Seduta del 21 Aprile 1987

L’ultimo intervento (governo Fanfani)

ALMIRANTE: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, fino al pomeriggio di ieri, cioè; fino al suo discorso introduttivo, signor Presidente del Consiglio, ed ai relativi commenti autorevoli, circolavano negli ambulacri di Montecitorio, e credo anche di Palazzo Madama, due sospetti. Il primo sospetto riguardava noi ed il nostro comportamento. Si parlava cioè di un complotto, di una congiura, di un’intesa di centro-destra (Movimento sociale italiano, Democrazia cristiana e Presidente del Consiglio) per renderle più lieve il compito, per accompagnarla cortesemente sino al decesso rapido dell’attuale Governo per poi celebrare, anche con il suo concorso, le elezioni politiche anticipate. Fino ah ieri circolava (e continua a circolare, almeno per quel che riguarda le mie modeste informazioni) un altro sospetto: quello di una intesa di centro-sinistra, fino all’estrema sinistra, per lasciar cadere il discorso delle elezioni anticipate, per porre invece con fermezza il discorso delle consultazioni referendarie. E questo secondo sospetto avrebbe comportato e comporterebbe un’intesa, lo ripeto, fino all’estrema sinistra, un’intesa che, in questo momento, sembra codificata e rappresentata (non so se posso dire “autorevolmente”, ma certo con molta insistenza) dall’onorevole Pannella. Le mie condoglianze, signor Presidente del Consiglio, perchè dopo tanti anni di carriera politica ricevere la fiducia solitaria dell’onorevole Pannella non credo che le possa piacere troppo, la possa qualificare ulteriormente…”

RUTELLI: “Dopo un ventennio può capitare anche questo!”

ALMIRANTE: “Può capitare tutto e può capitare anche questo. Anzi sta capitando anche questo …”

RUTELLI: “Questi sono i nostri ventenni, non i vostri!”

ALMIRANTE: “Non ho bisogno di ricorrere a citazioni: ho qui davanti a me Notizie radicali, in cui l’atteggiamento pro Fanfani da parte dell’onorevole Pannella e del gruppo radicale…”

STANZANI GHEDINI: “Il riferimento era al funerale”

ALMIRANTE: “Auguri! Presidente, faccia gli scongiuri! Io li faccio anche per conto suo e di tutti i colleghi, senza alcuna eccezione. Esibisco un mio argomento: si tratta di una minima alzata nel saluto romano ma contratta nella preghiera che tutti ci accomuna. Dopo il suo discorso di ieri, signor Presidente del Consiglio, dopo i primi autorevoli commenti, le prime prese di posizione, credo che del primo sospetto non sia più il caso di parlare, almeno per quanto ci riguarda e per quanto mi riguarda personalmente come segretario del Movimento Sociale Italiano tutto intero e, ovviamente, a nome del gruppo che mi onora in questo momento con la sua folta presenza, io ripeto quello che stiamo dicendo con chiarezza da parecchi giorni a questa parte, anche dinanzi agli schermi televisivi: noi voteremo sfiducia nei suoi confronti, signor Presidente del Consiglio, e nei confronti del Governo che lei presiede. Credo che non se ne meraviglierà, perchè la nostra coerenza all’opposizione non è mai stata offuscata (e ritengo di poterlo dire). Questa essendo la nostra posizione, è assurdo parlare, come qualcuno sta facendo, di un’intesa (si figuri…) fra Democrazia Cristiana, Partito Comunista e Movimento Sociale Italiano. Non aspiro e non aspiriamo a combinazioni di questo genere, che non ci offendono ma che sono fuori della realtà”

FANFANI: “Sarebbe un incontro ecumenico!”

BIONDI: “Sarebbe uno e trino …”

ALMIRANTE: “Non sarebbe affatto ecumenico, a meno che lei, senatore Fanfani, non si assuma la parte di pontefice. Con un suo pontificato, e non con una sua regia parlamentare, può darsi che si possa arrivare persino a risultati di quel genere, che comunque sono fuori della realtà politica e concettuale in questo momento. Sicché, a nome di tutto il Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale, confermo la nostra sfiducia a questo Governo. Voglio anche dire con assoluta sincerità, onorevole Fanfani, che due aspetti della sua impostazione ci sono sembrati positivi: prima di tutto la riduzione abbastanza consistente del numero dei ministri e dei sottosegretari; secondariamente l’ingresso nel Governo, per sua volontà, di un gruppo rispettabilissimo (che ella ha ringraziato per la generosità dei singoli e dell’insieme) di tecnici e di competenti.

Tuttavia, nei confronti di queste due valutazioni desidero essere più schietto e completo possibile, per rilevare che non ci facciamo alcuna illusione a proposito della riduzione del numero dei ministri e dei sottosegretari. Non appena si passerà, dopo le elezioni politiche, al nuovo Governo, penso che la partitocrazia nostrana seguirà le norme che sta seguendo da più di quarant’anni.

Ricordo come sono cominciate tali vicende; allora le leggevo sui giornali, non ero ancora entrato in Parlamento. Lei, onorevole Fanfani, era già; membro della Costituente; sa, quindi, e meglio di me ricorda come nacque, numericamente, il primo Governo del CLN: tre per sei fa diciotto (si riteneva infatti che fossero sei i partiti del CLN). Quando, poi, vi fu la consultazione elettorale ed i partiti del Comitato di liberazione nazionale diventarono tre, giacché gli altri non furono in grado di portare neppure un eletto in Parlamento (il che dimostra l’assoluta inconsistenza di quelle formazioni politiche, dal punto di vista democratico) si fece, allora, semplicemente sei per diciotto (come prima si era fatto tre per sei diciotto), e tanti rimasero i ministri. Successivamente il loro numero si è sempre andato estendendo. Una delle proposte, non certamente la più importante, che noi porteremo avanti (ne parlerò fra poco) nel nostro progetto di revisione integrale della Costituzione della Repubblica italiana, sarà quella di riformare la Presidenza italiana, sarà quella di riformare la Presidenza del Consiglio nel suo funzionamento, e quella relativa al numero dei ministri e dei sottosegretari, onde fissare una volta tanto, finalmente, il loro numero e non esporsi più a soluzioni ad organetto, come questa che, per fortuna, è riduttiva, a differenza di quasi tutte le precedenti, estensive. Il fatto che ella abbia portato un numero inferiore al solito di ministri e sottosegretari rappresenta, senza dubbio, una sua benemerenza nei confronti della nazione italiana.

Sappiamo tuttavia benissimo che non ne ha nominati di più perchè non poteva farlo, come pure sappiamo altrettanto bene che gli ex ministri democristiani sono rimasti tutti attaccati alle loro poltrone, tranne qualche rarissimo caso. Così dicasi anche per quanto riguarda le competenze tecniche. Le dico sorridendo (non si offenda, onorevole Presidente del Consiglio) che si tratta di una sorridente vendetta della storia che, quando vuole sorridere, dà le sue lezioni in maniera accettabile. Lei ha dimenticato (ha fatto bene dal suo punto di vista) le lezioni di dottrina corporativa che una volta impartiva a giovani che non sapevano, come lei stesso, del resto, quale sarebbe stato l’avvenire. Adesso, quel tantino di corporativismo che si è riusciti a mettere in atto lo ha realizzato come Presidente di questo Governo, utilizzando talune competenze. Il matrimonio fra tecnica, competenza e politica è tipico della concezione corporativa; lo dico in senso positivo e non deteriore. Mi è dispiaciuto che proprio lei, onorevole Fanfani, abbia ripreso la solita espressione di “le spinte corporative”. Lei sa benissimo che il corporativismo fu una cosa, comunque giudicabile, ben più seria e profonda delle battutine tardive, e nel suo caso molto tardive. Me ne dispiace… Non me ne compiaccio certamente.”

FANFANI: “Le “spinte” cui mi sono riferito sono relative alle corporazioni medioevali … “

ALMIRANTE: “Se è al medioevo che facciamo riferimento, è cosa diversa. Lei di medioevo si intende… “

BIONDI: “Le corporazioni del medioevo erano cosa seria! Dante Alighieri si iscrisse a quella dei medici e speziali, una sorta d’ USL dell’epoca…!”

ALMIRANTE: “Francamente, benché anziano come lei dice, benché vecchio come dico io, fino al medioevo sono in grado di arrivare. I miei complimenti, comunque, per la continuità, dal medioevo fino ai nostri giorni. Neanche questo secondo aspetto, che sembra essere positivo, lo è in realtà, nel senso di far mutare il nostro atteggiamento nei confronti del Governo. Lei, onorevole Fanfani, ha trovato la generosa adesione di uomini, di tecnici, di scienziati che sanno benissimo che breve sarà la loro avventura governativa. Mi complimento per questo relativo successo, anche se è stata fatta qualche confusione: vediamo, per esempio, un entomologo dirigere la politica del turismo”

FANFANI: “Ha letto male! L’entomologo è destinato alla conservazione della natura.

BIONDI: “Un po’ di turismo ci vuole anche in questo caso”

ALMIRANTE: “Comunque, non avevo detto cosa veramente sbagliata: mi sembra di aver notato qualche confusione, come l’hanno notata i giornali, per quanto si riferisce alle attribuzioni di cosiddetta tecnica e di cosiddetta competenza. Comunque, evviva i tecnici ed i competenti, in questo che finora è stato il regno dell’incompetenza, in quasi tutti i suoi settori.

Procediamo ulteriormente nel giudizio su questo Governo e su questa situazione. Io mi permetto di far rilevare (e questo è il concetto al quale più di tutto teniamo noi missini) che non ci troviamo, in realtà, di fronte ad una crisi di Governo o ad una crisi di maggioranza e di Governo: ci troviamo, invece, di fronte ad una crisi di sistema e di regime. La realtà è che tutte le istituzioni sono in crisi. Lo hanno dimostrato e lo stanno dimostrando ampiamente le recenti e rabbiose polemiche, che non si erano mai verificate in passato e che sono un fatto nuovo, doloroso e grave per tutti noi, come cittadini di questa Repubblica: alludo alle polemiche tra il Presidente della Repubblica e (in quel momento) il Presidente del Consiglio.

Non voglio stabilire se avesse ragione l’uno o l’altro, anche se molto probabilmente il Presidente del Consiglio si è lasciato trascinare dal suo temperamento, spesso incompatibile con le norme della buona educazione cosiddetta democratica. Comunque, sta di fatto che siamo di fronte ad una crisi di sistemi e di regime. Non è la prima volta che lo diciamo: ci siamo onorati di dirlo da diversi anni a questa parte. Qualcosa comincia finalmente a tradursi in realtà. Lo stesso onorevole Craxi ha fatto propria (senza naturalmente citare la fonte: ma non ha alcuna importanza) una delle tesi da noi sostenute, cioè le necessità che il Presidente della Repubblica sia eletto direttamente dal popolo. Gruppi parlamentari come quello socialdemocratico hanno presentato abbastanza recentemente proposte di legge per l’elezione diretta del sindaco: e non si tratta di una riforma meno importante della precedente, anzi in qualche modo si può dire che sia addirittura più importante. Si sta, molto lentamente e faticosamente, determinando una coscienza popolare sulla necessità di

riformare il sistema. Così, appunto, il Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale qualifica la sua azione di opposizione. Non stiamo chiedendo le elezioni politiche anticipate per elettoralite acute. Non stiamo chiedendo (ho il coraggio di ammetterlo di fronte ai miei carissimi colleghi) le elezioni anticipate perchè siamo matematicamente certi di migliorare le nostre posizioni. Stiamo chiedendo le elezioni anticipate per cominciare a dar luogo ad un rinnovamento globale della Costituzione.

Non vi offendete, non prendetevela a male. Quello che sto dicendo non vuol essere affatto provocatorio, anche se mi rendo conto che può sembrarlo. Bisogna che tutti prendano atto che la Repubblica nata dalla Resistenza è morta e bisogna celebrarne i funerali. Non lo dico polemicamente. Mi rendo conto che è difficile, per ciascuno di voi, almeno per coloro che hanno militato nei ranghi della Resistenza, accettare un simile discorso: ma io lo faccio egualmente. Quando noi anziani (o noi vecchi), che siamo giustamente legati alle nostre memorie ed alle nostre vecchie tradizioni, parliamo un linguaggio che ci sembra attuale e che invece attuale non è, quando voi insistete a proposito dei valori della Resistenza ed io insisto sui contrapposti valori della Repubblica sociale italiana, io vi dico che non sono disponibile a cedere su questo piano: non sono disponibile a rinnegare; e ricordo a me stesso che il vecchio motto del Movimento Sociale Italiano fu inventato da Augusto De Marsanich, che fu splendido segretario del partito e che insegnò nella sua esperienza, nella sua pulizia, nella sua estrema correttezza morale, nella sua grande capacità politica, a non rinnegare e a non restaurare. Non siamo disponibili per rinnegare; ma (abbiamo dato l’esempio, e continuiamo a darlo) siamo capaci di non restaurare. La nostra non è una tradizione che pigramente pensiamo di poter inserire immutata nel presente e nell’avvenire del nostro paese. Noi pensiamo di rinnovare noi stessi, di dare esempio di capacità di rinnovamento da parte nostra; pensiamo che sia venuta l’ora per riconoscerci in una Repubblica diversa, adeguata alle necessità dei tempi, in una Repubblica che sappia davvero rappresentare il punto di

incontro tra tutti gli italiani.

Lo posso affermare con assoluta anzianità di proposta, perchè, onorevole Presidente del Consiglio, non pretendo che lei possa ricordarsi delle antiche proposte del Movimento Sociale Italiano, quando era ancora, come dicevate tutti quanti deridendoci, forse anche giustamente, il movimentino senza importanza; ma quel movimento senza importanza tanti anni fa, quarant’anni fa, ebbe il coraggio, non appena entrato in quest’aula nel 1948, di proporre (non potevamo fare altro che proporre: eravamo cinque) un referendum sulla Carta costituzionale, che era stata varata senza il concorso del popolo italiano. Era il 1948, la nostra proposta non fu presa sul serio. Dopo quaranta anni ci risiamo, abbiamo avuto ragione. Non ne siamo lieti, preferiremmo aver avuto torto, preferiremmo che gli istituti (a cominciare dal Presidente della Repubblica fino al Presidente del Consiglio, fino, ripeto, al sindaco di ciascuna città o paese) funzionassero. Gli istituti, però, non funzionano. La crisi che si è determinata nelle scorse settimane ha superato (mi dispiace dover usare termini pesanti) per indecenza tutte le precedenti crisi.

Sui giornali e sui settimanali a grande tiratura sono comparse antologie divertenti, che non voglio ripetere o leggere qui: non voglio approfittare di quanto pubblicato dalla stampa; sono apparse, dicevo, vere e proprie antologie delle parolacce che vi siete scambiati, delle parolacce che si sono scambiati uomini politici di indubbia capacità, di notevole fama, qualche volta anche di una certa popolarità, i quali hanno completamente perduto il controllo di se medesimi e non hanno saputo, non riescono, ad esprimersi in termini civili e corretti perchè il male è andato nel profondo.

So benissimo che non basterà certamente (perchè ci si arriverà) l’elezione popolare del Capo dello Stato per risolvere il problema, però mi fa piacere, non mi dispiace affatto, non temo e non temiamo le concorrenze, cerchiamo le convergenze, quando è possibile cercarle, sui grandi temi ed anche su problemi minori, perchè questa è la nostra funzione, questa dovrebbe essere anche la vostra funzione, la funzione di tutto il Parlamento italiano; non ci dispiace affatto, dicevo, se voi raccogliete nel terreno che noi stiamo seminando. Raccogliete pure, Iddio lo voglia, per l’interesse del nostro Paese, ma non è possibile ritenere che con una spolveratina di fiducia in più o in meno si possano risolvere problemi critici, che intaccano la situazione. Lei, senatore Fanfani, ha detto spiritosamente che due parole magiche si sono succedute ed accavallate nelle scorse settimane; la staffetta da un lato e la stabilità nel governare dall’altro; stabilità vantatissima dall’onorevole Craxi e dai suoi colleghi, ai quali ella ha fatto male, se mi permette, a non rispondere che la stabilità ha grande importanza purchè sia stabilità nel bene e non stabilità ed insistenza nel male. Qualche settimana fa abbiamo ascoltato il discorso dell’onorevole Craxi, che doveva essere il discorso di addio e che, invece, è stato semplicemente di arrivederci, nelle sue intenzioni; uno strano e singolare discorso che l’onorevole Craxi ha condotto dalla a alla zeta sul tema della valorizzazione della sua opera, della stabilità del suo Governo, della realizzazione o quasi realizzazione di tutta una serie di riforme, peraltro esistenti solo di nome e non certamente di fatto.

Ella ha fatto male, onorevole Presidente del Consiglio, a non rispondere immediatamente che la stabilità tanto vantata da parte del Presidente del Consiglio del precedente Governo, in realtà non ha portato alla soluzione di alcun problema, fra i tanti gravissimi che purtroppo continuano ad affliggere il nostro paese, a cominciare dal problema della disoccupazione, e di quella giovanile in particolare.

Stando così le cose, noi vogliamo e ci stiamo comportando in guisa tale da ten tare di riuscire a raggiungere questo obiettivo non per noi ma per il popolo italiano, noi vogliamo una campagna elettorale anticipata che sia una vera e propria campagna per una nuova Costituente, non nel senso letterale del termine, ma nel senso vero e sostanziale del termine. Noi vogliamo un Parlamento nuovo, per una nazione nuova, per una Repubblica da rivedere e da revisionare intus et in cute, in modo che non si continui a bamboleggiare, come si sta facendo, tra una dichiarazione di Pannella e l’altra. Ora, signor Presidente del Consiglio, tutto ciò premesso e ripetendo quello che ho detto poco fa, e cioè che noi amiamo le convergenze e non temiamo le concorrenze, sono costretto a dirle, a seguito del suo discorso di ieri, qualche cosa che è molto spiacevole per me dire e penso che sarà spiacevole per lei ascoltare, ma non posso farne a meno. Non so chi le abbia consigliato, se per caso ella ascolta i consigli di qualcuno, e non lo credo, di fare ricorso alla sua memoria per ricordare come momento felice della sua lunghissima esperienza politica l’estate del 1960, cioè il Governo Tambroni, la caduta di quel Governo, la pugnalata data alle spalle di quel Governo e di quell’uomo, la pugnalata che si tentò di dare alle spalle del Movimento Sociale Italiano e di tutto ciò che il Movimento Sociale Italiano rappresentava e continuava a rappresentare. A questo punto però è necessario, e credo che sia anche opportuno, che io le ricordi qualche cosa, perché qualche cosa lei deve aver dimenticato, e me ne dispiace per lei, perché il discorso è molto grave. Ci trovavamo nel giugno-luglio 1960. Il Movimento sociale italiano in quel momento non aveva me come segretario del partito, ma l’onorevole Michelini. Noi non siamo abituati a rinnegare i nostri morti, e le responsabilità di Genova me le assunsi allora e me le assumo dopo tanti anni per ricordarle, signor Presidente del Consiglio, che si tratta di un tema che bisogna affrontare con estrema delicatezza. Prima di tutto perché Genova medaglia d’oro, Genova medaglia d’oro della Resistenza, in quel momento fu prescelta da noi per tenere un congresso, un libero congresso, nostro diritto e nostro dovere, non a fini provocatori, signor Presidente del Consiglio. Non a fini provocatori, perché qualche settimana prima il sindaco democristiano di Genova medaglia d’oro della Resistenza aveva ritenuto di accettare come determinanti per la possibilità di essere eletto sindaco di quella città i voti dei tre consiglieri missini, ai quali il sindaco democristiano e resistenziale di Genova, non aveva ritenuto di chiedere particolari abiure o particolari giuramenti, ma ne aveva accettato la collaborazione, che era collaborazione senza condizioni, senza contropartite, che era collaborazione soprattutto in pulizia e senza gli scandali che negli anni successivi hanno sporcato la città di Genova e la città di Torino più di altre città del settentrione d’Italia.

In quel momento il Movimento sociale italiano riteneva di tenere il suo congresso nella città del nord che aveva dato al Movimento sociale italiano la più valida tra le soddisfazioni politiche, e non soltanto politiche. Infatti, vedere in Genova, culla della Resistenza, i tre consiglieri missini, con voto richiesto e accettato senza condizioni degradanti, tenere in piedi l’amministrazione, sembrò all’onorevole Michelini e a tutti noi motivo validissimo per accondiscendere al desiderio dei nostri amici di Genova perché tenessimo nella loro città il nostro congresso. Io c’ero, onorevole Presidente del Consiglio, lei no. Io c’ero il giorno prima che il nostro congresso iniziasse, c’ero quando un’imponente (lo debbo riconoscere) manifestazione sovversiva non popolare, organizzata dal di fuori…”

FORNER: “Stai zitto!”

ALMIRANTE: “Sto dicendo esattamente la verità. Può dispiacervi, ma sto dicendo esattamente la verità. Sto dicendo la verità a nome di un partito che in quella occasione ha fatto esemplarmente il suo dovere e sto dicendo la verità a nome di un partito (anticipo, dolorosamente, quello che stavo per dire) che ha avuto in Genova uno dei suoi giovanissimi martiri, Ugo Venturini, il quale è stato fatto fuori a pietrate accanto a me, per salvarmi la vita. Erano pietrate che erano destinate al mio cranio, e che purtroppo sono arrivate al giovane cranio di Ugo Venturini. Dopo i fatti del 1960, per la prima volta tornavo a Genova per tenere una manifestazione; trovai il solito servizio di disordine, trovai forze dell’ordine che purtroppo avevano avuto l’ordine di consentire il disordine. La pelle ce l’ha rimessa un ragazzo di trentatré anni, Ugo Venturini. Ci permettete di ricordare i nostri morti, ce lo permettete? Perché lo stiamo facendo senza nessuna faziosità, con enorme dolore. Vorrei non pensarci più, vorrei dimenticarmene. Non mi aspettavo che il Presidente del Consiglio parlasse di quel periodo in tono autoesaltativo, perché la fine dell’onorevole Tambroni, la fine anche fisica dell’onorevole Tambroni fu determinata dalla pugnalata alle spalle che il suo partito gli diede dopo che egli lo aveva servito, e dopo che aveva concordato i nostri voti in questo Parlamento senza alcuna trattativa segreta o riservata, senza alcuna contropartita; unico esempio, il nostro, di partito tradizionalmente all’opposizione che dà il proprio voto gratuitamente: nessuno tra voi, né di sinistra, né di centro ha potuto mai far polemica con noi a questo riguardo. Siamo stati i soli a conferire il voto di fiducia a uomini di Governo come Pella, come Tambroni, come Zoli, come Segni, senza nulla richiedere, dando atto del loro galantomismo e del loro disinteresse, e dando essi atto a noi del nostro galantomismo e del nostro disinteresse. Molto male ha fatto dunque lei a ricordare il 1960, onorevole Presidente del Consiglio, perché io le debbo ricordare il suo discorso del 5 agosto 1960, quando ella beneficiò della caduta del Governo Tambroni e diventò presidente del Consiglio. In quel discorso (onorevole Presidente del Consiglio, non si offenda), che io giudico sciagurato, lei ha giustificato coloro che a Genova avevano mandato all’ospedale in un pomeriggio, il tragico pomeriggio dell’anteprima del nostro congresso, che poi non si potè tenere, 150 tra agenti di polizia e carabinieri. Queste sono verità che furono manifestate dalla cronaca di tutti i giornali, nessuno escluso (anche se, naturalmente, i giornali di sinistra davano le loro versioni, e le loro motivazioni). Nessuna reazione fisica e violenta da parte nostra. Io restai con gli altri dirigenti a Genova finché tutto non fu finito; me ne tornai a casa serenamente e tranquillamente; presentammo in Parlamento le nostre interrogazioni e le nostre interpellanze per condannare quello che era avvenuto. Nessuno fra di voi prese le parti non del Movimento Sociale Italiano, ma degli appartenenti alle forze dell’ordine, dei carabinieri, degli agenti di polizia che avevano difeso non noi, ma l’ordine pubblico, prima ancora che potesse cominciare il congresso che poi non si tenne. Impariamo dunque a conoscerci, onorevole Fanfani, dopo tanti anni.

Noi non accettiamo provocazioni di questo genere; ed io non posso far altro che esprimere la riprovazione di tutto il Movimento sociale italiano e mia personale per questo tentativo di agganciamento a sinistra. Ma non ci si aggancia a sinistra quando a sinistra si ha ancora il coraggio di difendere i teppisti che da sinistra vennero contro di noi, e soprattutto contro le forze dell’ordine, in Genova. Non ci si aggancia, con questi sistemi, in nessuna direzione. Noi non chiederemo mai venia per peccati dello stesso genere che possiamo aver commesso, ed io mi auguro che non ne commettiamo mai. Posso anche arrivare a dire: «Dimentichiamoci di quello che è stato perpetrato contro di noi». Ma che un Presidente del Consiglio come lei, con la sua anzianità di servizio, con la sua esperienza, citi Genova 1960 come la culla della democrazia questo no, questo è semplicemente vergognoso… perché Genova 1960 fu una vergogna per tutti. Ci tenevo tanto dirlo, in termini di pace, non in termini di provocazione o di vendetta, perché non si dirà che un discorso parlamentare, in questo clima, possa essere concepito e considerato come un discorso di vendetta. Però cominciamo male, signor Presidente, se si pensa di dover barattare valori come quelli della vita umana e dell’ordine pubblico e della sicurezza dello Stato. Non si baratta lo Stato con la fazione, signor Presidente del Consiglio. Una volta lei queste cose le insegnava, ora le ha dimenticate. Riprenda ad insegnare a se stesso quanto ha dimenticato di aver insegnato ai giovani italiani che venivano ad ascoltare le sue lezioni perché pensavano che fossero scuole di vita e non soltanto di vera o presunta sapienza.”

FANFANI: “Mi pare che lei abbia confuso, anzi che abbia parlato di avvenimenti anteriori alla formazione del Governo.”

ALMIRANTE: “Ho parlato di avvenimenti determinanti per la formazione del Governo.”

FANFANI: “Il Governo non si formò sulle valutazioni di quanto accaduto a Genova, ma per evitare una situazione politica molto delicata.”

ALMIRANTE: “Chi ha promosso quella situazione?”

FANFANI: “Non io.”

ALMIRANTE: “Ah! Non lei!”

PRESIDENTE: “La prego, onorevole Almirante.”

ALMIRANTE: “Mi permetta di rispondere garbatamente. Il Presidente del Consiglio che fu allora rovesciato era democristiano ed era un democristiano per bene; un democristiano al quale non sono stati addebitati scandali, quali sono stati più tardi addebitati ad altri. Questo lo si vorrà riconoscere. Tambroni fu pugnalato alla schiena.”

FANFANI: “Non credo che la Democrazia Cristiana lo abbia sollevato dai suoi incarichi per le ragioni che adesso lei suppone. Credo che lo abbia fatto in vista di una situazione divenuta insostenibile.”

ALMIRANTE: “Divenuta insostenibile perché non si ebbe il coraggio di difendere lo Stato. Non avendo il coraggio di farlo si inventò (lei lo sa benissimo, senatore Fanfani; sa a chi mi riferisco, e che non mi riferisco a lei in questo momento) un presunto golpismo, tra virgolette, da destra, per difendere i teppisti che avevano aggredito le forze dell’ordine; non certamente i comunisti e i socialisti, ma le forze dell’ordine. Questo è bene non dimenticarlo, ed io lo ricordo in questo momento non soltanto per rispondere a quello che lei, senatore Fanfani, ha detto ieri e poteva guardarsi dal dire, ma anche e soprattutto perché siamo tutti quanti, a cominciare da lei, preoccupati per quello che può accadere in Italia. Preoccupati per le spinte eversive o sovversive che possono essere motivate o giustificate dal disordine delle istituzioni. Noi ce ne preoccupiamo, e quando sentiamo un Presidente del Consiglio che ha il dovere di tutelare l’ordine pubblico e di guardare allo Stato; quando sentiamo un uomo come lei, della sua anzianità di servizio, della sua capacità, della sua cultura che ricorda, celebrandolo, il 5 agosto 1960, giorno in cui ella si presentò come nuovo Presidente del Consiglio dopo Tambroni, ce ne preoccupiamo ancora di più. Ricorda quanto disse in quella occasione? lo non l’ho dimenticato mai, non per spirito di vendetta, ma perché lei disse che i cittadini che a Genova avevano determinato quelle tali manifestazioni erano «cittadini democratici che difendevano come potevano e come sapevano l’ordine pubblico». I cittadini democratici avevano difeso l’ordine pubblico mandando all’ospedale i carabinieri e i soldati in nostra assenza; noi non eravamo arrivati ancora a Genova e già 150 carabinieri ed agenti dell’ordine erano finiti all’ospedale. Lei pensa di poter difendere quegli atteggiamenti? Pensa di poterli riesumare? Quella Genova è lontana, non sono più concepibili in Italia avvenimenti e provocazioni di quel genere.”

FANFANI: “Ieri non ho inteso ritornare sui fatti di Genova. Ho esaltato quanto dal momento della costituzione di quel Governo si fece per riportare ordine, tranquillità ed ampia collaborazione economica nella vita pubblica italiana.”

ALMlRANTE: “E per aprire a sinistra, cosa che lei fece in quel momento. Difatti, le «convergenze parallele» furono inventate in quel momento ed il Partito socialista, a seguito della cacciata di Tambroni, potè entrare nella maggioranza governativa, con prospettive a sinistra che, da allora in poi, hanno segnato il passo di tutta o quasi la classe dirigente della Democrazia cristiana. Sono stati, quindi, i teppisti di Genova che hanno lavorato contro lo Stato italiano con il concorso e la docilità… “

BUBBICO: “… A ripristinare l’ordine e la pace sociale.”

ALMlRANTE: “Comunque, osservo con piacere che, quando dico i «teppisti» di Genova e non i «parlamentari» di Genova, i parlamentari della sinistra e dell’estrema sinistra reagiscono; quindi, siete stati allora con i teppisti e continuate nel ricordo ad essere ancora con i teppisti.”

ZOPPETTI: “Assassino!”

ALMlRANTE: “E allora, onorevole Fanfani, lasciamo stare, non ne parliamo più; e vorrei davvero che non se ne parlasse più: ognuno ha i suoi ricordi, ognuno può avere le sue colpe e le sue responsabilità. Riprendiamo il discorso a proposito dell’attualità e a proposito (tengo a chiarire anche questo punto) dell’atteggiamento del Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale e dei suoi parlamentari in tema di consultazioni referendarie e di referendum. Poiché siamo stati inclusi nella schiera variopinta degli antireferendari, desidero chiarire alcune cose ai colleghi che abbiano la bontà di ascoltarmi serenamente. Non soltanto noi non siamo stati e non siamo antireferendari, ma al contrario sono quarant’anni che proponiamo che quella norma della Costituzione della Repubblica italiana venga modificata e integrata. Infatti (cosa che molti colleghi sembrano avere dimenticato) la Costituzione della Repubblica concepisce e attua il referendum soltanto come referendum abrogativo. In questi ultimi giorni, data l’ignoranza (dal verbo ignorare) di tanti colleghi e di tanti giornalisti (non se ne offenda la sala stampa), si è parlato perfino di un possibile referendum consultivo; e se ne è parlato, badate bene, da una persona pre parata, colta e politicamente espertissima come l’onorevole Andreotti. Sono rimasto mortificato per lui, accorgendomi che l’onorevole Andreotti, che sa tutto di tutto (e lo dico senza alcuna ironia), si è dimenticato che la Costituzione prevede esclusivamente il referendum abrogativo. E allora attuare i referendum significa abrogare, significa cancellare, non significa modificare. Sicché l’istituto del referendum, così come esso è, non elimina affatto l’intervento del Governo e del Parlamento; anzi, presuppone il necessario intervento di questi due organi per sostituire le norme eventualmente cancellate dalla consultazione referendaria con altre norme che siano in linea con quanto i referendari hanno ritenuto di chiedere. Quindi, il referendum abrogativo non risolve i problemi. Quanto poi ai referendum che sono in atto, sia quello concernente i temi della giustizia sia quello sul nucleare, una volta tanto voglio dare a me stesso e al mio gruppo la soddisfazione di appropriarci del sapere di Norberto Bobbio. Ogni giorno ci sentiamo rimproverare perché non siamo capaci di apprezzare debitamente Norberto Bobbio; ogni giorno qualcuno ci insegna, dall’alto di democratici settori e banchi, che bisogna rispettare il parere di Norberto Bobbio; adesso che Norberto Bobbio ha scritto un ottimo articolo di fondo su La Stampa di Torino, qualche giorno fa, ne voglio leggere qui alcuni dei passi più interessanti. Parla Norberto Bobbio, quindi attenzione, deferenza, rispetto: «Il referendum non è buono in se stesso, in quanto tale, unicamente perché fa partecipare la gente in prima persona ad una decisione che la riguarda. La sua maggiore o minore utilità dipende dall’oggetto sul quale i cittadini sono chiamati ad esprimere la loro opinione: si possono far votare per prendere decisioni importanti o insignificanti, che possono avere effetti duraturi nella vita del paese o non averne nessuno». Ancora Norberto Bobbio: «Il referendum non è fine a se stesso, è un mezzo per raggiungere un certo fine; ogni partito accetta un referendum e ne rifiuta un altro secondo il giudizio che dà sul fine». Sempre Norberto Bobbio: «Dei dieci referendum che si sono svolti finora in Italia» » attenzione, colleghi -«nessuno ha superato la prova della maggioranza dei voti favorevoli, il che ha avuto questo conseguenza: tanto rumore per nulla». Se lo dicesse Almirante, voi fareste rumore per qualche cosa; in questo caso, però, Norberto Bobbio mi insegna: tanto rumore per nulla, cioè non si è ottenuto nulla malgrado dieci referendum siano stati celebrati sui più svariati argomenti. E ancora Norberto Bobbio: «Quanti sanno davvero che il solo effetto del grande sommovimento sarebbe quello di abrogare leggi esistenti, dopo di che il problema sollevato dal voto popolare ritornerebbe al Parlamento per una soluzione definitiva?». Il punto interrogativo è di Norberto Bobbio. Giorgio Almirante si limita ad una sola osservazione, relativa ai referendum indetti e, tanto per essere chiari, a quello sul nucleare: se, per avventura, il referendum sul nucleare si celebrerà, se per avventura vi sarà il numero sufficiente di voti, se per avventura vinceranno i sostenitori della causa referendaria a proposito di tutti i punti sollevati, le quattro centrali esistenti in Italia resteranno alloro posto, nessuna misura di sicurezza per la vita dei cittadini italiani verrà presa, perché il referendum non tratta questo punto, non si preoccupa della sicurezza, non si preoccupa neppure del nucleare sotto il profilo economico, trattando problemi che inseriscono genericamente al grande tema del nucleare ma non affrontano i due punti essenziali, quello della sicurezza della vita per il cittadino italiano delle zone limitrofe, o comunque non troppo lontane, e quello del rapporto tra il nucleare e lo sviluppo economico e il potenziamento dell’economia nazionale. Sicché si sta facendo (lo dice Norberto Bobbio ed io lo sottoscrivo) tanto rumore per nulla: i capi referendari sono in perfetta malafede, e lo dice un segretario di partito che al referendum è favorevole, perché noi siamo favorevoli agli istituti di democrazia diretta: se si potrà realizzare la soluzione prospettata dall’onorevole Fanfani, se cioè si potrà, magari con un decreto-legge (anche se francamente io ne dubito, ma non pretendo assolutamente di sovrapporre la mia scarsa conoscenza delle cose, signor Presidente, alla sua più completa conoscenza) o con una leggina, modificare l’articolo 34 della legge del 1970 e stabilire scadenze adeguate per celebrare i referendum senza incidere sul necessario scioglimento delle Camere e sulle elezioni politiche anticipate, posso garantire che il Movimento sociale italiano non farà nessuna opposizione e sosterrà bravamente il sì o il no sui vari punti referendari, a seconda di quelli che saranno i nostri punti di vista. E i nostri punti di vista non sono troppo lontani da quelli di coloro che chiedono un certo riordino sul tema della giustizia e anche certe maggiori cautele a proposito del nucleare. Ciò chiarito, onorevole Presidente del Consiglio, posso arrivare rapidamente alle conclusioni. Sul piano costituzionale, signor Presidente del Consiglio, devo ricordare a me stesso (poiché i diretti interessati se lo sono dimenticato, soprattutto l’onorevole Craxi e l’onorevole De Mita ) che il più grosso strappo alla Costituzione è stato rappresentato dalla famosa, o famigerata, intesa del 23 luglio dell’anno scorso, l’intesa denominata «staffetta», che lei ha citato garbatamente e penso con spiritosa ironia. Se vi è stato uno strappo alla Costituzione della Repubblica italiana, se si è spavaldamente sorvolato sui poteri, sulle attribuzioni, sui diritti e sui doveri del Presidente della Repubblica in quanto tale; sui poteri, sui doveri, sui pronunciamenti del Parlamento italiano in quanto tale; sugli stessi doveri e poteri dei segretari di partito interessati (parlo di quello della DC e di quello del PSI), l’occasione in cui si è violata palesemente la Costituzione, in cui si è venuti meno ad ogni norma di correttezza e di buona educazione, è stata proprio quella della «staffetta». Ed è stato proprio lì che si è rivelata anche la pochezza morale (parlo della moralità politica, naturalmente) dei cosiddetti protagonisti, i quali hanno cercato di ingannarsi a vicenda. Tutto il resto lo tralascio, sia per brevità sia perché veramente mi vergognerei di insistere su questa avvilente tematica.

Non esiste una maggioranza, onorevole Presidente del Consiglio. Lei non ha ritenuto opportuno chiedere il voto di fiducia, ma penso che dovrà farlo. Penso comunque che non potrà evitare di chiederlo perché la Costituzione, da questo punto di vista, non teme contraddizioni. Ritengo inoltre che ella si sia trovato in grande imbarazzo nella scelta tra il chiedere o il non chiedere il voto di fiducia, perché un Presidente del Consiglio che sa di non avere una maggioranza e di essere destinato alla bocciatura parlamentare si trova indubbiamente in difficoltà nel momento in cui deve concludere il suo discorso. D’altra parte ella ha avuto un precedente illustre (al solito) nell’onorevole Craxi, il quale è venuto in quest’aula qualche settimana fa per esaltare il suo buon governo ed ha concluso dicendo: ora vado al Senato per svolgere la stessa comunicazione, e si è poi dimesso ingloriosamente senza poter neppure giustificare dinanzi alla sua coscienza le ragioni per le quali un Governo tanto bravo, tanto capace, tanto riformista, tanto riformatore e tanto benemerito (a sentir lui) come il suo doveva poi fare le valigie! Signor Presidente del Consiglio, ho rilevato (spero di essermi sbagliato) un tentativo da parte sua per far riaffiorare il compromesso storico e la relativa tattica. Non dico un’intesa tra lei, con le sue dichiarazioni di ieri, e il Partito Comunista, con quello che è stato detto e pubblicato dai giornali in queste ultime ore (mi riferisco in particolare alle dichiarazioni dell’onorevole Occhetto, che è uno dei massimi responsabili del Partito Comunista e ha continuato a parlare di Governo referendario). Non vorrei, signor Presidente del Consiglio, che ci trovassimo di fronte ad una delle tante operazioni di trasformismo alle quali siamo purtroppo abituati, ormai da tanti anni a questa parte. Auguro, signor Presidente del Consiglio, a coloro che hanno a cuore le sorti della Repubblica italiana, che hanno a cuore il prestigio stesso delle istituzioni e quelle del nostro popolo nei sempre più difficili rapporti con l’Europa e il resto del mondo, auguro anche a tutti quanti voi, che la coscienza vi assista per evitare che la Repubblica italiana affronti situazioni di estremo pericolo. Esiste una sola possibilità: giungere rapidamente alle elezioni politiche anticipate e assumere l’impegno, tutti noi parlamentari, di svolgere una campagna elettorale in positivo, che ci consenta di poter dire al popolo italiano, nel rispetto delle opinioni altrui, nel mantenimento fermo e consapevole delle nostre posizioni: avrete un nuovo Parlamento, un Parlamento capace di dar vita ad una specie di Costituente che riporti ordine nelle istituzioni, che restituisca fiducia nelle istituzioni stesse al popolo italiano, che consenta alle istituzioni di funzionare nell’interesse del popolo! Questo è il nostro obiettivo disinteressato, onorevole Fanfani. Le parla un parlamentare vecchio, o anziano, quasi quanto lei o come lei. Ovviamente, non ho alcuna aspirazione di potere. Noi non abbiamo alcuna aspirazione di potere, e siamo in grado di raccogliere consensi sempre più vasti anche dicendo ai nostri elettori che non li potremo difendere da posizioni di potere, ma che li difenderemo da posizioni di opposizione. Da quarant’anni a questa parte questo è il nostro atteggiamento, questo è il nostro comportamento in Parlamento e nel Paese, e continuerà ad esserlo soprattutto nella ormai inevitabile campagna elettorale.

Buona fortuna agli avversari; noi abbiamo buona coscienza, il che è più importante.”

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