La Francia profonda non vincerà
Perché nonostante l’area anti-governativa e anti-establishment sia maggioritaria in Francia, Marine Le Pen difficilmente vincerà le elezioni presidenziali, neanche stavolta?
Domanda importante, non solo per la Francia, ma per l’Europa e l’Italia. La Francia oggi va alle urne ma il punto interrogativo su chi vincerà tende a richiudersi, ancora una volta, in un circolo vizioso. Eppure in Francia le intenzioni di voto popolare assegnano globalmente ai tre candidati anti-mainstream e contro il Potere – Le Pen, Eric Zemmour e Jean-Luc Melenchòn – più consenso di Macron e degli altri avversari messi insieme. Marine non riuscirà a unirli neanche stavolta, anche se andrà al ballottaggio per l’Eliseo. Ciò per tre ragioni: 1) perché il voto anti-governativo non è sommabile né accorpabile, resta diviso, per refrattarietà reciproche difficilmente superabili, a differenza di quel che succede dall’altra parte. 2) Perché un margine ampio di dissenso rifluirà nel non voto, come spesso accade, o si disperderà in una protesta radicale senza effetto, per sfiducia a priori nelle possibilità di rovesciare l’assetto vigente e il verdetto prestabilito. 3) Perché la macchina da guerra del potere farà un pressing micidiale, scoraggerà ogni svolta, seminerà paura sul dopo-Macron, anche in relazione alla guerra in Ucraina. Aggiungerei una postilla: il Potere, interno e internazionale, comunque non lo permetterà, in ogni modo. Può sfuggire l’Ungheria, non la Francia. Parigi val bene una messa (al bando).
Eppure Marine cresce nei sondaggi, è sorridente, usa toni più morbidi rispetto al passato per raggiungere anche i moderati, a rischio di perdere qualcuno dal versante opposto e tosto. Le Pen vincerà a sud e in provincia, perderà a Parigi e nelle grandi città, salvo Marsiglia, come sempre accade. Ma temo che non sarà maggioritaria. Zemmour piace, coniuga l’eredità gollista con posizioni radicali, godendo del triplice vantaggio di essere intellettuale, ebreo e di origine algerina; un’interessante biografia è uscita da noi, Zemmour. Un intellettuale in corsa all’Eliseo, di Alarico Lazzaro (Historica, pp.180, 16 euro). Ma la sua forza decresce rispetto a Marine. Pure l’inossidabile Melenchòn ha un bel seguito nella sinistra radicale, superiore di gran lunga alla sinistra integrata nel Palazzo; ma i suoi voti non lo porteranno al ballottaggio e in larga parte non saranno convertibili, non convergeranno sul candidato anti-Macron che uscirà dalle urne. Però la Francia con gli anni è cambiata, sempre più insofferente alle oligarchie e ai diktat, non solo nei ceti popolari. Macron non ha mai goduto di gran consenso, molti continuano a vederlo come un corpo estraneo e un prodotto del laboratorio eurocratico.
Chi pensa che però sul piano culturale la Francia resti la capitale europea della Gauche, deve ricredersi. Con gli anni è cresciuta una cultura, una letteratura, una narrazione vivace, difforme, non omogenea al potere e alla sinistra. Fatta di autori disorganici, che non formano l’Intellettuale Collettivo, ma restano solitari, critici e in fondo impolitici.
Per cominciare, il successo francese e internazionale di Michel Houellebecq la dice lunga sugli umori mutati dei lettori e del clima. Houellebecq è un conservatore, per i suoi detrattori è un reazionario e un razzista islamofobo. Pascal Bruckner è un saggista francese che ha preso di mira in molti suoi acuminati pamphlet, il razzismo immaginario, la tirannia della penitenza e del buonismo, il complesso di colpa dell’uomo bianco, la vergogna degli occidentali per la propria civiltà. Alain Finkielkraut, autorevole filosofo francese di origine ebraica, è un autore controcorrente. Criticò con Bruckner il disordine amoroso e la rivoluzione sessuale venuta dal ’68 e ha descritto la nuova barbarie moderna ne La sconfitta del pensiero e ne l’Umanità perduta. Ha difeso la tradizione a dispetto della diffusa ingratitudine, ha rivalutato Charles Péguy, ha criticato la modernità, il progresso e lo sradicamento. Partito da posizioni atee, anarco-libertarie, Michel Onfray è diventato un critico radicale del politically correct, della cancel culture e dell’egemonia culturale di sinistra che definisce “fasciosfera”. Ha difeso Trump, come Houellebecq. Incisiva l’opera di Renaud Camus, teorico della Grande Sostituzione, cioè della colonizzazione della Francia e dell’Europa da parte dei migranti islamici e neri. Dapprima integrato nella cultura francese più alta e più in vista, Camus è stato via via marginalizzato per le sue posizioni e il suo aperto sostegno a Le Pen.
Storico capofila e fondatore della Nouvelle Droite e prolifico autore, Alain De Benoist rappresenta da mezzo secolo una voce fuori dal coro in Francia e in Europa, emarginato da tempo. Un suo sodale poi distaccatosi, è Guillaume Faye, scomparso da poco, intellettuale nietzscheano, radicale e antiglobal, fondatore dell’archeofuturismo, di recente sono state pubblicate in Italia due opere da Altaforte e da Ritter. Resta viva l’impronta lasciata dal romanziere cattolico e conservatore Jean Raspail, scomparso anch’egli di recente, di cui Ar tradusse il famoso Campo dei santi. Raspail previde il collasso della nostra civiltà e fu naturalmente anch’egli accusato di razzismo e xenofobia.
Insomma, il quadro culturale francese è tutt’altro che uniforme e conforme; e le voci citate non sono tutte marginali o isolate, a volte spiccano in vetrina.
E invece dobbiamo continuare a sorbirci quel pallone gonfiato di Bernard Henry Lévy, “nuovo filosofo” da ragazzo che nel nome di quella fama giovanile da mezzo secolo tromboneggia anche sui giornaloni nostrani, suonando il piffero per il Potere. O Emanuel Carrère che sostiene Macron perché è “di destra inclusiva” (che illusionista)… Intanto si ripete lo schema della Cappa: il potere e i suoi tentacoli mediali marciano a senso unico. Centro contro periferie, Sistema contro outsider, Apparato contro Francia profonda.
Marcello Veneziani , La Verità (10 aprile 2022)
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