, e così sconcertante, e così sconfortante che, lo voglio confessare, discutevamo noi stessi, tra noi, se valesse la pena di prendere parte in maniera impegnata a questo dibattito. È bene che il Presidente della Camera sappia dalla nostra correttezza e dalla nostra lealtà che quanto più si tenterà, in aula e in Commissione e a tutti i livelli, di sabotare il Parlamento nelle sue responsabilità, tanto più noi ci impegneremo, non per contrapporre sabotaggio a sabotaggio, ma per fare il nostro dovere, visto che non stanno facendo il loro dovere, ostentatamente, né il Presidente del Consiglio, né i suoi colleghi di Governo, né i leaders ed i capi della maggioranza del 95 per cento. Questo anche perché, signor Presidente del Consiglio, l’ex ministro dell’Interno, nella sua lettera di dimissioni tanto esaltata ed elogiata, ma, mi pare, non sufficientemente meditata nei suoi passi più importanti, aveva reclamato, preannunziato e, direi, addirittura introdotto un dibattito parlamentare sulle sue dimissioni. A me pare che sia molto scorretto prendere atto e dare atto della correttezza dell’onorevole Cossiga (oh, finalmente un ministro che si dimette!) e poi non discutere delle sue dimissioni. Infatti non se ne sta discutendo da parte della maggioranza. In attesa del nuovo ministro dell’Interno non si sta, ripeto, discutendo delle dimissioni del precedente ministro dell’Interno, il quale nella sua lettera ha scritto: «Per questo rinnovato impegno e per questa nuova consapevolezza, il Parlamento nazionale ha il diritto ed il dovere di controllare quanto è stato fatto e di esprimere il suo meditato giudizio anche al fine di adottare le determinazioni di competenza».

Ecco, commentiamo tra noi questo passo della lettera tanto decantata, ma anche tanto ignorata, dell’onorevole Cossiga. Egli correttamente dice che il Parlamento ha il dovere, prima di tutto, ed il diritto di controllare quanto è stato fatto. Ma di questo diritto-dovere, il Presidente del Consiglio ieri ci ha spogliato ed espropriato; infatti, ha rifiutato di dire quanto è stato fatto. Ha detto: ciò che è stato fatto, in parte lo avete imparato dai giornali, e accontentatevi, in parte non ve lo posso dire perché ritengo di non doverlo dire. Di conseguenza noi non abbiamo alcuna possibilità, in questo momento, da parte del Presidente del Consiglio, se non ci aiutassero le indiscrezioni giornalistiche, di controllare quanto è stato fatto. Non abbiamo, d’altra parte, la possibilità di concorrere ad adottare le determinazioni di competenza perché il Presidente del Consiglio ci ha detto che, in attesa del nuovo ministro dell’Interno, non intendeva riferire sugli orientamenti relativi alle nuove disposizioni; pertanto, facciamo sulla pelle di sei morti e dello Stato italiano agonizzante un dibattito accademico. Tutto questo è ignobile! Chiedo scusa se mi è sfuggito un aggettivo che può essere considerato eccessivo, ma rimane il fatto che si tratta di una cosa ignobile. Non so come si possa definire diversamente, in termini di correttezza politica, un atteggiamento di questo genere, il quale non è ignobile nei confronti dell’opposizione! Infatti, se io fossi alla testa di una opposizione eversiva o puramente negativa e demolitrice, io dovrei accogliere con soddisfazione e registrare questi atteggiamenti di diserzione, di irresponsabilità da parte della maggioranza del 95 per cento. Ma siccome ho la fortuna e l’onore, non certamente il merito, di essere alla testa di una opposizione nazionale responsabile, io sono angosciato molto più di voi per il comportamento del Presidente del Consiglio, del Governo e di tutti i leaders della maggioranza, nessuno escluso. Inoltre sono angosciato, soprattutto, perché, signor Presidente del Consiglio, le dimissioni dell’onorevole Cossiga (e non vi fate illusioni!), dopo quanto è accaduto, riaprono tutto il discorso che da molti anni si sta facendo, in guise sbagliate o provocatorie, sul grande tema che non è più nemmeno quello dell’ordine pubblico, ma che è il tema della sicurezza dello Stato e della sicurezza del cittadino nello Stato. Tutto il discorso sulla strategia della tensione sulle sue responsabilità, sull’episodio di Genova del 1960, che si è trascinato per diciotto anni con grosso spargimento di sangue e progressiva insicurezza delle istituzioni sin quasi al crollo agonizzante delle medesime: tutto questo discorso dovrete farlo!

L’onorevole Costamagna ha fatto dichiarazioni (non dico rivelazioni) sconcertanti; infatti non ha rivelato cose che già non si sapessero. Comunque, sono sensazionali, le sue rivelazioni, perché provenienti da quei banchi, a proposito delle origini delle Brigate rosse (origini umane, dottrinarie ed ideologiche), delle responsabilità di coloro che hanno messo in piedi talune facoltà di sociologia, da Trento, da Padova fino a Cosenza. Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Camera, rispettosamente questo discorso ci riguarda perché, non a caso, la facoltà di sociologia di Trento ricorda uno degli episodi più dolorosi della nostra vita di partito e di comunità umana: il sequestro di un nostro deputato regionale, l’onorevole Mitolo. Un corteo sovversivo, per le vie di Trento, fu protetto dalla municipalità per tutta la sua durata di cinque ore, con ludibrio non solo di quello che siamo ancora abituati a denominare rispetto della legge e libertà, ma anche dei successivi processi, che si sono svolti in seguito a quell’evento; essi hanno visto non soltanto assolti o quasi del tutto prosciolti i criminali sovversivi, ma hanno registrato anche tutta una montatura di stampa e propaganda di partiti e sindacati in favore dei sovversivi, che stanno poi all’origine delle Brigate rosse, come l’onorevole Costamagna ha ricordato ed in parte documentato. A tale montatura (senza saperlo, evidentemente: non parlo di responsabilità vostre personali, ma di responsabilità politiche di settore) avete concorso tutti, dall’estrema sinistra all’intera Democrazia cristiana! Quando si parla di attività iniziali e successive delle Brigate rosse, lo specialista comunista in materia d’ordine pubblico, l’onorevole Pecchioli, in una intervista rilasciata in questi giorni alla Gazzetta del Popolo, dichiara: «Sì, l’estrema destra è stata risparmiata dalle Brigate rosse. Mi pare che abbiano aggredito un usciere, una volta, a Padova».

Onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio e signor Presidente della Camera: io non rivendico mica dei primati a questo riguardo, sarebbe di pessimo gusto. Vorrei proprio non dover dire quello che sto per ricordare: purtroppo, il primo sequestrato dalle Brigate rosse fu un nostro iscritto, Bruno Labate di Torino, sindacalista alla FIAT- Mirafiori. Purtroppo, i primi due assassinati dalle Brigate rosse sono stati due nostri iscritti, uccisi con colpi d’arma da fuoco alla nuca, nella nostra sede di Padova il 17 giugno 1974. Mi consentirete di soffermarmi un momento su questo episodio che ebbe un’eco in Parlamento, perché ne parlai. Se non vado errato, era ministro dell’Interno l’onorevole Taviani. Signor Presidente del Consiglio, ne parlai riferendomi alle Brigate rosse perché queste, in quell’epoca (giugno-luglio 1974, non preistoria!), pubblicavano un loro giornale ufficiale, intitolato Controinformazione, con tanto di autorizzazione e registrazione presso il tribunale di Milano. L’indirizzo della redazione figurava nella testata.

Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Camera: ella non presiedeva allora la Camera, ma c’era un Presidente; vi erano stenografi che hanno qui registrato quello che sto per ripetere. Esisteva, allora, un giornale ufficiale mensile delle Brigate rosse che si chiamava Controinformazione, che era regolarmente registrato presso il tribunale di Milano, con l’indirizzo nella testata: corso di porta Ticinese n. 86, Milano, e con un numero telefonico che io controllai personalmente prima di venire alla Camera a parlare. Nel numero di luglio dico luglio 1974 il mensile ufficiale delle Brigate rosse si riferiva al duplice delitto di Padova, in cui furono assassinati due nostri iscritti Giralucci, un ragazzo di 23 anni, e Mazzola, un pensionato, che faceva l’usciere presso la nostra federazione, di oltre 70 anni ó rivendicando l’episodio, pur dicendo che le Brigate rosse si attribuivano «ideologicamente» quel delitto (era giusto perché si trattava di due fascisti che dovevano essere assassinati; «eliminati»: questo è il termine esatto) ma ritenevano che ci fosse stato un incidente di esecuzione, perché lo scopo era quello di portare via i documenti dalla sede di Padova, in un’ora nella quale si riteneva che non vi fosse alcuno. Sicché, «poverini», essendo dovuti andare a viso scoperto come al solito avevano dovuto eseguire una improvvisata, ma per altro rivendicata e non condannata da quel giornale, esecuzione nei confronti del Mazzola e del Giralucci. Siccome si trattava di due assassinati di destra, non fu convocato il Parlamento in seduta straordinaria e nessuno pensò sulla stampa di dar luogo a mobilitazioni di opinione, come giustamente è avvenuto successivamente, per altri morti in divisa o in borghese. Siccome si trattava di due missini, si arrivò addirittura a tentativi di inquinamento delle prove, che pur erano evidentissime, da pare della magistratura di Padova, di certa magistratura di Padova che è responsabile in primissima linea di tutto ciò che allora, e anche successivamente e recentissimamente, è accaduto in quella città. La stampa di regime registrò ampiamente gli inquinamenti o i tentativi di inquinamento delle prove. Io venni in Parlamento dopo avere usato il numero telefonico del mensile delle Brigate rosse, perché volli compiere un piccolo controllo personale; e lo feci, registrando la telefonata in partenza dal numero di telefono della sede del partito che ho l’onore di dirigere. Certamente non qualificandomi chiesi al telefono se quello fosse il giornale delle Brigate rosse. Dall’altra parte del telefono mi rispose quel tale Bellavista, che in questo momento è a Parigi, vive tranquillamente con i soldi dei riscatti e se ne frega scusate il termine della Repubblica italiana e della maestà delle sue leggi, perché è stata rifiutata la sua estradizione, dato che è un «combattente» o, meglio, un criminale politico. Ebbene il Bellavista, capo redattore allora del mensile ufficiale delle Brigate rosse, mi rispose al telefono; io gli chiesi: «È il mensile delle Brigate rosse?», egli mi rispose: «Certamente»; gli domandi ancora: «Continuerete a pubblicare questo mensile che mi piace tanto, che dice cose tanto interessanti, sebbene voi addirittura rivendichiate degli atti di guerra o dei delitti?». Egli rispose: «Ma certamente». Gli chiesi: «Avete noie con le autorità?», «Nessuna noia, il nostro giornale è regolarmente autorizzato. Stiamo procurandoci la carta patinata Per il prossimo numero e questa è la sola difficoltà che abbiamo».

Venni in Parlamento, era seduto sui banchi del Governo l’onorevole Paolo Emilio Taviani, assertore non degli opposti estremisti, ma solo del pericolo che veniva da destra e sostenitore della tesi secondo cui a sinistra c’erano solo dei ragazzi un pò deviati, insubordinati o meglio vivaci: era questa la parola più dura che l’onorevole Taviani era abituato a pronunciare contro i criminali della sinistra extraparlamentare. Io esposi allora quello che sto dicendo, avendo nella nostra collettività umana il sangue ancora caldo versato da due morti. Eravamo stati ai funerali, in Padova, il 18 giugno del 1974, e non c’erano state onoranze di Stato, né alcuna potenza, naturale o soprannaturale, era intervenuta per benedire quei poveri morti, perché erano morti di destra, o fascisti, chiamateli come volete. La mia fu una arringa appassionata e inutile, come probabilmente inutile sarà nei vostri confronti, non nei confronti della pubblica opinione! anche la modestissima arringa che sto pronunziando in questo momento. Ma queste sono cose serie e gravi: non ci si può battere il petto perché è morto qualcuno, senza battersi il petto perché è morto qualcun altro; non si può continuare a distinguere e discriminare non più soltanto tra i vivi, ma tra i morti; ma, soprattutto, non si può non riaprire tutto il discorso delle responsabilità: il mio è un j ‘accuse! di fronte ad un’aula distratta e semivuota, ad un Presidente del Consiglio il quale ha dimostrato, politicamente parlando, indifferenza e cinismo come neppure osavamo permetterci di immaginare.

Si riapre però tutto il discorso: si riapre il discorso di Genova 1960; si riapre, colleghi comunisti, il discorso sul signor Lazagna, vostro esponente ed ispiratore fin dal 1960 di tutto quello che a Genova, e da Genova a Torino, si è organizzato e tramato. È venuto «frate mitra» a raccontare qualcosa in Italia, con grande coraggio e con enorme viltà da parte di chi lo ha costretto a esibirsi, a mostrarsi, e così a correre pericoli che non avrebbe dovuto correre; e, guarda caso, i magistrati lo hanno pregato di fare un salto a Padova, dopo Torino, per riandare alle origini, o a una delle origini del fenomeno Brigate rosse, per intrattenersi con quei magistrati, per sapere qualche cosa, se possibile, del caso Mazzola – Giralucci, dei nostri due assassinati nella federazione di Padova. Ma, signor Presidente del Consiglio, perché non torniamo a Genova, allora, dove, ad opera degli stessi criminali, il 18 aprile del 1970, accanto a me, fu assassinato il nostro operaio trentatreenne Ugo Venturini? Perché non si viene a Roma per chiederci chi abbia assassinato il ragazzino Mario Zicchieri? Io in piazza ho fatto il nome lo ripeto qui del sicuro mandante del delitto Zicchieri, un ragazzino di 16 anni e mezzo, assassinato a Roma mentre entrava in una nostra sede al Prenestino. Ho fatto il nome, e lo rifaccio; non ho alcuna paura, per carità; mi vergognerei se l’avessi. Ho fatto il nome del Pifano, il capo del «collettivo» di via dei Volsci. Andate a studiarvi le inchieste che sono state compiute a proposito del «collettivo» di via dei Volsci; chiedetevi perché un magistrato abbia proposto che tutto fosse archiviato, perché si trattava di un circolo culturale; chiedetevi perché, qualche settimana dopo, quel magistrato si sia suicidato; chiedetevi perché, anche di recente, il Pifano abbia goduto di incredibili tolleranze da parte della magistratura romana; chiedetevi se sia vero che la sede di via dei Volsci sia stata chiusa e sigillata, oppure se quel collettivo non continui a funzionare; chiedetevi se, essendo stati assassinati il 7 gennaio tre nostri ragazzi, non sia vero che il 9 di gennaio di quest’anno, nell’aula magna della mia vecchia, cara facoltà di lettere, non si sia riunito un collettivo del cosiddetto «Contropotere territoriale» (altra organizzazione che fa capo all’insieme di quelle eversive, che poi hanno il loro cervello, la loro guida nelle Brigate rosse); documentatevi, per cortesia, ci sono perfino le registrazioni, che noi inutilmente abbiamo messo a disposizione delle autorità, da cui risulta che quel collettivo, il 9 gennaio in quell’aula magna, ha rivendicato il triplice delitto di due giorni prima, senza maschere, con nomi e cognomi non dico degli esecutori ma certamente dei complici e senza alcun dubbio dei mandanti. Chiedetevi perché, a seguito di tutto ciò, la questura di Roma e il Ministero dell’interno non abbiano mosso un dito. Chiedetevi se è vero anche se sembra incredibile che dopo quel triplice delitto era carne venduta, di destra, fascista, chiamatela come volete, ma erano tre ragazzini, il più vecchio aveva 23 anni e il più giovane 17 non vi è stato un fermo, una perquisizione, un’indagine! Chiedetevi il perché di tutto questo. Non sfuggite perché non sfuggirete alla riapertura di tutto il vasto discorso sulla «strategia della tensione» e sulle sue responsabilità. Per questo mi sarebbe piaciuto che il dibattito sulle dimissioni dell’onorevole Cossiga si fosse svolto responsabilmente in un’aula piena, con l’onorevole Cossiga presente e con un Governo in diverso atteggiamento. Perché, è vero, l’onorevole Cossiga è stato correttissimo per carità, se ne è andato, finalmente un ministro che se ne va ma è anche vero che il 16 marzo in quest’aula io fui il solo a chiedere le immediate dimissioni dell’onorevole Cossiga. Le chiesi per motivi politici e non personali. Ho il dovere di non manifestare risentimento verso alcuno e non manifesto risentimento personale verso nessuno, neanche nei confronti dell’onorevole Cossiga, come nei confronti del suo sciagurato predecessore, onorevole Taviani, ma ne stiamo discutendo politicamente. E allora, ricordiamoci che l’onorevole Cossiga il 6 ottobre dell’anno scorso, nell’altro ramo del Parlamento, ha pronunziato un ignobile discorso, che si è rivelato falso dalla prima all’ultima considerazione, ingiurioso e provocatorio, nel quale ha testualmente affermato che tutte le responsabilità della violenza e della tensione ricadono sulla classe dirigente del Msi-Destra nazionale.

In questo discorso l’onorevole Cossiga è andato al di là delle stesse posizioni provocatorie precedenti dell’onorevole Taviani e da me ora ricordate, in una cupidigia di servilismo nei confronti di quell’estrema sinistra che ha tenuto in piedi, finché ha potuto, l’onorevole Cossiga, come ministro dell’Interno. In un dibattito serio avremmo dovuto sapere se è vero ed io credo che lo sia che l’accettazione delle dimissioni dell’onorevole Cossiga, atto di esclusiva competenza del signor Presidente del Consiglio, ha avuto luogo non dopo un colloquio a due, ma a tre. I giornali hanno raccontato che l’onorevole Pajetta si sarebbe introdotto nella stanza del Presidente del Consiglio a palazzo Chigi mentre questi discuteva di questo argomento con l’onorevole Cossiga, e che la decisione di accettare le dimissioni dell’onorevole Cossiga…”

ANDREOTTI: “Perché crede a queste cose!

ALMIRANTE: “Perché non sono state smentite, signor Presidente del Consiglio.”

ANDREOTTI: “Se dovessimo smentire tutte le stupidaggini che vengono dette…!”

ALMIRANTE: “Non si tratta di una stupidaggine, si tratta di un colloquio che…”

ANDREOTTI: “Comunque, è una stupidaggine.”

ALMIRANTE: “La ringrazio di questa sua precisazione che dà degli stupidi a dei giornalisti che servono la sua persona ed il regime ogni giorno. Prendano atto in tribuna stampa che i servizi resi alla Presidenza del Consiglio e al Partito comunista sono così gratificati.

Sarebbe stato molto meglio, molto più corretto, mi perdoni signor Presidente del Consiglio ma è un problema di estrema importanza lo vorrà riconoscere che gli italiani non dico i parlamentari, per carità, non abbiamo nessun diritto come parlamentari di ricevere tempestive informazioni fossero informati che era una stupidaggine quello pubblicato da parecchi giornali circa un colloquio a tre, Andreotti, Cossiga e Pajetta, nell’ufficio del Presidente del Consiglio. Se ella lo avesse smentito, sarebbe stato indubbiamente bene. Ad ogni modo…”

ANDREOTTI: “Ci vorrebbe un ufficio smentite, che lavorerebbe troppe ore al giorno.”

ALMIRANTE: “Non serve un ufficio smentite. Così come ha fatto pochissima fatica in questo momento a dare una rettifica, per me cortese, per i giornalisti indubbiamente meno, ma se lo meritano forse, poteva incaricare qualcuno per la smentita. L’onorevole Evangelisti ne dice tante non di stupidaggini, per carità è sempre a disposizione dell’opinione pubblica italiana nel «Transatlantico» per smentire cose vere e dire cose false, che una volta tanto avrebbe potuto smentire una stupidaggine detta da altri e non messa in giro dagli stessi ambienti della Presidenza del Consiglio o dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

Comunque, non ho voluto svilire mi perdoni le argomentazioni serie di cui stiamo parlando, attraverso questo episodio. Voglio soltanto dire che il dibattito sulle dimissioni del ministro Cossiga non c’è stato e che noi, nel quadro di un dibattito che portiamo avanti malgrado la atonia del Governo e della maggioranza, rileviamo che, fra i motivi politici che hanno portato alle dimissioni del ministro Cossiga, il più importante, il più rilevante sta proprio nel fatto che l’onorevole Cossiga si è allineato per ordine comunista o no, per intervento di suo cugino Berlinguer- o no: non ha nessuna importanza su posizioni false e provocatorie, che hanno stravolto il giudizio del Parlamento, della stampa, della radio, della televisione per mesi e per anni, ma soprattutto in questi ultimi tempi, tentando di addossare responsabilità, che noi non avevamo, sulle spalle della classe dirigente del Movimento sociale italiano. Signor Presidente se tutto fosse qui, direi: pazienza, facciamo una battaglia di opposizione, di opposizione vera, autentica, senza tregua; è logico che ne paghiamo le spese, è logico che il Governo e la maggioranza ce le facciano pagare, addebitandoci responsabilità che non abbiamo. Ma il guaio è, la tragedia è che ha pagato povera gente, soprattutto giovane gente, che ci ha lasciato la pelle.

Queste dichiarazioni provocatorie hanno giustificato, hanno avallato le provocazioni di piazza, di strada, gli agguati di scuola. Noi non sfuggiamo al discorso globale sulle responsabilità, signor Presidente. Il giorno in cui si facesse speriamo un dibattito serio sulle responsabilità, non saremmo alieni dall’assumerci anche le nostre. Può darsi che abbiamo sbagliato anche noi, può darsi che taluni nostri atti, talune nostre parole, talune mie parole, possano essere ricondotti a responsabilità di carattere generale o di carattere particolare o di carattere personale. Sta di fatto che il Governo, rappresentato dal ministro dell’Interno, recentemente ha assunto una posizione che è costata lacrime e sangue al popolo italiano e che si è rivelata, alla stregua dei fatti, delle prove, dei documenti, delle stesse dimissioni del ministro dell’Interno, una posizione provocatoria, strumentata senza alcun dubbio da chi ne aveva più interesse, e cioè dalla Democrazia cristiana e dal Partito comunista.

Bisogna anche che vi rendiate conto, signor Presidente del Consiglio, che il discorso sulle Brigate rosse non può non condurre ad un approfondito discorso di carattere internazionale. Ho qui documenti che, per brevità, eviterò di leggere o addirittura di citare. Ma lei sa benissimo, signor Presidente del Consiglio, che alla favoletta delle Brigate rosse nate sotto un cavoluccio italiano non crede nessuno. Non c’è osservatore politico, non c’è giornalista, non c’è parlamentare, non c’è uomo di Governo che ci creda. Si sono lette interviste, su giornali certo non a noi vicini, non smentite dichiarazioni cito solo quella dell’onorevole Piccoli, perché è il presidente in carica del gruppo della Democrazia cristiana relative ai collegamenti tra le Brigate rosse e la Baader-Meinhof o fra le Brigate rosse e l’OLP o fra le Brigate rosse e i famosi centri di addestramento al di là della cortina di ferro. Così, anche oggi, dalle parole dell’onorevole Costamagna sono state lanciate sia pur generiche accuse o, comunque, indicazioni; si sono fatti dei riferimenti ad interessi di altre potenze, addirittura del mondo occidentale, o intromissioni di altri servizi più o meno segreti.

E un discorso che bisogna fare, quello sulle corresponsabilità o responsabilità internazionali. Noi lo abbiamo fatto e lo stiamo facendo sulla nostra stampa, nelle piazze d’Italia, durante le recenti campagne elettorali. Credo che a Trieste ora si dovrà fare, per evidenti motivi, questo discorso, perché Trieste, se sono vere talune interpretazioni, che noi riteniamo non inesatte, si trova in prima linea, o per lo meno è un crocevia di estrema importanza. Non si può sfuggire, signor Presidente del Consiglio, a questa parte del discorso. Quindi, non possiamo non prendere atto con soddisfazione del fatto che in Senato se siamo bene informati una settantina di parlamentari della Democrazia cristiana stanno promovendo un’inchiesta parlamentare. Noi riteniamo urgente che il Governo aderisca a questa iniziativa e la favorisca, cosicché i Presidenti delle due Camere la portino avanti e non la considerino se da noi sostenuta come un atto di sabotaggio nei confronti delle attività parlamentari.

Dico questo anche perché ci capita di dover leggere sui giornali certamente non a noi vicini notizie sconcertanti e di grosso rilievo, che richiedono dei chiarimenti.

Ecco, di tutte le citazioni che mi proponevo di utilizzare quest’oggi, ne utilizzo una sola, perché è la più fresca, perché non se ne è ancora parlato: qui il giornale La Repubblica, questa mattina, reca un grosso titolo: «Servizi segreti in allarme per le “confessioni” di Moro». Pubblica un’intervista con un alto ufficiale dei servizi segreti che fa delle rivelazioni assai gravi, naturalmente senza fornire il proprio nome. Egli comunica di aver completato un importante lavoro, al quale hanno collaborato, come è comprensibile, anche i servizi segreti di altri paesi dell’Alleanza atlantica questo vuol dire che è stata compiuta una certa scelta di campo nelle indagini: ne prendiamo atto, con soddisfazione, magari, ma è importante che si sappia e che se ne parli ed aggiunge di aver raggiunto la prova «che quelle missive contengono una sorta di codice, anche se non in senso proprio, di un vero messaggio cifrato». E aggiunge che i risultati di questa prima indagine sono questi: «Aldo Moro» tengo a precisare che sto citando testualmente, perché non vorrei essere accusato di irriverenza nei confronti della memoria dell’onorevole Moro «ha fatto numerose e gravi rivelazioni ai suoi carcerieri a proposito di uomini, cose e situazioni. Sia di carattere politico, sia di carattere militare». Ora, io non pretendo, per carità, dal Presidente del Consiglio nessuna dichiarazione a riguardo, in questo momento, né alcuna smentita né, tanto meno, alcuna conferma, ma non si può non portare avanti il discorso a livello parlamentare. Il Parlamento, infatti, ha il diritto e il dovere di occuparsi di queste cose e di chiarirle. Possiamo riunirci in seduta segreta, possiamo dare luogo a una commissione che lavori sotto la copertura di un’istruttoria formalmente garantita, ma, quello che è certo, noi non accettiamo di rimanere estranei, come parlamentari e come rappresentanti dell’opposizione a dibattiti di questo genere. Non può continuare questo gioco delle tre carte, non è possibile che tutto questo resti all’interno delle strutture dei servizi di regime. Noi reclamiamo, signor Presidente della Camera, il diritto di intervenire, nei modi dovuti, ripeto, rispettando le competenze e le responsabilità. Quello che è certo, noi deputati di opposizione abbiamo il diritto di occuparci di queste cose, perché da una indagine di questo genere può dipendere la salvaguardia del nostro paese. Noi diciamo questo perché fino ad ora abbiamo dato una certa interpretazione di quanto avviene in Italia per quanto concerne gli interessi internazionali. Noi rileviamo credo che sia assolutamente obiettivo farlo che in questo momento il comunismo imperialista sovietico uso queste terminologie che sanno un poco di Brigate rosse alla rovescia, ma mi riferisco alla realtà è all’attacco in due continenti: in Africa e in Europa.

In Africa è all’attacco con i metodi che voi sapete, con le scoperture che sono note, perché si tratta di aggredire paesi posso dirlo senza offendere il terzo mondo di non ancora accreditata stabilità democratica. Aggredisce come è possibile aggredire quei paesi, senza coperture. Dall’altra parte (lo leggiamo sui giornali di oggi) si risponde con atti di guerra ad atti di guerra. Sono già in funzione o stanno per entrare in funzione ponti aerei dalla Francia e dal Belgio; entrano in azione anche milizie addestrate particolarmente a questo tipo di guerra, guerriglia o di controaggressione.

In Europa, l’unico paese aggredito è l’Italia, tornata ad essere il «ventre molle» dell’Europa. L’Italia, almeno per ora, non può essere aggredita con i metodi che il comunismo imperialista sovietico adotta nel continente africano, per cui la aggressione viene condotta attraverso l’onorevole Enrico Berlinguer ed il suo sorridente eurocomunismo. La docilità della Democrazia cristiana nei confronti dei piani dell ‘onorevole Berlinguer viene contestualmente condotta attraverso l’aggressione delle Brigate rosse.

Se le notizie apparse su La Repubblica di stamane hanno un fondamento di verità, si tratta di una clamorosa, dolorosa, preoccupante conferma di quello che noi finora siamo andati dicendo, assumendocene la responsabilità, non perché ne abbiamo prove o documenti o perché possiamo attingere a tali documenti, ma perché ci affidiamo alla tragica esperienza che da italiani stiamo vivendo da tanti anni a questa parte, nonché al buon senso ed agli orientamenti che la nostra assoluta autonomia ci suggerisce. Questi sono discorsi, signor Presidente del Consiglio, che si debbono fare e che verranno fatti; noi, da parte nostra, continueremo a farli: forse sarà la nostra delenda Carthago, signor Presidente del Consiglio. Rassegnatevi, noi non molliamo questa presa finché non si sarà capito… Non è pensabile che si possa battere il pauroso fenomeno delle Brigate rosse, qualora questo fenomeno abbia come certamente ha dei riferimenti e dei punti internazionali, se non nel quadro di una strategia anche in politica estera che a nostro avviso è incompatibile con l’attuale formula di maggioranza e con l’attuale programma di Governo. Dico questo non per motivi di risentimento personale o perché andiamo cercando l’occasione per mettere in difficoltà la sua persona o il Governo; si tratta di motivi di sicurezza e di salvaguardia nazionale, europea ed occidentale. Noi non molleremo la presa fino a quando non si sarà riusciti, come parlamentari, a compiere il nostro dovere di controllo e di indagine per sapere cosa c’è dietro tutto questo.

L’onorevole Vito Miceli ha dato luogo ad accenti estremamente interessanti e gravi; non ci si può fermare qui. Occorre procedere con estrema attenzione. In questo quadro, signor Presidente, vorrei dare un’occhiata alle responsabilità dei partiti politici a cominciare da quelle della stessa Democrazia cristiana, la quale è stata, un po’ da tutta la stampa di regime, dalla radio e dalla televisione, apologizzata per la sua fermezza. Senza dilungarmi, mi fermerò (tanto perché non si parli di nostre posizioni polemiche o preconcette) al comunicato ufficiale su Il Popolo da parte della delegazione formata dal segretario politico Zaccagnini, dai vicesegretari Gaspari e Galloni, dai capigruppo Piccoli e Bartolomei, dagli onorevoli Bodrato e Belci, dopo il colloquio con la segreteria del Partito socialista. In quel comunicato ufficiale è testualmente detto (siamo al 4 maggio): «In ogni caso» (siccome si tratta di messaggi cifrati, bisogna fermarsi su ogni parola)… «In ogni caso» (questo vuole dire qualche cosa!) «la Repubblica, attraverso le forze che la esprimono, dinnanzi alla restituzione in libertà di Aldo Moro ed a comportamenti che indicassero una svolta nell’uso della violenza, saprà certamente trovare forme di generosità e di clemenza coerenti con gli ideali e le norme della costituzione».

Onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, questa non è una trattativa? Se io dico a qualcuno o faccio sapere a qualcuno: «comportati in un determinato modo e certamente ti retribuirò in quest’altro determinato modo», questa non è una trattativa? E che cos’è? Quando la delegazione democristiana si permette di dire: «la Repubblica attraverso le forze che la esprimono» e ne parla in relazione a «forme di generosità e di clemenza», ebbene la Repubblica non può essere che identificata ed individuata nel Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica in carica o il Presidente della Repubblica da nominare entro il 24 settembre, ma forse anche prima, qualora si arrivasse a componimenti che consentissero di giungere prima alle elezioni di un nuovo Presidente della Repubblica dotato di un particolare potere di generosità e di clemenza, cioè di grazia. Signor Presidente del Consiglio, sono cose inaudite quelle alle quali sto alludendo se veramente, ma anche correttamente, non sono mai accadute in Italia? Non c’è un precedente di un Presidente della Repubblica, politicamente condizionato in un certo modo, che si è regolato con generosità e clemenza nei confronti di un certo esponente di una certa parte politica che era stato condannato, dalla giustizia italiana, alla stessa pena cui potrebbe essere condannato, nell’eventualità per lui peggiore, il compagno Curcio? II compagno Curcio ieri ha fruito della clemenza della corte di Torino, che, di fronte ad una richiesta del pubblico ministero di due anni e sei mesi, per apologia di reato, ha addolcito la pena ad 1 anno e 6 mesi. Non vi sono, quindi, precedenti? Non c’erano agganci quando la delegazione democristiana emanava questo comunicato? Mi permetto di condannare in termini umani i delegati della Democrazia cristiana? Nemmeno per sogno; umanamente mi metto nei vostri panni, comprendo il vostro travaglio, condivido le vostre ansie di allora e siccome nei vostri confronti l’animo mio non è turbato da nessuno di quei motivi che turbano le convivenze all’interno di singoli partiti, voglio assicurarvi che la mia comprensione è piena; però, se questo è stato il vostro atteggiamento, non andate a raccontare che il vostro atteggiamento è stato un altro.

In realtà, voi, Democrazia cristiana, non avete seguito né la linea molle né la linea dura, avete dato luogo ad un inizio di trattative mal cominciate e mal condotte senza avere il coraggio di assumervene la responsabilità e non avete avuto, d’altra parte, il coraggio di adottare la vera linea dura che non poteva consistere nell’attendere le condizioni, i pareri, le volontà, le decisioni e i crimini delle Brigate rosse, ma doveva consistere nel prendere iniziative, nel ricacciare in gola alle Brigate rosse i loro ultimatum, nel porre l’ ultimatum dello Stato, le condizioni dello Stato nel pretendere dal Governo una linea di fermezza di questo genere.

Si è trattato permettete che ve lo dica, siccome lo avete fatto sulla pelle del vostro presidente di una mistificazione ignobile, uso ancora questo termine, in quanto avete fatto finta di apparire come i difensori estremi della legalità contro il crimine, contro le Brigate rosse, contro il ricatto delle Brigate rosse, ma in realtà avete adottato una linea di mollezza ammantata da parole di durezza e senza, d’altra parte, la capacità neppure di utilizzare la vostra congeniale mollezza per tentare di salvare il presidente del vostro partito che vi implorava dal carcere, mediante messaggi più o meno cifrati, di restituirlo alla propria famiglia. Questa mi sembra sia la realtà, una realtà alla quale pone scarsi e tardivi rimedi l’improvvisa, e per altro molto prevista e prevedibile, impennata del senatore Fanfani, il quale parla ora di «negligenze pregresse». L’onorevole Fanfani era in quest’aula, e al suo posto, signor Presidente del Consiglio. Noi abbiamo buona memoria (almeno questo diritto l’opposizione lo rivendica, il diritto alla memoria): era al suo posto il 6 agosto 1960 tanti anni fa quando i predecessori delle Brigate rosse furono da lui difesi sulla pelle politica, per fortuna non fisica, di un altro Presidente del Consiglio e furono da lui definiti cittadini democratici, che, come potevano e come sapevano, avevano difeso il loro punto di vista, e lo avevano difeso, come tutti ricordiamo, mandando all’ospedale, a Genova, in un pomeriggio, 150 tra carabinieri, soldati e agenti di polizia.

È cominciata di lì la questione. Quindi, se negligenze come dice ora il senatore Fanfani vi sono state, di queste lamentele e delle conseguenti negligenze il senatore Fanfani è stato come al solito l’antemarcia, essendo egli l’antemarcia di ogni tipo di politica che in Italia si conduca sulle rovine del nostro paese da tanti anni a questa parte. Consentiteci questo rilievo, che crediamo assolutamente obiettivo. Ma siccome sembra che l’altro «cavallo di razza», essendo deceduto il primo, voglia riacquisire la primazia al vertice della Democrazia cristiana per carità, buona fortuna, tanti auguri, buon lavoro! cerchiamo di non capovolgere il gioco delle responsabilità, perché le responsabilità sono di tutti, e talora accade che siano soprattutto di coloro che vorrebbero rifarsi oggi una verginità sulla pelle della gente. E parlo della povera gente di destra, che ci ha rimesso, dal 1960 in qua, largamente la pelle.

Un discorso ancora più serio e più grave, anche se contenutissimo nella durata e nei termini, è quello che dobbiamo rivolgere ai responsabili de Partito comunista. Abbiamo letto sui giornali l’autocritica del senatore Bufalini, in comitato centrale del Partito comunista; abbiamo letto sui giornali autocritiche ancora più esplicite di altri esponenti specializzati del Partito comunista. Ne leggo una sola, è la più recente ed è del senatore Pecchioli, che su l’Unità scrive di solito tutti gli articoli più qualificati ed autorevoli sui problemi dell’ordine pubblico e della sicurezza dello Stato. Alla domanda, rivoltagli da un redattore della Gazzetta del popolo: «Dove si è sbagliato?», il responsabile comunista della politica dell’ordine pubblico, onorevole Pecchioli, risponde: «Nel non valutare l’ampiezza e la pericolosità del fenomeno del terrorismo: si è tardato a capire che l’ondata di piena montava da sinistra».

A questo punto, non posso chiedere le dimissioni di tutta la classe dirigente del Partito comunista! Se avesse così parlato un ministro responsabile o un Presidente del Consiglio, credo che tutto il Parlamento gli avrebbe detto: vattene, perché hai sbagliato! Cossiga se n’è andato per gli stessi motivi. È ora di finirla con il Partito comunista partito di lotta e partito di Governo o partito di autocritica, di lotta e di Governo. È ora di finirla con un Partito comunista responsabile ed irresponsabile! Da due anni a questa parte ve lo siete preso per mano, onorevole Andreotti! Avete preso per la mano il Partito comunista, perché bisognava introdurlo nella maggioranza, allo scopo soprattutto (ricordo il preambolo di quel vostro patto del 1976 e del programma del mese di luglio 1977) di affrontare e superare l’emergenza. In termini di emergenza dell’ordine pubblico e dell’ordine sociale è stato indispensabile associare il Partito comunista. Il giorno 13 luglio 1977 avete presentato a questo ramo del Parlamento un’ampia mozione programmatica, in cui i temi dell’ordine pubblico e della magistratura erano uno per uno indicati; e si proponevano i rimedi, che noi combattevamo con un nostro programma di alternativa, ma che comunque facevano parte di un organico programma di rimedi. Non ne avete attuato nemmeno uno, ed io voglio capire in quanto non riesco a capirlo perché la Democrazia cristiana, in questa specie di cupidigia, di suicidio, neanche più di servilismo, voglia attribuirsi tutte le responsabilità e non chiami ad una resa dei conti il Partito comunista, che fa l’autocritica, che non è stato capace di tutto l’arco di questi ultimi mesi di fare una proposta. Noi leggiamo, un giorno sì e l’altro no, su l’Unità ed io vi cito titoli testuali «Bisogna uscire dalla paralisi!», «Bisogna uscire dall’impotenza!», «Ci vuole un colpo d’ala, ci vuole un’impennata». Ma mi vuoi dire codesto novello D’Annunzio, che è l’onorevole Berlinguer, quali siano i colpi d’ala e le impennate che il Partito comunista è capace di suggerire in questo momento alla maggioranza e al Governo?

Durante questi mesi il Partito comunista su l’Unità e su Rinascita ho, ripeto, qui i documenti, ma non vi faccio perdere del tempo ha mosso delle accuse molto pesanti, non a noi una volta tanto ci hanno risparmiato ma a voi e a tutto il regime. È uscito il pesante articolo su l’Unità, di cui si è molto parlato, intitolato «I santuari»; e i santuari sono, secondo l’Unità, quei centri misteriosi di potere, economico, giudiziario, politico, militare, poliziesco, che essendo stati estromessi o limitati nei loro privilegi, si sarebbero vendicati dando luogo ad attività o concorrendo alle attività sovversive, terroristiche, come quelle delle Brigate rosse.

Quando la stampa, il testo della stampa italiana ed alcuni ambienti politici, a cominciare dai nostri, hanno chiesto spiegazioni al Partito comunista relativamente a questo grosso articolo e a quello su Rinascita («Una sfida decisiva»), è apparsa sulla stessa Rinascita una precisazione: «Ma… alcuni articoli apparsi sulla nostra stampa ed alcune riviste o dichiarazioni di dirigenti comunisti sono stati male interpretati e nella sostanza travisati. Non ci siamo mai lanciati in congetture, più o meno fantasiose, su complotti.» No, per carità! Questi sono i titoli su l’Unità e su Rinascita «Non ci siamo mai lanciati né abbiamo fatto nomi» certo! «né tanto meno indicato piste per gli indagatori». No, le trame, questa volta, il Partito comunista non le ha inventate; rinunzia alla paternità dell’invenzione delle trame, però ha lanciato il sasso e ritira la manina.

E vi pare possibile che si stia al gioco? Ci potete stare voi, che avete con il Partito comunista i vostri accordi, che avete dal Partito comunista i voti per sorreggere il vostro impotente Governo, potete voi prendervi ogni mattina ceffoni dal Partito comunista, essere accusati di incapacità da coloro che, insieme a voi, dimostrano la loro incapacità. Ma noi non ci stiamo a questo gioco. Chiediamo chiarimenti. Si parli. Mi auguro che nella seduta di oggi il Partito comunista incarichi qualche responsabile di parlare. Ci spieghi in che cosa consistono i «santuari», quali sono i poteri occulti che il Partito comunista ha messo in rilievo, quali sono le proposte del Partito comunista perché se ne esca. Ed anche dall’onorevole Craxi (i socialisti sono globalmente assenti, fino ad ora, a questo dibattito) è ora che si chiedano dei chiarimenti, e non solo a porte chiuse. Perché l’onorevole Craxi a porte chiuse parla in Italia, ma concede interviste, ha concesso una intervista ad uno dei giornali più diffusi e più noti del mondo, a Stern, in cui, per esempio, si dice che «tutti i terroristi conosciuti fino ad ora hanno un passato comunista», in cui si afferma che «è indubbio che le Brigate rosse hanno una matrice leninista», in cui si dice che «è indubbio che funzionari stalinisti del Partito comunista piemontese e ligure lavorino per i servizi segreti dell’Europa orientale». Bene, l’onorevole Craxi, l’umanitario onorevole Craxi o si occupa soltanto di problemi umanitari, ed è rispettabilissimo in questa sua attività, o assume posizioni di questo genere, ed allora le deve chiarire. Il Parlamento deve sapere di che cosa si tratta.

Infine, onorevoli colleghi, vengo al nostro atteggiamento. Io , al riguardo, non faccio altro che ripetere in sintesi quanto è stato già detto dai colleghi che mi hanno preceduto, ma, come segretario di questo partito, ho il dovere di spiegarmi con chiarezza, non voglio dire per l’ultima volta, perché se ne riparlerà, ma in maniera, per quanto ci riguarda, definitiva.

Noi non abbiamo chiesto sin qui alcuna norma eccezionale; non siamo affatto allergici ad eventuali richieste di norme eccezionali qualora se ne rivelasse l’opportunità o la necessità. Non esiste al mondo Stato democratico, non esiste Parlamento democratico, il quale, di fronte ad una situazione eccezionale, non prenda in considerazione la possibilità di misure eccezionali. Se non le abbiamo chieste e non le chiediamo è perché non crediamo ve ne sia bisogno; se non crediamo che ve ne sia bisogno è perché reclamiamo l’applicazione delle leggi vigenti; se reclamiamo l’applicazione delle leggi vigenti è perché reclamiamo in primo luogo l’applicazione puntuale e globale della Carta costituzionale italiana. A questo riguardo, sia detto una volta per tutte, noi non abbiamo avuto l’onore di essere presenti all’Assemblea costituente e quindi in calce alla Carta costituzionale non c’è la firma del nostro partito, che in quel momento non era ancora stato fondato. Ma siamo qui dalla prima legislatura e dalla prima legislatura, se mi consentite, particolarmente io, che ho sempre fatto parte o della Commissione interni o della Commissione affari costituzionali, mi sono occupato e dedicato a questi problemi e la nostra tesi è sempre stata quella della puntuale, fedele, leale, globale applicazione della Costituzione di tutta la Costituzione ivi compreso l’articolo 138, il quale stabilisce le guise nelle quali la Costituzione può essere, con le maggioranze adeguate, eventualmente modificata.

Qual è il comportamento, in questo momento, dei partiti politici di fronte alla Carta costituzionale? C’è un solo partito, il nostro, che rivendica l’applicazione globale della Costituzione, a cominciare dall’articolo 138; tutti gli altri partiti, nessuno escluso, disattendono l’applicazione della Costituzione nelle norme che agli altri partiti non fanno comodo, o non piacciono. È clamoroso in questi giorni il caso delle norme, tanto citate e bistrattate, degli articoli 39 e 40 della Costituente. Ho letto ieri su una rivista autorevole, anche se iettatoria, che si chiama Astrolabio, una incredibile nota nella quale un padre della Costituzione della Repubblica arriva a dichiarare testualmente, quanto agli articoli 39 e 40, che si può far benissimo a meno di applicarli o si possono applicare nella parte che conviene. Quanto all’articolo 40, per esempio, si può far benissimo a meno di applicare la seconda parte che si riferisce all’ambito delle leggi che regolano l’istituto, in quanto basta applicare la prima parte, che dice che lo sciopero è ammesso. Così per l’articolo 27 della Costituzione, che è invece quello che in questo momento ci interessa relativamente alla ammissibilità o meno della pena di morte nel nostro diritto. Noi sosteniamo che la Costituzione, tutta intera, debba essere applicata. L’onorevole Franchi ha spiegato che il combinato disposto degli articoli 27 e 87 della Costituzione consente, non tanto perché non è questo il problema che ci interessa in prima linea l’applicazione o la reintegrazione, come inesattamente si dice, della pena di morte nel nostro diritto; concerne più vastamente il modo per affrontare l’emergenza. La Costituzione repubblicana, all’articolo 87, affida al Capo dello Stato poteri costituzionali di emergenza e al Parlamento affida la deliberazione in ordine alla dichiarazione dello stato di guerra, che il Capo dello Stato adotta ed esegue. La Costituzione, all’articolo 27, dichiara non ammissibile la pena di morte tranne nei casi previsti dalle leggi militari di guerra e «tranne nei casi» costituzionalizza la pena di morte. Quindi, non si tratta da parte nostra né di una posizione di richiesta di leggi eccezionali, né di una posizione extra-costituzionale, tanto meno anticostituzionale; si tratta di chiedere che le norme, che esistono nel nostro diritto costituzionale e che concernono i casi di emergenza, vengano attuate. Si tratta, sostanzialmente, da parte del Parlamento e del Governo, di rispondere ad un quesito: la situazione è di emergenza per quanto riguarda lo stato di sicurezza della nazione italiana o no? Se la risposta è positiva, altro quesito: quali leggi ci occorrono per poter affrontare la situazione di emergenza? C’è bisogno di leggi eccezionali o no? Se la risposta è negativa, il nostro esame di coscienza deve procedere: qualora le leggi vigenti siano sufficienti, a quali di esse bisogna guardare? E la risposta è molto semplice: si tratta della Carta costituzionale, dei suoi articoli 27 e 87; soprattutto si tratta del codice penale vigente; si tratta del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza vigente; si tratta dei codici penali militari di guerra e di pace, pienamente vigenti; si tratta di affidarsi a queste leggi e di decidere, di stabilire sulla base di esse. Quel che noi non possiamo accettare, quello che non possiamo condividere, quello che neppure psicologicamente sopportiamo è la condizione di atarassia in cui si trovano il Governo, il Parlamento, la Presidenza della Repubblica, le Presidenze delle Camere a questo riguardo.

Io ricordo (e spero che tutti noi lo ricordiamo) quanto ebbe a dire il 16 marzo in quest’aula in un’aula ben altrimenti attenta e affollata, traumatizzata l’onorevole Ugo La Malfa, quando ci richiamò alle responsabilità che noi abbiamo come parlamentari nei confronti di tutti i cittadini italiani. Ed allora io chiedo, onorevole colleghi (e Iddio non voglia che quanto sto per dire possa avverarsi; ma è molto difficile che non si avveri, perché la logica delle cose è quella che è): se dovessimo trovarci in questa stessa aula in un altro 16 marzo, voi che cosa pensereste di fare? Pensereste di riportarvi ai discorsi di allora e di oggi, all’impotenza di allora e di oggi, all’ atarassia di allora e di oggi, al cinismo di allora e di oggi, alla confusione mentale di allora e di oggi, ai giochi di compromesso di allora e di oggi, essendo da allora ad oggi la situazione peggiorata, a livello di vertice, perché allora avevamo un ministro dell’Interno che sbagliava , adesso abbiamo un Presidente del Consiglio, ministro dell’Interno ad interini, che non ha avuto e non ha neppure la possibilità di tirar fuori dal forcipe del compromesso storico uno straccio di ministro dell’Interno che venga qui ad assumersi le sue responsabilità? Se Iddio non voglia si ripetesse una seduta come quella del 16 marzo, il discorso valido, vero, utile, giusto, sacrificale e responsabile sarebbe il vostro, quello dei vostri banchi vuoti, o sarebbe questo, il discorso dell’opposizione? E vorrete sentirvi dire, a proposito di nuovi, eventuali, sciagurati eventi, che Iddio allontani dalle vostre e dalle nostre teste quello che oggi, sia pure sinteticamente ed appassionatamente, vi ho ricordato a proposito di precedenti lutti, di precedenti traine, di precedenti complotti, di precedenti crimini, di precedenti responsabili ai quali non avete voluto dare ascolto, perché il richiamo veniva dalla nostra opposizione, perché il sacrificio di sangue era da questa parte?

Io, per il bene dell’Italia, mi auguro con tutto il cuore che vi rendiate conto del gravame di responsabilità umane che pesa su di voi. Non posso perché sarei in malafede, se lo facessi auspicare che questo Governo e questa maggioranza trovino le illuminazioni necessarie al loro interno; mi auguro che, sia pure per questi dolorosi motivi, dopo questo lavacro di sangue e di sacrificio che tutti hanno pagato e potrebbero pagare, si determini una svolta politica che dia finalmente a chi governa l’Italia la possibilità di parlare in italiano agli italiani, di chiarire i misteri di questa Repubblica, di assumersi le proprie responsabilità e di salvare, prima che sia troppo tardi, le fondamenta stesse della nostra civiltà.”

Seduta del 16 marzo 1978

La «solidarietà nazionale» l’abbraccio nella stessa maggioranza tra Dc e Pci nasce contemporaneamente al sequestro di Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana. Nell’azione terroristica, le Brigate rosse uccidono cinque agenti della scorta dell’esponente politico. Il Msi-Dn con alla testa il segretario del partito chiede che lo Stato non rimanga fermo a guardare la tracotante offensiva del terrore; Ugo La Malfa, per i repubblicani, invoca la pena di morte contro le bande criminali. Almirante chiede provvedimenti decisi contro il terrorismo e mostra nel mirabile discorso grande senso di responsabilità ed impegno profondo.

Le Brigate Rosse sequestrano Aldo Moro

ALMIRANTE: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Presidente del Consiglio, a nome del gruppo e del partito che ho l’onore di rappresentare e a titolo personale esprimo la più ferma solidarietà al partito della Democrazia Cristiana, al suo presidente così duramente colpito e al suo segretario. Esprimo il nostro cordoglio alle famiglie delle sei vittime ci siamo dimenticati il povero maresciallo ucciso a Torino nei giorni scorsi nello stesso quadro delinquenziale di questi giorni. Signor Presidente, la prego di consentirmi, nel quadro dei discorsi di circostanza che abbiamo udito non alludo né al discorso dell’onorevole Zaccagnini né al discorso dell’onorevole La Malfa di inserire un discorso di opposizione, pur breve e composto, come l’occasione consiglia ed impone. Se non erro è il primo discorso di opposizione pronunciato oggi in quest’aula, opposizione della quale noi sentiamo altissimo il senso di responsabilità, perché crediamo di non errare affermando che in momenti come questi, e comunque in ogni momento, l’opposizione ha non soltanto il diritto, ma il dovere, proprio perché opposizione, di sentirsi rappresentante genuina dello Stato e della società, purché si tratti ed in questo caso vi assicuro che è così, e tenterò di dimostrarvelo di un’,opposizione responsabile, certamente di contrasto, ma senza dubbio di proposta e di alternativa. In questo momento abbiamo infatti delle proposte concrete da avanzare. Abbiamo sentito con soddisfazione le coraggiose parole pronunciate dall’onorevole La Malfa. Egli ha detto «a guerra, guerra», «alla emergenza si risponde con misure di emergenza»; e abbiamo sentito, con minore soddisfazione, ma con interesse, dichiarazioni analoghe, anche se molto più sfumate e attenuate, da parte dell’onorevole Craxi e da parte dell’onorevole Romita, i quali hanno accennato alla possibilità di «misure straordinarie» (credo di riferire con esattezza il loro pensiero).

Ebbene, noi proponiamo che qualche cosa si faccia immediatamente. Le nostre proposte sono le seguenti: in primo luogo, il signor ministro dell’Interno sia invitato in questo momento a presentare le dimissioni. Si tratta e lo dico senza alcuna inflessione di carattere personale, se siamo bene informati, se le notizie riportate dai giornali sono esatte, dell’unico ministro che il Partito Comunista italiano ha voluto imporre in quel dicastero a questo Governo.”

NATTA ALESSANDRO: “Sono favole!”

ALMIRANTE: “Sono favole di cui i giornali hanno parlato. Mi assumo la responsabilità di riferirle in questa libera democrazia, e credo di poterlo fare. Si tratta, comunque, di un ministro che aveva espresso, fino a non molto tempo fa, il libero desiderio (che noi abbiamo apprezzato e di cui pure si è parlato sui giornali) di essere preposto ad altro dicastero. Chiediamo che egli sia invitato oggi stesso a presentare le dimissioni, e che il signor Presidente della Repubblica sia posto nelle condizioni di firmare i relativi decreti, perché chiediamo che al dicastero dell’Interno sia chiamato immediatamente un militare. Si sorride di proposte che un minuto fa sono state fatte, sia pure in maniera non altrettanto chiara.”

Una voce dall’estrema sinistra: “Mandiamoci Miceli!”

ALMIRANTE: “E vi invito a rilevare che, quando un’opposizione come la nostra, così combattuta (non dallo Stato, ma dai rappresentanti dello Stato), avanza, come in questo momento, proposte di questo genere, da prova di alto senso di responsabilità, di grande disinteresse, e anche di un certo coraggio. Chiediamo che venga presentata nelle prossime quarantott’ ore una legge speciale («all’emergenza misure di emergenza») o straordinaria contro il terrorismo. Anche a questo riguardo, signor Presidente della Camera, abbiamo le carte in regola. Non voglio far perdere tempo né a lei né ai colleghi, ma ricordo diverse proposte di legge, indubbiamente meritevoli della denominazione di «eccezionali» o «speciali» per la tutela dell’ordine pubblico, che noi abbiamo avuto l’onore di presentare,alcune addirittura nella precedente legislatura, molte all’inizio di questa legislatura: proposte di legge che la Camera finora non si è degnata di prendere in esame, ma che riteniamo valide. Esse riguardano non sorridete il ripristino della pena di morte per i reati più efferati; l’applicazione del codice penale militare in momento ed in zone di emergenza, in luogo del codice penale comune; lo scioglimento per legge dei movimenti anticostituzionali e comunque dediti alla violenza sistematica; l’istituzione di Commissioni parlamentari d’inchiesta sulle radici, sulle origini, sui mandanti del terrorismo e della violenza. Non chiediamo che queste proposte di legge siano approvate; chiediamo che esse siano prese in esame dal Parlamento assieme ad un disegno di legge speciale contro il terrorismo che il Governo deve impegnarsi a presentare. Siamo prontissimi a rinunciare alla paternità delle nostre proposte, qualora le nostre firme dessero fastidio, ma non siamo pronti ad accettare passivamente che di questo grave problema si parli occasionalmente nei prossimi giorni e nelle prossime settimane.

Le chiediamo inoltre, signor Presidente della Camera, di voler disporre affinché la Camera resti aperta e non si conceda alcuna vacanza nei prossimi giorni, almeno fino a quando non sarà stato adottato qualche provvedimento e la situazione del paese non si sarà tranquillizzata; almeno fino a quando maggioranza ed opposizione non avranno avuto la possibilità di fare insieme il loro dovere da questi banchi e su questi banchi, perché i cittadini sappiano di essere da noi interpretati e difesi nel quadro e nei limiti degli obblighi costituzionali e delle leggi che il Parlamento vorrà approvare.

Chiediamo infine che venga riunito d’urgenza dal signor Presidente della Repubblica il Consiglio supremo di difesa, del quale egli è presidente. Senza mezzi termini, con durezza, mi permetto di dichiarare che, se il signor Presidente della Repubblica non ritiene di essere nella condizione, in questo momento, di ottemperare, sulla base dell’articolo 87 della Costituzione, a questo suo altissimo dovere, egli ha il dovere di anticipare la fine del suo mandato prevista per il 24 dicembre, in modo da consentire allo Stato italiano di essere rappresentato da chi gode della pienezza della sua autorità e dei suoi poteri. Queste sono alcune tra le proposte che noi avanziamo e comunque le prime urgenti proposte di emergenza che noi facciamo. Ciò premesso, e chiarito che siamo opposizione di proposta e di alternativa, che adempiamo questo dovere assumendocene le relative responsabilità, mi dovete consentire di rappresentare noi stessi anche come opposizione di denunzia, in questo momento, delle responsabilità presenti e di quelle pregresse.

Onorevole Presidente del Consiglio, questa mattina ella ha perso una grossa occasione politica, parlamentare e, direi, anche personale. Se avesse consegnato, come avrebbe dovuto fare e come l’opposizione aveva consentito che si potesse fare, le cartelle dattiloscritte della sua esposizione programmatica agli stenografi, e avesse espresso la volontà politica del Governo e della nuova maggioranza in termini di piena assunzione di responsabilità, di determinante decisione, d’ iniziativa; se avesse onorevole Presidente del Consiglio, nelle poche ore che ha avuto a disposizione, riunito il Consiglio dei ministri e consultato i capi della maggioranza parlamentare che la controllano per potersi presentare in un certo modo non tanto al Parlamento quanto al paese (gli italiani, infatti, hanno ascoltato la sua esposizione programmatica, e mi tormento immaginando in quale stato di rassegnazione, di disperazione o di profondo scetticismo ella, certamente senza volerlo, li ha indotti attraverso l’infelice esposizione di questa mattina); se ella avesse avuto il coraggio di presentarsi al Parlamento davvero come interprete di una nuova maggioranza, quale che essa sia, di un nuovo Governo in termini di emergenza; se ella avesse così agito, onorevole Presidente del Consiglio, certo la cosa non avrebbe avuto il minimo rilievo, per carità, e non avrebbe comunque avuto il nostro voto, per le motivazioni politiche che abbiamo in precedenza espresso nelle sedi opportune e che quest’oggi io sono chiamato a esprimere di nuovo sinteticamente, ma, senza alcun dubbio, avrebbe avuto l’approvazione del paese e del Parlamento e avrebbe messo l’opposizione in un grosso imbarazzo, anche umano. Le è mancata la sensibilità? Le è mancata la libertà d’iniziativa? Era stato forse come credo di avere compreso attraverso un passo del discorso dell’onorevole Berlinguer sollecitato dal nuovo padrone comunista a dire a tutti i costi determinate «cosucce» che il Partito comunista aveva bisogno fossero dette da lei questa mattina, per giustificare il passaggio del Partito comunista dal « ni » al sì? Io non so rispondere a questo interrogativo. So però, onorevole Presidente del Consiglio, che ella ha denunciato oggi paurose carenze di indirizzo, di senso di responsabilità, di adeguamento alla situazione, di capacità di governo, che io non sono così ingeneroso da volere attribuire alla sua persona, ma che attribuisco senz’altro alle penose condizioni in cui il suo partito si è messo, onorevole Presidente del Consiglio, attraverso l’adesione al nuovo patto d’intesa e di alleanza con il Partito comunista.

Lei ha detto, onorevole Presidente del Consiglio, a proposito della nuova maggioranza, che si tratta di un esplicito e solidale accordo parlamentare. Voglio sperare, a seguito di questa sua esplicita dichiarazione, che si cessi di parlare in tutti i settori politici e giornalistici di un accordo programmatico che non consisterebbe in un mutamento del quadro politico perché a meno di voler ammettere che in Parlamento non si fa politica, un chiaro, esplicito e solidale accordo parlamentare altro non è che un esplicito e solidale accordo politico fra la Democrazia cristiana e il Partito comunista. Allora, onorevoli colleghi di tutte le parti politiche che compongono la maggioranza, delle responsabilità pregresse, attuali e future, da ora in poi, rispondete tutti insieme! E voi della Democrazia cristiana dovete assumervi, nel momento in cui chiamate queste forze nella maggioranza insieme con voi, non soltanto le responsabilità attuali, ma anche soprattutto in relazione al problema dell’ordine pubblico le responsabilità pregresse delle sinistre e del Partito comunista in particolare; responsabilità pregresse che in questo momento dobbiamo ricordare e che non dico giustificano, ma spiegano e chiariscono lo sbiadito discorso testé pronunciato dall’onorevole Berlinguer, il quale, come unico rimedio alla situazione d’emergenza in cui l’ordine pubblico si trova in Italia, ha suggerito ed indicato lo sciopero generale e la sospensione del lavoro in tutte le fabbriche o in molte fabbriche. Questo è il progressismo dell’estrema sinistra! Siamo all’arcaismo, alla barba di Carlo Marx! Siamo, oltre tutto e soprattutto, a rimedi che sono peggiori del male. Siamo alla esasperazione dei conflitti sociali, nel momento in cui il Presidente del Consiglio, il Governo e la maggioranza formalmente debbono pur invitare ed a parole invitano il popolo italiano ad una ripresa di solidarietà globale e collettiva.

Ed allora, cosa c’è dietro le «Brigate rosse», nel tempo? Nel tempo, dietro le «Brigate rosse», c’è il clima di guerra civile che le sinistre fin dal 1960 hanno imposto all’Italia. Dietro le «Brigate rosse» c’è la lotta di classe, l’odio di classe e la conflittualità permanente che le sinistre ed in particolare il Partito comunista da tanti anni hanno imposto all’Italia. C’è, in correlazione alla escalation comunista verso il potere, la descalation dello Stato, quanto ad autorità e, addirittura, a rispettabilità. C’è il cinismo con il quale il Partito comunista ha saputo sfruttare, anno per anno, mese per mese, occasione per occasione, direi giorno per giorno e ora per ora, la debolezza congenita della classe dirigente della Democrazia cristiana, la predisposizione di una larga parte almeno della classe dirigente della Democrazia cristiana alla resa. C’è non dobbiamo dimenticarcene proprio in questo momento, dopo che su tutti i giornali se n’è parlato, dopo che ne hanno parlato autorevoli esponenti della stessa Democrazia cristiana, a cominciare dal presidente del gruppo parlamentare alla Camera, onorevole Piccoli c’è, dicevo, l’evidente collegamento tra il terrorismo internazionale, promosso dall’Unione Sovietica e dai suoi alleati o sudditi, ed il terrorismo interno.

Non ci si verrà a raccontare che le «Brigate rosse» hanno tecnicamente e autonomamente le capacità che hanno dimostrato! Non ci si verrà a raccontare che non esistono collegamenti organici tra la banda Baader-Meinhof e le «Brigate rosse»! Non si vorrà dimenticare quanto è stato pubblicato su tutti i giornali, circa i collegamenti tra le «Brigate rosse», i NAP ed i servizi segreti cecoslovacchi! Non si vorrà dimenticare quanto è stato pubblicato su tutti i giornali circa i probabili collegamenti tra le «Brigate rosse», i terroristi che operano all’interno del nostro paese ed il KGB! Non si vorrà dimenticare quanto è stato pubblicato su tutta la stampa mondiale a proposito dei collegamenti con il libico Gheddafi oltre a quelli con la Cecoslovacchia e con il KGB dei terroristi che operano in Italia! Tutto questo che significa? Significa che esiste rispondo agli ansiosi interrogativi che stamane si poneva l’onorevole Andreotti un programma mondiale di eversione e di terrorismo, che in Europa si sviluppa in queste guise e che in Africa si sviluppa più apertamente (basti pensare a quel che sta accadendo nel Corno d’Africa). Questo è l’internazionalismo dei nostri giorni! Questa è la solidarietà interna­zionalista, in nome della quale l’onorevole Berlinguer ha pronunziato i famosi sei minuti di discorso ó tanto apprezzati in termini eurocomunistici! ó al Cremlino! E proprio in un momento come questo, dopo tali testimonianze, alla presenza di de terminati dati di fatto, al cospetto di questi pericoli, nel pieno di questa congiura, nel pieno di questa tempesta, di questo caos com’, è stato scritto sul Times che colpisce l’Italia, proprio mentre siamo nell’occhio del ciclone (ed il ciclone è «comunistico», a livello internazionale ed a livello interno), proprio in questo momento la Democrazia cristiana molla, capitola ed accetta la maggioranza politica, parlamentare e programmatica, e quindi anche la corresponsabilità morale con il Partito comunista italiano e con il Partito socialista; ma soprattutto con il Partito comunista che anche se possiamo pensare che non vi siano corresponsabilità dirette e personali (non sto lanciando accuse contro le persone) rappresenta comunque quel mondo, che rappresenta quegli interessi, che rappresenta quei pericoli e quelle, insidie, che da trent’anni in Italia semina odio, predica odio per raccogliere una tempesta da scatenare su tutti quanti voi, ed in particolare proprio su voi democristiani, che vi prestate assieme ad altri piccoli complici di strada a manovre e a coperture di questo genere.

Questa è la denunzia accorta, responsabile, seria dell’opposizione, una denunzia che giustamente mi sembra colpisca non soltanto il Partito comunista, ma la Democrazia cristiana, tutta intera la Democrazia cristiana. Io non mi permetto di inserire alcuna ironia, in un momento così grave, in un discorso che tento di fare in modo rapidissimo (sono quasi alla conclusione) e composto. Ma i cosiddetti «cento» dove sono, che faranno stasera? Che farete? Probabilmente non parlate neppure, perché hanno rapito il presidente del vostro partito. Ma proprio perché hanno rapito il presidente del vostro partito avete il dovere non dico di parlare in quest’aula, ma di parlare al paese, di parlare alle vostre coscienze. Ma dovete dirci soprattutto quale sia la prospettiva. Il signor Presidente del Consiglio, a proposito della tragedia di questa mattina a Roma, ha notato che c’è (cito testualmente) un «preciso movente politico reso ancora più discutibile dalla giornata scelta». Quale movente? Movente vagamente e genericamente eversivo? Oppure un golpe all’italiana? Un movente politico verso destra, signor Presidente del Consiglio? I casi sono due: o non si tratta di un movente politico vero e proprio, ma soltanto del ricatto delle «Brigate rosse» nel tentativo di ottenere la liberazione di Curcio e compagni; o, se c’è un movente politico, data l’organizzazione che sostiene tale movente politico, dati i collegamenti espliciti di quell’ organizzazione con altre che vivono ed operano nel campo comunistico, quel movente politico tende a spostare l’asse del nostro paese ancora più a sinistra, tutto a sinistra.

Che cosa aspettate, onorevoli colleghi della Democrazia cristiana? Aspettate il terzo tempo? Quando fu realizzato il primo tempo, nel luglio 1976, noi, nella modestia delle nostre posizioni, vi avvertimmo, e tentammo di avvertire l’opinione pubblica. Abbiamo pagato un caro prezzo per quel nostro atteggiamento, che rivendichiamo a nostro onore perché i fatti, purtroppo (se ci avessero smentito ne saremmo stati felici), ci hanno dato ragione. Ora siamo al secondo tempo. Erano già stati precostituiti, nei giorni scorsi, i movimenti e le date del terzo. Può darsi che siano stati spostati, ma il terzo in vista è quello: il Partito comunista al Governo. Avete perduto e ve ne muoviamo rimprovero un’occasione storica. Sono passati sessanta giorni dall’apertura della crisi, dal 16 di gennaio: il tempo di una battaglia elettorale. Se l’Italia avesse potuto pronunciarsi con il voto, il comunismo non sarebbe andato avanti. Non so se saremmo andati avanti noi; certo si sarebbe stabilita, a livello di giudizio di popolo, una situazione quale domenica prossima si determinerà in Francia, quale si è determinata pochi giorni fa a Monaco di Baviera, quale si è determinata, da qualche tempo a questa parte, in tutti i paesi democratici in cui si è votato. Non è vero che il mondo vada a sinistra; è vero, purtroppo, che si tenta di strangolare da sinistra l’Italia nel momento in cui la conquista politica dell’Italia è un dato di importanza determinante per il blocco mondiale sovietico. Si sta combattendo, qui, la guerra; e voi, invece di combatterla sulla vostra trincea, sulla trincea politica del vostro stesso interesse (non voglio dire della vostra moralità o delle vostre tradizioni, perché non mi permetto di entrare in quelle che possono essere le scelte e le vicende interne del vostro partito: io ragiono, o tento di ragionare, con tutto il vostro partito); proprio in questo momento, quando avete assai probabilmente con voi il favore popolare per una battaglia di questo genere; quando avete ancora la possibilità di tenere in mano il potere di fronte ad un opposizione come la nostra, che è in battaglia, che non ha alcuna ambizione di potere e che ha la sola ambizione pulita di rappresentare gli italiani che la pensano in questo modo e non vi illudete: soprattutto a livello giovanile sono tanti!, voi tremate, vi rannicchiate tra le non robuste braccia di Enrico Berlinguer e date al paese un’, impressione che è di scoramento e di rassegnazione.

Ecco la denuncia che la nostra opposizione muove, denuncia non vana perché destinata senza dubbio ad avere larghe ripercussioni nell’opinione pubblica.

Vedremo, signor Presidente del Consiglio, che cosa farete nelle prossime ore o nei prossimi giorni: dico soprattutto nelle prossime ore. Voglio sperare che, immediatamente dopo il voto di fiducia, si riunisca il Consiglio dei ministri. Lo si è fatto in altri paesi in relazione a rapimenti di personaggi molto meno importanti di quanto non sia il vertice della Democrazia cristiana e dell’ordinamento politico italiano, l’onorevole Moro. Non ci avete pensato? Non poteva, signor Presidente del Consiglio, annunziare almeno questo? Qualcuno ha chiesto in aula che si riuniscano i capigruppo della maggioranza: riunite il Consiglio dei ministri, operate come Governo, assumetevi le vostre responsabilità. Gli italiani leggono sui giornali e apprendono dalla radio che le «Brigate rosse» hanno lanciato un ultimatum che dura 48 ore, minacciando Iddio non voglia un evento fatale qualora non vengano accontentate. Cosa sta facendo lo Stato italiano? Il signor Presidente della Repubblica dove è? Si è fatto vivo? Il signor Presidente del Consiglio ci ha «leggicchiato» un programmino che nessuno ascoltava, onorevole Andreotti, questa mattina, a cominciare dai deputati della Democrazia cristiana ai quali non do certamente torto.

Dov’è la vostra capacità di governare, la vostra fantasia, la vostra energia, la vostra solidarietà umana nei confronti del presidente del vostro partito? Dove sono gli strumenti a disposizione dello Stato, quegli strumenti che paghiamo tutti noi con il nostro denaro e, qualche volta, dalla mia parte, anche con il nostro sangue? Dov’è la vostra capacità di reagire virilmente e democraticamente, e nel quadro della Costituzione repubblicana che nessuno vuol toccare, ma che anzi tutti vorremmo ben attuata nelle larghe parti che voi da trent’anni avete lasciato inevase (soprattutto le parti sociali, vitali, fondamentali)? Dov’è il Governo? Se ci sei batti un colpo!

Onorevole Andreotti, glielo dice un oppositore, ma un oppositore leale: muovetevi nelle prossime ore, date prova di vitalità e non veniteci a lanciare inutili, vani, modesti, tardivi appelli ad un generico patriottismo. Quando al Governo c’è la capitolazione, anche il patriottismo è all’opposizione.”

Seduta del 10 gennaio 1978

La strage di via Acca Larenzia, al Tuscolano, quartiere di Roma, ha molte analogie con il delitto Zicchieri. L’, ultrasinistra vuole «punire» l’impegno militante della gioventù missino nelle zone a più forte radicamento popolare e dove si nota un grande consenso alle battaglie nazionali. In questo clima matura l’assassinio di Franco Bigonzetti e Stefano Ciavatta, il 7 gennaio 1980, uccisi da un ben organizzato gruppo terroristico. Poche ore dopo l’imboscata, un capitano dei carabinieri spara a altezza d’uomo contro altri giovani missini, senza alcuna necessità: viene colpito Stefano Recchioni, morirà qualche giorno più tardi, senza riprendersi dal coma.

La strage di via Acca Larenzia

ALMIRANTE: “Signor Presidente, prima di tutto assicuro lei e i colleghi che mi terrò al di sotto dei venti minuti gentilmente concessimi, anche perché, per la prima volta in trent’anni di attività parlamentare i colleghi me ne possono dare atto mi accingo a leggere un testo, perché desidero rimanere nella misura del tempo stabilito e, soprattutto, nella misura dei contenuti, data la estrema gravita dell’argomento e dato il peso delle responsabilità personali e collettive del gruppo e del partito, che in questo momento ho l’onore e anche l’onere, signor Presidente ed onorevoli colleghi, di rappresentare. Civilmente, ringrazio lei, signor Presidente, ringrazio il signor ministro dell’Interno e il Governo, ringrazio le forze politiche e sociali, i parlamentari, i dirigenti di partito, i pubblici amministratori, a cominciare da quelli della capitale d’Italia, che in questi giorni si sono associati al lutto che ha colpito la famiglia della destra nazionale. Questa atmosfera di rispetto e, in molti casi, di sincero cordoglio che il martirio di tre giovani di destra ha determinato rende meno arduo il mio compito, che è pur sempre difficilissimo, perché si tratta di comprimere e di reprimere stati d’animo, pur legittimi e comprensibili, sentimenti, risentimenti, per nobilitare e responsabilizzare, per parte nostra, questa discussione, come comandano i giovani puliti e cari che sono morti per la libertà di tutti, come comandano i loro familiari, dalle labbra dei quali (il Presidente ed anche il ministro dell’Interno hanno avuto modo di citare una delle loro dichiarazioni) non è uscita la minima invocazione alla vendetta, ma una chiara, ferma, severa richiesta di giustizia e di pace; la richiesta, soprattutto, che da questo sangue altro sangue non esca, la richiesta che sia finalmente rotta la spirale dell’odio e della guerra civile.

A questo punto, il discorso che occorre fare è quello delle responsabilità, passate, presenti e future; il discorso delle responsabilità morali e civili, il discorso delle responsabilità esecutive, in termini sia di prevenzione sia di repressione. Le responsabilità civili e morali sono le più gravi, perché nel tempo hanno determinato e aggravato le altre. Oggi, al cospetto di questo triplice crimine, tutti o quasi si inducono a parlare di pace e a smettere la propaganda dell’odio: e mi è doloroso dire quel «quasi», ma perfino in questa occasione si sono letti su giornali, anche quotidiani, accenti di odio e di discriminazione perduranti. Ma quanti parlavano tale linguaggio sereno e responsabile fino a qualche giorno fa? Quanti tra voi, quanti tra noi tutti hanno veramente contribuito, nei mesi e negli anni passati, a disintossicare l’atmosfera, ad educare alla pace e alla comprensione le giovani generazioni?

Io non mi voglio presentare in veste di giudice, ma in veste di testimone, sì: ho il diritto di farlo, perché da trent’anni non partecipo, e non partecipiamo, alle responsabilità e nemmeno alle possibilità del potere. Invece, quale gravame di responsabilità morali pesa su coloro che hanno gestito il potere, a tutti i livelli, su coloro che hanno controllato e controllano la radio, la televisione, lo spettacolo, la scuola, il sindacato, la stessa cultura!

Perfino in questi giorni, la radio e la televisione ve lo denuncio sono state faziose, rifiutando di dare per esteso le nostre comunicazioni, che pur erano intese a placare gli animi; rifiutandomi la possibilità di lanciare un appello ai giovani in nome della pace. Perfino in questi giorni è stata chiusa e faziosa la scuola, nelle responsabilità politiche di vertice, non dando ascolto signor ministro Malfatti alla nostra richiesta di proclamare un giorno di lutto nelle scuole in memoria dei giovani assassinati, di tutti gli studenti assassinati. D’altra parte, lei stesso, signor ministro dell’Interno, ha parlato il 6 ottobre, nell’Assemblea dell’altro ramo del Parlamento, il linguaggio dell’odio, della provocazione, dell’istigazione a delinquere contro la nostra parte, contro i nostri stessi giovani e anche, mi duole dirlo, il linguaggio della calunnia, tanto è vero che i ragazzi che lei ha mandato in galera per quei fatti non devono più rispondere di omicidio, né di concorso in omicidio, né di rissa, ma soltanto e tornerò su questo argomento di presunti reati politici e di opinione. Quanto alle responsabilità politiche, voi tutti avete costituito in questi ultimi mesi un regime, perché avete tentato di appropriarvi delle guarentigie costituzionali, chiamandovi «arco costituzionale» o «partiti costituzionali» o «partiti democratici», quasi che questi valori vi appartenessero in esclusiva. La logica dei regimi, di qualunque colore essi siano, è la discriminazione e con la discriminazione la violenza, con la violenza l’odio e la spinta verso la guerra civile.

Ora siete in crisi e allora o lo sbocco della crisi sarà ancora il patto a sei, il compromesso storico allargato (finché dura), e in tal caso dovrete tener conto del fatto che noi siamo all’opposizione e che il tentativo di criminalizzare o di soffocare o, comunque, di discriminare l’opposizione in quanto tale equivale alla riapertura di quella spirale dell’odio e della vendetta che in questi giorni dite di voler spezzare, oppure lo sbocco della crisi sarà il fallimento del compromesso storico e del precedente patto a sei, e allora ve lo suggerisce il Corriere della sera di oggi un clamoroso articolo di prima pagina non si dovrà parlare di Governo di emergenza, ma di Governo di salute pubblica nazionale, cioè di una formula di reggimento del paese che non escluda alcuna componente, non già in termini di partecipazione alla maggioranza o al Governo e tanto meno di lottizzazione del potere, ma in termini di corresponsabilizzazione, e quindi di pacificazione nazionale come noi la intendiamo e la vogliamo . Ciò significa che la pacificazione nazionale, la salvezza della nazione non si può realizzare, signor Presidente, signor ministro, senza o contro i nostri ragazzi, senza o contro la nostra famiglia umana, ma soltanto in un clima di generale abbattimento delle frontiere morali, ferme restando le differenze e le divergenze politiche e programmatiche.

Quanto alle responsabilità esecutive, di ordine sia preventivo sia repressivo, debbo rilevare, signor ministro, che sarebbe da parte mia e da parte nostra in questo momento forse ingeneroso prendersela con l’attuale Governo, che non esiste più, anche volendo ammettere che sia mai esistito, e quindi con l’attuale ministro dell’Interno. Debbo però definire irricevibili e forse anche ignobili due passi del suo discorso, signor ministro: quello relativo alle responsabilità dell’ufficiale dei carabinieri che ha ucciso il giovane Recchioni, e quello relativo al solito discorso delle presunte indagini, quando le vittime sono di destra. Nessun fermato, nessun arrestato, nessun covo chiuso, buio totale, signor ministro. Come lei stesso ha detto, e come i giornali pubblicano questa mattina, riferendo passi tra virgolette di quanto in un’assemblea alla città universitaria è stato ieri proclamato dai cosiddetti «autonomi», questi ultimi hanno rivendicato delle responsabilità; la questura di Roma lo sa, il Ministero dell ‘ interno lo sa, ma nulla è stato fatto: non un fermato, non un arrestato. Se i tre morti fossero stati di sinistra, che cosa sarebbe accaduto a quest’ora? Lo sapete sulla base di precedenti e non lontane esperienze.

Quanto all’ufficiale dei carabinieri, signor ministro, lei ha sostenuto testé la tesi della legittima difesa. Ma allora, in primo luogo, sostenetela sempre questa tesi della legittima difesa nei confronti degli agenti dell’ordine e dei carabinieri. In recenti e meno recenti occasioni, voi avete gettato nelle fauci dell’estrema sinistra extraparlamentare carabinieri o agenti di polizia che effettivamente, secondo le indagini esperite, si erano legittimamente difesi, o comunque si erano difesi. In questo caso, nessuno è stato ferito dai presunti sparatori di destra; nessuno è stato contuso dalla presunta sassaiola di destra; un ragazzo è stato ucciso da un ufficiale dei carabinieri. Lei si è contraddetto, signor ministro, sostenendo prima la tesi della legittima difesa e poi affermando che quell’ufficiale è caduto, e, cadendo, gli è partito un col­po. Questa non è legittima difesa, e mi dispiace che un giurista come lei incappi in così banali e plateali contraddizioni, che dimostrano mi dispiace dirlo la malafede sua e di coloro che l’ hanno costretta o indotta a dire cose assurde. Per lo meno, in attesa della conclusione delle indagini, quell’ufficiale dei carabinieri doveva essere sospeso dal servizio. Invece, egli è ancora in servizio. Lasciatemi ricordare che qualche mese fa, quando non si trattava dell’assassinio di un giovane, ma della fuga di un vecchio, l’Arma dei carabinieri fu sconvolta da un terremoto, e quasi nessuno la difese, se non proprio la destra nazionale.

Del resto, non è impotente il Governo, ma è impotente lo Stato, perché in questi anni, sinistre imperando, è stata portata avanti la strategia della smobilitazione dello Stato molto più della cosiddetta strategia della tensione. Il Corriere della sera metteva in rilievo quattro giorni fa che, ad un mese dalla entrata in vigore della legge sui nuovi servizi di informazione, di prevenzione e di sicurezza, la legge giace perché motivi interni di lottizzazione del potere impediscono di darle esecuzione, il che, ancor prima di essere un errore, è una gravissima colpa.”

NATTA ALESSANDRO: “Che c’entra la sinistra? C’entrerà il Governo!”

ALMIRANTE: “Nel luglio scorso i sei partiti di Governo hanno varato un programma comune, che era pur sempre presentato come un programma di emergenza o di salute pubblica. Ora quel programma è in pezzi nella sua parte sociale ed economica, ma è in pezzi anche e soprattutto nella parte relativa all’ordine pubblico, di cui fin da allora il Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale rilevò le gravi insufficienze.

Il modo più serio per onorare i ragazzi assassinati consiste dunque nel riprendere da capo il discorso sull’ordine pubblico e sulla necessità di quelle cure chirurgiche che ormai si impongono e delle quali siamo pronti a renderci corresponsabili. Siamo pronti, onorevole ministro, perché, sia chiaro, non siamo disposti, specie alla luce di quanto sta accadendo, a consentire che il nostro partito, e personalmente noi dirigenti del partito, veniamo criminalizzati e non soltanto discriminati dal regime e che poi siano i nostri giovani a pagarne lo scotto, i giovani che vengono assassinati, i giovani che finiscono in galera per presunti reati politici e di opinione. Premesso che con i veri criminali e anche con i numerosi teppisti e teppistelli che circolano per le strade d’Italia e specialmente di Roma, non abbiamo nulla a che vedere e, anzi, sono nostri nemici mortali i teppisti che si dichiarano di sinistra e che iscrivono il mio nome nelle liste di proscrizione, come è accaduto in questi giorni; ma sono nostri nemici anche, e talora soprattutto, i teppisti che fingono di essere o dichiarano di essere di destra, noi dichiariamo alto e forte che non accetteremo più che paghino per noi, per tutti, i nostri ragazzi: così come non vogliamo che paghino per tutti i ragazzi puliti che stanno politicamente al centro o a sinistra. Vogliamo pagare noi, da ogni punto di vista; vogliamo essere giudicati noi.

Giacciono da anni nei nostri confronti le autorizzazioni a procedere ai sensi della legge Scelba. Avanti, approvatele! Noi voteremo in favore, perché vogliamo che il regime ci faccia finalmente questo tante volte minacciato, questo assurdo e ridicolo, ma veramente emblematico, processo. Io sono stato privato dell’immunità parlamentare il 24 maggio 1973, signor Presidente; sono dovuto andare personalmente alla procura della Repubblica di Roma per ottenere la comunicazione giudiziaria il 31 luglio dello stesso anno. Non sono mai stato interrogato. È questa una copertura? È un privilegio? Se lo fosse, dovrebbe coincidere con l’archiviazione delle procedure. Ma siccome non lo è, siccome l’ombra del processo deve incombere su di me, su di noi, per soffocarci e per criminalizzarci, salvo a tenere in galera i nostri ragazzi, avanti, sbrigatevi, votate insieme a noi le autorizzazioni a procedere e finalmente sospendete, in attesa del nostro processo, le ignobili montature giudiziarie contro i giovani in corso in tante parti d’Italia! Altrimenti, non riuscirete davvero a piegare il nostro partito, ma continuerete a seminare odio nelle giovani menti e nelle tenere coscienze. Signor Presidente, la TV di regime nega in questi giorni la possibilità di lanciare un appello ai giovani, ai giovani puliti, al di sopra delle parti, nel nome della giustizia, della libertà e della pace. Mi sia consentito levare tale appello in Parlamento. E’ il migliore omaggio, è l’unico omaggio possibile ai tre nostri ragazzi assassinati.”

Seduta del 30 ottobre 1975

Ancora sangue a Roma, ancora sangue contro il Msi-Dn. Nel quartiere Prenestino, un altro quartiere popolare, opera un’attiva e forte sezione del partito, frequentata da ragazzi coraggiosi e per nulla disposti a seguire i falsi miti della sinistra. La sinistra «rivoluzionaria» odia quei giovani che non sono mai scappati e decide l’imboscata. Il piano è deciso per il 29 ottobre 1975, il commando spara non appena due giovani si trovano davanti alla sezione: Mario Zicchieri, giovanissimo il suo soprannome è «Cremino» cade, crivellato da colpi di lupara. Resta gravemente ferito un altro giovane missino. Il giorno dopo la civile protesta missino approda alla Camera.

L’uccisione di Mario Zicchieri al Prenestino

ALMIRANTE: “Mi permetto inizialmente di pregare il vicepresidente onorevole Nilde Jotti di voler porgere il nostro apprezzamento ed il nostro ringraziamento voglio dire il mio personale e, se mi si consente, quello di tutto il gruppo e quello del partito che ho l’onore di dirigere e di rappresentare all’onorevole Presidente Pertini, per aver voluto scendere in aula a pronunziare egli stesso le nobili e ferme parole che ha pronunziato. Debbo osservare che non altrettanto ha fatto il ministro dell’Interno; e l’osservazione è tanto più pertinente e grave in quanto quello del ministro contrasta con l’atteggiamento tenuto dal Presidente della Camera.

Credo che il Presidente della Camera non abbia voluto dare una lezione al Governo, perché ritengo che egli pensasse come pensavamo noi che, essendo il signor ministro dell’Interno (tanto l’attuale quanto il precedente: parlo del ministro dell’Interno come organo) sempre intervenuto quando si è trattato di crimini di questo genere, ma addossati, non dico alla nostra parte, bensì al nostro ambiente, così avrebbe fatto anche questa volta. È veramente un fatto politico ed anche un dato morale e di costume degradante l’assenza, oggi, del signor ministro dell’Interno.

Siffatte assenze, quella del signor ministro e quella della maggior parte dei nostri colleghi perdonatemi le parole gravi, ma siamo in presenza di un assassinio nei confronti di un ragazzo di nemmeno diciassette anni, e penso che le parole gravi siano consentite, soprattutto se pronunziate con profondo dolore e con tono pacato queste assenze si chiamano cinismo e viltà, signor sottosegretario; così debbono essere chiamate, a livello di Governo e me ne dispiace a livello di gruppi parlamentari. Le prediche, onorevole sottosegretario, sono perfettamente inutili quando vengono da un Governo e da un consesso che in questo modo rinunziano ad esercitare la loro autorità morale. Il primo deterrente deve venire da quei banchi, quando essi siano affollati dai ministri responsabili, e da quegli altri banchi, quando essi siano affollati dai deputati o, nell’altra aula del Parlamento, dai senatori responsabili. Questo squallido spettacolo, onorevoli colleghi, è un incoraggiamento alla criminalità. L’incoraggiamento viene da qui, ed è qui che dobbiamo fare discorsi chiari e non generici. Tali discorsi debbono centrarsi su tre punti: primo, assunzione di responsabilità da parte di tutti, guardandoci in faccia, anche personalmente; secondo, come prevenire; terzo, come reprimere. Mi studierò di esprimere questi concetti nei pochissimi minuti che ho a disposizione, anche perché mi rendo conto che sarebbe di pessimo gusto fare o tentare di fare in occasioni simili dei lunghi discorsi.

In primo luogo, dicevo, assunzione di responsabilità globale, per un chiarimento globale. Noi, onorevoli colleghi, ci siamo assunti le nostre responsabilità e lo abbiamo fatto ripetutamente, prima che si entrasse nella fase acuta della cosiddetta strategia della tensione, all’inizio di questa legislatura, chiedendo, con una proposta di legge, che le organizzazioni extraparlamentari di ogni tipo venissero messe fuori legge e considerate come associazioni a delinquere. Nessun settore della Camera o del Senato ci ha però voluto ascoltare e il Governo non ha neppure ritenuto di prendere in considerazione polemica quella nostra proposta, con il risultato che il gruppo del Manifesto, è entrato a far parte dell’arco costituzionale a livello periferico (e se potesse anche a livello nazionale) con il vostro beneplacito. Mi sono riferito volutamente al gruppo del Manifesto perché stamattina abbiamo rilevato che la stampa in genere, un po’ di tutti i partiti, si è portata bene (lo dico con soddisfazione e con riconoscenza) nei confronti di quanto purtroppo è accaduto ieri. C’è stata una sola eccezione, il quotidiano Il Manifesto, il quale, riferendosi all’assassinio di un ragazzo di nemmeno diciassette anni e al grave ferimento di un ragazzino, quasi di un bimbo, di quindici anni, ha avuto stamani il coraggio di scrivere: «Secondo alcune voci raccolte nel quartiere, intorno alla sezione missina di via Gattamelata fioriscono diversi traffici oscuri e i contatti con la malavita non sono infrequenti. Su questo intreccio di traffici ai margini della legalità e di azioni teppistiche starebbe indagando anche la squadra mobile della questura romana». Cosa volete che vi dica: vergogna? Sì, vergogna, ma non nei confronti degli autori di queste infamie, ma di chi ha il coraggio di stringere loro le mani a livello, oramai, dei consigli regionali, dei consigli comunali dei capoluoghi, dei consigli provinciali, di incontri politici ad alto livello.

Questa è la logica della politica discriminatoria dell’arco costituzionale.

Guardiamoci in faccia responsabilmente: è verissimo che in numerose occasioni l’Unità e qualche volta l ‘Avanti! hanno dissociato le responsabilità del Partito comunista e del Partito socialista dalle responsabilità teppistiche dei gruppi extraparlamentari. Ma è altrettanto vero che infinite volte i dirigenti nazionali del Partito comunista e del Partito socialista, nonché i rispettivi parlamentari (insieme, numerose volte, con i parlamentari e i dirigenti del Partito socialdemocratico e della stessa Democrazia cristiana) hanno partecipato a pubbliche manifestazioni insieme con i dirigenti dei gruppi extraparlamentari. Non siamo dunque giunti in Italia ad un chiarimento positivo. Al contrario, siamo giunti a un chiarimento negativo, alla associazione, alla consociazione, alla correità dei dirigenti e dei parlamentari di quasi tutti i partiti del cosiddetto arco costituzionale con gli autori della violenza. Violenza lo ripeto da qualunque parte venga. Affermo ciò perché ho il coraggio e la possibilità di parlar chiaro, in quanto posso dirvi un’altra cosa (e ve lo dico guardandovi in faccia): il Msi-Destra nazionale ha stabilito, su mia proposta (una proposta che ha avuto seguito in puntuali attuazioni) che sia incompatibile l’appartenenza al nostro partito con l’appartenenza o la semplice frequentazione dei gruppi extraparlamentari.

Io ho espulso dal mio partito agenti provocatori (non molti perché per fortuna i casi erano limitati) che in esso si erano infiltrati, come può accadere lo riconosco anche ad altri partiti. È noto invece (tanto per fare un esempio, che però è il più grave) che nella Democrazia Cristiana, a livello di organizzazione sindacale (e non mi dite «autonoma») si accetta e si pratica il triplice tesseramento: DC, CISL e gruppi extraparlamentari. È stato pubblicato e non smentito (anzi, la dirigenza della CISL ha risposto con qualche compiacimento) che, specialmente nel settentrione d’Italia, i cosiddetti «cubisti» fanno parte dello stato maggiore della CISL. E così il teppismo politico, quello sindacale, metasindacale o parasindacale si congiungono con il teppismo e con la delinquenza comune. E allora, non potete fuggire dalle vostre responsabilità, non potete venirci a raccontare, dai comunisti fino ai democristiani, che siete d’accordo contro la violenza.

Io credo senz’altro che in linea di principio voi siate d’accordo nel deprecare la violenza, non ne ho dubbio; ma, in linea di fatto, non solo non fate niente per stroncarla alle sue origini, ma la coltivate nei vostri rispettivi orticelli o perché ne avete paura, o perché siete tatticamente d’accordo, o perché non avete il coraggio e l’onestà di fare il vostro dovere nei vostri rispettivi settori, in una Italia in cui è difficile fare il proprio dovere. Nelle precedenti discussioni, quando eravamo noi, ingiustamente e a torto, sul banco degli accusati, onorevole rappresentante del Governo, noi eravamo tutti qui.

Voi tutti ricordate i dibattiti provocatori portati avanti dall’ex ministro dell’Interno, onorevole Taviani, su stragi che puntualmente venivano attribuite ad una matrice fascista; noi eravamo qui a parlare, non a discolparci certamente, ma ad assumerci le nostre responsabilità. Che significano questi alibi, queste continue fughe dalle rispettive responsabilità da parte di tutti? Secondo: prevenire. Noi abbiamo approvato di recente con larga ma non larghissima maggioranza una legge per l’ordine pubblico intesa a prevenire. Come era costituita quella maggioranza, onorevole rappresentante del Governo? Quella maggioranza teneva fuori, alla opposizione, i comunisti, ed ha visto, tentennanti fino all’ultimo, anche sul voto finale, i socialisti, e comunque ha visto questi ultimi pesantemente in contrasto sui singoli articoli ed emendamenti a quella legge. Dopo di che voi avete portato avanti un quadro politico opposto; la maggioranza che era venuta a costituirsi per l’ordine è stata sostituita da una maggioranza di fatto che non essendo per l’ordine ma contro di esso è evidentemente essa stessa, con la sua presenza, suscitatrice del disordine. Questo ho inteso dire in una dichiarazione, che il quotidiano comunista definisce imprudente e non capisco il perché e che invece è molto chiara e logica. Questo ho inteso dire quando ieri, subito dopo la notizia, in una dichiarazione che ho reso alla stampa e alla televisione, ho affermato che i provocatori dei gruppi extraparlamentari favoriscono il disegno che sta portando il Partito comunista al potere. Non si tratta di una mia invenzione, provocazione o imprudenza: è la logica delle cose.

Se fosse venuta avanti in questi ultimi mesi la maggioranza che ha voluto la legge per l’ordine, contro il Partito comunista il deterrente morale, politico e costituzionale forse avrebbero funzionato, ma voi avete, con i nostri voti, potuto far passare quella legge e immediatamente dopo avete voluto portare avanti, voi democristiani soprattutto, un quadro politico in contrasto con quella legge, con quel principio che tutti noi avevamo definito una misura preventiva e nella cui efficacia voi speravate.

Infine, reprimere. Signor rappresentante del Governo, non me la prendo certamente con lei, ma mi consenta di chiederle perché un questore, un vicequestore, un commissario di polizia, un agente dovrebbero alzarsi dai loro letti od uscire dai loro uffici per far il loro dovere affrontando la criminalità per reprimerla, non potendo prevenirla, quando il signor ministro dell’Interno non esce dal chiuso del proprio ufficio per venire qui a fare il suo dovere? Di che cosa aveva paura il signor ministro dell’Interno? Delle nostre parole? Non lo credo. Gliene ho dette tante: scivolano come acqua sul marmo. Di che cosa aveva allora paura? Di qualche interruzione ingiuriosa? Forse lo avremmo minacciato? Non credo. Se in un paese civile, il ministro dell’Interno non ha il coraggio, la lealtà, l’onestà, la pulizia morale e politica di venire a dire quel che deve dire per assumersi a titolo personale qui, ripeto, si tratta anche di guardarci in faccia e di assumere le personali responsabilità le proprie responsabilità, come può l’opinione pubblica, la gente, e come posso io rimproverare un agente di polizia, un carabiniere, un questore di essere timidi come qualche volta, o spesso purtroppo, sono costretti ad essere di fronte al duro adempimento del dovere di pronta, energica e definitiva repressione? Ecco, onorevoli colleghi, le poche cose che ho voluto dire non dimenticando neanche per un istante la figura del ragazzo assassinato e soprattutto le figure dolenti dei suoi familiari. Consentite che io termini ringraziando ancora una volta il Presidente della Camera e tutta la gente civile, di qualunque parte essa sia, che in questo momento comprende non soltanto l’immenso dolore di chi è stato colpito da questa sciagura, ma anche la ferma, fermissima volontà di contribuire a far si che si esca da una situazione che diventa ogni giorno più intollerabile.”

Seduta del 5 agosto 1974

4 agosto 1974, strage sul treno Italicus. Immediata l’etichetta coniata dal regime: le bombe sono «fasciste». Il giorno dopo a Montecitorio si svolge una seduta tempestosa. Per il Msi-Dn si alza a parlare, fra violente contestazioni degli avversari politici, Giorgio Almirante, che svolge un intervento in replica alle dichiarazioni del ministro dell’Interno. Almirante smonta un castello di accuse infamanti, dimostra che non si è voluto prevenire l’attentato. La sinistra che nel paese ha scatenato i suoi uomini contro il Msi-Dn perde le staffe anche in Parlamento: la destra non deve potersi difendere dalle accuse! Ma Almirante non ci sta  

La strage dell’Italicus:

un infuocato dibattito

ALMIRANTE: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, non soltanto cordoglio, ma orrore e volontà comune, estesa credo a tutti, senza alcuna eccezione, di operare perché i criminali, da qualunque parte vengano, siano smascherati e messi in condizione di non nuocere.

Noi crediamo, signor ministro dell’Interno, di aver dato l’esempio, anche in questa occasione e soprattutto in quest’occasione. Ella ce ne ha dato atto ed io la ringrazio per questo, anche se debbo aggiungere alle sue dichiarazioni talune integrazioni e correzioni che mi sembrano di estrema importanza ai fini delle indagini in corso. A quanto ella ha detto, signor ministro, aggiungo che l’avvocato, un avvocato del foro di Roma, il quale ci diede la possibilità di dare immediatamente al Ministero dell’interno informazioni preziose è a disposizione della giustizia e, dopo aver riferito agli organi di polizia, ha riferito, almeno inizialmente, al magistrato, senza tacere alcun particolare. Aggiungo che siamo stati in grado, signor ministro, onorevoli colleghi, di comunicare personalmente l’onorevole Covelli, presidente del nostro partito, ed il sottoscritto il mattino del 17 luglio al dottor Santillo, nel suo ufficio al Ministero dell’interno, che un attentato era in via di preparazione alla stazione Tiburtina, con ora d’inizio le 17,30, l’ora precisa (ora ve lo chiarirò) in cui si forma il treno «Italicus». L’informazione che ci era stata data e che riferimmo la mattina del 17 luglio era inesatta solo per un particolare di notevole importanza, perché nell’informazione si parlava del «Palatino», il treno Roma – Parigi, e non dell’ «Italicus». Poiché, però, si parlava della stazione Tiburtina e si riferiva l’ora esatta rispondente alla formazione del convoglio dell’«Italicus», la nostra notizia era talmente precisa che il giorno dopo mi telefonò il dottor Santillo per dire: abbiamo accertato che il «Palatino» non parte dalla stazione Tiburtina, ma dalla stazione Termini, dopo essere stato formato alla stazione Tuscolana; comunque sia abbiamo stabilito partic­lari rinforzi di salvaguardia (espressione testuale) tanto alla Tuscolana, quanto a Termini, quanto alla Tiburtina. Il signor ministro lo ha confermato oggi; è stata una conferma imprudente, perché posso dichiararvi, onorevoli colleghi sulla base di informazioni di stampa, che questa mattina riprendo, per esempio, non smentite, dal Corriere della sera posso informarvi che tanto poco erano stati accresciuti i servizi si salvaguardia alla stazione Tiburtina che il giorno precedente il tragico incidente, cioè nel pomeriggio in cui l’attentato probabilmente fu perpetrato, nella stazione stessa erano in servizio 4 agenti di polizia, più esattamente un brigadiere e tre appuntati. Dei tre appuntati uno era al magazzino ed uno negli uffici: sicché per tutta la stazione Tiburtina erano presenti in servizio due uomini soltanto, un maresciallo ed un appuntato. Il convoglio, perché lo sappiate ecco la precisione delle informazioni che ci erano pervenute il convoglio si ferma ogni giorno alle ore 17,30 sul binario numero 3 credo di non sbagliare mentre è in stazione verso mezzo­giorno in un binario morto; si ferma alle 17,30 sul binario numero 3 perché, trattandosi di un convoglio sul quale viaggiano, come è stato giustamente scritto, centinaia, talora migliaia di persone soprattutto famiglie di emigrati che tornano in Germania è un treno il cui carico richiede molto tempo. Alle 17,30 salgono gli uomini addetti alle pulizie e gli agenti, quando ci sono, e poi cominciano a salire i viaggiatori. Il treno è rimasto quel giorno incustodito (perché in tutta la stazione erano in servizio due soli agenti) dalle 17,30 fino alle 20,42, ora in cui il convoglio si è mosso. Quindi, nella dichiarazione del ministro è contenuta questa prima gravissima inesattezza che potrebbe spiegare, io penso, tante cose.

La seconda inesattezza consiste in una lacuna, ed è ancora più grave; perché, a distanza di due giorni dal ricordato colloquio del 17 luglio con il dottor Santillo, io fui in condizioni di mandare un biglietto al dottor Santillo e di farlo seguire da una telefonata. Gli mandai un biglietto nel quale, con allegata una mia carta da visita, per assumermi le mie responsabilità e sono responsabilità pesanti, che si pagano con rischi politici e anche personali, penso ve ne rendiate conto erano indicati tre nomi, i nomi dei presunti organizzatori dell’attentato (dico «presunti» perché non sono vile e disonesto come tanti i quali attribuiscono paternità di attentati a uomini che non riescono nemmeno a essere indicati o indiziati come presunti; dico correttamente «presunti»), tre nomi e cognomi segnalati al dottor Santillo perché esperisse le indagini. Non so se le indagini siano state esperite. So per certo che quei tre indiziati o presunti indiziati o presunti colpevoli o presunti organizzatori appartengono a gruppi extraparlamentari di sinistra operanti in Roma e più esattamente all’università di Roma. Non vi dico i tre nomi, li ho comunicati al dottor Santillo, sono a disposizione per comunicarli al magistrato. Non credo sarebbe serio da parte mia esibire qui dei nomi, perché potrei, tra l’altro, essere accusato di aiutare a salvarsi qualche criminale. Ma posso attestare che si tratta di tre elementi dell’estrema sinistra extraparlamentare operanti in Roma. Nomi e cognomi. Quali indagini…”

SALVATORE: “Questa è copertura, Ripeto, questa è un’azione di copertura!”

RICCIO STEFANO: “Facciamo la legge sul fermo di polizia e queste cose non accadranno più!”

ALMIRANTE: “Posso dire e ripetere che si tratta di elementi extraparlamentari di sinistra; e a proposito delle presunte indagini, dei presunti interrogatori, delle presunte perquisizioni che avrebbero dovuto svolgersi tra il 17 luglio e l’altro ieri, io le chiedo, signor ministro, come mai ieri mattina il Ministero dell’interno tentasse di indagare all’anagrafe di Roma sul cognome del primo fra gli elementi da me indicati in quanto vi era una lieve inesattezza nella trasmissione del cognome; mentre vi erano, attenzione, notizie estremamente precise sui modi attraverso i quali avrebbe potuto essere rintracciato lui, insieme con gli altri, perché erano stati indicati i luoghi che questi personaggi frequentano, erano state indicate le macchine che questi personaggi usano, erano state indicate con precisione le loro abitudini. Non risulta che siano stati interrogati, fermati, indiziati; e ciò non risulta, onorevoli colleghi, anche a loro danno, perché, se per avventura erano indenni da ogni accusa o potevano dimostrare di essere indenni da ogni accusa, era conveniente e giusto per loro stessi che fossero individuati e interrogati. Non hanno avuto neppure la possibilità di rispondere ad un interrogatorio… “

Una voce a sinistra : “Vi date la zappa sui piedi!”

ALMIRANTE: “…nel corso di tutti questi giorni; il signor ministro dell’Interno ha pertanto detto cosa inesatta (non voglio dire falsa), quando ha affermato che negli scorsi giorni sono state esperite le dovute indagini a seguito delle notizie da noi fornite. Aggiungo, per quanto riguarda la protezione al treno, un particolare prezioso, che emerge da quanto l’agenzia ANSA oggi stesso, poche ore fa, ha precisato e comunicato, e cioè che non vi era scorta di polizia al treno «Italicus», perché la scorta di polizia viene disposta soltanto per i treni che portano posta o personalità politiche. Siccome era un treno che portava povera gente, non vi era scorta di polizia né alla stazione, contrariamente a quanto è stato affermato dal signore ministro dell’Interno, né sul treno, nonostante le segnalazioni esatte quanto all’ora e alla stazione di formazione del treno che noi avevamo ritenuto fosse nostro dovere (e ci onoriamo di averlo fatto) offrire alla meditazione, all’indagine e al senso di responsabilità del signor ministro dell’Interno e dei suoi collaboratori. Onorevoli colleghi, credo che sia la prima volta nel dopoguerra che i massimi esponenti di un partito politico, pur essendo nettamente all’opposizione, si comportano come noi abbiamo ritenuto di comportarci. Avremmo potuto comportarci alla stregua di altri partiti e di altri personaggi; avremmo potuto dar luogo a scandali giornalistici e ad accuse più o meno a vuoto, con il solo risultato di offrire impunità ai delinquenti e di consentire loro di fuggirsene per la tangente.”

PRESIDENTE: “Onorevole Almirante, il tempo a sua disposizione sta per scadere.”

ALMIRANTE: “Ho quasi terminato, signor Presidente. Invece, ci siamo comportati, avendo la coscienza pulita Vivissime interruzioni all’estrema sinistra e a sinistra come leali cittadini, i quali Ripetute interruzioni a sinistra hanno sempre fatto, continuano a fare…

SCIPIONI: “Bandito!”

CAPPONI BENTIVEGNA CARLA: “Avete fatto il delitto perfetto! Con l’alibi! Avete costruito bene il vostro delitto! (Vive proteste a destra ).

PRESIDENTE: “Onorevoli colleghi!”

ALMIRANTE: “Continueremo a comportarci così, facendo il nostro dovere; e a questo riguardo, signor Presidente, poiché ella ha detto «fatti e non parole, esempio e non parole», oltre alle richieste che abbiamo già formulate in precedenti occasioni…”

PRESIDENTE: “La prego di concludere, onorevole Almirante.”

ALMIRANTE: “…perché siano sciolte tutte le organizzazioni extraparlamentari, perché siano abolite le norme lassiste e permissive, perché sia introdotta la pena di morte contro gli autori di delitti di strage… Vivi rumori e interruzioni all’estrema sinistra e a sinistra ).

Una voce all’estrema sinistra: “Servo di Hitler! Fascista! Fucilatore! Massacratore di partigiani!”

ALMIRANTE: “…aggiungo una formale proposta perché una Commissione di inchiesta parlamentare sia nominata al più presto e possa indagare in ogni senso e in ogni direzione sulla violenza, sui suoi responsabili, sui suoi autori, sui suoi mandanti, nessuno escluso. ( Vivissime, ripetute proteste all’estrema sinistra e a sinistra ).

Questa è la voce di un partito il quale, difendendo se stesso, l’onestà e la pulizia dei propri uomini, è deciso, nell’interesse di tutto il popolo italiano, a contribuire a ripristinare l’ordine, la pace civile, nel nostro troppo tormentato paese.

Seduta del 3 maggio 1973

L’ offensiva terroristica si abbatte sul Msi-Dn; è completamente assente l’azione repressiva dello Stato. Nell’aprile del 1973 un gravissimo episodio si verifica a Roma: ultrà comunisti appiccano il fuoco all’abitazione di Mario Mattei, segretario della sezione missina romana del popoloso quartiere di Primavalle. Nel rogo muoiono due figli del dirigente di partito: Virgilio, apprezzato militante, e il piccolo Stefano. La strage suscita profonda commozione nel Paese. Ecco come Giorgio Almirante replica alla Camera all’insoddisfacente risposta ministeriale sui gravissimi fatti di Primavalle .
Il rogo in casa Mattei a Primavalle

ALMIRANTE:” Signor Presidente, ringrazio lei personalmente e spero di poter dare atto alla Presidenza come istituto delle nobili parole di cordoglio pronunciate oso ritenere o in nome di tutta l’Assemblea, dei molti banchi vuoti e dei pochi banchi occupati negli altri settori, in quanto oso sperare che tutta l’Assemblea, i presenti e gli assenti, consentano con la ferma deplorazione e condanna dell’ incivilita. Questo è il termine che ella ha usato, è il termine che è stato usato dal signor ministro dell’Interno, è un termine che mi sono permesso di usare io nel corso delle onoranze funebri ai due fratelli Mattei in un momento che, se me lo consente, signor Presidente, se me lo consentono i colleghi presenti, è stato senza alcun dubbio uno dei più duri e sofferti della mia esistenza. Così come ritengo sia questo un grave momento, perché non mi piace essere costretto a scendere a considerazioni politiche quando tutti insieme, e soprattutto noi, dovremmo guardare l’orrendo rogo di Primavalle soltanto in termini di condanna, al di là e al di sopra delle parti. Non posso per altro fare a meno e penso che ella, signor Presidente, me ne darà atto e che me ne dia atto tutta la pubblica opinione italiana di replicare al Governo nella persona del ministro dell’Interno; di replicare per quanto concerne una sia pur molto sommaria analisi dei fatti che hanno preceduto e che hanno seguito la strage di Primavalle; di replicare per quanto concerne talune considerazioni contenute nella nostra interpellanza alle quali ha risposto il ministro dell’Interno. Quanto ai fatti, signor ministro, non basta affermare, come ella ha fatto poco fa, che in questo dopoguerra si sono consolidati gli istituti della democrazia in Italia. Bisogna dimostrarlo. Non basta essere i rappresentanti legittimi in termini democratici del Governo e, quindi, dello Stato; bisogna esercitare la propria funzione di controllo, di prevenzione, di educazione. In data 12 aprile il quotidiano del nostro partito pubblicava con evidenza una nota relativa ad un precedente attentato alla sezione di Primavalle. È sufficiente leggere il titolo di questa nota per rendersi conto delle pesantissime responsabilità, per la mancata vigilanza e prevenzione, cui sono andate incontro le pubbliche autorità. Il titolo dice: «Dopo l’attentato alla sezione di Primavalle – Ricercare i responsabili e potenziare la vigilanza – Interrogazione in Parlamento dell’onorevole Giulio Caradonna – Comunicato della direzione provinciale del Msi-Destra Nazionale – Ordine del giorno del gruppo consiliare della destra nazionale della regione Lazio». Vi è una fotografia relativa alla sezione di Primavalle devastata dall’esplosione, ma vi è soprattutto, nel comunicato della direzione provinciale del nostro partito, un passo che io mi permetto di sottoporre alla vostra civile attenzione e sensibilità; un passo che si riferisce ad un precedente attentato di circa un anno fa, nel corso del quale otto nostri giovani, che stavano discutendo sui problemi della nostra gioventù, nel chiuso di una sede di via Noto, sono stati arsi vivi. Due di loro sono rimasti degenti presso quello stesso ospedale di Sant’Eugenio ove adesso giace Mario Mattei, l’uno per sei mesi, l’altro per due mesi, mentre gli altri se la sono cavata con ustioni di minore gravità. La tecnica dell’assalto è stata a un di presso la medesima; in quel caso vennero usate bottiglie molotov, ma bottiglie molotov incatramate, di guisa che il catrame così mi hanno spiegato allora i nostri giovani si appiccichi alle carni ed il fuoco ustioni il più profondamente possibile. Questo precedente non fece gran chiasso, perché si trattava delle carni bruciate di otto giovani del Movimento sociale italiano o, come suol dirsi, di neofascisti o di fascisti; e gran chiasso (lo si vede dallo spettacolo odierno di quest’aula, lo si è visto anche dalla mancata presenza del Presidente titolare, lo si è visto dal tentativo compiuto dal Governo, e per esso dal ministro dell’Interno, di ritardare questa discussione) non hanno fatto nemmeno le carni bruciate di Virgilio o di Stefano Mattei, perché si tratta di carni «missine» o, come volgarmente dicesi, fasciste o neofasciste. Misure di prevenzione furono da noi richieste prima delle giornate del 15, 16 e 17 aprile, e furono da noi richieste non già in relazione alle voci che a Primavalle si diffusero la sera prima, o la notte prima o la sera stessa del rogo, ma in relazione ai precedenti, reiterati attentati, i quali tutti avevano avuto (le autorità non hanno mai potuto smentirci, e nessuno dei nostri comunicati ufficiali non è stato mai smentito) una matrice chiarissima, perché gli aggressori in quelle occasioni si erano avvalsi o del lancio di pietre contro la sezione, inizialmente, o del lancio di bottiglie molotov, giungendo in talune serate a stringere d’assedio la sezione, ed appartenevano a gruppi extraparlamentari di sinistra. Quando noi, quindi, parliamo ora della matrice politica del rogo di Primavalle, siamo costretti a parlarne, dolorosamente (e preferiremmo non farlo, perché ci rifiutiamo di pensare che belve umane siffatte esistano in qualunque settore del Parlamento o in qualunque settore politico al di fuori del Parlamento), perché i fatti, che erano a conoscenza, nelle loro origini, delle autorità, ci costringono ad andare alla ricerca, all’individuazione facilissima, ovvia addirittura della matrice politica che ha ispirato e portato a termine questo orrendo, bestiale attentato. I fatti si riferiscono anche al comportamento della polizia giudiziaria, e, mi duole dirlo, della magistratura inquirente. Il signor ministro è stato autorizzato a dire alcune cose, nonostante l’esistenza del segreto istruttorio che (e il signor ministro lo vorrà riconoscere, perché al riguardo vi è un’iniziativa molto precisa degli avvocati della parte civile, di cui danno notizia i giornali di questa mattina) è stato largamente violato da certa stampa, abituata da sempre a violarlo. Mi riferisco, tanto per fare un esempio, ad una nota apparsa su L’Espresso, a firma, se non erro, di Catalano. Il signor ministro, dunque, è stato autorizzato a riferire alcuni dati, ed io, rispettoso della magistratura come istituzione, non andrò oltre quei dati. Quando però il signor ministro ci dice che le indagini sono state stringenti, mi consenta di fargli rilevare che lo hanno messo in condizione grazie a quella comunicazione del Ministero di grazia e giustizia di dire una ridicola assurdità: «stringenti»! Signor ministro, la prima perizia nella casa della famiglia Mattei, nell’apparta­mentino se così si può chiamare o in quello che ne rimane, è stata compiuta l’altro giorno. Ma in precedenza, avendo la magistratura inquirente falsamente fatto conoscere che erano stati apposti i sigilli (che sembra non fossero apposti o che comunque non hanno funzionato), perizie «giornalistiche», se così posso chiamarle, erano state compiute e i responsabili di tali perizie non avevano esitato a dirlo. Leggo da Il Messaggero di questa mattina: «Tali misurazioni» (ci si riferisce alle misurazioni nell’appartamento che avrebbe dovuto essere sigillato e periziato penso immediatamente dopo il rogo) «da noi effettuate pochi giorni dopo l’incendio, servono per capire», eccetera. I giornalisti, taluni giornalisti (non solo quelli de Il Messaggero, anche quelli de l’Espresso, che hanno pubblicato informazioni analoghe) hanno avuto libero accesso all’appartamentino del rogo, mentre coloro che avevano il dovere di compiere immediate perizie e di impedire intrusioni non adempivano l’un dovere né l’altro. E c’è di più: «stringenti», le indagini? Se noi siamo bene informati, senza bisogno di far perizie, a nostra volta, esistono, entro pochi metri, entro poche decine di metri dall’abitazione della famiglia Mattei, sei sedi o circoli di gruppi extraparlamentari di sinistra. Non risulta che una tra queste sedi o uno tra questi circoli sia stato visitato da chi doveva credo indirizzare le indagini «anche» in quella direzione. Guardi a che punto arrivo: «anche», o almeno, o soprattutto, o soltanto. Arrivo a dire «anche» in quella direzione . Non una tra quelle sedi è stata perquisita: e ormai penso che vi possiate dispensare dal muovervi, perché sarebbe poi una beffa ancor peggiore del danno e della vergogna sentirci dire, domani o dopodomani, che vi è stata una qualche perquisizione: naturalmente senza esito. Certo, senza esito, signor ministro, me ne rendo conto e se ne rende conto anche lei. Ma resta il fatto grave che finora non una di quelle sedi è stata perquisita. Oh!, se l’attentato avesse avuto una diversa, opposta matrice politica; se, e non lo auguro a nessuno tra i nostri avversari, a nessuno di quelli che ho il diritto anche personale di definire nemici, a nessuno tra coloro che anche personalmente mi ingiuriano e mi calunniano da anni a questa parte, a nessuno auguro che accadano cose simili nella sua famiglia politica; ma se fossero accadute in altra famiglia politica e se per assurdo i responsabili fossero stati individuati in questo settore… oh, allora a decine, forse a centinaia si sarebbero contati gli avvisi di procedimento, gli avvisi di reato, gli arresti, i fermi; interi quartieri di Roma sarebbero stati passati al setaccio. Ma siccome si tratta di indagini che «potrebbero» toccare «anche» i gruppi extraparlamentari di sinistra (non dico, per carità, il Partito comunista), nessuna perquisizione è stata finora compiuta. E queste sarebbero indagini «stringenti»? E cosa dire del fatto che come ella stesso, signor ministro, ha detto, riferendo quello che le è stato detto di riferire si raccolgono indizi (sappiamo tutti di che indizi si tratta perché tutti i giornali ne hanno parlato: la mappa o pianta dell’appartamento Mattei, il famoso elenco di «missini» da colpire) e poi, pur essendosi trovati documenti, indizi assai seri, da un lato si dichiara (e queste sono notizie) che la imputazione è di detenzione di esplosivi ma che gli indizi sono del reato di strage, e dall’altro si annuncia che fino a questo momento nessuno è stato incriminato per strage? Si tratta di indizi non controllati fino a questo momento, perché neppure al controllo degli indizi ó se noi siamo bene informati, e ci sembra di esserlo ó si è giunti (e sono oggi passati 17 giorni dal rogo di Primavalle). Questo rapidissimamente per quanto attiene ai fatti. Ma, per quanto attiene alle valutazioni, onorevole ministro, cosa dire in ordine al Governo? E particolarmente in ordine al Ministero dell’interno per le sue responsabilità? E in ordine alla RAI TV? E in ordine a certa stampa di regime pagata con i denari dei contribuenti italiani, non certamente con i contributi dei lettori, su cui abbiamo detto poco nel testo della nostra interpellanza? Non si azzardi, onorevole ministro, a respingere come false le nostre affermazioni, non si arrischi a definirle insinuazioni, perché lei ha dei tristi precedenti a questo riguardo. Oggi lei ha parlato nobilmente e giustamente il linguaggio di condanna di gesti siffatti e di attentati siffatti al di là e al di sopra delle parti. E noi, duramente colpiti nelle vite di aderenti al nostro movimento, non ci ribelliamo a questo suo linguaggio al di sopra delle parti. Riteniamo che oggi ella abbia fatto il suo dovere di ministro. Ma quando in altre occasioni ella, ancor prima che le indagini «stringenti» tali diventassero, quando indizi seri non erano stati ancora raccolti, è venuto qui non limitandosi ad esprimere il civile sentimento di tutti noi, ma ad accusare, d’accordo con altri settori politici (e purtroppo anche con il suo), una parte, la nostra parte, allora, onorevole ministro ella speriamo non accorgendosene ha seminato odio, ha suscitato rancore e risentimento contro una parte politica, per avventura contro la parte politica che in precedenti occasioni non ha esitato a collaborare duramente con la giustizia indicando presunti colpevoli; per avventura, quella parte politica la nostra che non si è stancata di parlare, e neanche in questa occasione rinunzia a parlare, il linguaggio della pacificazione nazionale; per avventura quella parte politica la nostra che in anni recenti, non in anni lontani, ha visto cadere altre vittime . Vidi cadere accanto a me un operaio di 33 anni, a Genova, Ugo Venturini, e abbiamo visto cadere a Salerno un ragazzo di 19 anni, Carlo Falvella: la Camera, siccome si trattava di carne «missina» o come volgarmente dicesi neofascista o fascista, non se n’ è occupata. Non se n’ è occupato il Governo, non se n’ è occupato il ministro dell’Interno, non se n’ è,occupato lei, onorevole ministro, qui, per accusare duramente qualcuno. E non glielo abbiamo chiesto, perché i nostri morti li onoriamo in santa pace e non ci piace onorarli qui dentro, tra l’ipocrisia degli uni e la sopita ferocia degli altri. Non ci piace. Lo facciamo adempiendo un duro dovere politico che c’impone, e ci autorizza però, al doloroso diritto di ricacciare in gola al Governo e a lei, onorevole ministro, quello che vi permettete di dire da troppo tempo contro la nostra parte. Ella è giunto a difendere financo la RAI-TV. La televisione di Stato (sulla quale siamo tutti impegnati a discutere, perché ho l’impressione che siamo in molti a non tollerare ulteriormente il monopolio e le porcherie della televisione di Stato), la televisione di regime, il giorno 13 aprile, nei Telegiornali delle 20,30 e delle 23, per quattro volte ha ripetuto (lo abbiamo annotato perché ci sono le nostre denunce e le nostre querele in corso) che le bombe di Milano erano state lanciate dai «missini», prima ancora che gli indizi potessero consentire di affermarlo o di smentirlo e nel momento in cui nessuno, a livello di magistratura e a livello di giornalismo responsabile e di ambienti politici responsabili, osava affermare ciò. Non sono state smentite quelle affermazioni, che sono penetrate quella sera e nei giorni successivi come un veleno corrosivo, come altrettante bottiglie molotov, nelle case di tanti italiani, e hanno seminato, attizzato odio: il triste mestiere al quale troppi tra voi si dedicano nei nostri confronti, ma non nei nostri confronti come deputati o senatori del Movimento Sociale Italiano-Destra nazionale, non nei nostri confronti come partito politico, nei nostri confronti come larga rappresentanza di opinione pubblica, una rappresentanza di opinione pubblica che in termini di civiltà osa dirlo e non posso certamente essere smentito, perché ne siete convinti forse più di noi in casi simili rappresenta molto di più dei tre milioni di nostri elettori. Sicché, signor ministro, riservi a migliore occasione una replica polemica nei nostri confronti e cerchi, almeno in questa occasione lo avremmo sperato di mantenersi fino in fondo al di sopra delle parti e di comprendere, se l’esser ministro dell’Interno glielo consente ancora, lo stato d’animo di uomini come noi che da tanti anni sono in battaglia, e sono apertamente in battaglia, e in questo momento vedono contro di sé la congiura e il complotto di tutte le altre parti politiche, ma non pronunziano, neanche in una occasione di tal genere, né la parola «vendetta», né la parola «rappresaglia». Io non le pronunzio, perché se le pronunziassi i primi a condannarmi sarebbero Mario e Anna Mattei, i genitori dei ragazzi bruciati. Penso che questa lezione di civiltà possa servire: gliela dedico, signor ministro.”