Marcello Veneziani (Panorama, n.11)
Quando non sanno più a cosa attaccarsi, ricorrono alla Costituzione. Da Sanremo alla piazza, dal Parlamento alla persecuzione di chi non la pensa come il mainstream, il richiamo oggettivo, obbligato, è la Costituzione, che quest’anno compie 75 anni. Magari con l’aggiunta, nata dalla Resistenza. Mattarella ne è il custode, Benigni il cantore, il laudatore istituzionale. Tutto è relativo ma la Costituzione è il valore assoluto, la più bella del mondo, un’opera d’arte. Ma quante volte è stata violata e calpestata da chi la esalta e si fa scudo dietro i suoi dettami?
L’Italia ha una buona carta costituzionale, equilibrata, scritta bene e in modo abbastanza chiaro. Non nacque dal nulla, ma dalla storia. Le sue radici normative italiane furono lo Statuto Albertino e la Costituzione della repubblica romana del 1849. Le sue radici internazionali furono la Costituzione di Weimar, le costituzioni francesi, ma anche i testi di altre grandi democrazie. E tuttavia si avverte il peso specifico della vita, della cultura e delle ideologie italiane.
La Costituzione fu il frutto di un compromesso di alto profilo fra tre culture visibili ed egemoni, più una invisibile e impronunciabile. Le tre culture dominanti furono, come è noto, la cultura laico-liberale, quella di Einaudi, Martino e Croce ma anche quella azionista, di Calamandrei e Giustizia e libertà, per intenderci; la cultura cattolico-democristiana, di De Gasperi, ma anche di Dossetti e di Sturzo; la cultura social-comunista di Togliatti e Nenni, fino a quella socialdemocratica di Saragat.
Ma c’era anche un convitato di pietra, che potremmo chiamare la cultura nazionale del ‘900: la Costituzione e l’ordinamento statale della repubblica italiana ereditarono dallo Stato fascista il Concordato tra Stato e Chiesa, il Codice civile e penale di Rocco, le leggi sulla tutela ambientale di Bottai, la riforma scolastica di Gentile e Bottai, la Carta del Lavoro del ’26, il sistema previdenziale e pensionistico, l’attenzione sociale alla maternità e all’infanzia, il modello economico misto tra pubblico e privato, l’umanesimo del lavoro di Gentile che affiora già nel primo articolo della Costituzione. Aggiungo una considerazione curiosa e irriverente: la Repubblica vinse il referendum perché i fascisti repubblicani non votarono per la monarchia, o perché internati e privati dei diritti politici o perché avversari dei Savoia dopo il 25 luglio. La loro astensione, voluta o forzata, fu determinante per la vittoria della Repubblica… I paradossi beffardi della storia.
Ma passando dalle radici ai frutti, la Costituzione reale e materiale quanto rispecchia la costituzione formale e ideale?
Le leggi speciali in vigore, che puniscono i reati d’opinione non sono una palese violazione del dettame costituzionale e dei diritti? E non suona grottesco l’articolo 34 della Costituzione che riconosce il diritto ai capaci e ai meritevoli in una società, una scuola e università che li calpestano ogni giorno? Triste è il capitolo della Costituzione disattesa, restata sulla carta, sopraffatta dalla prassi. Si pensi al mancato riconoscimento giuridico di sindacati e partiti, alla partecipazione dei lavoratori nella gestione delle aziende, e a tante altre sue parti inattuate. Il primo a citare nei dibattiti politici e parlamentari quegli articoli della Costituzione rimasti lettera morta e a portarli nell’arena polemica dagli spalti dell’opposizione, fu uno che era fuori dell’Arco costituzionale: Giorgio Almirante, che chiedeva di rendere vigenti, efficaci, gli articoli 39,40 e 46 della Costituzione.
Per non dire dei tradimenti subiti dalla Carta lungo la strada, come la violazione del diritto costituzionale dei cittadini di scegliersi i propri rappresentanti, voluta da una legge sostenuta sottobanco da quasi tutti i partiti perché consegna il Parlamento nelle mani degli oligarchi di partito nella compilazione delle liste.
Uno scippo di sovranità su cui nessuna magistratura – anche la stessa massima magistratura, la Presidenza della Repubblica, garante e custode della Costituzione – ha mai eccepito nulla, magari ricorrendo alla Corte Costituzionale. E’ lecito passare dal sistema proporzionale al sistema uninominale e maggioritario e viceversa, ma è incostituzionale negare ai cittadini il diritto di designare i propri delegati, firmando una cambiale in bianco ai partiti. Vi dicono niente poi gli articoli 29, 30 e 31 a tutela della famiglia riconosciuta come “la società naturale fondata sul matrimonio”, oggi vistosamente traditi? E l’articolo 15 che sancisce “l’inviolabile segretezza” della corrispondenza e delle comunicazioni, violato dalla gogna mediatica e la pubblicazione delle intercettazioni? Quante volte è stato calpestato l’art.21 sulla libertà d’espressione? E che dire quando la Costituzione Intoccabile è stata violata senza reagire con la modifica del titolo V sui poteri alle Regioni o con l’inserimento del pareggio di bilancio, il fiscal compact? Ferite gravi all’unità e alla sovranità nazionale e popolare. E non apriamo il capitolo dei diritti costituzionali più elementari violati in tempo di pandemia e di restrizioni sanitarie; poi le forzature con la guerra in Ucraina e il regime di sorveglianza che si è imposto tramite i social e i controlli sanitari, finanziari e mediatici. L’emergenza giustifica ogni cosa. Nessuno solleva queste incongruenze, salvo poi scendere in piazza in difesa della Costituzione intoccabile.
Insomma, la Costituzione sarà bella, ma è come la bella addormentata nel sottobosco.