Nostalgia di De Gaulle, patriota d’Europa
Marcello Veneziani – La Verità -22 marzo 2023
Il fantasma di Charles De Gaulle – che si riaffaccia nella Francia tormentata di questi giorni, in rivolta contro Macron e il suo governo – si è visto aleggiare al Cinema Barberini, a Roma. C’era un film dedicato a lui, presentato su iniziativa di Enrico Pinocci e della Fondazione Giorgio Almirante (io ne ho fatto l’introduzione). Il film, intitolato seccamente De Gaulle, di Gabriel Le Bomin, interpretato da Lambert Wilson, affronta un momento cruciale della vita di De Gaulle e della Francia, quando il Generale, rompendo col governo francese guidato dal Maresciallo Petain che aveva scelto la via dell’armistizio con la Germania occupante – decise di combattere al fianco degli inglesi per liberare la Francia dall’invasore tedesco. Il Paese era in ginocchio ma il generale non si arrese: “la fiamma della resistenza francese non deve spegnersi, non si spegnerà”. Fu in quei giorni drammatici che De Gaulle diventò il leader morale e militare, politico e civile della Francia libera.
De Gaulle proveniva da una famiglia cattolica e nazionalista. Aveva partecipato valorosamente alla Prima guerra Mondiale, agli ordini dello stesso Maresciallo Petain; due anni prigioniero, poi insignito della croce di guerra. Oltre al suo valore militare e alla sua grande ambizione, il film evidenzia le motivazioni profonde che animavano il Generale: l’amor patrio, la fede cattolica e il forte legame con la sua famiglia e con sua moglie che anziché dissuaderlo dalla temeraria impresa, lo incitò ad andare avanti. Patria, Dio e Famiglia furono i principi che lo spinsero a non rassegnarsi. Contro la possente Germania riaffiorava in De Gaulle – e traspare anche dal film – una visione che evoca il pensiero del filosofo Henri Bergson a sostegno dell’intervento francese nella prima guerra mondiale: la Germania rappresenta la potenza meccanica delle armi e dell’apparato bellico; la Francia era chiamata a opporre lo Spirito alla Macchina, lo Slancio vitale alla tecnica e al militarismo. Da qui i suoi incontri con Winston Churchill, a cui chiede e infine ottiene il sostegno; l’alleanza con la Gran Bretagna, i suoi discorsi alla radio da Londra nel nome della Francia libera. Erano due conservatori, Churchill e De Gaulle, e si trovarono poi a Jalta, a fianco del progressista Roosevelt e del comunista Stalin (quando fu eliminato Hitler, Churchill avrebbe detto: “abbiamo ucciso il porco sbagliato, riferendosi a Stalin). Benché vincitori, videro crollare i loro imperi sotto il duopolio Usa-Urss.
Così venne l’ascesa al potere di De Gaulle, le sue grandi riforme, la spinosa guerra in Algeria; poi il suo ritorno da leader politico dopo aver fondato il partito gollista del RPF, la fondazione della Quinta repubblica presidenziale; infine la sua apoteosi nel ’68. Una minoranza rumorosa era insorta nel maggio francese contro la Francia della tradizione e di De Gaulle; ma la maggioranza silenziosa fu col Generale, che trionfò alle elezioni del ’68. Un anno dopo cadde sul referendum per modificare il Senato (come un Renzi qualunque…) e per il decentramento regionale. E si ritirò dalla politica.
Pur essendo un militare, De Gaulle era uomo di lettere e di spirito, grande scrittore di memorie, al punto da sfiorare il premio Nobel per la Letteratura. E pur essendo un soldato si presentò al giudizio del popolo sovrano, restò fedele ai valori repubblicani e fondò la sua leadership sul consenso popolare e sul primato della politica e dello Stato rispetto all’economia, ai poteri transnazionali e alle élite. I suoi nemici lo considerarono un mitomane e un pavone; ebbe sempre a cuore la grandeur francese.
In Italia il gollismo ispirò figure come Randolfo Pacciardi ed Edgardo Sogno; i democristiani del gruppo ’70, tra cui Mario Segni, che sognavano anche da noi la repubblica presidenziale; e Amintore Fanfani, che fu reputato un mezzo De Gaulle, anche per via della breve statura rispetto al Generale spilungone. Quando Francesco Cossiga picconò la prima repubblica e vagheggiò una svolta presidenzialista, fu visto come il nostro De Gaulle; ma lui stesso, più realista, si schermì dicendo che lui era paragonabile piuttosto a René Coty, il presidente della repubblica francese che aveva aperto le porte a De Gaulle. Ma dopo Cossiga da noi non arrivò nessun De Gaulle (venne Berlusconi). La destra missina, invece, pur essendo in sintonia con molte idee di De Gaulle non amò il Generale, per la differente storia alle spalle. Non è un caso che Almirante abbia scritto un libro sul poeta Robert Brasillach che De Gaulle lasciò condannare a morte per il suo “collaborazionismo”; a nulla valsero gli appelli per salvarlo di Albert Camus, Paul Claudel, Jean Cocteau, Colette, Francois Mauriac. In compenso, salvò dalla condanna a morte Petain, per il suo eroico passato, e lo commutò in carcere.
De Gaulle lasciò in eredità alla Francia e all’Europa il primato della politica nel nome della decisione e della sovranità popolare e nazionale; il profilo di una destra conservatrice, nazionale e sociale, imperniata su uno stato autorevole e un legame vivo con le tradizioni nazionali; e soprattutto l’idea di un’Europa delle patrie, forte, indipendente, non subalterna agli Stati Uniti. De Gaulle sottrasse la Francia alla Nato, pur vivendo al tempo dell’Urss e dei due blocchi. E si oppose all’ingresso del Regno Unito nella Comunità europea, nonostante il suo debito verso Londra al tempo della guerra. La sua idea era un’Europa delle nazioni, “dall’Atlantico agli Urali”. Ma s’impose l’opposta idea d’Europa, e noi ne scontiamo gli effetti.
Morì poco dopo le sue dimissioni. Incarnò la Francia Eterna, non quella giacobina, illuminista o tecnocratica. Alla sua morte il più bel necrologio fu il primo e il più stringato. Fu l’annuncio del presidente della repubblica Georges Pompidou: “De Gaulle è morto. La Francia è vedova”. De Gaulle, marito di Francia e fidanzato di un’Europa mai nata.
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