Seduta del 21 febbraio 1951

Le forme di democrazia diretta

Sono trascorsi quasi tre anni dalla elezione della prima Camera repubblicana e questa è chiamata ad approvare una legge di attuazione del referendum previsto dalla Costituzione; è il primo atto di attuazione di un istituto di democrazia diretta al quale il MSI, convinto critico del sistema di democrazia parlamentare introdotto con la Costituzione, guarda con qualche favore. Almirante, pur con riserve sul contenuto della legge, lo dichiara in un discorso succinto che contiene, in nuce, tutti gli argomenti di critica al sistema ed alla crisi delle istituzioni. La proposta in discussione, però, non verrà approvata definitivamente per le forti resistenze dei partiti minori della maggioranza.

ALMIRANTE: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, confesso che nell’ iscrivermi a parlare questa mattina ho obbedito ad una necessità polemica del mio spirito, nata dalla desolante constazione che un problema di così alta importanza non interessi, o interessi molto mediocremente, il Parlamento italiano, o per lo meno la Camera dei deputati. Erano mesi e mesi anzi, per essere più esatti, erano anni – che si sollecitava da ogni parte, con roventi articoli e con importanti polemiche, la discus-sione parlamentare della legge sul referendum.

Sono stati fatti passi, credo, presso il Presidente della Camera perché mettesse all’ordine del giorno come ha poi fatto questa legge, ed io mi attendevo, dato che si tratta oggi di tenere a battesimo una riforma che vorrei definire riforma strutturale democratica di alta importanza, decine e decine di colleghi iscritti a parlare; e, giovane e inesperto come sono a quanto almeno si dice e si sostiene da più parti di democrazia, io mi attendevo di ricevere delle solenni lezioni di democrazia e di metodo democratico dai soloni democratici che di solito si affannano, nelle loro

interruzioni durante i dibattiti politici, a dichiarare, appunto, che da questa parte si è insensibili ai problemi della democrazia, che sarebbero monopolio degli altri settori della Camera.

Gli altri settori della Camera sono, invece, deserti, insensibili; la lista degli iscritti a parlare non Comprende alcun nome di quegli illustri soloni, ed allora, in segno di protesta, mi sono iscritto a parlare. Voglio tenere io a battesimo questa legge, ed è strana sorte che la legge sul referendum abbia come padrini il questore comunista onorevole La Rocca e l’antidemocratico cosi si dice onorevole Almirante. Si parlerà, ancora una volta, di strana collusione fra comunisti e «missini»: la cosa mi lascia perfettamente indifferente, e dirò che, se questa volta se ne parlasse, colui che tentasse di servirsi di simile argomento si troverebbe in difficoltà.

Può sembrare strano a qualcuno che i deputati del Movimento sociale italiano non solo approvino questa legge, ma ne riconoscano la notevolissima e sostanziale importanza.

In poche parole vi dirò i motivi di questo nostro apprezzamento.

Dichiaro apertamente, in primo luogo, che vi sono dei motivi di natura contingente e di natura più politica che giuridica per i quali noi oggi siamo portati ad approvare questa legge e a sollecitarne l’entrata in vigore. I motivi sono evidentissimi. Noi sosteniamo da tempo che esiste un distacco, un solco, che si approfondisce ogni giorno di più, fra quello che viene comunemente definito il paese reale e il cosiddetto paese legale. Noi sosteniamo non soltanto che la maggioranza del 18 aprile, anzi che entrambe se posso esprimermi così le maggioranze del 18 aprile non rispondono alla realtà di fatto che, via via, si è andata stabilendo nella coscienza attiva del paese; ma sosteniamo altresì che l’intero sistema democratico parlamentare, quale lo si è voluto non instaurare ma restaurare, non risponde pienamente né al sentimento, né alle necessità obiettive del paese.

Questa legge viene opportunamente ad offrire la possibilità di saggiare, sia pure su problemi singoli, sia pure su provvedimenti isolati, ma che potranno anche essere di altissima importanza, quale sia l’esatta temperatura del paese, quale sia l’esatto clima politico italiano.

Riteniamo anche e pensiamo di non sbagliare ritenendolo che, dopo l’entrata in vigore di questa legge, una qualche maggiore prudenza potrà esservi da parte di questo o di altri governi nel varare attraverso il voto compiacente di maggioranze, purtroppo sempre disposte a dire sì, anche se le polemiche giornalistiche potrebbero far pensare il contrario leggi che non hanno alcuna rispondenza nelle esigenze obiettive del paese.

Sostenute da parte mia, queste argomentazioni hanno un riferimento ovvio, che mi piace tuttavia sottolineare. Io penso che, quando la legge sul referendum abrogativo sarà entrata in vigore, il ministro dell’Interno troverà non dico nella sua coscienza, ma nella sua sensibilità di ministro, qualche remora nell’ affermare e in Consiglio dei ministri e in Parlamento e di fronte all’opinione pubblica che determinati prov-

vedimenti eccezionali e repressivi sono necessari perché sentiti, perché voluti; in quanto potrebbe allora accadere al ministro dell’Interno e all’intero Consiglio dei ministri, una volta entrata in vigore la norma sul referendum abrogativo, di essere a breve scadenza sconfessati proprio da quell’opinione pubblica di cui essi si dichiarano con troppa leggerezza interpreti. Non credo che l’aver fatto riferimento a questi elementi di natura politica tolga valore ai motivi della nostra adesione al referendum; servirà semmai a chiarire meglio la nostra posizione.

Ma non mi fermo qui. Vi sono motivi di carattere, direi, permanente per i quali noi aderiamo alla legge sul referendum. Noi aderiamo a questa legge in quanto essa si richiama a un concetto più largo, più aperto, più arioso, vorrei dire più sociale, della democrazia.

Con questa democrazia, così come essa è ora intesa, cosi come essa è stata attuata o per meglio dire restaurata dal 1945-46 in qua, noi del Movimento sociale italiano siamo in aperta polemica. Noi non riconosciamo che il sistema democratico parlamentare, così come esso è stato attuato, risponda alle necessità obiettive dei tempi, e soprattutto risponda alle necessità obiettive del paese; e, mentre da ogni parte si va riconoscendo, per lo meno, che esiste una crisi «nel» sistema democratico parlamentare e lo hanno riconosciuto anche esponenti di tutti i settori di questo e dell’altro ramo del Parlamento da parte nostra si insiste nell’individuare l’esistenza di una crisi «del» sistema democratico parlamentare, una crisi che trae origine e individuazione soprattutto dal fatto che le forze sociali, le forze sindacali, le forze del lavoro, nell’attuale sistema, sono costrette a rimanere fuori dello Stato, o addirittura a schierarsi contro lo Stato.

L’onorevole Lucifredi allarga le braccia: debbo ritenere, se posso semanticamente individuare il significato di un gesto, che egli si riferisca, ad esempio, a quanto in materia ebbe a dichiarare tempo fa il Presidente del Consiglio, il quale, avendogli posto un giornalista più o meno lo stesso problema che io sto ponendo in questo momento alla Camera, rispose anche egli allargando le braccia (è un gesto diffuso tra voi!) che il suffragio universale ha già risolto alla base, alle radici questo inserimento. “

LUCIFREDI: “Volevo dire che, fino a prova contraria, gli elettori formano parte integrante dei lavoratori italiani, delle forze dell’economa e del lavoro. “

ALMIRANTE: “Esatto: questa è, appunto, la concezione alla quale si è richiamato l’onorevole Presidente del Consiglio e alla quale si richiamano i sostenitori ortodossi e rigidi non della democrazia, ma del sistema democratico parlamentare, quale esso è stato attuato e restaurato in Italia.

Ora, l’argomentazione del Presidente del Consiglio, ripresa in questo momento dall’onorevole Lucifredi, urta, a mio parere, con la realtà dei fatti la quale ci dimostra come il suffragio universale non abbia di fatto risolto il problema che si deve

risolvere; la quale ci dimostra come di fatto le forze del lavoro, comunque organizzate, siano rimaste al di fuori della organizzazione dello Stato e a volte siano, non dico spinte da interessi estranei e talora sovversivi, ma naturalmente forzate, costrette a schierarsi contro lo Stato.

È questo il difetto fondamentale, è questa la crisi del sistema democratico par-lamentare, non solo in Italia, ma anche altrove. Io confesso di non essere in questo momento preparato ad affrontare il problema in tutta la sua vastità, anche perché non mi propongo affatto di farlo in questa sede (il Presidente avrebbe, allora, ragione di richiamarmi all’argomento), ma polemiche e discussioni di tal genere sono in corso anche in seno ai rappresentanti della maggioranza e alla loro stampa.

Infatti, si leggono resoconti di discorsi pronunziati da autorevoli esponenti, anche della maggioranza, nei quali si afferma (e noi consentiamo in pieno) che è tuttora aperto, è tuttora insoluto, in questo sistema democratico parlamentare, il problema della sintesi fra autorità e libertà. Ed io mi permetterei di aggiungere, chiosando un’affermazione di tal genere, che se il problema della sintesi, dei rapporti, della conciliazione tra autorità e libertà non è risolto dall’attuale sistema democratico parlamentare, ciò deriva dal fatto che l’attuale sistema democratico parlamentare non solo non risolve, ma non affronta neppure il problema dell’inserimento delle forze del lavoro e della produzione nello Stato.

La legge sul referendum pone forse un rimedio alla crisi così concepita? Evidentemente, no. Però ha il merito e il vantaggio di collocarsi al di fuori e al di sopra delle solite polemichette sulla possibilità o meno di rimediare ai difetti del sistema attraverso qualche modifica al regolamento della Camera o del Senato, attraverso qualche piccolo stratagemma di interpretazione costituzionale.

Qui l’Italia si appresta effettivamente ad impiegare un nuovo strumento, a mettersi su una nuova strada. L’onorevole Lucifredi, giustamente, alla fine della sua relazione, esprime dei dubbi e dichiara che «è lecito dubitare che tutti gli elettori del nostro paese abbiano in pieno una siffatta preparazione e maturità», cioè la preparazione e la maturità necessaria e sufficiente per far si che lo strumento delicatissimo del referendum diventi, in ogni caso, uno strumento idoneo.

I dubbi dell’onorevole Lucifredi sono da noi pienamente condivisi: anzi, mi pare che essi siano espressi in una forma fin troppo cauta.

Noi dubitiamo anche (e i risultati delle prove elettorali finora svoltesi in Italia, purtroppo, ce ne danno conferma) che gli elettori italiani non abbiano una mediocre preparazione. Riteniamo però che lo strumento del referendum, se saggiamente impiegato, possa contribuire a innalzare il livello di educazione politica dei cittadini e soprattutto che esso possa aprire un varco in quello che è ormai il buio opprimente del sistema democratico parlamentare così come è stato attuato in Italia e così come per forza degli eventi, purtroppo è stato aggravato dal 18 aprile, che pratica-mente ha reso difficili e aleatorie, se non impossibili e inutili, quelle funzioni di controllo e di vigilanza che il Parlamento deve esercitare sulla maggioranza governativa.

Concludo dichiarando che interverremo nella discussione degli articoli e degli emendamenti. Io ho avuto l’onore di partecipare con una certa intensità ai lavori preparatori di questa proposta di legge e mi permetterò di ripetere qui alcune considerazioni che ho avuto occasione di fare durante i lavori. Desidero non lasciare sfuggire l’occasione per ricordare il contributo appassionato ed intelligente che alla elaborazione di questa proposta di legge diede il compianto onorevole Fuschini, il quale fu per tutti noi maestro di passione e di serietà politica.

Seduta del 29 dicembre 1952

Il duro scontro

sulla legge truffa

Una battaglia memorabile quella sulla proposta dì legge elettorale del Governo De Gasperi e sostenuta in Parlamento dal ministro dell’Interno Scelba, la proposta di legge che diventerà poi la «legge truffa». Almirante si assunse l’incarico della re/azione dì minoranza e combatté con grande impegno una battaglia che poi verrà premiata dagli elettori che non daranno alla maggioranza i voti necessari per far scattare la truffa.

In questa battaglia durissima, con ostruzionismo, alla Camera Almirante venne costretto a parlare nonostante rauco a tarda ora, per svolgere la relazione di minoranza.

ALMIRANTE: “Signor presidente, onorevoli colleghi, mi inchino, naturalmente, alla volontà della Camera. Però il presidente mi consentirà, nella forma più riguardosa, di esprimere la mia protesta per il modo, per l’ora, per l’occasione nella quale mi viene data la parola.

I relatori hanno dei particolari doveri. Ai miei doveri ho fatto fronte. Ritengo però che il relatore abbia anche qualche prerogativa che non il regolamento ma la prassi tante volte invocata sancisce.

Mi sembra assurdo che si dia la parola ad un relatore di minoranza in questo momento, che si obblighi un uomo a prendere la parola su un argomento tanto grave e con le responsabilità pesanti che incombono su ciascuno di noi in questa circostanza, dopo avere, per otto ore, partecipato a una seduta ininterrottamente, ed ascoltato ininterrottamente (e i colleghi possono farmene testimonianza) l’oratore precedente.

Le proteste lasciano il tempo che trovano: la mia è veramente una protesta che il tempo che trova lo ha già lasciato, perché avete già deciso, colleghi della maggio-

ranza, ma non credo che abbiate deciso bene: mi consentirete questo amichevole appunto. Credo che i colleghi della maggioranza abbiano deciso male anche perché la mia parte, pur facendo il suo dovere, come continuerà a fare, per la intransigente difesa dei suoi punti di vista contro questa legge, non ha finora neppure minimamente prestato il fianco ad accuse di ostruzionismo. Io stesso parlerò brevemente, pur senza rifuggire dall’assunzione di precise responsabilità. Però i colleghi della maggioranza, i quali hanno voluto testé decidere di continuare la discussione, dovrebbero ricordare che i deputati del Movimento sociale sono intervenuti ripetutamente in questa discussione, ma sempre in forma di brevità e talvolta addirittura di estrema brevità, come nel caso di un mio intervento sulla proposta di sospensiva dell’onorevole Nenni; e con la stessa brevità sono intervenuti in sede di Commissione: e l’onorevole Marazza può farmi buona testimonianza. Pensavo, quindi, che questo nostro atteggiamento meritasse ben altra considerazione.

Poiché siamo in tema di ostruzionismo e poiché su questo tema si è dilungato il collega Capalozza, io ne parlo rapidamente e senza riferimenti storici. Debbo però fare un riferimento politico, che è reso necessario, di obbligo addirittura, dal messaggio augurale che l’onorevole Presidente del Consiglio ha voluto indirizzare ai deputati italiani, e quindi anche ai deputati di minoranza. Un messaggio augurale per la verità non molto garbato nella forma e neppure nella sostanza, tale tuttavia da indurci a certe meditazioni che hanno occupato questi cinque rapidi giorni di vacanza parlamentare.

Il Presidente del Consiglio ha posto una equazione grave soprattutto da parte sua. Egli ha detto: l’ostruzionismo parlamentare è uguale al sabotaggio della democrazia. Egli ha definito senz’altro sabotatori della democrazia tutti quei deputati di minoranza ed io mi onoro di essere uno di quelli i quali stanno combattendo e combatteranno in tutti i modi naturalmente consentiti dalla Costituzione e dal regolamento la legge elettorale, affinché sia modificata o addirittura ritirata dal Governo.

Mi sembra che il Presidente del Consiglio sia stato piuttosto imprudente in questa sua equazione, perché noi non abbiamo mai praticato un ostruzionismo vero e proprio; comunque, noi non abbiamo certamente paura di una definizione di tal genere e ci richiamiamo alle tradizioni gloriose a cui si è riferito il collega Capalozza.

Mi sembra che il Presidente del Consiglio sia stato imprudente, perché il nostro ostruzionismo è almeno fatto alla luce del sole, o delle tenebre di queste sedute notturne. Noi non abbiamo fatto mistero del nostro intendimento di lottare con tutti i mezzi affinché questa legge non giunga in porto. Ma che dire dell’ostruzionismo clandestino che la maggioranza e il Governo democristiano hanno praticato perché non giungano in porto altre leggi, che pure sono leggi costituzionali? Che dire dell’ostruzionismo clandestino e non coraggioso, aperto e leale come il nostro, attraverso il quale maggioranza e Governo hanno fatto rimbalzare per 3, 4, 5, 6 volte dall’ un

ramo all’altro del Parlamento, con pretesti veramente paradossali e ridicoli, le leggi sul referendum e sulla Corte costituzionale?

Noi abbiamo la lealtà di combattere a viso aperto questa battaglia; noi diciamo che, a nostro parere, questa legge è iniqua e dannosa per il popolo italiano, anche per quei settori che voi rappresentate o che dite di rappresentare. Noi del Movimento sociale, della cosiddetta destra, abbiamo assunto delle precise responsabilità politiche sul piano del nostro gruppo e sul piano personale, e noi combatteremo a viso aperto, di fronte alla opinione pubblica italiana, questa battaglia, e diciamo che non vogliamo che questa legge giunga in porto.

Ma voi non avete avuto mai il coraggio di dire che non volete che la legge sul referendum giunga in porto. Voi non avete mai avuto il coraggio di dire: non vogliamo che le leggi costituzionali giungano in porto. Voi non avete mai avuto il coraggio di dire: non vogliamo insabbiare la legge sindacale. Voi non avete avuto il coraggio neppure di dire: noi non vogliamo insabbiare quella famosa legge polivalente, della quale l’onorevole De Gasperi si è fatta un’arma durante la campagna per le elezioni amministrative recentemente tenutesi nell’Italia meridionale.

Non era forse questo un vostro ostruzionismo? Non era, allora, secondo la definizione illuminata del Presidente del Consiglio, questo modo di agire un sabotaggio della democrazia? E l’avete fatto con metodo, con forme che sono di gran lunga meno oneste, meno chiare, di quelle che questa minoranza sta adottando e ha già adottato. Ecco perché mi sembra che il Presidente del Consiglio sia stato imprudente nelle sue affermazioni, nei suoi auguri natalizi rivolti alle opposizioni. Egli è stato imprudente, e anche inesatto, perché il modo con cui si manifesta l’opposizione a questa legge è dettato da uno stato di necessità.

Io, iniziando questa mia relazione, sono consapevole della mia responsabilità, e qualunque argomento dobbiamo mettere in campo, qualunque argomento che deve sostenere questa nostra convinzione nella opposizione a questa legge, ogni nostro discorso ci fa trovare di fronte a delle posizioni prestabilite. Si sa già, onorevoli col-leghi democristiani, quel che voi volete. Sappiamo già che i nostri emendamenti, anche quelli che potrebbero sembrarvi ragionevoli e accettabili, saranno respinti. Sappiamo già le direttive che sono state date al vostro gruppo parlamentare, perché questo l’avete fatto conoscere.

Da questa situazione di sbarramento, di muro, che non permette neppure il dialogo, deriva una posizione contrapposta, direi anzi che derivano posizioni altrettanto dure, posizioni altrettanto rigide, posizioni infine altrettanto nette. Fin dall’ultima riunione del consiglio nazionale della Democrazia cristiana, sappiamo perfettamente tutto quello che accadrà qui dentro; e di fronte ad un atteggiamento così rigido, di fronte ad una legge che ha come presupposto l’irrigidimento della situazione politica, e l’impossibilità del dialogo per altri cinque anni, chi sa per quanti altri quinquenni elettorali, vorrete… “

Una voce al centro: “Non li conteremo con l’anno romano… “

ALMIRANTE: “Non so in che modo li potrete contare… Di fronte a questo atteggiamento, onorevoli colleghi, parlate pure di sabotaggio, parlate pure di ostruzionismo, ma dobbiamo pur difenderci con i mezzi che la Costituzione mette a nostra disposizione.

Però, da un punto di vista devo riconoscere che siete stati chiari, in quanto soprattutto alle minoranze, e in modo particolare a questa minoranza, avete già detto, prima ancora che questa legge venisse in discussione in quest’aula, quello che volevate fare intendere chiaramente, e cioè che questa legge è un arma contro l’estrema destra (ringrazio l’onorevole Saragat), che questa legge è un arma di lotta contro il Movimento sociale italiano, contro il rinascente fascismo come voi lo chiamate. Vi è una canzone francese che dice: Cet animai est très mechant: on l’attache il se defend. È esatto. Comunque ci difenderemo con i mezzi che la Costituzione mette a nostra disposizione. Questo secondo voi è sabotaggio ed ostruzionismo tale da non poter essere ammesso; questo giustifica i messaggi natalizi agri del Presidente del Consiglio.

Noi riteniamo di no, riteniamo di compiere il nostro dovere, siamo convinti del-la piena legittimità politica della nostra azione parlamentare e continueremo ad ol-tranza su questa strada.

Alla mia relazione devo fare una premessa ottimistica, o per lo meno serena. Mi sembra che la discussione che si è svolta finora sulla riforma elettorale si sia rivelata utile, contrariamente alle previsioni della vigilia, perché l’opinione pubblica ha ormai sufficientemente chiaro dinanzi a sé il significato della legge. E mi sembra singolare il fatto, mi sembra anche positivo ve ne voglio dare riconoscimento -che la maggioranza, contrariamente alle mie previsioni e alle previsioni che nascevano dal contegno della maggioranza stessa in seno alla Commissione, non abbia voluto sfuggire alla battaglia sul piano politico, anzi abbia affrontato la discussione e la battaglia intorno a questa legge proprio sul piano politico.

Dall’atteggiamento della maggioranza in Commissione avevo ritenuto che i deputati di maggioranza in aula si sarebbero rifugiati dietro argomenti costituzionali o pseudocostituzionali, giuridici o pseudogiuridici, e invece come avrò modo di rilevare rispondendo ai singoli oratori della maggioranza, perché intendo svolgere coscienziosamente il mio modesto compito di relatore i deputati della maggioranza che sono intervenuti in aula, e soprattutto i rappresentanti dei partiti cosiddetti minori, hanno affrontato in pieno, dal loro punto di vista, con notevole franchezza il problema politico, sicché il dibattito politico ha fatto progressi lungo il cammino dalla Commissione in aula.

Ha fatto progressi ed è accaduto che abbia prodotto anche dei risultati. La situazione politica italiana oggi non è esattamente quella che avevamo dinanzi a noi

quando la discussione di questa legge ha avuto inizio in Commissione. Si sono rivelate delle perplessità, abbiamo sentito, una volta tanto, in seno alla maggioranza, delle voci discordi, si sono originati dei dissensi, degli screzi, e dei gruppi hanno preso posizioni diverse da quelle che essi stessi avevano preso prima che la discussione avesse inizio.

Tutto questo potrà spiacere ai dirigenti dei partiti, che da questi screzi e da questi dissensi sono stati colpiti; ma tutto questo, a prescindere dal punto di vista dell’opposizione o della maggioranza, non può non far piacere, invece, a un deputato il quale, come me, rileva che una volta tanto qualche risultato una discussione politica approfondita lo ha avuto.

Naturalmente, mi auguro che nel prosieguo di questa discussione altri risultati si ottengano.

E va considerato un altro fatto: certi silenzi significativi da parte di deputati autorevoli di settori della maggioranza, i quali altre volte hanno preso posizioni veementi e chiare in merito a leggi elettorali. Cito per tutti un deputato del quale ho particolare considerazione per le prese di posizione intelligenti e coraggiose che altre volte egli seppe assumere; intendo parlare dell’onorevole Cocco Ortu del Partito liberale. Abbiamo notato la sua assenza e il suo silenzio. Assenza e silenzio dovuti, forse, al fatto che in occasione delle leggi elettorali amministrative egli prese una po-sizione proporzionalista, dalla quale in questa occasione non avrebbe saputo o voluto recedere? Silenzio dovuto forse al fatto che da quando i liberali si staccarono dal Governo egli prese una posizione particolarmente veemente nei confronti di taluni aspetti, tuttora presenti e vivi, della politica governativa?

Non so; però il silenzio dell’onorevole Cocco Ortu mi sembra eloquente quanto la parola dell’onorevole Corbino e dell’onorevole Calamandrei.

Poi, vi è tutto quello che è avvenuto in seno al Partito socialdemocratico, e che voi ben conoscete.

Quindi, vi è una situazione politica in evoluzione; e basterebbe questa considerazione a rendere dubbiosi, o almeno meditativi, molti deputati della maggioranza, che ostentano invece una gloriosa, a mio parere non molto motivata, sicurezza nella bontà della legge in esame.

Problema costituzionale. Mi sembra che la maggioranza non ne abbia valutata a sufficienza l’importanza. Mi sembra anche che la maggioranza ho sentito dire se non sbaglio dall’onorevole Rossi abbia considerato conclusive e definitive in merito le dichiarazioni che sono state fatte dall’onorevole Moro e dal ministro dell’Interno.

Mi sembra che la maggioranza consideri più che chiusa la questione. La questione procedurale è chiusa; la Camera, anzi la maggioranza, ha votato ma la questione non è politicamente chiusa.

Le questioni costituzionali, quando sono serie e gravi e vorrete darmi atto, colleghi della maggioranza, che questa questione costituzionale, comunque voi la consideriate, è seria e grave non si chiudono con un rapido dibattito e con un voto. A parte il fatto che la stessa questione sarà probabilmente riaperta nell’altro ramo del Parlamento, la questione è aperta, credo, nella coscienza del paese. Non si tratta di cavilli, cosi come aveva l’aria di intendere l’onorevole ministro dell’Interno.

Molto rapidamente voglio riassumere gli argomenti che l’onorevole ministro dell’Interno portò contro la nostra tesi di incostituzionalità della legge, per rispondergli in due parole, per dimostrargli che, quanto meno, un’ombra di dubbio dovrebbe ancora sfiorare la sua mente e la mente dei deputati della maggioranza in merito. E siccome mi occupo brevemente dell’intervento dell’onorevole Scelba, e siccome l’altro intervento dell’onorevole Scelba avverrà dopo che io avrò parlato, e non potrò replicare ancora, vorrei pregare l’onorevole Scelba dì non ripetere nel suo nuovo intervento un argomento che probabilmente gli sfuggì nel calore del discorso, sebbene egli sia un oratore avvezzo a non lasciarsi sfuggire frasi incontrollate.

Quando egli rispondeva alla pregiudiziale anticostituzionale, disse, a proposito di questa legge: «È una legge fatta per difendere la democrazia dai pericoli di certe ideologie».

L’onorevole Scelba riconoscerà che una dichiarazione simile sembra fatta apposta per convalidare tutta la nostra tesi, sia sul piano politico che sul piano costituzionale, ma soprattutto sul piano politico.

Quando l’onorevole ministro firmatario e presentatore di una legge elettorale dichiara che tale legge elettorale è fatta per porre un fermo a certe ideologie non discutiamo quali in favore di certe altre ideologie non discutiamo quali il ministro dell’Interno ha già dichiarato e confessato che non di una legge elettorale si tratta, ma di un provvedimento politico per deformare o conformare la volontà del popolo in un determinato modo; il ministro dell’Interno ha già affermato e confessato che non di una piattaforma uguale per tutti si tratta, ma di un piano inclinato sul quale alcuni dovrebbero scivolare e sul quale altri dovrebbero arrampicarsi; egli ha già detto e confessato che non esistono, secondo lui, quelle condizioni di perfetta parità, di perfetta uguaglianza e imparzialità che sono il presupposto naturale di una legge elettorale, qualunque sistema si possa adottare. Infatti l’onorevole ministro dell’Interno ricorderà molto bene che in altra occasione, parlandosi della legge elettorale amministrativa, egli stesso ebbe a dichiarare in quest’aula che presupposto essenziale di qualsiasi legge elettorale è che essa metta in condizioni iniziali di parità tutte le parti politiche, ché, se non mette in condizioni iniziali di parità tutte le parti politiche, si tratta di legge antidemocratica.

L’onorevole ministro si è lasciato sfuggire una frase dalla quale sembrerebbe che, secondo la sua stessa concezione, questa legge sia una legge antidemocratica.

Vorrei pregare l’onorevole ministro dell’Interno di non reiterare questo argomento, o di volerlo chiarire in modo da tranquillizzare l’opinione pubblica.

L’onorevole ministro dell’Interno ha sostenuto fra l’altro che nella Costituzione non esiste alcuna norma in base alla quale la Camera debba essere eletta col metodo proporzionalistico.

E io rispondo: onorevole ministro, è vero; non esiste alcuna norma, ma esistono tutte le norme, esiste tutta la Costituzione… “

PRESIDENTE: “Onorevole Almirante, la questione della costituzionalità fu discussa lungamente ed è ormai risolta. La vorrei pregare di non riproporre la questione. “

ALMIRANTE: “Signor Presidente, ho già spiegato che non intendo riproporre la questione costituzionale. Siccome l’ultima parola in merito è stata detta dall’onorevole ministro dell’Interno e siccome io sto adempiendo qui al mio modesto dovere di relatore di minoranza, penso di poter aggiungere qualche postilla a quello che diceva il ministro dell’Interno. Non intendo dilungarmi, ed ella lo vedrà. Non penso che a un relatore sia preclusa la possibilità di parlare di una questione strettamente attinente. Se questa prassi si applicasse, si sarebbe dovuti essere più rigorosi. Comunque non intendo dilungarmi più di qualche minuto su questo argomento.

Ripeto, onorevole ministro: ella dice che non esiste alcuna norma, io rispondo, e avevo già risposto prima che ella parlasse, che esiste in tutta la Costituzione la proporzionale, e lo ha detto l’onorevole Piccioni in sede di Costituente, ed anche di que-sto io feci richiamo: e i miei non sono richiami storici o preistorici, ma richiami politici, e mi riferisco a un esponente della vostra parte. L’onorevole Piccioni ebbe a dire che la proporzionale, anche se non citata nella Costituzione, è di fatto in tutta la Costituzione, perché proporzionalista è tutto lo spirito della Costituzione. Noi abbiamo tentato di mostrare ciò col sussidio di numerosissimi articoli della Costituzione; avremmo potuto citarli anche tutti, quelli che attestano come lo spirito proporzionalistico sia lo spirito stesso della Costituzione. Non mi sembra che ella abbia risposto con argomentazioni persuasive. Ella ha detto che per il Senato non si è applicato il sistema proporzionale. Ciò è parzialmente esatto. Il sistema che è stato introdotto dalla Costituente per le elezioni del Senato non è un sistema proporzionale, è un sistema misto che si può molto alla larga definire e considerare uninominale, ma in sostanza è una specie di connubio fra la proporzionale con lo scrutinio di lista ed il sistema uninominale. Ma a parte ciò, è proprio questo un argomento a favore delle nostre tesi.

Se nella Costituzione italiana, come in altre Costituzioni, come nel vecchio Statuto albertino, uno dei due rami del Parlamento non è costruito o costituito o non fosse, in questo caso, poiché ho già detto che la sua tesi non mi sembra adatta con sistema proporzionale, cioè non è rappresentativo proporzionalmente dell’opinione pubblica, della volontà popolare, è questa una ragione maggiore perché la proporzionale, essendo stata introdotta per l’altro ramo del Parlamento, venga per esso mantenuta. Se avessimo la salvaguardia di un altro ramo proporzionalmente

eletto, il suo ragionamento sarebbe calzante; ma poiché non lo è, il suo argomento non avrebbe dovuto essere avanzato.

Inoltre il ministro ha affermato che la proporzionale non è la democrazia, perché in paesi di antica democrazia non esiste la proporzionale. Anche dall’onorevole Codacci-Pisanelli oggi abbiamo udito questo argomento. È perfettamente vero. Ma il problema non è se la proporzionale sia la democrazia; e non dovreste essere voi a sostenere il problema in questi termini, tanto è vero che l’ onorevole Russo, della vostra parte, a un certo punto ha detto: «Non ci intendiamo più sul significato di democrazia; non sappiamo più che cosa voglia dire, perché ognuno di noi attribuisce a questo sì importante vocabolo un significato diverso». Il problema è, onorevole Scelba, se la proporzionale sia questa democrazia, la democrazia italiana, cosi come l’avete voluta costruire ed è costruita.

È esatto che la democrazia americana è una democrazia secondo un significato corrente, che altri vorranno contestare ed io non contesto, e che alla sua base non è proporzionale. Esiste una democrazia inglese, che è democrazia, e non è proporzionale. Secondo le sinistre, le democrazie popolari sono democrazie che alla base non hanno la proporzionale! Ma se in America voi mutaste il sistema elettorale, muterebbe tutto il sistema democratico. E si avrebbe in America non una dittatura, ma un’altra specie di democrazia, non consentita e non prevista dalla Costituzione americana. Ripeto un paragone che ho già fatto in Commissione: se, alla vigilia delle recenti elezioni politiche americane, i democratici che erano al potere avessero ritenuto, per ragioni analoghe a quelle per cui noi intendiamo modificare oggi il nostro sistema elettorale, di modificare il loro sistema elettorale e di introdurre, ad esempio, la proporzionale negli Stati Uniti, avrebbero forse essi, così facendo, distrutto la democrazia negli Stati Uniti? Certamente non l’avrebbero distrutta; però essi avrebbero introdotto un diverso edificio democratico, anche se pur sempre democratico, avrebbero mutato il sistema di democrazia, avrebbero sostituito quello ora esistente con un altro.

Ecco quanto noi legittimamente sosteniamo. Noi stiamo mutando sistema. Voi non fate semplicemente delle modifiche ad un testo unico: mutate sistema. Questo noi vi contestiamo.

Ella ha poi detto, onorevole Scelba, che i principi e i precedenti dei quattro partiti di centro garantiscono che non ci si vuole avviare alla dittatura. Ma ella, onorevole ministro, mi permetta di dire che ha scelto un brutto momento, un momento infelice per dire ciò: esattamente il momento in cui voi democristiani rinnegate uno dei principi fondamentali in nome dei quali vi siete battuti da quando siete nati, la proporzionale; esattamente nel momento in cui gli altri partiti della coalizione rinnegano se stessi e si disgregano, voi fate una affermazione di questo genere.

Voi che vi siete presentati al popolo italiano come i vindici, come gli artefici della democrazia e avete inalberato questo vessillo, oggi voi dite al popolo italiano: fidatevi di noi; e lo dite proprio quando state rinfoderando questo vessillo. Permettetemi, dunque, di dire che, per lo meno, avete scelto un momento infelice per dirlo.

Ed infine ella ha detto, onorevole Scelba: non facciamo il processo alle intenzioni.

Onorevole ministro, io la ringrazio di averlo detto, perché io mi sono battuto in questa Camera proprio in nome di questa sua affermazione. Mi sono battuto con lei per qualche settimana quando fu discussa e varata la cosiddetta lege Scelba contro il fascismo, quella contro di noi. Fu in quella occasione che io, per settimane, dissi: non facciamo il processo alle intezioni; non è lecito accusae una parte politica di nutrire mire determinante, quando non si hanno elementi per poterlo affermare.

Sono dunque, lieto che al momento del probile varo o del tentato varo della legge elettorale, ella venga a dire, onorevole Scelba: non facciamo il processo alle intenzioni. Vede onorevole ministro, io sono più generoso di quanto non lo siate stati voi; io non faccio il processo alle intezioni. Io non vi attribuisco mire,io non vi dico che voi, perseguendo l’ intento di varare questa legge, abbiate particolari mire, o finalità. Io non faccio il processo alle intenzioni , perché non ne ho bisogno.

Vi riferiro, tuttavia alcuni stralci di discorso dell’ onorevole Tesauro e di altri oratori della maggioranza da cui risulta chiarissimo che, senza fare alcun processo alle intenzioni, voi attraverso questa legge vi proponete finalità politiche illegittime sul piano della nostra Costituzione e sul piano della dialettica normale dei partiti o dei diti riconosciuti o legittimi delle minoranze. Quindi non processo alle intenzioni; ma se mai, accertamento tempestivo di responsabilità. Questo si.

E vengo alla parte particolarmente politica.

Prima di rispondere agli oratori della maggioranza che osno intervenuti a favore della legge, io vorrei provarmi a sintetizzare rapidamente i risultati politici che finora sono emersi da questo dibattito. E vorrei provarmi a sintetizzarli obbiettivamente, facendo una specie di primo bilancio consuntivo dei risultati del dibattito stesso.

Primo: credo di poter rilevare che questa legge, per il fatto stesso di essere stata presentata in questo momento espime una crisi, una crisi della democrazia ñ per dirla con l’ onorevole Saragat che adesso e assente, e me ne dispiace ñdella democraziapolitica, una crisi della maggioranza, una crisi nella maggioranza, una crisi della democrazia. Non lo diciamo noi, lo dite voi, l’ ha detto il vostro onorevole Russo, il più autorevole tra i colleghi democritstiani che abbiano partecipato alla discussione generale, il quale ha confessato che, dopo sette anni dalla liberazione, dopo cinque anni di Parlamento, non ci intendiamo più sulla democrazia. Io ricordo che cinque anni fa tutti voi senza eccezione sapesate perfettamente che cosa era la democrazia, e rinfacciavate a noi, appollaiati lassù, di non saperlo. Dopo cinque anni, mentre io pensavo di essere stato da voi in questo quinquennio istruito ed educato, onorevole Scelba, confesso che non ne so più di cinque anni fa. Ma voi steesi non ne sapete più nulla. Lo confessote voi stessi di non intendervi più, di non capirvi più. Dite voi stessi che ogni settore qui dentro Attribuisce al termine democrazia un diverso significato e che non è ormai più possibile il colloquio, non è possibile intendersi. Sono i progressi del gambero. Crisi dunque, della democrazia politica, crisi della maggioranza, perché, onorevoli colleghi alchimia verbale a parte c’è una questioncella che voi dovete spiegare non al Parlamento ma al volgare uomo della strada, come si suol dire.

Voi dovete spiegarci, onorevoli colleghi della maggioranza e soprattutto onorevoli colleghi democristiani, come mai, dopo cinque anni dal 18 aprile, voi stessi ripudiate il sistema elettorale che vi portò al 18 aprile. Voi avete lucrato il 18 aprile attraverso la legge elettorale precedente, attraverso la consultazione elettorale e parleremo di quella legge, parleremo delle critiche che le sono state mosse in quest’aula in quella occasione da coloro stessi che la votarono voi avete lucrato cinque anni fa il vostro successo di 306 deputati da una legge elettorale che, a parte talune sue grosse imperfezioni, era una legge elettorale proporzionalista. Dopo cinque anni quando, se le vostre asserzioni fossero vere, se veramente voi aveste la coscienza di aver servito il popolo italiano, se veramente aveste la coscienza di essere divenuti più popolari ancora in mezzo al popolo italiano, di esservi acquistate benemerenze, di aver diritto alla gratitudine dopo cinque anni, dico, quando voi dovreste ottenere vantaggi ancora maggiori, quando dovreste con la proporzionale, con quello stesso sistema, ottenere votazioni ancora più lusinghiere, siete voi stessi che dite al popolo italiano: «Non abbiamo più tanta fiducia in te quanta ne avevamo cinque anni fa. Siamo noi per primi ad essere convinti che, se ci presentassimo a te, popolo italiano, con lo stesso sistema elettorale con cui ci presentammo cinque anni fa, non otterremmo più lo stesso numero di suffragi e quindi di seggi». Siete voi stessi costretti dalle risultanze elettorali e parleremo anche di questo dai risultati delle elezioni amministrative meridionali in ispecie, siete voi stessi costretti a dire: «Alto là, bisogna che la legge elettorale sia riformata, bisogna che prendiamo a tempo debito i nostri provvedimenti, che ci riferiamo a determinati accorgimenti, a determinati calcoli algebrici, perché altrimenti ci vedremo sfuggire di mano la maggioranza». E se questa non è autodenunzia della crisi, autoconfessione di crisi, ditemi voi che cos’è! È una grave tara sulle vostre spalle questa legge elettorale; è un grave peso e una pesante confessione quella che voi state facendo in queste settimane.

Inoltre, questa legge denunzia una crisi nella maggioranza. Questa legge è stata preceduta, come sempre avviene, da una lunga, faticosa elaborazione extra parlamentare, che si è svolta in sede di partiti, in riunioni fra esecutivi di partiti, fra membri influenti di partiti, i quali sono stati sulla scena per alcune settimane. Si tratta dei soliti «quattro evangelisti». Dopo tutto ciò, voi vi siete presentati in Parlamento con la legge elettorale, ma senza un programma politico a quattro concordato, come era nei vostri primitivi piani. I vostri uomini responsabili dissero mesi or sono che il presupposto essenziale di una riforma consiste in un preventivo accordo a quattro e nel presentarsi di fronte al Parlamento e al paese con un programma, e nel momento sesso in cui si chiede al Parlamento un premio di maggioranza, si spiega al Parla-mento e quindi al paese in nome di quale maggioranza (non di quanta maggioranza), con quali programmi e con quali piani si vuole questo premio. Si vuole avere il Governo, ma si deve spiegare: crediamo di essere degni di governare l’Italia per altri

cinque anni, ma dobbiamo pur chiarire anticipatamente al Parlamento e al paese quale programma, quale largo indirizzo questo Governo dovrà seguire. Ma voi non siete stati capaci di portare qui un programma, né un accordo, né un piano. Non solo; ma avete portato qui dentro le vostre beghe e i vostri dissensi politici.

Abbiamo sentito voci discordi su questa legge: lo dimostrerò facilmente. Questa legge è stata politicamente giustificata in modo difforme dai diversi partiti che la sostengono. Per alcuni è un chiavistello per la destra, per altri per la sinistra; per altri ancora, l ‘ una e l’altra cosa. Per alcuni si tratta di politica di centro in difesa di non so quali ideologie contro altre ideologie. Anche il Presidente del Consiglio, nelle sue recentissime dichiarazioni natalizie, si è mostrato in contrasto con se stesso. Una parte di esse è agro-dolce, l’altra dolce-agro. Vi è infatti anche la parte dolce agro nelle recenti dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi. Egli ha detto ai partiti di opposizione: «Di che vi lamentate? Dopo si vedrà. Non vi è che un accordo politico a quattro, il quale però non esclude accordi più larghi». Ma abbiamo sentito dire pochi giorni prima dai rappresentanti della Democrazia cristiana e degli altri partiti che addirittura fra i partiti di centro e tutti gli altri vi è un abisso incolmabile. L’onorevole Russo ha parlato addirittura di una diversa concezione di vita. E l’onorevole Marotta, che pure passa per moderato, ha detto che non c’è assolutamente nulla in comune fra i partiti di centro e le opposizioni. E l’onorevole De Gasperi, pochi giorni dopo, ammette che vi è tanto in comune, che, dopo le elezioni, si potrà vedere. Emerge quindi il solito gioco del compromesso.

Questa, dunque, è una crisi nella maggioranza: è una crisi di orientamento o di disorientamento, che non preoccupa certo noi, ma che dovrebbe preoccupare voi o, per lo meno, l’opinione pubblica.

Seconda constatazione. Onorevoli colleghi della maggioranza, vi dò un triste annunzio: nella prossima campagna elettorale non potrete più sostenere la tesi a voi tanto cara, cara particolarmente all’onorevole ministro dell’Interno, della collusione fra le due estreme opposizioni, perché questa legge, onorevole ministro, dimostra che voi non ammettete, anzi escludete la possibilità di un accordo sia pure di tattica elettorale fra l’estrema destra e l’estrema sinistra, perché se aveste creduto per un solo istante alla possibilità che a questa legge le opposizioni rispondessero unendosi in un patto elettorale, non avreste presentato questa legge che significherebbe la vostra tomba. Avete perfettamente ragione nell’ escludere questa possibilità sul piano tattico perché l’estrema destra e l’estrema sinistra non potranno unirsi elettoralmente; e non lo vogliono e non lo pensano perché sarebbe assurdo per l’una e per l’altra, da qualsiasi punto di vista si consideri la questione. Ma è molto interessante sentirlo dire da voi, perché avete sempre sostenuto il contrario, perché avete fatto balenare di fronte all’opinione pubblica italiana la tesi contraria, vi siete divertiti per anni a dire che gli estremi si toccano nella precisa consapevolezza che gli estremi non si toccavano.Un’ altra constatazione politica che è contraria per voi: non potrete più sostenere ragionevolmente, voi Democrazia cristiana, di fronte ad una opinione pubblica

intelligente quale è quella italiana, neppure la tesi della «diga», la tesi della paura, perché questa legge nasce da un altro presupposto (ed anche su questo sono d’accordo che in linea di fatto potete avere ragione), nasce dal presupposto che le sinistre, da sole, il 50 per cento dei voti non possono raggiungerlo. Perché se voi foste convinti o se aveste anche il sospetto o la vaga paura che la sinistre nelle prossime elezioni di primavera possano in Italia raggiungere e superare il 50 per cento, voi questa legge non la fareste. E se voi foste così folli da presentarla, qualcuno vi avrebbe indotto a ritirarla, qualcuno non vi permetterebbe di correre una simile alea, di correre il rischio di consegnare il potere legale del paese a Togliatti, per togliervi il capriccio di una riforma elettorale maggioritaria.

Questo è noto alla vostra consapevolezza e ciò è rafforzato dalle recenti statistiche elettorali: che le sinistre, comunque le cose vadano, non potranno nelle prossime elezioni raggiungere e tanto meno superare il 50 per cento dei voti. Non venite nella prossima primavera a dire sulle piazze italiane: attenzione qui è la diga della Democrazia cristiana, votate per noi altrimenti il premio di maggioranza cadrà nelle mani dei comunisti. No, questa legge dimostra che voi siete convinti che vi è una maggioranza elettorale solida anticomunista, o quanto meno non comunista in Italia. Questa legge distrugge uno dei vostri principali slogan di propaganda. Forse non avete meditato abbastanza le conseguenze politiche di questa legge di riforma elettorale, conseguenze che potrebbero anche ricadervi sul capo (e naturalmente questo è il mio augurio) come un boomerang.

Altra constatazione di carattere politico: voi avete detto più volte che questa legge rende impossibile ogni alternativa politica di cosiddetta destra. Soprattutto i colleghi dei partiti minori, ma anche i colleghi della Democrazia cristiana non hanno mancato di mettere in rilievo questo fatto. Se ne era reso benemerito in tal senso l’onorevole Poletto, il quale ha ribadito che il fine fondamentale di questa legge, a suo parere (e a parere della Democrazia cristiana poiché non è stato smentito) è quello di impedire alla Democrazia cristiana di essere messa in condizioni, domani, di dover (orrore!) governare insieme con i neofascisti e i monarchici.

Le vostre opinioni noi non le discutiamo. Dovete però ammettere ancora una volta che cade, anche per questo motivo, la vostra tesi della diga o della paura. Perché se quella tesi fosse valida, se vi fosse veramente bisogno a vostro parere della diga anticomunista, se il pericolo fosse tanto grande quanto andrete ripetendo nei comizi elettorali come lo avete ripetuto in tutti i precedenti comizi elettorali, allora non credo, onorevoli colleghi della maggioranza, che guardereste tanto per il sottile; costruirete la diga, direste: ben venga l’aiuto dall’estrema destra, ben ci aiutino i cosiddetti neofascisti o i monarchici. Non venite a dire «difendiamoci»; voi siete preventivamente sicuri che l’estrema destra e l’estrema sinistra non si alleeranno; voi siete sicuri che l’estrema sinistra non supererà il 50 per cento dei voti; voi siete sicuri e tranquilli di potercela fare anche senza l’aiuto dell’estrema destra.

Quindi non andate cercando pretesti attraverso ciò che dice la relazione ministeriale: «situazione eccezionale, pericoli straordinari di ordine interno ed internazio-

nale». Questa legge viene fuori in un momento che voi stessi presupponete normale anche se non tranquillo, poiché nulla è tranquillo in questa fase della vita politica nazionale ed internazionale. Ciò che è anormale è la legge, è il ripiego, la tattica che voi ritenete in questo momento di dover seguire al fine di raggiungere un solo scopo: quello di garantire per voi il potere o per meglio dire il monopolio del potere. Tutti gli altri motivi, tutto il vostro presunto disinteresse, cadono di fronte a questa semplice e, se volete, banale constatazione di fatto.

Di più, la legge deriva, come figlia da madre, dall’esito delle elezioni amministrative in genere, e in particolare dall’esito delle elezioni amministrative nel meridione. Lo avete detto voi, per la Democrazia cristiana lo ha ribadito il sempre benemerito onorevole Poletto e per gli altri partiti lo hanno detto e ripetuto più o meno tutti gli oratori che sono intervenuti: e ciò emerge anche dalle relazioni scritte.

Si tratta pertanto di un dato di fatto obiettivo ed io mi limito a constatarlo perché esso sia messo a verbale e perché tengo fin d’ora a dire che noi lo ripeteremo nelle piazze. È un dato di fatto, cioè, che questa è una legge punitiva di una parte del corpo elettorale italiano. È un dato di fatto che voi, per mezzo di questa legge, reagite al verdetto dato liberamente da una parte del corpo elettorale italiano, da quella parte cioè che intende impedire che si ottenga lo stesso risultato già ottenuto sul piano amministrativo, quando si tratterà di esprimere un voto politico.

È il vostro «vento del nord», onorevole Scelba, è la risposta alle elezioni amministrative meridionali, è il vostro momento azionista. L’azionismo, infatti, ha portato male a coloro che ne sono stati l’espressione: quel partito si è distrutto e non lo ha sciolto lei, onorevole Scelba, si è disciolto da sé perché, come dice l’onorevole Nenni tante volte, «il momento storico era diverso»; il momento storico non è quello dell’azionismo. Comunque queste cose nascono, come è stato dimostrato da quanto abbiamo sentito dire in quest’aula (e anche di ciò riparleremo) e da quanto è stato dimostrato da parte di un deputato che si è espresso molto bene quando ha detto che bisognerebbe vergognarsi di certe vendette. Quel deputato che in quel momento se ne vergognava, adesso non se ne vergogna più, e noi siamo lieti che egli abbia probabilmente meditato come abbiamo meditato noi e come tutti dovrebbero meditare sul fatto che deve essere considerata saggia politica, anzi un dovere da parte della maggioranza e del Governo, prendere atto del modo con cui una parte del corpo elettorale si sia pronunciata, onde trarne le debite conseguenze. Conseguenze che non è necessario, e non è per forza detto, debbano essere in intesa con quella parte politica che il Governo può aver fatto emergere. Conseguenze che possono essere di lotta e di battaglia, di disaccordo sul piano politico, ma che non dovrebbero esserlo sul piano di una legge elettorale, non sul piano di una possibilità che deve essere riconosciuta al popolo italiano di esprimere la sua tendenza, i suoi consensi e i suoi dissensi.

Molte considerazioni che sono state fatte dai colleghi della maggioranza su questa legge sarebbero da ritenere giuste, se essi le avessero fatte non nel periodo pre elettorale per indurre gli italiani a votare in favore del loro partito, o se le facessero

domani nel nuovo Parlamento per conoscere i motivi per i quali si può fare o non si può fare un Governo con una data maggioranza ed una data composizione; ma quando si trasferiscono in sede di legge elettorale, quando si tratta di dare agli italiani tutti uno strumento per esprimere il loro parere e la legge elettorale diventa una legge ideologica o anti ideologica, quando per di più la legge elettorale politica vien fatta in risposta e contro l’esito di una legge elettorale precedente sia pure amministrativa, ciò mi sembra enorme, fuori di luogo, impudente e controproducente da parte vostra.

Sesto punto. La legge nasce dal presupposto che i partiti politici italiani si dividano in due categorie: quelli che possiedono la verità e quelli che non la possiedono; quelli che per definizione sono democratici, quelli che per definizione sono antidemocratici; quelli che per definizione sono al centro della vita del paese, quelli che per definizione sono ai margini della vita del paese. Anche questo l’avete detto voi: è la tesi ricorrente di tutti i discorsi dei deputati di maggioranza.

E allora, onorevoli colleghi, non insorgete se sono proprio io a dirvi e Io dico sinceramente che questa è una legge totalitaria. Il termine «totalitarismo» come del resto il termine «democrazia» sfuma ormai nelle nebbie; ogni partito attribuisce a questo termine un diverso significato: quel che per gli uni è totalitario, per gli altri è democratico, e viceversa. Però credo che un significato sia da tutti ritenuto proprio del totalitarismo e dei sistemi totalitari; si ha il totalitarismo o il sistema totalitario quando nella compagine di uno Stato o nell’ambito di una Costituzione si istituisce la verità di Stato e l’errore di Stato; quando il Governo o la maggioranza stabilisce di fronte all’opinione pubblica quale sia la verità e quale sia l’errore: lì vi è totalitarismo. E credo che questa definizione possa essere accolta da tutti i settori, perché nessuno colpisce ma può comprenderli tutti.

E noi siamo in questa situazione. Noi ascoltiamo discorsi e leggiamo relazioni in cui si stabilisce che siccome quei tali partiti sono democratici possono anche permettersi delle licenze con la democrazia; possono anche permettersi di approvare una legge di questo genere: tanto, si sa, il loro fine non può essere che democratico perché quei partiti sono democratici; mentre altri partiti il nostro, ad esempio che sono a priori antidemocratici, possono anche combattere, come stanno combattendo, una battaglia in difesa della libertà e della democrazia, ma chi sa quali fini totali-tari, tirannici o dittatoriali hanno mentre difendono la democrazia. Questo è totalitarismo, non v’è dubbio; e non è un processo alle intenzioni. Non vi accuso di voler costruire domani una società totalitaria; mi limito a constatare che voi oggi siete perfettamente totalitari.

Settimo punto: la legge nasce sulla volontà, sullo sfondo politico di quella che si potrebbe chiamare una jurnée de dupes, una giornata di inganni, perché questa legge dimostra da parte dei partiti che sperano di avvantaggiarsene il tentativo o la riposta speranza di potersene avvantaggiare non tanto e soprattutto a danno delle minoranze, quanto a danno degli stessi «compagni di cordata», come dice l’onorevole Presidente del Consiglio. Lo dimostrano le famose trattative che faceste

fuori del Parlamento, e che si conclusero in quel famoso modo: cinque seggi in più o in meno.

Cosa dimostrarono quelle trattative? Dimostrarono che l’intento della democrazia cristiana (intento piuttosto palese, più che confessato, dichiarato sia pure a denti stretti) è quello di riuscire, attraverso il congegno di questa legge, ad ottenere per sé sola la maggioranza assoluta dei seggi nel futuro Parlamento in modo da poter sbarcare immediatamente dopo i partiti minori o una parte dei partiti minori, o almeno imbarcare i partiti minori a condizioni.

D’altra parte, anche i partiti minori non ne fanno mistero: lo abbiamo letto sui loro giornali e Io abbiamo appreso dai discorsi dei loro uomini politici responsabili sperano, attraverso il meccanismo politico di questa legge, di poter domani uscire di soggezione e di poter parlare a tu per tu con la Democrazia cristiana la quale ha fatto di loro quel che ha voluto in questi anni; sperano, in altre parole, di poter domani la parola è brutta ma esprime la realtà politica «ricattare» la Democrazia cristiana nelle trattative per i futuri governi.

Non credo che questo quadro sia inesatto, né credo che sia eccessivamente edificante nei confronti della situazione che ha portato alla presentazione di questo disegno di legge.

Voi tutti, democristiani e rappresentanti dei partiti minori, dite che questa legge consacra la validità della formula politica del 18 aprile. A me sembra, alla luce di quanto fin qui ho constatato, dimostrata la vacuità totale della formula del 18 aprile. 1l 18 aprile vi presentaste in quattro, come i quattro moschettieri, ma vi presentaste con un programma, con un manifesto e con un impegno davanti al paese. Stavolta vi ripresentate, i soliti quattro, senza il programma, senza l’impegno, con le trattative sui cinque seggi e, dietro dietro, con il desiderio reciproco di farvi la forca.

Ora risponderò agli oratori che sono intervenuti a favore della legge. Sono molto dolente; ma indubbiamente è colpa mia e dell’ora in cui sono stato costretto a parlare, se la maggior parte di essi non sia presente. Ciò non mi esime dal dovere di replicare alle loro affermazioni. Speriamo che leggano il resoconto e si rendano conto di quanto è stato detto per confutare le loro argomentazioni.

Risponderò anzitutto ai deputati dei partiti cosiddetti minori. Vorranno scusarmi se li chiamo partiti minori, ma sono loro che si chiamano così e mi perdoneranno se, per definirli, uso gli stessi termini che essi usano così volentieri per definire se stessi. “

MARTUSCELLI: “Meglio «satelliti». “

ALMIRANTE: “«Satelliti», no, perché non piace; minori: l’hanno accettato ormai essi stessi di chiamarsi così.

Il Partito repubblicano, onorevole De Vita, che forse è il maggiore fra i partiti minori, per tradizione e per numero di ministri che ha al Governo…”

DE VITA: “È un partito serio. “

ALMIRANTE: “Ne prendo atto: ciò vuoi dire che il Partito liberale e il Partito socialdemocratico sono meno seri… “

DE VITA: “Intendevo dire più serio del suo partito. “

ALMIRANTE: “Scusi, onorevole De Vita, si stava parlando dei partiti minori e io non le ho fatto alcuna offesa, perché stavo dicendo che il Partito repubblicano è il maggiore fra i partiti minori, perché mi sembra che abbia il maggior numero di ministri e sottosegretari; e penso che l’importanza di un partito si misuri anche da questo segno, se non vi sono altri termini di paragone. Ella mi risponde istituendo un paragone con gli altri partiti minori, dicendo che quello è maggiore e più serio; dal che io deduco… “

DE VITA: “Non mi faccia dire cose inesatte. La mia espressione si riferisce soltanto al suo partito. “

ALMIRANTE: “Risponderò per primo all’onorevole Amadeo che ha parlato per il Partito repubblicano. Per occuparmi della tesi del suo discorso dovrei citare una frase che francamente, in un partito tanto serio, mi sembra poco seria. Egli ha detto (cito dal resoconto sommario): «La repubblica è un punto di partenza. Ai sudditi diventati cittadini manca forse ancora il senso dello Stato».

L’onorevole Amadeo crede che la trasformazione da sudditi in cittadini sia avvenuta il 1° gennaio 1948 o il 2 giugno 1946. Io credevo che fosse avvenuta qualche tempo prima, quando si era passati dal regime assoluto al regime costituzionale. È una piccola inesattezza che, in un mazziniano, stupisce.

Egli ha ancora detto che ai sudditi diventati cittadini, secondo lui, manca forse

forse, meno male ! ancora il senso dello Stato. Forse forse, dico anch’io

è l’onorevole ministro Pacciardi che deve educare, con i suoi precedenti, i sudditi diventati cittadini al senso dello Stato. Se l’educazione viene da lui, c’è da disperare sull’avvenire della nostra Repubblica… “

DE VITA: “Quando sono diventati cittadini? Con la marcia su Roma? “

ALMIRANTE: “Penso che lo siano diventati prima, e che lo siano rimasti anche durante e dopo la marcia su Roma… “

DE VITA: “Il popolo italiano ne fu rovinato. “

ALMIRANTE: “Onorevole De Vita, evidentemente simili osservazioni, fatte da lei a me, hanno poco conto e poco peso.

L’onorevole Amadeo ha sostenuto una tesi abbastanza divertente. La sua tesi che chiameremo del «chiavistello», come egli spesso ha detto è che al centro della vita politica italiana c’è una prosperosa e piacente ragazza: la Democrazia cristiana. Sulla illibatezza di questa fanciulla, però, si hanno nell’ambito del Partito repubblicano forti dubbi: cioè si nutrono dubbi soltanto su un settore della sua castità. La Democrazia cristiana ha detto l’onorevole Amadeo è ormai al sicuro dalle tentazioni di sinistra, la loro porta è sbarrata; è invece socchiusa alle tentazioni di destra: a destra c’è qualche baldo giovanotto a quel che sembra che potrebbe anche «indurre in tentazione». Lo ha detto l’onorevole Amadeo: non ha detto queste parole ma il concetto dell’onorevole Amadeo è questo, come ipotesi: sulla destra la porta non è ben chiusa e le tentazioni sono in atto: questa prosperosa fanciulla -la Democrazia cristiana potrebbe lasciarsi indurre in peccato, occorre il chiavistello. E l’onorevole Amadeo, con il Partito repubblicano che è serio offre il chiavistello votando questa legge elettorale.

Egli ha detto «chiavistello» perché è un uomo serio di un partito serio. Forse intendeva dire: cintura di castità. L’onorevole Amadeo con questa legge porge sulla parte destra della Democrazia cristiana una cintura di castità, affinché essa non sia indotta a peccare…

Io non so quanto la tesi dell’onorevole Amadeo garberà alla Democrazia cristiana e ai suoi rappresentanti. Non è molto riguardosa, in verità, questa immagine di una Democrazia cristiana aperta a delle tentazioni che, secondo l’onorevole Amadeo e il suo serio partito, sono naturalmente tentazioni immonde. Ma non so neanche quanto possa questa tesi tornare al prestigio del Partito repubblicano. Gli eredi di Mazzini che fanno da chiavistello o da cintura di castità al partito clericale! Ma è uno strano destino veramente, e le loro tradizioni vanno a finire così!

Badate, non vi è in me ombra di irriverenza verso il partito democristiano quando così Io definisco: è la sua configurazione storica, odierna, così come i repubblicani storici di oggi sono essi a dire che rappresentano la continuità di una certa tradizione, che è quella mazziniana.

Mazzini cintura di castità alla Democrazia cristiana! Doveva pensarci l’onorevole Amadeo prima di sostenere una tesi simile, anche perché, senza risalire all’antico, ma riferendoci ai nostri tempi, si possono citare degli episodi recenti, dai quali risulta come il Partito repubblicano non sia stato sempre, nei confronti della Democrazia cristiana, convinto delle medesime tesi. E se oggi il Partito repubblicano considera la Democrazia cristiana semplicemente e ipoteticamente tentata verso destra, in altre occasioni ha usato verso di essa un linguaggio che direi addirittura insolente.

Il 5 ottobre 1949, riferendosi alla situazione governativa e democristiana, La Voce repubblicana che è un giornale serio così si esprimeva: «L’accaparramento di tutti i posti di comando… è condizione per partecipare effettivamente all’attività pubblica, giacché a questi sviluppi della nostra vita politica si va ormai incominciando ad assistere».

La Democrazia cristiana, oggi, è fanciulla illibata con qualche tentazione sulla destra; ma, allora, nel 1949, quando vi era qualche malumore, quando non andavate bene d’accordo, la descrivevate come una femmina da conio, come direbbe il nostro grande poeta.

Ciò non è molto conseguente.

Poi, nel 1949, a proposito della legge elettorale amministrativa i re magi non erano ancora venuti in quest’aula a portarci la gradita invenzione dell’apparentamento, e quindi si trattava di una legge elettorale, secondo il primo progetto, che ai partiti minori non era molto gradita La Voce Repubblicana inveiva perché vedeva in quella legge un danno per il proprio partito, e, nel numero del 9 settembre 1949, usava termini di questo genere: «La democrazia si snatura e intristisce, e declina verso l’avventura liberticida allorché la maggioranza trascende, allorché vengono soffocate le minoranze».

Oggi non parlate più questo linguaggio nei confronti di una situazione assoluta-mente identica verso le minoranze. Con questa aggravante: che mentre allora si trattava di un dato progetto di legge per le elezioni amministrative, oggi si tratta di una riforma elettorale politica in atto.

L’onorevole Saragat ha fatto un discorso più ampio, più meditato (non posso dire «più serio», perché la serietà è tutta del Partito repubblicano); più concettoso, il quale merita un’attenta considerazione ed una risposta più ampia. L’ho ascoltato attentamente e mi sono accorto che l’onorevole Saragat durante tutto il suo discorso è andato alla ricerca di quello che direi un l eit-motiv, un filo conduttore, un motivo serio al quale appigliarsi: voleva tentare non di ricorrere ai soli espedienti: «pericolo di destra», «pericolo di sinistra»; voleva dare una impostazione organica al grave problema. Non c’è riuscito, a quei che pare, e tenterò di dimostrarlo. L’onorevole Saragat ha cominciato con una banalità. Si è richiamato al Patto atlantico. Poteva farne a meno, non perché quello che egli ha detto, in linea di fatto, dal suo punto di vista, non possa essere riconosciuto esatto. Il Patto atlantico è una realtà, è una legge che abbiamo votato, è un grave problema che ci ha divisi e ci può dividere. È uno dei più gravi problemi. La considerazione di questo problema, cioè della si-tuazione internazionale quale essa è, si deve presentare a noi anche in relazione alle contese elettorali. Ma non qui. Anche l’onorevole Saragat, come ho detto di altri colleghi della maggioranza, ha sbagliato platea, occasione e momento. Egli potrà parlare del Patto atlantico, delle situazioni che esso ha determinato, dei doveri che, secondo lui, tali situazioni comportano nei confronti dei socialisti e dei socialdemocratici, ne potrà parlare al popolo italiano, al suo corpo elettorale, quando andrà cercando di raggranellarlo sulle piazze (per ora egli va a cercarlo in seno al suo partito), per parlargli dell’America e della Russia, della grave situazione in cui siamo tutti impigliati. Ma che egli venga a dirci, qui, che bisogna approvare questa legge elettorale perché c’è il Patto atlantico, ed una situazione internazionale determinata, non è giusto.

Questo mio rilievo non è superficiale e polemico. Non mi pare, immodestamente, che lo sia. È un rilievo grave. Insisto ancora una volta, e mi sembra una considerazione di grande importanza: qui ci stiamo occupando della legge elettorale. Come Camera dei deputati il nostro mandato sta scadendo. La nostra funzione rappresentativa sta venendo meno. Stiamo per passare le consegne al corpo elettorale italiano, perché esso ci dica come vuole essere diretto, rappresentato… “

Una voce al centro: “E governato. “

ALMIRANTE: “Sicuro, anche governato, nel prossimo quinquennio. In questi cinque anni mentre legiferavamo e mentre deliberavamo sui problemi politici interni e internazionali, prima di tutti il Patto atlantico, i richiami del tipo di quello dell’onorevole Saragat erano pertinenti. Col mandato ricevuto nel 1948 si trattava di assumere determinate responsabilità. Ma nel momento in cui questo mandato scade, noi abbiamo un solo compito: mettere il popolo italiano nella condizione di eleggere un altro Parlamento che lo rappresenti. Le conclusioni politiche le trarrà il popolo italiano votando quel Parlamento; le trarrà quel Parlamento quando sarà stato eletto. Sarà in quel Parlamento che l’onorevole Saragat, se sarà stato rieletto, potrà dire: bisogna costituire questo o quel Governo perché c’è il Patto atlantico e c’è questa determinata situazione; un Governo che non fosse costituito nell’ambito dell’osservanza del Patto atlantico potrebbe comportare per il nostro paese determinati pericoli. Oppure l’onorevole Saragat potrà legittimamente fare richiami di tal genere quando, non sempre, si rivolgerà al corpo elettorale e gli dirà: «Vota in questo modo, perché altrimenti il nostro paese andrà verso situazioni di pericolo internazionale».

Qui tali richiami sono fuori senso e fuori luogo, sono assolutamente illegittimi e non hanno validità. Qui si tratta di studiare lo strumento elettorale migliore perché il popolo italiano possa dirci esso stesso, nel prossimo quinquennio, se vuole la politica atlantica e no. Se vuole la politica atlantica come voi l’avete fatta, o se vuole una politica atlantica come altri vorrebbe farla. Non potete evidentemente dare per deciso quello che altri debbono decidere, poiché altrimenti voi vi mettete in una manifesta posizione contraddittoria.

E dopo il richiamo al Patto atlantico, l’onorevole Saragat ha fatto appello, com’è sua abitudine, al concetto di democrazia politica, di cui ha tentato di fare, come dicevo prima, il leit-motiv, il cavallo di battaglia di tutto il suo intervento. Senonché, anche questo suo richiamo è stato imprudente, perché io debbo ricordare non a lui che non è presente, ma ai suoi colleghi, che gentilmente sono presenti e mi ascoltano, quanto l’onorevole Saragat ebbe a dire nel 1950, in un importante intervento che ebbe luogo in seguito alla crisi governativa che ebbe per effetto l’uscita dalla compagine governativa dei rappresentanti del Partito liberale.

L’onorevole Saragat, in quella occasione, ebbe a dire: «La democrazia politica oggi si deve articolare in funzione non di costruzioni di carattere parlamentare o elettoralistico, o di argomenti di tattica, ma si deve articolare in funzione di una esigen-

za fondamentale: la lotta contro la miseria, la lotta per rispondere ai bisogni della classe operaia. Ed è cimentandosi con queste esigenze che la democrazia si deve articolare; è su una pressione d’una politica di quel tipo che noi vedremo come la democrazia si organizza e si manifesta. Altro che articolazione creata in base a vecchie concezioni di meccanica parlamentaristica!»

E allora noi diremo oggi all’onorevole Saragat: quanto egli è mutato da quel tempo! Se, infatti, non fosse mutato, oggi non sarebbe venuto qui con la preoccupazione di cinque deputati di più o di meno, ma con un programma sociale, sarebbe venuto a dire: noi aspiriamo alla maggioranza, perché noi vi portiamo questo bilancio di nostre realizzazioni, di nostre opere a favore della classe lavoratrice, di nostre indagini, di nostri punti di vista, di nostre prove, di nostre prese di posizione concrete.

E, invece, l’onorevole Saragat, che due anni fa predicava sufficientemente bene, sta razzolando ora, mi sembra, assai male. L’onorevole Saragat ci ha detto che gli interessi della classe lavoratrice italiana sono intimamente legati alle fortune della democrazia politica. Ma questa è una frase; una bella frase, se volete, ma soltanto una frase. Per avere ragione di venircelo a dire, l’onorevole Saragat avrebbe dovuto infatti poterci dimostrare che i paladini della democrazia politica hanno fatto qualche cosa per i lavoratori italiani.

Ora, io non dico che non si sia fatto assolutamente nulla; si è lavorato; in certi settori si può anche aver fatto molto, e in certi casi può essere stato fatto poco e male. Ma quello che poteva essere il vostro piano, onorevoli colleghi della socialdemocrazia, non si è realizzato, perché i famosi vostri piani contro la disoccupazione, per la piena occupazione della mano d’opera, il Parlamento non li ha né visti né conosciuti, non ha avuto da voi alcun contributo concreto e positivo che non sia stato quello piuttosto divertente talora, anche piuttosto ameno, se volete, ma non certo producente a favore del popolo, a favore della classe lavoratrice, di tutti i vostri congressi, di tutti i vostri incontri e scontri, del vostro continuo riunirvi e dividervi.

L’onorevole Tremelloni, dopo i vani tentativi che egli personalmente ha compiuto per fare non dico conoscere ed apprezzare, ma leggere e consultare in sede governativa i famosi «piani» che si dice abbia nel cassetto, è riuscito in un quinquennio a promuovere un’inchiesta parlamentare sulla disoccupazione. Cioè, questo medico è riuscito in un quinquennio a mettere il termometro sotto il braccio dell’ammalato! “

Una voce all’estrema sinistra: “Non l’ha ancora messo! “

ALMIRANTE: “E non l’ha ancora messo completamente bene! E allora, se mi dite che questa è la cura, aspettiamo l’altro medico che dia l’olio santo all’ammalato, nelle vesti della Democrazia cristiana.

Mi pare dunque, colleghi socialdemocratici, che in questo stia la debolezza della posizione dialettica assunta durante questo dibattito dall’onorevole Saragat. Egli che tre anni fa enunciava programmi e progetti ottimi a parole, ottimi anche nelle intenzioni che credo senz’altro ottime e sincere, si trova oggi nella situazione in cui si tro-

va tutta la maggioranza, la quale continua a presentare al Parlamento e al popolo italiano programmi e progetti senza accorgersi che il quinquennio è scaduto, che non siamo più in fase di preventivi, ma che dovremmo cominciare a metterci nella fase dei consuntivi. È un consuntivo che si deve fare al popolo italiano! Non può l’onorevole Saragat, in nome della democrazia politica, dire nel 1953 un sunto dei suoi discorsi elettorali del 1948; non può dire: vogliamo edificare la democrazia politica in nome della quale ci batteremo per la fortuna dei lavoratori italiani. Certo che nessuno chiede talismani e miracoli al Partito socialdemocratico, ma non presentatevi anche voi a dire «risolveremo», come diceste cinque anni or sono, senza presentare nessun conticino consuntivo… “

INVERNIZZI GAETANO: “Però Ivan Matteo Lombardo va a Parigi! “

ALMIRANTE: “Ivan Matteo è un simpatico socialdemocratico atlantico, sul conto del quale non oso azzardare giudizi politici. “

VIGORELLI: “Per lo meno, non siamo, come voi, soci di quelli là “

( indica l’estrema sinistra Applausi al centro e a destra).

ALMIRANTE: “Noi siamo dei deputati, i quali in questi cinque anni hanno dimostrato di combattere, qui e fuori di qui, le loro battaglie con una certa chiarezza, lealtà e serietà. È evidente che voi giudicate negativamente la nostra parte politica, tanto è vero che ella, onorevole Vigorelli in persona, dopo aver dichiarato alla stampa essere iniqua la precedente legge Scelba contro di noi, ha parlato a favore di quella legge e l’ha votata. “

VIGORELLI: “È inutile questa discussione. “

DE VITA: “Da un’ora e mezzo parla con aria di sufficienza abusando della nostra cortesia! “

ALMIRANTE: “Il repubblicano storico onorevole De Vita considera un’opera di sopportazione ascoltare un oratore che parla. “

PRESIDENTE: “I commenti facciamoli ciascuno nel proprio animo senza esprimerli, perché sono sempre soggettivi. “

ALMIRANTE: “In questa situazione, colleghi socialdemocratici, mi riferisco ancora al discorso dell’onorevole Saragat mi sembra inutile che Saragat dica, come ha detto qui, che per risolvere la situazione politica italiana Nenni dovrebbe essere Bevan. Nenni non può essere un Bevan in Italia, per la buona ragione, oltre a tante altre io non difendo Nenni, ma rispondo ad un oratore della maggioranza e credo che questo rientri nei doveri del relatore che Saragat non è un Attlee,

non è neanche uno Schumaker, non è uno di quei socialdemocratici, purtroppo stranieri, i quali hanno saputo nei loro paesi e con le esperienze dei loro paesi che io non credo siano ripetibili esattamente in Italia, ma che comunque possono essere prese a monito e ad esempio, perché siete voi stessi che lo fate ogni giorno hanno saputo, dicevo, conciliare le esigenze sociali con le esigenze nazionali. Essi non si sono mai dimenticati degli interessi inglesi, in quanto laburisti, o degli interessi tedeschi; essi non hanno mai anteposto gli interessi della loro nazione agli interessi delle classi lavoratrici e hanno sempre pensato che gli uni andassero di conserva con gli altri. Qualcuno sperò che dal famoso congresso di Firenze qualche cosa di simile potesse o dovesse nascere. Quando in Italia vi fosse stata una socialdemocrazia italiana nel senso che io sto dicendo e che non ha nulla di offensivo nei vostri confronti, perché si tratta di valutazione politica, probabilmente i problemi politici del nostro paese sarebbero stati impostati in modo diverso, probabilmente anche una parte notevole della gioventù italiana avrebbe potuto orientarsi verso simili forme di sociali-smo. Mi pare che proprio voi il vostro partito o alcuni uomini del vostro partito e in particolare Saragat siate venuti meno a possibilità e ad aperture di questo genere.

Quindi mi sembra che non abbiate le carte in regola per muovere rimproveri ad altri uomini di altra parte (ecco perché non difendo affatto la posizione politica dell’onorevole Nenni, e non potrei mai difenderla), ad altri uomini i quali hanno identica o analoga responsabilità, perché in altro senso hanno commesso identici errori. Saragat, oltre alla parte seria del suo discorso, alla quale mi sono studiato di rispondere, si è naturalmente servito anche dei soliti espedienti polemici. E gli è capitato di dire che l’opposizione di estrema destra è costituita da elementi fascisti e monarchici, che tendono a rovesciare le istituzioni vigenti. Questa definizione dell’onorevole Saragat mi sembra semplicistica. Se egli è un socialista come dichiara, egli c’ insegna che la sua democrazia politica non è una democrazia statica, ma una democrazia per lo meno riformista, la quale tende a costituire una società migliore. Per altre vie, con altri metodi, noi pure tendiamo a costituire quella che a noi sembra una società migliore. L’importante è che il presupposto per tutti sia la sovranità del popolo, l’educazione progressiva del popolo. Alla sovranità del popolo, noi che siamo bestemmiati, ci siamo tranquillamente rimessi dopo il 18 aprile 1948. Cinque anni fa il popolo italiano ci assegnò cinque modesti posti su quei banchi. Ce li prendemmo: vi era poco da protestare. In questi anni abbiamo cercato di meritarci dal nostro punto di vista la fiducia di più larghe schiere di italiani. Ci sembra di esserci riusciti. Ora, che cosa chiediamo? Che la sovranità popolare sia rispettata. E ci sembra che ciò non significhi tendere al rovesciamento delle istituzioni politiche vigenti.”

CORNIA: “Non le avete rispettate per venti anni, e oggi avete il coraggio… “

ALMIRANTE: “Io speravo di essere interrotto con argomentazioni più nuove. Per venti anni, io non ho potuto né rispettare né non rispettare alcunché, in quanto mi trovavo nella situazione in cui si trovavano parecchi colleghi di questa Camera, che erano esattamente della stessa parte della mia barricata che, ad un certo punto, per ragioni che saranno pure rispettabilissime, hanno ritenuto di passare dall’altra parte della barricata per rimproverare ad altri torti che avrebbero commesso.

Io, come gran parte degli uomini che vivono oggi in Italia, uomini della mia stessa età, sui 35-40 anni, mi sono trovato di fronte ad una esperienza costruita, di fronte a un sistema, il quale non mi diceva di essere democratico, ma mi diceva di essere nemico della democrazia parlamentare; ci diceva che la democrazia parlamentare era un sistema decadente, ci diceva di essere il sistema della dittatura e che quello era il sistema migliore. Io mi sono trovato dentro quel sistema, sono vissuto in quel sistema: non ho nulla da rinnegare di ciò che ho detto, fatto, pensato, perché ho detto, fatto e pensato nella mia buona fede. Posso avere sbagliato, ma non ho mai approfittato. Dopo mi sono trovato immesso, attraverso fasi piuttosto drammatiche della mia come del resto della vostra esistenza, in un altro sistema.

Il quale non mi ha detto: io sono maggioritario. Mi ha detto: io difendo e difenderò le minoranze, difenderò le libertà delle opinioni, difenderò il popolo sovrano; io rispetterò la sovranità popolare.

Dopo di che, avendo io creduto in buona fede nelle validità di quello che mi si diceva, avendo pensato che per lo meno queste fossero le intenzioni, essendo divenuto come voi deputato in seguito ad una libera elezione, mi sono trovato di fronte agli stessi uomini, o per lo meno a una parte degli stessi uomini, i quali in un problema fondamentale qual è quello della legge elettorale e della sovranità del popolo cambiano sistema, mutano bandiera. Essi, proporzionalisti, diventano anti-proporzionalisti. Essi che dicevano essere il massimo pregio della democrazia parlamentare quello della possibilità di cambiare i governi secondo che la situazione politica si evolvesse, mi vengono a dire che il pregio che bisogna andare a cercare, onorevole Poletto, è la stabilità governativa, di cui mi sono state riempite le orecchie per tanti anni. “

POLETTO: “Si tratta di una cosa molto diversa. “

ALMIRANTE: “La gioventù italiana ha il diritto di protestare per il modo con cui venite meno alle vostre promesse. Non avete il diritto in questo momento di dire a noi: per venti anni ci avete dato la dittatura. No! Noi abbiamo creduto di aver servito bene l’Italia come l’abbiamo servita. Abbiamo fatto il nostro dovere, Io continuiamo a fare ora, abbiamo creduto nel vostro sistema, non vi abbiamo dato rivoluzione di piazza, non vi abbiamo creato problemi sovversivi e clandestini, non abbiamo fatto cellule: abbiamo fatto un partito politico il quale vi ha presentato sulle piazze italiane il suo programma, la sua bandiera, le sue insegne e che più o meno ha ottenuto la fiducia di una parte pur piccola del popolo italiano. Siamo entrati come deputati in un regime che c’ è stato detto democratico, dopo cinque anni voi.

cambiate le carte in tavola e quando vi accusiamo di ciò (pacatamente e comunque assumendo la nostra responsabilità) ci dite «ma, venti anni fa (questa è la favola del lupo e dell’agnello), ci intorbidaste le acque». Siete voi che avete intorbidato le acque prima e dopo, questa è la realtà.

Quando poi l’onorevole Saragat dichiara che verso l’estrema sinistra non esiste da parte sua alcuna pregiudiziale di carattere assoluto ma solo una impossibilità contingente di natura internazionale, allora io non so se questa dichiarazione vi trovi perfettamente consenzienti. Questa dichiarazione mi sembra piuttosto grave, per due motivi.

In primo luogo perché offre all’estrema sinistra un’arma polemica formidabile. Pare quasi che la barriera fra la socialdemocrazia e l’estrema sinistra sia costituita soltanto dalla impossibilità contingente di natura internazionale. Pare vero cioè, per la socialdemocrazia, che la decisione relativa alla politica atlantica mantiene un determinato schieramento e che il Partito socialista uscirebbe da quello schieramento se le condizioni che l’onorevole Saragat considera contingenti mutassero.

Non è una posizione molto meditata, anche perché l’onorevole Paolo Rossi qui presente ricorderà la scena commovente (a me l’hanno raccontata) che ebbe luogo al teatro dell’Opera quando egli, con suo abile, pacato e brillante intervento fece credere ai poveri ingenui della Democrazia cristiana che la socialdemocrazia non fosse più materialista e marxista. Fu un uragano di applausi. Egli lucrò, con la sua abilità dialettica, in quell’occasione più applausi dell’onorevole De Gasperi e dell’onorevole Gonella nei loro interventi. Fu il vero eroe di quella giornata congressuale. E poi l’onorevole Saragat viene qui a dire ai democratici cristiani: badate, dall’estrema sinistra ci dividono ragioni contingenti di carattere internazionale; il che significa: noi siamo marxisti e materialisti quanto loro, legati alle loro dottrine, ai loro principi. Se domani Eisenhower e Stalin si incontrassero e si mettessero d’accordo, quelle ragioni contingenti potrebbero cadere. Mi pare che l’onorevole Ivan Matteo Lombardo, che ritengo sia più furbo (non vorrei che nascesse un nuovo screzio nella social-democrazia, per carità!), abbia «capito il latino» e sarà d’accordo nel ritenere che non vi convenga dichiarare che dall’estrema sinistra vi dividono soltanto contingenti motivi di politica internazionale.

Non si fonda un partito politico su dei contingenti motivi. Allora è un partito contingente, è il partito del contingente e, per meglio dire, del contingente internazionale, neppure di un contingente italiano, un partito fondato su ragioni contingen-ti di vita interna? Il che significa che se, su contingenti motivi che sfuggono alla vo-stra responsabilità, alla vostra attenzione, alla vostra decisione, un partito politico al di fuori non soltanto delle vostre direttive ma del nostro paese prendesse determinate decisioni diverse, il vostro partito si troverebbe immediatamente allineato con quei partiti contro i quali da anni state combattendo una battaglia che al popolo italiano nelle piazze avete fatto credere sia non solo una battaglia di motivi contingenti e di tattica elettorale ma di principi dottrinari e di fondo.”

VIGORELLI: “Il fascismo è contingente! “

ALMIRANTE: “Allora vuol dire che quando avrete tenuto il potere per venti anni, cambierete il Governo. “

Una voce al centro: “Voi siete finiti piuttosto male! “

ALMLRANTE: “Ma in questi giorni sembra che voi piuttosto siete finiti male, se proprio ci tenete a parlare di fine. “

LA MARCA: “Pensiamo alla Provvidenza, la quale è senza limiti… “

ALMIRANTE: “Malgrado la parentesi rosea nei rapporti tra socialdemocratici e democristiani, malgrado l’intervento davvero prudenziale dell’onorevole Paolo Rossi al teatro dell’Opera, lo stato d’animo dell’onorevole Saragat e della socialdemocrazia in generale nei confronti della Democrazia cristiana deve essere rimasto ancorato ad una affermazione dell’onorevole Saragat medesimo, fatta nell’ottobre del 1950 e pubblicata su La Giustizia. Egli diceva allora: «Si deve constatare che i democratici cristiani non sono altro che dei liberisti ortodossi, voglio dire rimasti alle teorie di Bastiat che circolavano negli ambienti capitalistici di fine ottocento».

Un’affermazione simile non scandalizza certo l’onorevole Ivan Matteo Lombardo; ma, probabilmente, un certo scandalo potrebbe suscitarlo nelle file socialdemo-cratiche ortodosse, e non molto piacere suscita tra le file democristiane. E anche quando l’onorevole Saragat si richiama, come ad un ancoraggio, alla situazione internazionale, mi sembra che esso ancoraggio sia relativamente valido. Sentite come si esprimeva La Giustizia, circa un anno fa: «Se gli Stati Uniti si accordassero con Franco (si parlava allora dei rapporti americano-spagnoli), lascerebbero supporre un totale capovolgimento dei fondamenti morali della politica degli Stati Uniti».

Onorevoli colleghi socialdemocratici, certo ciò a voi dispiacerà, ma gli Stati Uniti in questi giorni, come sapete, si sono accordati con Franco.”

LOMBARDO IVAN MATTEO: “Seguendo certi accordi fatti dalla Russia e dall’Argentina… “

ALMIRANTE: “Ma anche questa considerazione porta acqua al mio mulino. Ad iniziativa anche di altre nazioni che avevano sempre dichiarato di porre determinati sbarramenti contro la teoria franchista, anche gli Stati Uniti si stanno mettendo d’accordo con Franco. Gli Stati Uniti hanno preso importanti iniziative internazionali per raccomandare che Franco, al dì fuori dei vincoli del sistema atlantico, possa entrare a far parte di quel sistema senza, badate bene, chiedere alla Spagna la stessa contropartita e, diciamo così, di primo letto dell’alleanza atlantica.

E allora hanno sbagliato l’onorevole Saragat e i socialdemocratici quando hanno preteso d’ impostare, un anno fa, in termini morali questo problema internazionale? Sbagliano oggi quando lo impostano vagamente in termini contingenti? “

VIGORELLI: “Ma ella sta facendo la relazione sulla socialdemocrazia! “

ALMIRANTE: “Sto rispondendo agli oratori che sono intervenuti; e rispondo in particolar modo alle argomentazioni addotte dall’onorevole Saragat a difesa della legge elettorale, così come risponderò a quelle degli altri oratori degli altri partiti. Ho dedicato un po’ di tempo al discorso dell’onorevole Saragat, perché mi è sembrato un discorso di una certa ampiezza e serietà.

Se mi consentite, un mio modesto avviso è questo: le radici dei guai del vostro partito stanno nel fatto che questo partito non sta dicendo quello che vuole; che questo partito imposta volta per volta problemi di fondo o problemi morali, problemi di gran fondo come problemi contingenti e tattici. Dovete mettervi d’accordo con voi stessi prima di reclamare un premio di maggioranza dal popolo italiano.

Concludo con una citazione che riguarda personalmente l’onorevole Vigorelli. E ricorderò come ella stessa, onorevole Vigorelli, mi abbia dato ragione in anticipo quando in quest’aula, il 18 novembre 1949, in occasione di quella che fu definita la piccola crisi del 1949, ebbe a dire: «La nostra azione del Governo si è diluita ed annullata in quella generica ma numericamente soverchiante degli altri partiti. E ne abbiamo assunta la corresponsabilità senza che ci fosse possibile affermare con anticipo la nostra azione e far prevalere nel Governo la nostra direttiva neppure in quei settori che erano stati confidati alla nostra apparente direzione».”

VIGORELLI: “Questa è la risposta a ciò che dicevo poco fa. “

PRESIDENTE: “Onorevole Almirante, la prego di concludere. “

ALMIRANTE: “Sono arrivato all’ultima citazione per dimostrare all’onorevole Vigorelli che mi sto occupando non del Partito socialdemocratico o della socialdemocrazia ma della legge elettorale. Voi, socialdemocratici, in questo momento vi presentate in Parlamento e di fronte all’opinione pubblica affermando di voler rinnovare per un altro quinquennio il patto del 18 aprile 1948 e dichiarate che in nome di questo rinnovato patto, voi chiedete addirittura al popolo italiano un premio di maggioranza. Ma voi, socialdemocratici, non avete le carte in regola per fare tale dichia-razione perché il popolo italiano in questi cinque anni ha visto che voi quel patto non lo avete potuto osservare; ha visto che voi, dopo essere venuti qui con un impegno politico, questo impegno non lo avete potuto mantenere. E non mi sembra questo un buon biglietto da visita per la futura consultazione elettorale alla quale vi presentate con le stesse tare originarie che in questi cinque anni si sono rivelate a vostro carico.

Per la socialdemocrazia ha parlato l’onorevole Calamandrei, del cui discorso, naturalmente, non ho ragione di occuparmi in particolare, perché rispondo soltanto a coloro che hanno parlato in favore della legge. Però, siccome all’onorevole Calamandrei hanno risposto oratori democristiani, ed in particolare l’onorevole Russo, i quali hanno rilevato che egli si sarebbe contraddetto quando ha sostenuto che il premio avrebbe potuto essere considerato legittimo se concesso ad un partito che da solo avesse superato il 50 per cento dei voti mentre è da considerarsi illegittimo essendo assegnato ad un gruppo di partiti, mi sembra che non vi sia contraddizione con quanto ha detto in proposito l’onorevole Calamandrei. Egli si è limitato a farvi osservare che è contraddittorio da parte vostra definire «premio alla maggioranza» quello che dovrebbe essere un premio alle minoranze riunite insieme, mentre non sarebbe contraddittorio definire premio di maggioranza quello che venisse assegnato a quel partito che da solo avesse conseguito la maggioranza assoluta dei voti.

Acuta, però, mi sembra l’osservazione dell’onorevole Russo all’onorevole Calamandrei. Il collega Russo ha detto che il discorso dell’onorevole Calamandrei è stato il discorso della disperazione. L’onorevole Calamandrei non ha suggerito uno «sbocco». Egli ha detto: impossibile in questo momento l’alleanza con l’estrema sinistra per le solite ragioni contingenti o meno; addirittura inaudita l’alleanza con l’estrema destra; illegittimo il premio di maggioranza, cioè la situazione in cui si po-ne l’attuale maggioranza. Quindi non ha presentato uno sbocco e può darsi che sia stato quello dell’onorevole Calamandrei il discorso della disperazione. Badate, però, che questo argomento si rivolge contro di voi e non contro di noi, perché è il discorso della vostra disperazione. “

POLETTO: “No, è il discorso della disperazione dell’onorevole Calamandrei! “

ALMIRANTE: “Voi non siete in disperazione perché di fronte ai vaticini oscuri delle Cassandre che si levano in seno a quella che fu la maggioranza compatta del 18 aprile, vi tappate le orecchie. Badate, quando delle Cassandre entro un recinto di mura assediate si levano e fanno dei vaticini e gli altri si tappano le orecchie per non sentirli e dicono che sono grida di disperazione, sono pur sempre grida di disperazione che vengono da settori vostri, che si sono presentati insieme con voi il 18 aprile e che hanno combattuto insieme con voi tutte le battaglie politiche in questo quinquennio.

Qualche parola desidero spendere sul Partito liberale per cui ha parlato lungamente l’onorevole Cifaldi, che mi spiace molto di non veder presente. Comincio con il riportare fedelmente le sue affermazioni fondamentali che sono veramente importanti. L’onorevole Cifaldi ha detto testualmente: «Se le elezioni si svolgessero con la legge elettorale del 1948, cioè con la cosiddetta proporzionale impura, la composizione dell’Assemblea risulterebbe probabilmente per il 36-37 per cento socialcomu-nista, per il 40 per cento circa democristiana e per il 20 per cento monarchico-missina. I partiti minori praticamente scomparirebbero». “

POLETTO: “Il 20 per cento ai monarchico-missini è abbondante! “

ALMIRANTE: “Ho citato le parole testuali dell’onorevole Cifaldi, il quale ha concluso dicendo che, ove si facessero le elezioni con quella legge, i partiti minori praticamente scomparirebbero e, quindi, scomparirebbe anche il collega Cifaldi a meno che non fosse compreso in quel 4 per cento che egli grosso modo ha attribuito a tutti i partiti minori nel loro insieme. Da questa constatazione fallimentare l’onorevole Cifaldi non ha tratto alcun insegnamento di ordine politico; non ne ha tratto un monito, sia pure tardivo, a cambiare politica, a migliorare l’organizzazione del suo partito ed a collaborare alla migliore organizzazione degli altri partiti che scomparirebbero. Egli ne ha tratto una sola conseguenza: se si fanno le elezioni col vecchio sistema, noi alla Camera non torniamo più; ma siccome noi vogliamo tornare alla Camera, bisogna modificare il sistema elettorale. Badate che anche questa seconda affermazione, in termini press’ a poco duri come quelli nei quali io li ho manifestati, è dell’onorevole Cifaldi, il quale ha dichiarato che egli così parlava e si batteva in favore della riforma elettorale testualmente «nella speranza che il Partito liberale possa tornare in quest’aula con rappresentanti più numerosi». Più chiari di così non si potrebbe essere.

Naturalmente, l’onorevole Cifaldi si è accorto che occorreva ricercare anche qual-che giustificazione politica ad affermazioni così gravi; e allora ha cercato anche la giustificazione politica. In primo luogo ha cercato una giustificazione al suo riconoscimento che le posizioni del Partito liberale si sono polverizzate, e la sua risposta è questa: «Il quadripartito non è stato durevole perché i partiti minori non erano sorretti da una sufficiente forza parlamentare».

L’onorevole Cifaldi va a peso nel giudicare le passate elezioni e le prossime elezioni; è andato a peso anche nel giudicare la crisi dei partiti minori se la rappresentanza parlamentare fosse stata non più capace, non più adeguata, ma numericamente più consistente egli ragiona la crisi non ci sarebbe stata.

Ha risposto anche all’altra domanda: perché mai bisogna a tutti i costi che i liberali tornino più numerosi. La risposta è questa: per evitare il pericolo grave che la Democrazia cristiana cerchi appoggi a destra, nel qual caso la sinistra non avrebbe altra alternativa che il ricorso alla piazza.

Anche l’onorevole Cifaldi, come già l’onorevole Amadeo, vuol costruire sulla destra della Democrazia cristiana una cintura di castità, per il pericolo che la Democrazia cristiana si lasci sedurre dai richiami della destra politica.

Ha, ancora, l’onorevole Cifaldi aggiunto che, per conseguire questo scopo, cioè per impedire che la Democrazia cristiana possa essere indotta in tentazione, non era neppure sufficiente il 50,1 dei seggi, ma occorreva il premio di maggioranza perché egli ha detto, prevedendo tutte le eventualità in cinque anni possono esservi dei mutamenti di valutazione e di convincimenti politici. Quindi questa legge serve: primo, ad ovviare ai mutamenti di valutazione e di convincimenti politici che nel

passato quinquennio si sono determinati nell’opinione pubblica e nel futuro Parlamento: è una legge ombrello per il passato e per l’avvenire.

Ora, all’onorevole Cifaldi e ai liberali maggioritari che siedono in questa Camera noi dobbiamo ricordare qualche cosa. In primo luogo, dobbiamo far rilevare loro che, secondo quello che essi stessi hanno dichiarato qui dentro, i liberali in questo quinquennio non sono riusciti, quando erano al Governo, a far prevalere una loro linea; quando sono usciti dal Governo a dare un significato purchessia alla famosa opposizione costituzionale della quale hanno tanto parlato: ed è estremamente facile documentare questo. Bisogna ricordare quello che diceva l’onorevole Cocco Ortu in questa Camera al tempo della crisi del febbraio 1950. L’onorevole Cocco Ortu disse: «La nostra decisione di oggi (cioè quella di uscire dal Governo)…. “

PRESIDENTE: “Credo che simili letture non siano più necessarie, data l’ora. “

ALMIRANTE: “Signor Presidente, questa lettura politicamente mi serve: la risparmierei alla Camera se eventualmente non mi servisse dal punto di vista politico.

Dunque, l’onorevole Cocco Ortu diceva, quando i liberali si staccarono dal Governo: «La nostra decisione di oggi mantiene tutto il proprio peso nonostante voi, perché essa risponde all’anelito e alla volontà della parte più politicamente evoluta del popolo italiano, quella che vuole si rompa quel dialogo Democrazia cristiana-comunismo (e non democrazia-comunismo, come ha detto oggi il Presidente del Consiglio), dialogo che non può intristire oltre e permanentemente la vita politica italiana. Con una tale decisione» quella dell’uscita dei liberali dal Governo «ci siamo assunti un grande onere e una grande responsabilità: quella di dare al paese una opposizione costituzionale, rompendo questo dialogo che la Democrazia cristiana o la parte più avveduta di essa avrebbe forse voluto protrarre fino alla prossima consultazione elettorale.

Il Partito liberale si presenta oggi alla Camera dicendo di voler garantire che la Democrazia cristiana non volti a destra. Ora, finché asserzioni di tal genere provengono dai socialdemocratici, finché affermazioni di tale natura provengono perfino dai repubblicani, possono essere prese sul serio dall’opinione pubblica, la quale può ritenere che il Partito socialdemocratico o anche il Partito repubblicano chiedano domani alla Democrazia cristiana una politica più socialmente avanzata di quella che essa non sarebbe indotta a condurre per suo conto. Ma che una simile posizione venga assunta qui dentro e di fronte all’opinione pubblica dal Partito liberale, è veramente troppo!

Voi tutti sapete e furono soprattutto i socialdemocratici a metterlo in rilievo in occasione della crisi politica del febbraio 1950 che il Partito liberale uscì dalla coalizione governativa per due motivi: la riforma agraria e la legge elettorale, un motivo di carattere sociale e uno di carattere elettorale. Essi uscirono dal Governo perché non erano d’accordo sulla riforma agraria, che ritenevano non importa se

avessero ragione o torto socialmente troppo avanzata e troppo demagogica; uscirono dal Governo perché ritenevano che il Governo facesse una politica decisamente sinistroide; si ritirarono dal Governo perché volevano tutelare una politica di destra e combattevano la politica di sinistra, che il Governo, secondo loro, avrebbe fatto.

E dopo due anni vengono qui a dire di volere entrare nel nuovo governo per impedire che esso sbandi sulla destra. Qui si raggiunge veramente il colmo, soprattutto quando posizioni simili ci vengono raccontate, non dirò sostenute, da un liberale di Benevento, l’onorevole Cifaldi.

La posizione politica e sociale del Partito liberale dell’Italia meridionale noi la conosciamo tutti a memoria. Siamo stati a Benevento anche noi e in ogni parte dell’Italia meridionale, e sappiamo a quali ceti e a quali interessi si richiami il Partito liberale. E non ne facciamo affatto una colpa ai deputati liberali, né ai rappresentanti del liberalesimo meridionale in genere. Essi rappresentano quelle posizioni, hanno diritto di rappresentarle, e possono anche dire di averle rappresentate in molta parte con una certa dignità, se hanno avuto i voti e le posizioni politiche che hanno lucrato. Ed essi, che rappresentano la borghesia elevata del mezzogiorno d’Italia, che rappresentano ceti feudali del Mezzogiorno, vengono poi qui in aula a raccontarci, attraverso un rappresentante eletto da quegli ambienti, che hanno la missione sacra di garantire che il Governo conduca una politica di sinistra, dopo che hanno lasciato quel Governo perché conduceva, secondo loro, una politica di sinistra. Questo è veramente l’assurdo degli assurdi: si tratta di una posizione che uomini politici responsabili non dovrebbero sostenere in un Parlamento serio.

Non dica, dunque, l’onorevole Cifaldi e non dicano i rappresentanti liberali di voler tutelare la politica sociale della Democrazia cristiana, che ha bisogno di molti tutori per l’impostazione di una politica chiara, ma non ha bisogno dei tutori del Partito liberale. Ripeto, vi faccio grazia delle molte citazioni che darebbero un peso maggiore ai miei argomenti.

Per il Partito liberale ha parlato anche brevemente l’onorevole Colitto, il quale ha detto (cito testualmente) che il Partito liberale è favorevolmente disposto a ridurre l’entità del premio di maggioranza al minimo possibile. Nessun rappresentante è qui del Partito liberale ma vorrei avere una risposta, se possibile, e l’avremo comunque in sede di emendamento; io vorrei chiedere: l’onorevole Colitto ha parlato a nome del Partito liberale o no? Le dichiarazioni degli altri liberali qui dentro e fuori di qui sembrano smentire quanto egli ha detto, eppure egli lo ha detto, dicendo di poterlo dire in nome del partito. Anche il Partito liberale ha nel suo seno diverse tendenze rappresentate in vario modo? Lo sapremo quando i liberali prenderanno posizione sugli emendamenti.

E vengo alla Democrazia cristiana. Molti colleghi si sono lamentati per il fatto che nessuno dei «magni rappresentanti» della Democrazia cristiana e del Governo a parte l’onorevole Scelba, che ha parlato sulla pregiudiziale abbia preso la parola nella discussione generale della legge elettorale. Si sono lamentati molti che

abbia parlato come massimo esponente, come il più autorevole anche per il posto centrale che gli è stato riservato nella discussione generale, il giovane collega onore-vole Russo e non l’onorevole Gonella. Io personalmente sono lieto che abbia parlato l’onorevole Russo. E spiego il perché. Sono lieto anche che non abbia parlato l’onorevole Gonella. L’onorevole Gonella, se avesse parlato sulla legge elettorale, ci avrebbe impartito una delle sue deliziose lezioni sullo «Stato forte». Io ne ho sentite parecchie di lezioni sullo Stato forte da esponenti più autorevoli e autorizzati ed anche più sintetici nelle loro manifestazioni oratorie. Non mi avrebbe né interessato né divertito molto una lezione postuma sullo Stato forte da parte dell’onorevole Gonella. Sono anche lieto che abbia parlato l’onorevole Russo, perché l’onorevole Russo è un giovane collega della mia generazione e sono portato naturalmente a prestar fede alla sincerità di un collega come l’onorevole Russo più di quanto non potrei essere portato a prestare fede alla sincerità di colleghi più esperti nell’arte politica. Parlo quindi con una specie di tendenziale simpatia nei confronti dell’intervento dell’onorevole Russo, il che non mi può impedire, naturalmente, di fare su questo intervento le mie osservazioni critiche.

Anche per l’onorevole Russo devo dire quello che ho detto per l’onorevole Saragat. Mi sembra che anche l’onorevole Russo abbia sbagliato platea e occasione. Egli ha fatto nascere con una certa efficacia, sullo sfondo di questa legge, le forche di Praga. I suoi colleghi di sinistra hanno risposto urlando. Si poteva continuare all’ infinito. In questi cinque anni quante volte abbiamo assistito a questi duelli oratori fra centro e sinistra, in cui gli uni hanno rinfacciato agli altri sistemi d’oltralpe e d’oltreoceano che risalirebbero o addirittura risalgono alle solidarietà politiche degli uni e degli altri. Ma non si tratta di questo. In questo momento, onorevoli colleghi democristiani, attraverso questa legge il popolo italiano non è chiamato a fare la scelta tra l’Italia e la Russia, né è chiamato a fare la scelta tra l’Italia e l’America. II popolo italiano attraverso questa legge è chiamato a darsi un sistema elettorale che gli consenta di creare il nuovo Parlamento. I tentativi di drammatizzare una situazione che dovrebbe essere normale denunciano uno stato di cattiva decadenza, denunciano un espediente, anche se candido espediente è quello di prospettare, sullo sfondo di questa legge, le forche di Praga.

Si tratta, in questo momento, di dare al paese un sistema elettorale che più gli convenga. I paragoni, i raffronti con altri sistemi, non tornano. Qui siamo in un sistema e non è il caso di mutarlo. È perfettamente inutile dire che altri hanno altri sistemi. Lo sappiamo. Hanno altri sistemi in cui si possono stagliare determinate facilitazioni che possono invogliare taluni popoli ad accettare quei sistemi a preferenza di altri. Vi sono altri sistemi nel cui sfondo si può anche stagliare la sedia elettrica per i Rosenberg, ma nel cui quadro vi sono organizzazioni, sistemazioni che possono tornare piacevoli ad altre genti, che comunque si confanno a quelle determinate si-tuazioni.

Qui, onorevoli colleghi, siamo in Italia ed è perfettamente inutile trasferire il colloquio ad altri paesi. L’onorevole Russo, per la verità, non si è soltanto limitato

a questi espedienti, ma ha anche affrontato il centro della questione, trattando altri problemi e portandosi sul piano di altre argomentazioni cui ora io mi accingo a rispondere. Egli ha detto, anzitutto, che non è da ora soltanto che si tradisce la proporzionale, ma che la proporzionale è stata già tradita quando, nel 1948, furono instaurati dalle sinistre i blocchi elettorali.

Ma se nel 1953 le destre, le sinistre o qualunque altro gruppo dovessero presentarsi camuffate in blocchi elettorali, questa legge lo potrebbe perfettamente consentire. Non è infatti vero, come dice l’onorevole Tesauro, tra le tante cose strane che dice nella sua strana relazione che questa legge è intesa a creare una situazione per legalizzare i blocchi? Se le sinistre volessero presentarsi ancora sotto il segno della testa Garibaldi o sotto qualsiasi altro simbolo, forse che non potrebbero farlo?

La proporzionale è fuori causa. Che cosa hanno fatto le sinistre in quella occasione? Hanno stabilito un piano d’azione fra due partiti che praticamente sono diventati le due facce di un partito solo. Voi dite che questo non è convenuto alle sinistre; l’onorevole Russo, infatti, ha osservato che ciò ha fatto convogliare numerosi voti verso la Democrazia cristiana, diffondendo il panico fra larghi strati dell’opinione pubblica. Ma il problema è un altro; il problema è di dare ai vari partiti o blocchi di partiti, se si presentano in blocco, una rappresentanza adeguata.

D’altra parte l’onorevole Russo lamenta l’esistenza di differenziazione fra i vari settori. Nei riguardi della Democrazia cristiana, un deputato socialdemocratico, l’onorevole Preti, ha trovato una definizione arguta: ha detto che la Democrazia cristiana è il «polipartito». Mi pare abbia ragione. Del resto la stessa Democrazia cristiana dispone di oratori sereni e obiettivi; lo stesso onorevole Russo ha detto che i risultati del 18 aprile non rappresentavano una confluenza di voti di partito, ma rappresentavano piuttosto l’amalgama o il tessuto connettivo di strati diversi del corpo elettorale.

E in effetti la Democrazia cristiana avrebbe potuto fare la politica del polipartito, tentando di conciliare tendenze diverse, tentando di esprimere nel suo seno tendenze diverse, dando nel suo seno l’impulso a tendenze diverse. Ciò essa avrebbe potuto fare. Ma, in verità, quando l’onorevole Russo ha rimproverato al gruppo bloccardo della sinistra di non aver consentito una differenziazione politica, egli non ha trovato un argomento troppo felice: che cosa ha fatto dal canto suo la Democrazia cristiana delle differenziazioni che erano nel suo seno e che pure erano differenziazioni vitali, che rispondevano alla volontà e alla fisionomia del corpo elettorale e che riproducevano, come disse l’onorevole Cappi, una situazione politica obiettiva? Che cosa ha fatto la Democrazia cristiana delle sue tendenze? Come le ha «vitalizzate» la Democrazia cristiana, che ha tanto parlato di vitalizzazione dell’Italia? Che fine hanno fatto i giornali di quelle tendenze?

Ma l’argomento dell’onorevole Russo per giustificare la riforma elettorale è soprattutto un altro: dice che esiste una frattura insanabile fra centro e sinistra e una frattura altrettanto insanabile fra centro e destra; quindi, non possiamo ricorrere

alla proporzionale perché dice la proporzionale richiederebbe, se non oggi, domani, un dialogo fra centro e sinistra e fra centro e destra, dialogo che ritiene impossibile.

Ritenete dunque insanabile la frattura fra centro e sinistra? Non è problema sul quale possiamo intervenire. L’onorevole Russo è stato più drastico dell’onorevole Saragat, perché egli ha detto che il centro è diviso dalla sinistra, oltre che da una concezione politica internazionale, anche da una concezione della vita. Ma egli doveva spiegare al Parlamento la frattura fra centro e quella che viene definita estrema destra: in pratica, cioè, fra la Democrazia cristiana e il Partito nazionale monarchico e il Movimento sociale italiano. L’onorevole Russo ha dichiarato che anche verso la destra la frattura è insanabile. Non ha però parlato di concezione della vita, non ha detto che i nostri settori abbiano una concezione della vita, cioè una dottrina assoluta, incompatibile e inconciliabile con la vostra. Ha detto solamente che i partiti di destra sono nazionalisti e imperialisti e, quindi, sono insanabilmente divisi dai partiti di centro, i quali sono legati alla concezione atlantica e, più vastamente, alla concezione di carattere europeistico, al superamento delle barriere nazionali,

Ma, onorevoli colleghi, parliamoci chiaramente e in termini politici concreti! Patto atlantico: che il partito democristiano sostenga di essere diviso dal Movimento sociale italiano circa la politica atlantica, può essere sul piano parlamentare perfettamente legittimo: quando nel 1949 questa Camera votò per il Patto atlantico, il Movimento sociale italiano votò contro. Spiegammo le ragioni che ora è inutile ripetere, e ci mettemmo in una situazione di opposizione. Ma che voi diciate di essere divisi insanabilmente per quanto riguarda la concezione atlantica e la politica estera dal Partito monarchico, il quale votò a favore del Patto atlantico, mentre i monarchici hanno assunto in tema di politica estera, e atlantica in specie, posizioni talora anche più avanzate delle vostre in senso di maggiore decisione e di maggiore assunzione di responsabilità…..”

BETTIOL GIUSEPPE: “Non è vero: l’onorevole Guttitta ha votato contro! “

GUTTITTA: “Non dica inesattezze, abbiamo votato a favore! Ci vuole una bella faccia di bronzo per alterare così la verità storica! “

AMENDOLA GIORGIO: “Siete tutti atlantici! “

PRESIDENTE: “Onorevole Guttitta, sono piccole distrazioni delle ore piccole….. “

BETTIOL GIUSEPPE: “Io mi riferivo all’ultimo discorso dell’onorevole Guttitta sul bilancio degli Esteri: è stato un discorso di opposizione. “

GUTTITTA: “È naturale. Noi abbiamo un senso di dignità nazionale che non avete voi.”

ALMIRANTE: “Comunque, a parte le polemiche atlantiche, la mia tesi mi sembra estremamente limpida. L’onorevole Russo ha sostenuto essere il centro insana-bilmente diviso da quella che uso chiamare la estrema destra, cioè il Movimento sociale e il Partito monarchico, per il fatto che la estrema destra sarebbe anche in blocco antiatlantica. Io invece ricordo che il Partito monarchico è tra i partiti che votarono in favore del Patto atlantico, e che facendo pure le loro opposizioni vivaci alla vostra politica estera, cioè al modo in cui avete attuato e realizzato, per quanto riguarda la responsabilità italiana, la politica atlantica, ha sempre sostenuto la necessità di tale politica. D’altra parte non mi pare che a voi della maggioranza sia lecito sui vostri giornali attaccare Achille Lauro, presidente del Partito monarchico, perché fa i telegrammi a Eisenhower o a Truman, e poi dire che il Partito monarchico è un partito antiatlantico.

Non potete sostenere le due tesi senza essere in contraddizione con voi stessi. Sostengo anche che quando l’onorevole Russo ha dichiarato essere insanabile la frattura fra il centro e l’estrema destra in blocco, perché sarebbe nazionalista e imperialista, l’onorevole Russo doveva dare esaurienti spiegazioni. Perché la estrema destra in blocco in questo caso anche il Movimento sociale italiano quando si è trattato di passare dalla nazione agli accordi europei, ai famosi pool, sì è espresso favorevolmente, o per lo meno, quando ha fatto le sue riserve, ha fatto delle riserve che non intaccavano mai il principio. Abbiamo avuto ripetute volte l’occasione di dichiarare che non consideriamo affatto tengo a ripetere questa dichiarazione che da parte nostra è assolutamente sincera la nazione, l’ideale nazionale, il sentimento nazionale come preclusivi di più vasti accordi, di più vasti legami, come preclusivi di quei superamenti che sono in atto e che ci auguriamo non siano illusori come molte conferenze climatiche europeistiche e federalistiche che servono soltanto a far passare gradevolmente qualche giorno in riviera, ma siano progressi autentici ed effettivi.

Che cosa vuol dire che l’estrema destra è imperialista? Forse che abbiamo nostalgia di un impero che c’ è stato? Può anche essere. Non mi vergogno di aver nostalgia di un impero. Ma da questo ad essere imperialisti ci corre. Non c’è nessuno di noi così folle da sognare un neo imperialismo italiano o un neo imperialismo europeo. Abbiamo i piedi per terra. Siamo nazionalisti, l’abbiamo dichiarato in molte occasioni, ma il nazionalismo ce lo insegnate voi, ce lo insegnano i socialisti, ce lo insegna l’onorevole Capalozza che ha trovato dopo otto ore di fatica la passione per citarvi Stalin, che ha invitato i partiti socialisti ad elevare alta la bandiera della nazione.”

SPIAZZI: “Nazionalismo è orgoglio; patriottismo è amore, “

ALMIRANTE: “Queste sono parole. Ella è padre di famiglia come lo sono io, e mi insegna che quando un padre ama i propri figli n’ è anche orgoglioso. L’orgoglio di nazione, quando esso induce ad amare la propria nazione e a volere il suo bene, non è da condannare. S’intende rispettando le altre nazioni, quando queste rispettano la nostra.

L’onorevole Russo ha, dunque, dichiarato essere la legge necessaria perché esiste una barriera incolmabile fra il centro e l’estrema destra, in quanto l’estrema destra sarebbe nazionalista e imperialista. Ma egli ha fatto un’altra osservazione interessante. Ha dichiarato che la Democrazia cristiana sta perdendo voti verso destra a causa della sua politica sociale. È una affermazione strana. Che cosa vuol dire l’onorevole Russo? Che coloro che votarono per la Democrazia cristiana e oggi votano per il Movimento sociale italiano o per il Partito nazionale monarchico sono coloro che sarebbero stati colpiti dalla politica sociale della Democrazia cristiana? Prendiamo l’esempio di Roma, dove il Movimento sociale italiano è passato da 50 mila voti nel 1948 a 150 mila voti nel 1951. A Roma vi sono forse 100 mila grossi agrari e industriali, i quali, colpiti dalla politica sociale democristiana, si sono indotti a votare il Movimento sociale? Mi augurerei che la situazione italiana fosse questa e che l’incremento in voti del Movimento sociale e del Partito nazionale monarchico fosse dovuto ai grossi capitalisti i quali, scontenti della politica della Democrazia cristiana, si riversassero nelle nostre file. Ciò vorrebbe dire che in Italia vi sarebbero milioni di grossi capitalisti. E allora si potrebbe facilmente risolvere la situazione economica del nostro paese togliendo a costoro una parte del mal tolto o dell’indebito. Ma non è così. I centomila elettori in più che abbiamo avuto sono stati reclutati fra le file dei disoccupati: non fra le file dei… troppopotenti, ma fra le file dei nullatententi, fra le file degli impiegati scontenti della vostra politica, fra le file degli epurati, ai quali non avete dato lavoro o lo avete dato solo in parte.

È questo il nostro incremento. Quando mai si è visto che una politica sociale fa perdere voti al partito che la fa? Vuol dire che avete fatto male la vostra politica sociale. Voi vi lamentate che i voti dei braccianti che vengono messi sulle nuove terre vadano al Partito comunista e in parte al Movimento sociale. Comprendo il vostro disinganno, ma non date torto a coloro che vi votano contro. Guardate se nel vostro sistema vi sia qualche cosa che l’ induca a votare contro, anche quando date loro la terra. È possibile che il corpo elettorale, soprattutto quello dell’Italia meridionale, debba essere bistrattato ogni qual volta vi vota contro? È possibile che non siate indotti da queste votazioni contrarie a fare un sereno esame di coscienza, il quale vi potrebbe forse spingere ad una politica sociale più avveduta?

L’onorevole Marotta, che è uno dei pochi tecnici della legge (credo che egli darà un notevole contributo alla discussione degli emendamenti, così come un contributo notevole di consigli egli ha dato in Commissione), ha fatto un discorso sereno, si è fatto ascoltare senza interruzioni. Sebbene egli abbia fatto una affermazione più dura dì quella dell’onorevole Russo, poiché ha detto che i tre gruppi politici italiani non hanno assolutamente nulla in comune, non ha però spiegato sufficientemente una così grave asserzione. Egli ha avuto il torto, sul piano tecnico, di lanciarsi un po’ troppo leggermente contro la legge elettorale del 1948.

Noi siamo le vittime principali della legge del 1948. In base a quella legge, per colpa dei congegni di quella legge, il Movimento sociale italiano ha perso (lo dice la relazione di minoranza di sinistra) quasi la metà dei suoi rappresentanti. Saremmo

stati in 11, siamo venuti in 6: quindi non è certo da parte nostra che si può azzardare una difesa di questa legge.

Però devo fare al riguardo due osservazioni, una contingente o parziale che riguarda noi, ed una più generale. La prima è, onorevole Scelba, che noi siamo sempre disgraziati. Nel 1948, quando eravamo un partito più piccolo di quanto non siamo oggi nell’opinione pubblica, vi è stata sul nostro groppone una legge elettorale idonea a colpire i partiti piccolissimi, e abbiamo perso la metà della rappresentanza. Nel 1953, quando siamo più grandicelli, ci viene sul groppone una legge elettorale che colpisce i partiti grandicelli e favorisce le formazioni minori o minime con quel famoso congegno del quoziente che può raggranellarsi attraverso tutte le circoscrizioni. Un partito minore, inesistente come tale, raggranellando mille voti qui e 2 mila voti là riesce a portare un deputato in Parlamento anche se non ha in alcuna circo-scrizione una posizione sufficiente. Invece potrà accadere, se questa legge elettorale sarà approvata, che i partiti di media portata come il Movimento sociale vedano falcidiata la metà o quasi delle loro rappresentanze.

Siamo quindi molto disgraziati con le leggi elettorali. Sono certo che alla prossima consultazione il Movimento sociale che (come mi auguro) sarà non un partito grandicello, ma un grande partito, sono certo che in quella occasione qualcuno escogiterà una riforma elettorale che cascherà proprio sul nostro groppone.

Vi è, dicevo, un’osservazione di carattere generale. La legge del 1948 era una proporzionale spuria o «zoppa», ma era una proporzionale; l’attuale legge non lo è, malgrado le vostre escogitazioni. In che consiste la differenza? Consiste nel fatto che nell’assegnazione dei quozienti interi la legge elettorale del 1948 era decisamente proporzionale, e il congegno che ha portato alla riduzione della nostra rappresentanza interveniva per falcidiare la distribuzione dei resti. Se nel 1948 il Movimento sociale, anziché riportare quozienti interi nelle sole circoscrizioni di Roma, di Napoli, di Catanzaro, di Palermo, avesse riportato quozienti interi in altre circoscrizioni e un numero molto inferiore di resti, il Movimento sociale, con quella legge, avrebbe portato in questa Camera, se non li, almeno 9 o 10 deputati, e sarebbe stato falcidiato di uno o due rappresentanti. Quella legge incideva sulla distribuzione dei resti. Invece la nuova legge incide sui quozienti interi e stabilisce che ogni deputato sia eletto direttamente con l’intero quoziente e che il maggiore resto dei partiti di maggioranza sia valutato in base al quoziente x, cioè 30 mila o 35 mila, per esempio, e che ogni deputato dei partiti di minoranza, comunque eletto, rappresenti un quoziente x più y, cioè un quoziente che può arrivare fino a 80 o 90 mila voti.

Questa è la differenza; e tutte le disquisizioni sono inutili per dimostrare il contrario, perché questa è la verità.

L’onorevole Poletto viene considerato dai giornali illustrati come un nostro acerrimo avversario: non è vero. “

POLETTO: “Altro se è vero: irriducibile avversario!. “

ALMIRANTE: “Le dimostro che non è vero: ella è un nostro buon amico. Stia a sentire: solo un nostro amico poteva dire ciò che ella ha detto. Cito dal resoconto: «Non ho difficoltà ad ammettere che l’idea di questa legge sia venuta al Governo dopo le elezioni amministrative nel centro-sud. Era doveroso che il Governo prendesse i provvedimenti necessari per evitare ciò che si sarebbe verificato se il risultato delle elezioni generali politiche, fatte in base alla vecchia legge, fosse analogo a quello delle amministrative». Solo un nostro amico può dir cose di questo genere: «Il Governo ella dice dovrà prendere i provvedimenti necessari».”

POLETTO: “Non svisi il mio pensiero in questo modo! “

ALMIRANTE: “Ciò ella ha detto; fra il Governo e il paese ella è disposto a stabilire rapporti di questo genere: una parte del paese, sia pure non eccessivamente grande, ad un certo punto si permette di esprimere un avviso che al Governo non piace (spero che non sia una delle forme democratiche instaurate dalla maggioranza; comunque, alla vigilia delle elezioni è un consiglio imprudente dato da un deputato dello stesso partito)… “

POLETTO: “Non si sa mai…. “

ALMIRANTE: “L’onorevole Poletto istituisce tra Governo e corpo elettorale questo rapporto: una parte del corpo elettorale si è permessa di esprimere un avviso che ai rappresentanti della maggioranza non appare utile ed allora il Governo provvede portando via ai responsabili un certo numero di seggi, perché non è ammissibile secondo la logica della maggioranza che i risultati elettorali politici siano analoghi a quelli amministrativi dato che, se cosi fosse, sarebbe in pericolo la maggioranza stessa. Ed ella, onorevole Poletto, aggiungeva anche: «Se nessuno dei gruppi raggiungerà il 50 per cento, bisognerà fare nuove elezioni.

Siamo arrivati a questo punto. Vi sono state delle elezioni amministrative, con un contenuto chiaramente politico (secondo le vostre stesse ammissioni), che hanno dimostrato un certo orientamento nell’opinione pubblica. Secondo i dettami della vostra democrazia, il Governo deve provvedere per correggere non già l’orientamento dell’opinione pubblica attraverso una controcampagna di propaganda, che sarebbe cosa legittima e anche utile, ma attraverso una legge elettorale la quale rubi una parte di seggi a questa gente la quale, secondo voi, non vuole avere nulla a che fare con i vostri sistemi.

Se poi il corpo elettorale non si comporterà come voi richiedete, allora bisognerà fare nuove elezioni. “

POLETTO: “Solo se non si potrà formare un governo. “

ALMIRANTE: “Se non si potrà fare il vostro governo: il governo che a voi piace. “

POLETTO: “Nessun governo; e lo abbiamo spiegato. “

ALMIRANTE: “Non pretenderete voi che fra l’altro siete, come siamo noi, deputati morituri non solo come partito ma anche come simbolo non pretenderete voi, che non siete del tutto sicuri di rientrare in Parlamento, di sostenere che non si potrà fare alcun governo in una determinata situazione! Come potete predeterminare la volontà non solo del corpo elettorale italiano ma anche dei deputati che verranno in Parlamento? Chi vi dice oggi che la Democrazia cristiana, attraverso il verdetto del corpo elettorale, non invii alla Camera deputati democristiani, sì, ma di tendenza diversa da quella che ella esprime, onorevole Poletto? Deputati cioè i quali ritengano di poter formare un determinato governo, sulla destra o sulla sinistra? Ma crede ella, onorevole Poletto, che il giuoco delle tendenze, il quale è proprio di tutti i partiti, non si riveli in tutta la sua espansione durante la battaglia elettorale anche nell’interno del suo partito, attraverso il giuoco delle preferenze? O vuol chiudere gli occhi di fronte alla realtà? Non sa, forse, che nel suo partito, come in tutti i partiti, questo giuoco di tendenze si è già scatenato e che determinate tendenze, che voi chiamate di destra, le quali nel vostro recente congresso possono aver subito un certo scacco, stanno già organizzandosi per prendersi la rivincita sul piano elettorale?

Siete ben certi che i deputati democristiani che verranno in questa Camera la pensino tutti come voi, come lei, onorevole Poletto? Siete certi che la futura maggioranza se voi l’avrete sia essa assoluta o relativa, sarebbe disposta a fare nuove elezioni, a mettere a repentaglio le proprie posizioni personali; le posizioni di deputati eletti, i quali non vorranno certamente correre l’alea di non esser più eletti soltanto per il gusto di dar ragione a lei, onorevole Poletto? Siete proprio tanto certi di poter vedere nel futuro del vostro partito?

A me sembra troppo frettolosa e troppo grave cotesta vostra posizione anche di fronte al corpo elettorale.

Gli onorevoli Armosino e Scaglia hanno svolto interventi di minor ampiezza. Debbo comunque rilevare un’affermazione piuttosto grave dell’onorevole Armosino. Egli ha detto: «Il Governo aveva predisposto le leggi polivalente e sindacale per affrontare l’attuale situazione politica. Ha dovuto rinunciarvi e non insistervi per l’esigenza di un accordo con altri partiti, mentre è convinto che si tratta di provvedimenti indispensabili per la tutela della democrazia».

E, allora, vedete la magnifica contraddizione. Per la tutela della democrazia si fa un accordo quadripartito; in base all’accordo quadripartito si vara una legge elettorale maggioritaria che deve portare al potere la stessa maggioranza e al Governo gli stessi quattro partiti; però, per la tutela della democrazia, bisogna varare determinate leggi dice l’onorevole Armosino fra cui la polivalente e la sindacale;

tuttavia, se si vuol raggiungere l’accordo, non si possono varare quelle leggi: se si debbono varare quelle leggi va a monte l’accordo. Però, tanto l’accordo quanto le leggi sono indispensabili per tutelare la democrazia. Dopo di che è chiaro che nessuno possa più capire quel che per l’onorevole Armosino significhi democrazia.

L’onorevole Scaglia ha, fra l’altro, enunciato una tesi che non mi sembra valida. Egli ha detto non essere giusto che sia violata la volontà popolare che abbia votato per una maggioranza, consentendosi che questa maggioranza venga rovesciata senza ricorso ad una consultazione popolare.

Questa affermazione non mi sembra esatta. Con la proporzionale non si corre affatto questo rischio. Può soltanto accadere che in seno al Parlamento ed al Governo avvengano delle evoluzioni successive al periodo ed al clima elettorale, e che attraverso queste evoluzioni si abbiano dei diversi aggruppamenti. E, allora, delle due l’una: o questi diversi aggruppamenti, nei momenti in cui essi operano parlamentarmente, risponderanno alla situazione politica del momento, e allora saranno in piedi; o non risponderanno, e allora si arriverà fatalmente ad una nuova consultazione elettorale. Non vedo affatto perché la proporzionale possa essere messa in colpa su questo particolare e specifico terreno.

Ho risposto agli oratori che sono intervenuti in favore della legge. Debbo però replicare brevemente alle relazioni dell’onorevole ministro e dell’onorevole Tesauro.

Quanto alla relazione dell’onorevole Scelba, desidero limitarmi ad alcuni rilievi fondamentali. La relazione comincia con queste parole: «Onorevoli colleghi, nell’ap-prossimarsi della consultazione elettorale…». Sono parole che richiamano il famigerato ordine del giorno Bettiol (ed altri) che comincia con questa espressione: «La Camera, considerata la necessità di modificare la vigente legge elettorale…». Molti colleghi si sono chiesti se sia lecito, morale e democratico modificare il sistema elettorale alla vigilia di una consultazione e sono andati a ricercare i precedenti: e hanno visto che in genere le riforme elettorali hanno preceduto di gran tempo la consultazione elettorale.

Ora, io non mi appellerò a richiami democratici, o storici, né discuterò la liceità politica di questo atteggiamento del Governo. Chiedo soltanto se il Governo si renda conto di quale sia il significato politico di una tale ammissione. Nell’imminenza della consultazione elettorale il Governo chiede di mutare il sistema elettorale. Mi domando se questo non sia un sintomo di quella crisi della Democrazia cristiana di cui parlavo prima.

Nella relazione del ministro Scelba è detto: «La legge serve ad assicurare la funzionalità del Parlamento». Che cosa significa?

Vi è una funzionalità tecnica del Parlamento che consiste nei regolamenti parlamentari. Molte volte si è parlato in questi anni di modificare il regolamento, e alla maggioranza è mancato il coraggio di farlo. Non so se abbia fatto bene o abbia fatto male. Sento in questi giorni molti colleghi democristiani i quali lamentano che la maggioranza non abbia avuto il coraggio di modificare il regolamento. Comunque è una responsabilità della maggioranza.

Vi è una funzionalità costituzionale del Parlamento. Anche a questo proposito sento dire da molte parti che il bicameralismo ha rappresentato un errore ed una remora allo sviluppo normale degli istituti democratici; ma la maggioranza non ha avuto la volontà ed il coraggio di apportare delle modifiche al sistema costituzionale

parlamentare.

Rimane il campo della funzionalità politica del Parlamento. Che cosa significa funzionalità politica? Funzionalità politica è, secondo me, l’equivalente di rappresentatività del Parlamento: tanto più sarà funzionale un Parlamento quanto più sarà capace, non solo nel momento in cui è eletto ma via via nel momento in cui funziona di rappresentare gli orientamenti e la volontà del corpo elettorale che esso deve rappresentare. Ora, voi state per costituire o almeno tentate di costituire, attraverso questa legge, un Parlamento con una rappresentatività non genuina, ma corretta. E voi dite in anticipo che questo Parlamento sarà più funzionale dell’attuale. Vi pare che sarà più funzionale dell’attuale un Parlamento sul quale ricadranno fatalmente delle polemiche e su cui l’opinione pubblica potrà dire: ecco un Parlamento con deputati da 30 mila voti e deputati da 60 mila voti? Un Parlamento in cui, soprattutto nelle fasi polemiche, si dirà dall’opinione pubblica e dall’opposizione in specie: ecco un Parlamento di rubaseggi e di derubati di seggi? Vi sembrerà più rappresentativo e funzionale un tale Parlamento? “

PRESIDENTE: “Mi pare di aver letto ciò anche nella sua relazione scritta. “

ALMIRANTE: “Speravo di essere più felice oralmente. Non potevo supporre che ella fosse stato così diligente lettore della mia relazione scritta, del che molto la ringrazio.

Sorvolo quindi sulle altre asserzioni della relazione del ministro dell’Interno, tranne che su una, che è inserita nella relazione scritta ma che l’onorevole Presidente mi consentirà di ribadire brevemente qui.

II ministro dell’Interno sostiene che questa legge è necessaria perché vi sono, nella situazione politica italiana, dal punto di vista della difesa della democrazia, ostacoli di carattere assolutamente eccezionale rappresentati da movimenti che hanno fini totalitari e dittatoriali.

Risparmio tutta la parte che riguarda i movimenti o i partiti di estrema sinistra, perché è una questione che riguarda i rapporti fra il centro e l’estrema sinistra, che non riguarda noi; ma, siccome la polemica inserita nella relazione ministeriale riguarda anche la cosiddetta estrema destra, e riguarda anche noi, io voglio contestare al ministro dell’Interno in persona la legittimità odierna di questo suo atteggiamento.

L’onorevole ministro dell’Interno è stato presentatore della precedente legge Scelba, la quale parte dal presupposto che possono esistere all’estrema destra partiti a sfondo totalitario e con intenzioni dittatoriali, e stabilisce il modo per eliminare tali partiti dalla vita del paese; di togliere dalla vita del paese tale pericolo, se pericolo vi è.

Noi abbiamo combattuto quella legge, l’abbiamo ritenuta anticostituzionale e illegittima e tale continuiamo a crederla; ma, quando fu approvata e divenne legge per volontà del Parlamento, dicemmo: dura lex, sed lex. La legge esiste, e, se diciamo noi dura lex, sed lex, penso che a maggior ragione dobbiate dirlo voi della maggioranza. E, allora, delle due l’ una: o nel settore dell’estrema destra il settore che voi definite dei nostalgici o dei neofascisti esistono tuttora movimenti che conducono una politica di ispirazione totalitaria, e allora voi non li dovete combattere con la legge elettorale riducendo il loro numero di deputati, ma li dovete combattere con la legge Scelba ( la legge l’avete: l’avete reclamata per tanto tempo, avete il mezzo di agire); oppure, se voi non agite, o ritenete di non dover agire, riconoscete, così comportandovi, una situazione di fatto che non esige l’applicazione della legge che avete fra le mani: cioè riconoscete che non siamo antidemocratici. Allora voi non dovete dar vita a una seconda legge Scelba, con la quale ci si tolga una parte di deputati perché ne porteremmo troppi e con quelli chi sa perché minacceremmo la democrazia. Avete il dovere di essere coerenti.

E sorvolo su tutte le altre argomentazioni in risposta alla relazione ministeriale.

Debbo una breve replica di carattere personale alla relazione Tesauro. Io devo dire all’onorevole Tesauro che non mi sono associato alla campagna condotta contro la sua persona, che non ho menato affatto scandalo perché egli sia stato preside fascista di una provincia e sia poi diventato democristiano e deputato. Tutto ciò mi sembra piuttosto normale in una Camera di deputati che vede parecchi dei suoi membri in condizioni analoghe o, se quelle sono colpe, in condizioni peggiori. Che, se dovessi perdonargli qualcosa, gli perdonerei tutto quello che gli è stato rimproverato dall’estrema sinistra, ma non questa relazione, perché essa è scritta troppo male. In questa relazione si dicono cose di questo genere: «La vita politica va al di là della cerchia ormai angusta delle organizzazioni sociali esistenti ….”

PRESIDENTE: “Onorevole Almirante, le sembra che sia l’ora questa per fare citazioni e commenti?

ALMIRANTE: “Le dirò, signor Presidente, che la sostanza della relazione di maggioranza è tutta qui, perché invano io ho cercato in questa relazione degli argomenti solidi per rispondere alla relazione stessa, perché la relazione di maggioranza di argomenti solidi non ne contiene neppure uno: un esame serio della legge non vi è, né vi è una spassionata e seria difesa della legge contro le osservazioni fatte in Commissione. L’unica cosa seria che trovo in essa è tutta in questo arzigogolare seicente-sco di strane frasi.

Voglio solo dire, signor Presidente, che secondo la relazione Tesauro l’inquadramento delle forze politiche deve avvenire su grandi binari verso i quali le sospingono le ideologie che le informano!

Questi sono gli argomenti della relazione Tesauro!

Noi diciamo ai colleghi del «chiavistello» che non vi sono chiavistelli che tengano. Potrete riuscire a ridurre, se farete varare la legge in tempo e se avrete la maggioranza, la nostra rappresentanza parlamentare. E con questo? Siamo venuti in sei l’altra volta. Non so se siamo cresciuti o no, ma siete voi che ci attestate che il nostro aumento è tale da preoccuparvi. Ciò significa che con una rappresentanza parlamentare ridottissima abbiamo potuto compiere dei grandi passi nel paese. Voi siete venuti qui in 306 e avete bisogno di un premio di maggioranza per garantirvi la maggioranza un’altra volta: ciò significa che, malgrado i vostri tanti deputati, vi sentite in pericolo.

Non è, quindi, con questi espedienti che si può fermare la marcia dì un partito. Io sono fiducioso nella marcia del nostro partito. Voi potrete essere di diverso avviso, ma dovreste essere d’accordo con me nel ritenere che problemi politici di tanta gravita non si risolvono in questa maniera.

Ed a proposito del problema della cosiddetta estrema destra, con tutta serenità vi dico: decidetevi ad affrontare questo problema sul terreno politico. Per un certo tempo avete voluto ignorarlo, abbiamo avuto la congiura del silenzio intorno a noi. Si diceva: non ve ne occupate, «minimizzate» (riprendendo il vocabolo del buon tempo antico)… Poi è venuto il contrordine. Vi è stata la sfuriata del temporale diretto sul nostro capo: legge speciale per noi. Adesso una legge elettorale, che per metà ci è dedicata. E non avete risolto nulla. Il problema è lì, anzi nel paese diventa sempre più vasto. Lo dovete affrontare politicamente. Non potete affrontarlo mettendovi d’accordo con noi. Nei confronti di quella che definite l’estrema destra, dovete decidervi ad attuare una politica conseguente.

Oggi non avete una politica nei confronti di quella che chiamate l’estrema destra. I socialdemocratici ne hanno una. I repubblicani ne hanno una leggermente diversa. I liberali ne hanno una molto diversa, tanto che nelle amministrative le loro sezioni hanno quasi ovunque sollecitato alleanze con noi. La Democrazia cristiana ha un orientamento diverso e comunque delle sfaccettature abbastanza notevoli in materia tanto che non voglio farvi perdere tempo tanto che quando vi fu a Roma la famosa iniziativa don Sturzo il giornale ufficiale della Democrazia cristiana disse che quell’iniziativa era stata presa col consenso del partito democristiano. Questo rivelò per lo meno un momento di follia; ma per un istante, comunque, la Democrazia cristiana si trovò in posizioni politiche diametralmente opposte a quelle che oggi dice essere le proprie. Quindi abbiate una politica in materia! Decidetevi a riconoscere che questo problema politico esiste. Non lo potete cancellare. Qualunque sia l’esito della consultazione elettorale, di questa battaglia pro e contro la legge elettorale, ricordatevi che i problemi politici che in queste settimane sono affiorati in Parlamento ve li ritroverete tutti dinanzi e li dovrete risolvere tutti.

Oggi vi potete presentare con formule elettorali e premio di maggioranza. Oggi potete prescindere dalla soluzione dei problemi politici. Domani non Io potrete. Ritenete voi di conquistare il popolo italiano sulla piattaforma elettorale presentandovi con la formuletta dei cinque deputati in più o in meno? Se si trattasse di resipi-

scenza da parte della maggioranza, io rivolgerei il classico appello agli uomini della maggioranza per dire che essi si legano a forme politiche superate e fallite. Con questa legge essi corrono il rischio di irrigidire forse irreparabilmente la frattura fra gli italiani. Con questa legge essi corrono il rischio di dare ai sovversivi, se ve ne sono e dove si annidano, un’arma formidabile contro tutte le istituzioni che essi dicono di voler difendere.

Io ricordo il detto celebre di Victor Hugo: «Date ai rivoltosi una scheda e toglierete loro di mano una carabina». Se togliete loro la scheda, rimetterete loro in mano la carabina o almeno l’istinto piazzaiolo della rivolta.

Simile appello, soprattutto a quest’ora e in queste condizioni, sarebbe effettivamente inutile.

Mi limito soltanto a concludere dichiarando che non speravo, quando entrai cinque anni fa in questa Camera nel banco degli appestati ai quali nessuno ascoltava, non speravo a cinque anni di distanza di poter parlare a nome dello stesso esiguo gruppo parlamentare, sì, ma a nome di una rappresentanza politica nazionale che indubbiamente sgomenta molti di voi. Ne sono lieto. Questo è il nostro bilancio attivo ed il bilancio sarà attivo anche in seguito. Non ci limiteremo a tornare in maggior numero, come diceva l’onorevole Cifaldi per il Partito liberale. Noi torneremo in maggior numero e più agguerriti per combattere nuove battaglie in difesa della libertà della nazione italiana!”