Seduta del 23 maggio 1973

La persecuzione giudiziaria contro Almirante e il Msi è ben nota. A livello d’intenzione, almeno. Infatti, oltre alle richieste di autorizzazioni a procedere, oltre alle orchestrate campagne di stampa, non si è mai andati. Addirittura si è arrivati a proporre l’incriminazione per ricostituzione del PNF del solo Almirante, «assolvendo» l’intera classe dirigente missino all’indomani della vittoria del 1972. Almirante, insomma, aveva fatto «tutto da solo». Questa vicenda molte volte sarà discussa alla Camera. L’occasione più significativa la offre la seduta del 23 maggio 1973, con la Destra nazionale in fortissima ascesa. Il segretario del Ms i- Dn si «difende» mettendo sotto accusa il sistema

L’atto di accusa

contro il sistema

ALMIRANTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’onorevole relatore ha detto che questa vicenda non è collegata alle vicende elettorali. Mi dispiace doverla smentire, onorevole relatore, se è vero, come è certamente vero, che l’indagine di polizia giudiziaria fu promossa dal dottor Bianchi d’Espinosa dopo il 13 giugno del 1971 e la richiesta di autorizzazione a procedere è stata trasmessa alla Camera subito dopo il 7 maggio del 1972. Avendone avuto notizia circa un anno fa, io mi permisi di cogliere l’occasione importante e qualificante sul terreno politico del dibattito in questa Camera sulla fiducia al Governo costituito dopo le elezioni del 7 maggio, per dichiarare lealmente che, se e quando la richiesta di autorizzazione a procedere fosse giunta in aula, io avrei votato a favore. Inizio questo mio intervento confermando che voterò a favore della richiesta di autorizzazione a procedere contro di me. Vorrei pregare tutti i settori della Camera e particolarmente il mio settore di voler valutare secondo esattezza, cioè secondo la mia intenzione, questo atteggiamento, che non è atteggiamento sacrificale o di martirio, che tanto meno è atteggiamento di colpevolezza confessata e che non vuol nemmeno ricondursi agli atteggiamenti che più vastamente abbiamo assunto e ci siamo onorati di assumere da parecchie legislature (mai ascoltati dal resto dell’Assemblea) affinché l’istituto dell’immunità parlamentare fosse costituzionalmente corretto e limitato ai soli reati politici. Non potendosi evidentemente qualificare il reato che mi si addebita come reato comune, sarei perfettamente in regola con le tradizioni del mio partito se votassi contro. E il mio gruppo voterà contro, in rappresentanza della volontà politica e posso forse permettermi di dirlo del sentimento dei tre milioni di italiani che un anno fa hanno votato per noi. Io voterò invece a favore, forse per una ragione di pudore personale e, soprattutto, per poter parlare più serenamente e per essere me lo auguro più serenamente ascoltato.

Non è tradizione che l’imputato parli in occasione di una richiesta di autorizzazione a procedere contro di lui. Penso però che un imputato che si trova e si colloca nella posizione in cui sono io in questo momento abbia, signor Presidente, non solo il diritto ma il dovere di parlare all’Assemblea, in quanto ho or ora appreso dall’onorevole relatore che sulle mie personali spalle graverebbe non soltanto la responsabilità di avere, tutto solo, ricostituito il disciolto Partito nazionale fascista, ma anche quella visto che altri imputati per lo stesso reato non vi sono, sembra, per ora in questa aula di avere scatenato un clima di violenza in tutta Italia, di avere determinato in maniera fondamentale la crisi che le istituzioni attraversano; ho imparato di essere io, tutto solo, un pericolo per le istituzioni repubblicane; ho imparato che lo sono diventato da poco tempo, non direi in questo momento, quanto meno dalla metà del 1969 in poi, cioè da quando, se ben ricordo, le fortune elettorali del nostro partito sono andate lievitando; ho imparato perfino, dalle ultime dichiarazioni dell’onorevole relatore, che anche la crisi economica, sociale e politica che il nostro paese attraversa non può essere disgiunta da queste responsabilità. Mi consentirete pertanto, serenamente, di parlare di questi argomenti, per assumermi le mie responsabilità e non come qualcuno ha pensato in precedenza, mal conoscendomi per esibirmi come vostro giudice, ma semplicemente per respingere la qualifica di imputato e per manifestarmi quale testimone della crisi che l’Italia indubbiamente attraversa e dei motivi che sono a monte di questa crisi.

Voglio dire alla Camera, e dalla Camera al popolo italiano che, attraverso la stampa, spero sia messo in grado di registrare fedelmente le mie parole: primo, in base a quale tipo di procedura io sono stato oggi trascinato qui in veste di imputato politico; secondo, per effetto di quale legge; terzo, con quali addebiti; quarto, dinanzi a quale tribunale; quinto, per quali motivi; sesto, in quale posizione mia personale e politica; settimo, in quale clima e ambiente; ottavo, con quali prospettive. Premetto anche, sorridendo, che poiché molti tra voi conoscono da molti anni le mie abitudini, o le mie debolezze, di parlamentare troppo diligente, mi guarderò bene dal cattivo gusto di tenere un discorso che possa sembrare anche lontanamente ostruzionistico. Se dovrò dilungarmi su alcuni argomenti, è perché gli argomenti sono stati pesantemente posti sul tappeto dall’onorevole relatore e, credo, da tutti i partiti che si denominano dell’arco costituzionale.

Due parole di risposta al relatore, che ovviamente non fanno parte del mio schema mentale, perché ho voluto ascoltarlo e ho avuto modo di leggere la sua breve relazione scritta venendo oggi in aula. Onorevole relatore, se non sbaglio, lei ha ripetuto oralmente quanto aveva scritto, salvo ad aggiungere chiose politico costituzionali sulle quali avrò modo di soffermarmi più avanti. Ma non ha ripetuto tutto, forse perché pensava che alcune cose dette in aula, alla presenza della stampa, avrebbero potuto un poco sminuire l’importanza delle conclusioni. Mi permetto pertanto di richiamare all’attenzione del Parlamento e della stampa che gli atti processuali (e non entrerò nel merito, perché non sarebbe corretto e perché non ho potuto prendere visione evidentemente degli atti processuali: so quel che qui è scritto) sono costituiti principalmente da: inchiesta sul fascismo del convitto scuola «Rinascita»; inchiesta sul fascismo del settimanale Rinascita; inchiesta sul fascismo della regione lombarda, costituita da una relazione generale e da una documentazione composta da raccolte e riproduzioni di cronache e articoli apparsi in diversi anni sulla stampa nazionale (in particolare l’Unità, L’Avanti!, Paese sera, L’Ora, Il Giorno, La Stampa, Il Corriere della sera, Il Popolo, La Voce repubblicana, eccetera); estratto degli atti processuali relativi al procedimento contro tale Terzi Corrado; estratto degli atti processuali relativi al procedimento contro tale Ferrorelli Giovanni; documenti di stampa e propaganda varia e raccolte del giornale Il Secolo d’Italia (meno male!); rapporti delle questure, delle legioni dei carabinieri, come l’onorevole relatore si è benignato di citare anche oralmente, mentre il resto forse ha avuto un poco di pudore a recitarlo oralmente. Per quel che riguarda il Movimento sociale italiano, mentre a voce, se non sbaglio, l’onorevole relatore ha detto che gli indizi sono numerosissimi a carico delle organizzazioni extraparlamentari e numerosi a nostro carico, nella relazione si dice che per quanto riguarda il Movimento sociale italiano esistono «indizi» in tal senso, e niente altro.

Quindi si trascina dinanzi ad un tribunale il segretario di un partito politico, onorevole relatore, perché, avendo consultato le collezioni de l’Unità, dell’ Avanti!, del Paese sera, gli studi del convitto Rinascita, avendo ascoltato la regione lombarda, e avendo doverosamente preso atto ora ne parlerò dei rapporti pervenuti da numerose questure e via dicendo, si è rilevato che esistono «indizi» a carico del Movimento sociale italiano. Tanto è vero che, se avete ascoltato bene l’onorevole relatore, il quale a questo riguardo ha detto le stesse cose che ha scritto nella relazione e che sono le più importanti, egli conclude e credo, signor Presidente, di non sbagliare; se sbaglio mi perdoni, lo faccio assolutamente in buona fede, mi affido alla memoria la sua relazione non chiedendo l’autorizzazione a procedere contro di me, anche se naturalmente in linea di fatto la conclusione è questa, ma dicendo che non si può «negare alla magistratura richiedente di approfondire, nel modo ritenuto più opportuno, le indagini». Quindi ci troviamo di fronte ad un relatore il quale ritiene che le indagini debbano essere approfondite. Ebbene, onorevole relatore, delle due l’una: o le indagini sono state approfondite, e allora non c’è il fumus persecutionis ed è perfettamente logico e giusto che la Camera voti contro di me; o lei stesso ritiene lo scrive e lo ha ripetuto di dover suggerire alla magistratura di approfondire le indagini, e allora mi sembra poco corretto ó come vede sto frenando ogni mio istinto ad usare aggettivi pesanti scrivere che le indagini devono essere approfondite e, al tempo stesso, riconsegnare la patata che scotta alla magistratura, ora che Bianchi d’ Espinosa non c’è nemmeno più. È questa, onorevole relatore, una confessione o di superficialità o di faziosità o di aperto mendacio o di speculazione politica da parte di tutti coloro che hanno sottoscritto come maggioranza una relazione di questo genere, credo senza precedenti. E se è vero, come l’onorevole relatore ha detto e mi ha fatto l’onore di richiamare e di ritenere, che questo è un momento importante non mi permetterei di dirlo io perché sembrerebbe volessi darmi un tono di importanza e questa è una decisione grave, io vorrei sapere con quale senso di responsabilità si assumono decisioni gravi senza avere approfondito una indagine indiziaria. Con una aggravante, onorevole relatore e onorevoli colleghi: se l’indagine fosse stata svolta contro di me; se tra tutti gli atti che sono stati raccolti, documenti, collezioni di giornali, vi fossero indizi contro la mia persona; se l’indagine fosse diretta ad accertare le mie personali e dirette responsabilità, che sono responsabilità penali, che si pagano, se scattano le sanzioni previste dalla legge, con anni di galera, si potrebbe anche pensare o dire: «Si conceda l’autorizzazione a procedere; vi sono taluni indizi sulle personali attività del deputato Almirante, si veda se si raggiungono ulteriori prove». Ma, onorevole relatore, ella sa benissimo che questa cosiddetta indagine di polizia giudiziaria non riguarda la mia persona: emerge da quanto ella ha detto, emerge da quello che è qui stampato, emerge (e me ne possono far fede i colleghi che fanno parte della Giunta per le autorizzazioni a procedere e che hanno potuto accedere al materiale di documentazione) dal fatto che tutti gli atti riguardano episodi di violenza, o «per sentito dire», taluni episodi di apologia verificatisi in varie parti d’Italia. Di questi nemmeno uno è a me addebitato, perché altrimenti nei miei confronti sarebbero giunte e sarebbero dovute giungere altrettante denunce, con altrettante richieste di autorizzazione a procedere.

Si dà quindi il caso di un uomo contro il quale una lunga indagine sulla quale mi esprimerò non ha potuto accertare nulla, appurare nulla, nemmeno a livello di indizi, ma che viene rimesso alla magistratura perché rappresenta un pericolo per le istituzioni. La maggioranza riesce a trovare un relatore che dica e scriva cose siffatte e il relatore riesce a trovare una maggioranza che le approvi. Credo che potrei concludere anche qui la mia modestissima arringa e avrei già dimostrato che sì, è vero il fumus della persecuzione non esiste, ma l’arrosto esiste. Altro che fumus di persecuzione! È talmente chiaro l’intento persecutorio, è talmente chiara la manovra politica, di politica elettorale o pre elettorale, che non avrei bisogno di dire altro; ma altro debbo naturalmente dire.

Altro intanto debbo dire a proposito della procedura con la quale sono stato trascinato qui. Il relatore vi ha chiarito, onorevoli colleghi, che la vicenda è cominciata con una indagine di polizia giudiziaria promossa dal dottor Bianchi d’Espinosa, nei confronti del quale non mi permetterò il minimo apprezzamento, perché civilmente rispetto coloro che non sono più, comunque si siano comportati. Il dottor Bianchi d’Espinosa, nella sua qualità di procuratore della Repubblica di Milano, ha ritenuto di aprire alla fine del 1971 una indagine di polizia giudiziaria non su di me, ma sul Movimento sociale italiano. Nego che egli abbia potuto farlo ai sensi della legge Scelba; egli lo ha fatto perché ha ritenuto che la magistratura possa esperire una indagine preventiva di polizia giudiziaria su una parte politica. Non ho l’impressione che le parti politiche qui presenti siano state molto sagge nel plaudire alla iniziativa del procuratore della Repubblica di Milano, perché ho l’impressione che altri procuratori della Repubblica visto che a questo punto la legge Scelba in quanto tale non c’entra potrebbero assumere iniziative del genere, che non auguro a nessuna parte politica ma che su altre parti politiche potrebbero incombere nella mutevole vicenda della nostra età ed anche nei mutevoli e vari atteggiamenti della magistratura italiana e nei mutevoli e vari atteggiamenti basta leggere i discorsi all’inaugurazione dell’anno giudiziario dei procuratori della Repubblica. Senza mancare di rispetto e ne ho detto il motivo, signor Presidente alla memoria del dottor Bianchi d’Espinosa, devo ricordare agli ignari, ai dimentichi, che dieci anni prima, nel luglio 1961, il dottor Bianchi d’Espinosa, che forse era diversamente orientato a quell’epoca (vedete le mutate vicende al vertice della magistratura), così si esprimeva, e per iscritto: «La legge del 1952 è un congegno tanto assurdo che, esaminando a fondo il testo legislativo, viene da domandare se realmente il legislatore abbia voluto l’attuazione dell’articolo 12 della Costituzione» (scusate l’errore, che non è mio, ma è suo, perché non è un articolo ma una disposizione transitoria) «o non abbia invece voluto, sia pure inconsciamente, rendere tale attuazione praticamente impossibile. Perché equivale ad attribuire una funzione che praticamente non può essere esercitata, attribuire a 154 tribunali la competenza di emettere sentenze di accertamento circa la identificazione con il partito fascista di una sola formazione politica che opera sul piano nazionale». Vi risparmio il resto, onorevoli colleghi.

All’origine della vicenda vi è dunque una indagine di polizia giudiziaria, del tutto arbitraria, messa in opera da un uomo che pochi anni prima la pensava in maniera completamente diversa. Senza mancare di rispetto alla memoria del dottor Bianchi d’Espinosa, devo permettermi di dire che le indagini di polizia giudiziaria e gli atti successivi, relativi alla trasmissione al Parlamento della richiesta di autorizzazione a procedere, furono purtroppo effettuati dal defunto magistrato quando egli (lo dico rispettosamente, ma è vero e documentato: il ministro della Giustizia, oggi assente, per sua fortuna, lo sa perfettamente…), gravissimamente infermo, non era nella condizione di intendere e di volere. A tal punto che egli ha dimenticato di firmare il capo di imputazione contro di me. Senza la sua firma, questo atto è stato, illegittimamente, trasmesso al ministro della Giustizia, che, illegittimamente,violando una disposizione emanata con circolare dello stesso ministro della Giustizia, se non erro nel 1961, lo ha trasmesso alla Presidenza della Camera dei deputati. Con la Presidenza della Camera io non sono in polemica, a questo riguardo, e non mi turba in alcun modo il fatto che in questi ultimi giorni le procedure siano state accelerate, perché semmai mi avrebbe turbato il fatto che fossero state rallentate, signor Presidente “

PRESIDENTE: “Non sono state accelerate da me…. “

ALMIRANTE: “Non mi turba, ripeto, il fatto che le procedure siano state accelerate e non attribuisco questo fatto, signor Presidente, ad un suo diretto intervento… “

PRESIDENTE: “Con lei, che è sempre finissimo, onorevole Almirante, conviene sempre essere precisi. Ripeto dunque che quelle procedure non sono state accelerate da me: anzi, come ella ben sa, in quanto glielo ho dichiarato privatamente, mi sono pervenute dalla Giunta due richieste di proroga ed entrambe le proroghe sono state concesse. £

ALMIRANTE: “Resta il fatto, signor Presidente, che tutta la stampa quotidiana, mentendo ai suoi danni, ha attribuito a lei questa accelerazione delle procedure. Ella quindi avrebbe dovuto rettificare ciò che la stampa ha detto, ripeto, mentendo ai suoi danni: come vede, provvedo a rettificare io, visto che ella non ha voluto farlo… “

PRESIDENTE: “Ho già rettificato io… “

ALMIRANTE: “Visto che certa stampa non l’ascolta neanche… “

PRESIDENTE: “Che cosa posso fare, se non ho la stampa a mia disposizione? Ella, onorevole Almirante, ce l’ ha, io no… “

ALMIRANTE: “Gliela metto a disposizione…” Commenti).

PRESIDENTE: “No, no grazie! “

ROBERTI: “Non apprezzano nemmeno l’ironia… “

ALMIRANTE: “Non capiscono, signor Presidente. Vi sono nei processi, le attenuanti per chi non è capace di intendere e di volere… Chiedo scusa per questo intermezzo e riprendo il filo del mio discorso. Non ho nulla da dire, ripeto e lo dico seriamente nei confronti della Presidenza della Camera per un’apparente accelerazione delle procedure, anche perché non posso dimenticare di avere scritto io stesso, alcuni anni addietro, uno studio sull’ istituto delle autorizzazioni a procedere nel quale deploravo che si agisse troppo lentamente in tale materia. Sono quindi lieto che in questo caso, almeno nelle ultime due fasi, si sia proceduto con una certa celerità. Per quanto riguarda le indagini di polizia giudiziaria espletate in tutta Italia, non mi resta che ribadire quanto ho già avuto occasione di rilevare. Devo anche osservare che mi sembra che il Ministero dell’interno si sia prestato un po’ troppo alle richieste provenienti dalla procura della Repubblica di Milano e non so se anche questo atteggiamento del Ministero dell’interno, non giustificato da alcuna disposizione di legge, sia tale da tranquillizzare i rappresentanti di tutti i partiti che plaudono a siffatta vicenda, senza accorgersi che potrebbero scavare la fossa a sé medesimi.

Non dico questo, si badi bene, in tono di minaccia nei confronti di chicchessia, perché non sono in condizione e tanto meno ho la volontà di minacciare chicchessia; ma poiché si è instaurato un discorso in prospettiva, il discorso ha da essere conseguentemente di prospettiva. Non ci si venga a dire, fra qualche anno, che questo è stato un pessimo precedente, che ha determinato gravi conseguenze, come oggi si viene a dire (e ne parlerò) che l’aver tollerato nel 1968 e nel 1969 una serie di atti di violenza ha determinato le conseguenze delle quali tutta l’Italia soffre. Alla base di questa procedura, vi sono pesantissimi, inauditi arbitri e della procura della Repubblica di Milano e del Ministero dell’interno, nonché delle questure e delle prefetture che hanno ottemperato ad ordini assolutamente illegittimi, provenienti dal Ministero dell’interno.

Debbo dire (è il secondo punto) qualcosa circa la tanto discussa legge Scelba. Non spenderò neppure una parola per riferirmi a problemi di incostituzionalità: farei perdere tempo agli onorevoli colleghi. Non spenderò neppure una parola a proposito della legittimità o meno della XII disposizione transitoria della Costituzione; non spenderò neppure una parola per dire che è transitoria, e non finale; si tratta di una norma costituzionale, e le firme in calce alla Costituzione vengono dopo le norme transitorie. Io sono rispettoso della Costituzione; non ho problemi di eversione costituzionale nemmeno nel mio intimo; so benissimo (e vorrei che lo ricordaste voi, perché lo dimenticate troppo spesso) che la nostra Costituzione, essendo rigida, contiene una norma di fondo relativa alla procedura per rivedere anche in toto, tranne un articolo, la Carta costituzionale. Gli anni scorsi, durante le precedenti legislature, insieme con il gruppo del Movimento sociale italiano (ancor prima che diventasse Destra nazionale), più volte ho avuto l’onore di presentare proposte di revisione costituzionale. Credo (insieme con l’onorevole Roberti) che la prima proposta di revisione costituzionale nella storia del Parlamento italiano del dopoguerra l’abbia presentata proprio il nostro gruppo, allora forte di solo cinque elementi; pertanto, da parte mia personale, e da parte nostra, non esiste alcuna riserva nei confronti della necessità e della volontà di ottemperare in foto al dettato costituzionale, salvo a proporre, ripeto, correttamente la revisione delle norme che a nostro avviso o ad avviso di altri, debbono essere rivedute e corrette.

Quando parlo della legge Scelba, voglio parlarne riferendomi alla legge in sé, per togliere di mezzo taluni luoghi comuni e per chiarire di che cosa io sono accusato e in base a quali strumenti legislativi vengo accusato. In primo luogo debbo chiarire essere falso che fosse necessaria la legge Scelba per attuare il disposto della XII delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione. I collegi di tutte le parti si sono dimenticati che esisteva una legge di attuazione della XII disposizione transitoria, ed è esattamente la legge del 1947 contro le attività fasciste. Tale legge è del 1947,se si pone mente al momento in cui fu pubblicata sulla Gazzetta ufficiale:tale legge fu pubblicata sulla Gazzetta ufficiale successivamente all’ entrata in vigore della Costituzione. Cade quindi il presupposto politico, vorrei dire storico, al quale nel lontano 1950-52 si appiglia l’ onorevole Scelba per affermare la necessità dell’ attuazione del disposto della XII norma transitoria della Costituzione. Anche non volendo ammettere che tale norma possa essere quindi applicata senza bisogno di una legge di attuazione, una legge di attuazione era stata già emanata.Quale stata, allora,la ratio legis, negli anni dal 1950 al1952? L’ onorevole Scelba lo confessò: egli riteneva che le precedenti leggi fossero state inefficaci; e perché? Perché a suo avviso, e ad avviso del legislatore del tempo, esse avevano dato del fascismo e della ricostituzione del disciolto partito una interpretazione che dava luogo a troppi dubbi e perplessità, e permetteva troppe smagliature. Ed allora, signor Presidente ed onorevoli colleghi: ricostituzione del disciolto partito fascista, fascismo nel dopoguerra? Vi faccio notare, in base a dati di fatto, che il legislatore costituente ed il legislatore del Parlamento repubblicano nel dopoguerra, in tutto il dopoguerra, non sono fin qui riusciti e non potevano d’altra parte riuscire a dare una definizione chiara, univoca, concorde ed efficace di quel che possa essere rinascita del fascismo o ricostituzione del disciolto partito fascista, tant’è vero che vi fu un’interpretazione nel 1945, la prima, quella che faceva parte del decreto luogotenenziale del 1945, ed era un’interpretazione che si riferiva esclusivamente ad eventuali formazioni paramilitari o armate. Poi vi fu la definizione del 1947, che risaliva al trattato di pace (articolo 17) e si riferiva esclusivamente al metodo della violenza. Poi vi fu la definizione della legge Scelba, primo testo, quando essa fu presentata al Senato e quando lo stesso onorevole Scelba non si era discostato dal fascismo inteso come violenza e come dittatura. Infine, nel passaggio Camera-Senato (1950-1952), si è avuta la formulazione attuale, la quale pretende di indivi­duare e di colpire giuridicamente il fascismo anche come idea, dando così luogo ad una definizione giuridica della democrazia, dando così luogo ad una definizione giuridica della Resistenza, dando così luogo ad una definizione giuridica del razzismo, dando così luogo ad una definizione giuridica del totalitarismo, dando così luogo ad una definizione giuridica della violenza e cadendo come mi sarà facile dimostrare in una serie di contraddizioni, di luoghi comuni, di pressappochismi, che non fanno onore al legislatore italiano del dopoguerra e che d’altra parte non potevano non verificarsi, se è vero, come è vero, che un’idea, un’ideologia, quale che essa sia, di destra, di sinistra, di centro, non è definibile in termini giuridici, tanto meno è colpibile in termini giuridici, non è colpibile da una legge penale che pretenda di statuire delle pene nei confronti di chi interpreti quell’ideologia in un determinato modo, di fronte ad un Parlamento che a sua volta sovrappone la sua interpretazione a quella dell’eventuale imputato, di fronte alla magistratura che a sua volta sovrappone la sua interpretazione, nei diversi gradi, a quella dell’imputato e a quella del Parlamento. Non è possibile racchiudere in norme giuridiche siffatta materia.

Qualcuno ha sostenuto, in seno alla Giunta per le autorizzazioni a procedere, che tali nostre osservazioni ed asserzioni non hanno fondamento, perché si tratte­rebbe di un reato comune, perché (è tesi delle sinistre, naturalmente, soprattutto del gruppo socialista) la ricostituzione eventuale del disciolto partito fascista sarebbe equiparabile al reato comune di associazione per delinquere, e pertanto nessuno di noi potrebbe pensare di difendersi dietro l’usbergo della ragion politica.

A costoro contrappongo quanto, molto onestamente, il senatore Terracini, quale relatore di minoranza ebbe a dire in Senato il 1° febbraio 1952. Consentitemi di dare luogo a questa citazione, che è del più alto interesse, anche perché il senatore Terracini ha partecipato di recente, se non sbaglio con diverso linguaggio, al dibattito sulla violenza che venerdì si è svolto in Senato. Sicché dedico al senatore Terracini la citazione del senatore Terracini: «Voglio dire, per ragioni di lealtà, che aver richiamato, come qui si fece nei confronti del partito fascista ricostituito, l’ipotesi dell’associazione a delinquere, mi pare non solo un errore giuridico, ma un’affermazione contraria alla concezione politica che regge la Repubblica italiana. Non confondia­mo neanche sul piano delle più feroci lotte civili la politica con la criminalità, il codi­ce penale con una legge dettata dalle esigenze della democrazia. Io nego pertanto che, in disperata ipotesi, contro il ricostituito partito fascista si possano adoperare gli strumenti del comune armamentario penale. Lo sappiamo che era consuetudine dei vecchi regimi reazionari del passato cercare di ridurre sul piano della criminalità i fenomeni politici a loro spiacenti e pericolosi. Non lo si rifaccia oggi, sia pure per combattere un pericolosissimo fenomeno politico. Non mettiamoci sul terreno che, allora prescelto, per sé solo poneva dalla parte del torto coloro che vi scendevano». Penso che questo monito del senatore Terracini nei confronti delle involuzioni reazionarie cui si sottopongono i partiti cosiddetti rivoluzionari, quando, inseritisi nella greppia di regime o per inserirsi nella greppia del regime, pensano di adottare leggi penali per perseguitare gli avversari politici, data la sua provenienza, arrivi a segno, e me lo auguro per la necessaria comprensione tra le parti.

Aggiungo ancora che, senza ombra di dubbio, questa è una legge eccezionale. Non ci si venga a raccontare la storiella, come è stato fatto nella Giunta per le autorizzazioni a procedere, che si tratta di una legge normale, ordinaria, in quanto attuazione di una norma costituzionale. Una legge può essere il Presidente me lo insegna di attuazione di una norma costituzionale ed essere essa stessa incostituzionale, speciale, straordinaria, eccezionale, come in realtà questa legge senza dubbio è. E chi lo dice? Ho citato poco fa il senatore Terracini e adesso cito un rappresentante del gruppo comunista della Camera il quale in Commissione interni quando si discuteva questa legge ebbe testualmente a dire all’onorevole Scelba: «questa legge così come è non ve la daremo perché è una legge totalitaria». E adesso, sulla base di una legge che essi stessi ritenevano totalitaria e ne dirò il motivo nel 1952, i comunisti difendono la democrazia contro di me e la maggioranza si associa ai comunisti, democraticissimi, nel difendere contro di me la democrazia, attraverso una legge che i comunisti hanno definito totalitaria quando loro pareva comodo per motivi politici così definirla, o quando temevano, perché l’ombra del 18 aprile gravava ancora su di loro e si avvicinavano i tempi delle elezioni del 1953 (per essi come per tutti decisive), che siffatti strumenti potessero andare a loro danno. Questa legge era totalitaria allora, e oggi, attraverso questa legge totalitaria, essi contribuiscono a difendere, nell’interesse della patria, dei supremi valori, la democrazia. Poiché sono in vena di citazioni comuniste, mi permetto di citare l’onorevole Togliatti, per andare a monte di questa norma e vederne l’ispirazione. L’onorevole Togliatti, che, se non lo sapevate, onorevoli colleghi, è stato l’inventore, il promotore della XII disposizione transitoria della Costituzione, e non poteva essere che lui prese la parola nella prima sottocommissione dell’Assemblea Costituente, il 19 novembre 1946. Vi fu un certo dibattito in quella sede tra lui e l’onorevole La Pira. Togliatti rispose: «Le osservazioni fatte alla sua proposta sarebbero giustificate se essa mirasse a definire il contenuto di un movimento o di un partito fascista. Contro una tale formulazione, cioè contro una formulazione diceva Togliatti che pretendesse individuare il contenuto, cioè le finalità, i programmi di un movimento ritenuto fascista sarebbero lecite tutte le critiche perché qualunque partito potrebbe essere ricondotto sotto la figura del partito fascista attraverso disquisizioni dialettiche, così il partito democristiano come quello liberale, altri. Non certamente quello comunista, ma avvertiva intelligentemente il pericolo. «Ha presente l’onorevole Togliatti» sto leggendo il verbale «che nella sua proposta egli si limita al richiamo storico del partito fascista quale si è manifestato nella realtà politica del paese dal 1919 al 1943 e non è quindi possibile alcuna interpretazione equivoca. E disposto a modificare la sua formula» attenzione! «nel senso che si parli del partito fascista e non di un partito fascista». Questa è l’interpretazione autentica della norma. Si vieta la ricostituzione di quel partito fascista, del disciolto partito fascista, non di un partito fascista, il che sarebbe in contrasto, oltretutto, anche con la logica e il raziocinio delle umane e legislative possibilità. E il padre della norma, l’onorevole Togliatti, ne diede in anticipo l’interpretazione autentica che allora piaceva ai comunisti, perché essa serviva a tutelarli da eventuali pericoli non si sa mai!e che adesso, sentendosi i comunisti ed i socialisti padroni di attuali e soprattutto di future maggioranze, non piace più e quindi li mette nella condizione di comportarsi come, insieme con tutti gli altri, si stanno comportando. Ma ho ben altre testimonianze, che vi voglio risparmiare. C’è una gentile testimonianza dell’onorevole Moro alla Costituente, ce n’è una dello stesso De Gasperi, che è stata citata qualche giorno fa dal Presidente del Consiglio durante il dibattito sulla violenza contro il fascismo. Qualche giorno fa l’onorevole Andreotti, qui alla Camera, citando De Gasperi (discorso del 1947) ha richiamato la seguente frase: «L’intervento dello Stato contro lo squadrismo fascista riuscirebbe inefficace se esso non fosse legittimato con criteri generali contro gli squadrismi e contro tutte le armi». Che cosa ha inteso dire? Qui forse il Presidente del Consiglio è stato malizioso, nel citare proprio questa frase di De Gasperi; e vorrei sperare che egli sia stato malizioso, la settimana scorsa, non dico per giovare alla nostra parte, ma per non essere troppo sgarbato verso la nostra parte. Lo ringrazio, anche perché so che egli si è lavato da questo peccato veniale invitando (atto illecito, intervento illecito, signor Presidente) i componenti democristiani della Giunta per le autorizzazioni a procedere a votare tutti quanti per la concessione dell’autorizzazione a procedere. Con qualche malizia o con qualche disattenzione l’onorevole Andreotti ha citato questo passo di De Gasperi in cui si dice che l’intervento contro il fascismo sarebbe legittimato solo da criteri generali. Che cosa vuol dire? Vuol dire che, in mancanza di questa legittimazione, legittimato non è, ma illegittimo. Sono parole? No, perché da questa impostazione l’onorevole De Gasperi trasse una conseguenza. Il discorso è del 1947; la conseguenza si vide nel 1952, quando, durante una campagna elettorale (ci risiamo e ci torneremo), la campagna elettorale amministrativa, nel mezzogiorno d’Italia, che si concluse il 25 maggio 1952 (se volete conoscere anche la data esatta, il 29 aprile di quell’anno), l’onorevole De Gasperi tenne a Napoli il discorso di apertura della campagna elettorale. E come lo poteva tenere a Napoli, nel clima che già allora pervadeva la città e tutta o larga parte del Mezzogiorno? Quale linguaggio poteva usare un Presidente del Consiglio avveduto e intelligente, quel Presidente del Consiglio che in precedenza aveva parlato (solo parlato) il linguaggio della rottura della spirale della vendetta? Evidentemente, il linguaggio della pacifica­ione. E come lo parlò? De Gasperi disse: «Presenteremo, subito dopo le elezioni, una legge più ampia che, con effetto polivalente, difenda la democrazia contro attacchi di ogni parte e ci protegga contro nuove o rinnovate dittature». Metteva prima le «nuove» e poi le «rinnovate» dittature, usando questo linguaggio in apertura di una campagna elettorale nel mezzogiorno d’Italia; e lo usava per reagire all’opinione pubblica, che a sua volta stava pesantemente reagendo contro il varo della legge Scelba, avvenuto da pochi giorni, prima al Senato e poi alla Camera.

Ho l’impressione che dovrete ricordare spesso questo monito e questa presa di posizione dell’onorevole De Gasperi, colleghi della Democrazia cristiana, perché ho l’impressione che, se De Gasperi saggiamente, abilmente, reagì in anticipo ai movimenti di opinione pubblica contrari a tutto ciò che aveva portato alla legge Scelba, movimenti assai più forti di opinione pubblica dovrete registrare voi nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, e dovrete fare le vostre scelte in ordine a problemi politici della massima entità e del massimo rilievo.

De Gasperi andò oltre. Una volta tanto, la Democrazia cristiana non si limitò ad enunciare un suo proponimento durante una campagna elettorale. Al termine di essa, la cosiddetta legge polivalente fu presentata al Senato, e rimase giacente negli archivi parlamentari. Chi l’ ha rispolverata? Guarda caso, a conclusione di un’altra campagna elettorale, venti anni dopo, proprio il Movimento sociale italiano-Destra nazionale. La più importante delle proposte di legge che ci siamo permessi di presentare come gruppo e come partito all’inizio di questa legislatura è la ritrascrizione non solo del testo della proposta di legge polivalente degasperiana, ma anche della relazione che allora l’accompagnava, con le stesse motivazioni, adeguate ai tempi; il che vuoi dire che noi riconosciamo e non nell’interesse della nostra parte l’obiettività di quell’antica posizione del Presidente del Consiglio De Gasperi, e la riconosciamo nel momento in cui forse maliziosamente ce la ricorda nella sua legittimazione il nuovo Presidente del Consiglio Andreotti, allievo, si diceva una volta, di De Gasperi, il quale può darsi abbia tentato, nel gran vuoto che lo sta circondando all’ interno della maggioranza e forse del suo stesso partito, di trovare appiglio in una parte della pubblica opinione, richiamandosi a principi che sono stati in questo dopoguerra i più validi e i più nobili, dalla rottura della spirale della vendetta ad una legge polivalente contro tutte le faziosità, contro tutte le violenze e contro tutti gli estremismi.

Sicché se questa è una occasione di verifica, l’occasione della verifica, onorevoli colleghi della maggioranza, noi ve la offriamo. Voi potete scegliere tra l’autorizzazione a procedere contro di me per ravvisare in me il pericolo, e l’adozione di una legge polivalente per colpire tutti i pericoli, compreso il mio, qualora io sia un pericolo. Non mi dite che scegliendo l’autorizzazione a procedere contro di me e tenendo nei cassetti la legge polivalente, voi scegliete la giustizia o il giusto mezzo; non mi dite che voi scegliete le aspirazioni della vostra stessa pare, non mi dite che vi collegate alle vostre tradizioni, non mi dite che non vi è motivo di concorrenza elettorale, non mi dite che non vi è ilf umus persecutionìs, perché da questo confronto e da questa scelta vostra vostra, ma determinata da una nostra scelta antica e rinnovata emerge in chiarezza assoluta, limpidamente, la situazione politica italiana nelle responsabilità dei diversi gruppi. Tornando alla legge Scelba, ho detto di non volermi intrattenere su motivi costituzionali, ma mi consentirete di rilevare due enormità di questa legge, sia sul piano costituzionale sia su quello giuridico, e mi permetterete di farvele rilevare proprio come imputato e come segretario di questo partito; perché esse, da questo momento in poi, o più esattamente dal momento in cui avremo votato per l’autorizzazione a procedere contro di me, potranno agire contro di me e contro la mia parte.

Desidero richiamare la vostra attenzione sull’articolo 3 della legge Scelba, e particolarmente sul secondo comma: ancora una volta, richiamando la vostra attenzione, io richiamo i vostri ricordi perché, quando la legge Scelba fu varata in questa Camera e anche dal Senato, contro l’articolo 3 della legge si appuntò la nettissima ostilità delle sinistre. Il deputato comunista che fu incaricato di parlare in aula disse: «Siamo nettamente contrari al secondo comma dell’articolo 3»; e aggiunse: «La norma che si stabilisce con il secondo comma dell’articolo 3 potrebbe essere uno strumento di ricatto politico nei confronti del movimento fascista».

Guardate come erano gentili i comunisti di allora: temevano quella norma, che affida all’esecutivo la possibilità di sciogliere, senza alcuna sentenza e senza alcuna indagine a livello di magistratura, un partito, un movimento politico ritenuto fascista, norma che veniva ritenuta e definita in quest’aula, sto citando testualmente, dal Partito comunista come una norma che poteva portare la maggioranza a ricattare il movimento fascista. Volete che vi dia la spiegazione storica e politica di questo atteggiamento comunista? Ho il piacere di darvela, ed è la prima tra una serie di spiegazioni che io vi darò quest’oggi, a proposito di taluni atteggiamenti di tutti i gruppi politici, nessuno escluso. Che cosa era in vista del 1952, quando si discuteva alla Camera e al Senato la legge Scelba? Erano in vista le elezioni del 1953. Attraverso quale legge? La Legge che le sinistre definirono come «legge truffa». Perché la definivano legge truffa? Perché secondo loro, essendo legge rigidamente maggioritaria, essa tendeva ad ingannare gli elettori, a travisare i risultati elettorali, a determinare lo dicevano loro, se lo debbono pure ricordare la nascita di un regime cui essi attribuirono addirittura una sigla non fascista, ma nazista: lo chiamavano SS, cioè Saragat – Scelba. Se ne sono dimenticati tutti.

Ebbene, mentre si stava chiudendo la battaglia sulla legge Scelba in Parlamento, stava per aprirsi nei due rami dello stesso la battaglia contro la «legge truffa»; ed a quella battaglia la pattuglietta del Movimento sociale italiano (eravamo cinque!) contribuì in prima linea. Il primo lungo discorso in questa Camera, io lo pronunziai dal banco dei relatori mi diedero la parola a mezzanotte, finii alle 4,30 del mattino contro la «legge truffa». Ed i comunisti «tenerelli», «gentilini», ma soprattutto cinici fino in fondo all’animo loro, non gradivano che il Movimento sociale italiano potesse essere ricattato dalla maggioranza. Temevano non conoscendoci che la maggioranza potesse ricattarci! Noi non ci siamo mai lasciati ricattare, né impaurire, da maggioranze o minoranze, Abbiamo potuto compiere errori, come umanamente tutti penso ne hanno compiuti, nell’ ormai lungo arco della nostra vita e delle nostre battaglie parlamentari; ma non errori dovuti a ricatti subiti, o a paure penetrate nell’animo nostro. Abbiamo condotto avanti quella dura battaglia contro la cosiddetta «legge truffa» per­ché difendevamo la nostra libertà e la libertà dei nostri elettori. Siamo stati determinanti nel paese, nelle elezioni del 1953, per impedire che il congegno della «legge truffa» scattasse. Se non vi fosse stato, elettoralmente, il MSI, se non vi fosse stato al suo fianco anche allora (non eravamo uniti in un partito, ma lo eravamo in una battaglia politica) il Partito monarchico, essendosi come sempre il Partito liberale schierato dalla parte del potere ed avendo come sempre, anche in quella occasione, dimenticato e rinnegato le sue tradizioni pur di schierarsi dalla parte del potere; se non vi fossero stati dicevo nel 1953 i voti raccolti da noi e quelli più copiosi raccolti dall’amico Covelli e da tutto il Partito monarchico, il congegno previsto dalla «legge truffa» sarebbe scattato.

E se quello era, come voi lo definivate, socialcomunisti, un tentativo di vero e proprio colpo di Stato mascherato sotto una legge elettorale; se quello era l’unico tentativo serio di colpo di Stato (do una vostra definizione, non una mia, perché sarei più tenue) verificatosi in questo dopoguerra, noi lo abbiamo combattuto. O tale tentativo non si è verificato, come diceva scherzosamente un po’ troppo scherzosamente e un po’ troppo alla leggera l’onorevole Andreotti qualche tempo fa, allorché fu organizzata, secondo lui, una «marcetta» su Roma (no, onorevole Andreotti, dieci pensionati che marciano su Roma, se mai ciò è avvenuto, non minacciano le fondamenta dello Stato democratico o le istituzioni repubblicane); o, in caso contrario, l’affermarsi attraverso una legge elettorale peggiore della legge Acerbo lo dicevate voi nel 1952, e lo dico anch’io! di una maggioranza stabile, lo schiacciare ogni opposizione, nonostante i consensi, o contro i consensi che le stesse opposizioni erano capaci di raccogliere nel paese (questo sì che era un tentativo antidemocratico!), tutto questo è stato da noi combattuto. Siamo stati determinanti nel combattere tale tentativo e voi, comunisti, «gentilini», avevate paura che noi potessimo essere ricattati; quindi non vi garbava il congegno dell’articolo 3, secondo comma, della legge Scelba. A noi, invece, esso non piace in prospettiva, perché è una ignominia, perché è un assurdo, perché è incostituzionale; ma soprattutto perché immorale ed inconcepibile che attraverso una decisione dell’esecutivo, a prescindere da qualsiasi sentenza e da qualsiasi indagine giudiziaria, si possa sciogliere un partito politico, qualsivoglia partito politico.

Lo dico anche perché ne prendano atto, per cortesia, se credono, i colleghi della stampa ho saputo che, subito dopo la concessione dell’autorizzazione a procedere nei miei confronti, il giornale Il Manifesto, seguito a ruota dal giornale Il Paese, comincerà una campagna (tanti auguri!) perché l’articolo 3, secondo comma, sia applicato nei confronti del MSI – Destra nazionale. Fatelo pure, giornalisti comunisti e socialisti! Sappiate, però, che siete stati colti preventivamente, ancora una volta, con le mani nel sacco dei vostri cinici precedenti e delle vostre perduranti manovre e menzogne! Esiste un’altra norma della legge Scelba, signor Presidente, che mi turba e debbo dirlo onestamente mi preoccupa; mi preoccupa non a titolo personale, ma per le ripercussioni che essa può avere. Vi è un articolo della Costituzione italiana che è senza dubbio norma precettiva mi riferisco all’articolo 27 primo comma , il quale stabilisce che la responsabilità penale è personale. Si tratta me ne possono dar fede i giuristi più ancora che di una manovra giuridica o costituzionale, di una norma garantista, di moralità per tutti. Io non posso essere imputato o condannato per reati che altri hanno commesso senza che io lo sapessi. Ebbene, la legge Scelba, signor Presidente, onorevoli colleghi, se non ve ne siete accorti (ma dalla relazione avreste dovuto accorgervene e da quanto io ho osservato sulla relazione avete potuto accorgervene), la legge Scelba, dicevo, colpisce e, in questo caso, mi colpisce non per atti da me compiuti, e neppure per atti a mia conoscenza, bensì per atti che altri possano aver compiuto e che abbiano una certa rilevanza personale.

Facciamo l’ipotesi che nel momento in cui stiamo parlando è un momento politico e personale (me ne darete atto) in cui tutto io posso desiderare tranne che si verifichino, in qualsivoglia parte d’Italia, episodi di violenza che abbiano a protagonisti uomini del Movimento sociale italiano immaginate, ripeto, che un nostro iscritto, un nostro dirigente periferico, un gruppo di nostri iscritti, un gruppo di nostri dirigenti periferici, abbiano a commettere dei delitti previsti dalla legge Scelba. Può capitare a noi, e penso che possa capitare al segretario di qualsivoglia altro partito politico, di avere nel seno del proprio partito, fra le centinaia e migliaia di iscritti, anche qualcuno che si comporti contrariamente, non dico alla legge Scelba, ma alla legge. Ebbene, se questo qualcuno è iscritto al Movimento sociale italiano e se si tratta di questo partito e del suo segretario, avviene ciò che sarebbe considerato mostruoso e respinto come orrore se si verificasse a danno del segretario di qualsivoglia altro partito politico. Non credo che sarebbe giusto incriminare l’onorevole Forlani o l’onorevole Berlinguer se, per avventura, un iscritto alla Democrazia cristiana o al Partito comunista italiano dovesse compiere come è possibile reati gravi colpiti dalla legge. Ebbene, se qualcuno che sia iscritto o che si sia insinuato attenzione nelle file del nostro partito dovesse commettere atti gravi e la magistratura sentenziasse, sulla base del disposto della legge Scelba io andrei in galera per 12 anni. A mia volta, debbo dire che se per avventura sempre sulla base di questa disposizione di legge io, segretario del partito, impazzisco, perdo l’equilibrio al quale non bisognerebbe mai venir meno quando si dirige soprattutto un partito come questo, in una Italia come questa, se mi lascio trasportare da una polemica, mi lascio provocare, cado in una trappola provocatoria, io giustamente vengo colpito, e sono io a dire «giustamente»; ma con me ingiustamente viene colpita tutta la compagine umana che a me si è affidata, e viene colpita penalmente. Non viene colpita come è giusto che accada – dall’abbandono degli elettori, dal discredito di opinione, dal crollo delle posizioni politiche, dalla perdita dei seggi elettorali. No! Viene penalmente colpita, in ipotesi. So che qualcuno mi dirà che si tratta di ipotesi portate fino all’assurdo; ma la legge lo dice, o per lo meno non lo esclude: tutta la compagine umana che a me si affida e che si riconosce, finché io sono segretario di questo partito, nel mio nome, viene colpita anche penalmente. Perché la legge colpisce i promotori, gli organizzatori e anche gli esponenti e gli aderenti ad una siffatta formazione politica.

Penso che se aveste considerato prima il dispositivo della legge Scelba, probabilmente le vostre decisioni avrebbero potuto essere non dico diverse, ma diversamente motivate e più serene. Con quali addebiti mi si porta qui? Gli addebiti sono quelli che risultano dall’ articolo 1 della legge Scelba. Per esempio, io sarei imputato o imputabile o indiziale di reato per avere, lo ha ricordato l’onorevole relatore, non quanto a me personalmente, ma quanto a noi denigrato la democrazia. Onorevoli colleghi, se per caso dicessi in quest’aula oggi, anche in questa occasione in cui, forse, qualche parola in più mi può essere perdonata, che la nostra democrazia, che il nostro sistema democratico è imbelle e corrotto, penso che urlereste forse, giustamente per il cattivo gusto di una espressione simile. Ebbene, ho un biglietto autografo del signor ministro della Giustizia in carica, datato Roma 18 dicembre 1968: «Caro Almirante, grazie vivissime» (gli avevo mandato un biglietto di auguri); «da intelligenti e leali avversari politici si hanno testimonianze che invano si troverebbero in casa propria» (e ho l’impressione che alludesse a codesta casa e non a quella personale); «se ci riesco, come spero, voglio dedicarmi alla polemica contro questo sedicente sistema democratico imbelle e corrotto. Cordialmente, Guido Gonella».

Penso forse che l’onorevole Gonella debba essere colpito dal congegno dell’articolo 1 della legge Scelba e che quindi la Democrazia cristiana debba essere disciolta? Per carità, non lo penso affatto! Mi si deve però spiegare che cosa significa «denigrare la democrazia». Intanto mi si deve spiegare che cosa significa «denigrare». E me lo devono spiegare gli illustri giuristi e magistrati di sinistra che stanno facendo una grossa battaglia contro tutti i reati di vilipendio. Se almeno avessero detto vilipendere cioè tenere a vile la Democrazia cristiana, avrebbero espresso un concetto che anche l’illetterato o il non giurista possono afferrare. Mi si spieghi però cosa significa «denigrare» e poi che cosa significa «denigrare la democrazia» in termini giuridici. E poi mi si conceda e lo farò se lor signori andranno avanti di chiamare come vorrei tutti i personaggi che in questo dopoguerra nei loro articoli, nei loro discorsi, nei loro volumi hanno denigrato la democrazia, per lo meno con espressioni di questo genere, forse più pesanti di quelle che in tante occasioni posso aver usato io o possiamo aver usato noi.

E mi si dica altresì che cosa significa «denigrare la Resistenza». L’onorevole Scelba cito a caso, ma se citassi quanto ebbe a dire il generale Cadorna a proposito della Resistenza vista da sinistra vi farei impallidire, o arrossire: per carità, la mia citazione è innocente! l’onorevole Scelba, dicevo, ebbe ad affermare il 30 gennaio 1952 nell’aula del Senato (è a verbale) che «la Resistenza fu punteggiata da fatti deplorevoli». Pensate se io avessi oggi, in questa occasione, con cattivo gusto, dichiarato: non mi parlate di denigrazione della Resistenza, perché fu punteggiata da fatti deplorevoli, e avessi citato Porzus o altri epidosi, mi sareste saltati addosso e avreste detto: allora sei recidivo, sei incallito, ce l’ hai con la Resistenza! Lo ha detto Scelba: vogliamo incriminare Scelba sulla base della legge Scelba? Vogliamo fare una raccolta di dichiarazioni dell’onorevole Scelba e poi, sulla base della legge Scelba, vogliamo prendercela con la Democrazia cristiana? Mio Dio, per carità, non abbiate timore! Mi limiterò, nelle prossime settimane, a documentare tutto ciò che tutti voi, in tutte le epoche, avete detto in violazione dell’articolo 1 della legge Scelba.

C’è una bella citazione dell’onorevole Togliatti che voglio rispettosamente ricordare e che viola in pieno l’articolo 1 della legge Scelba, perché non si limita a denigrare la democrazia o gli istituti democratici; no, statuisce per l’Italia il principio del partito unico. Ascoltate. L’onorevole Togliatti ha scritto su Rinascita del 18 gennaio 1952 (andate a controllare): «È comprensibile e giusto che in questa nuova società comunista l’esistenza di diversi partiti scompaia…». Per ora, vorrebbero far scomparire noi, ma è un gentile preavviso che viene dall’oltretomba, «…e i cittadini più avanzati si raccolgano in una sola organizzazione politica, alla quale è affidato il compito di educare tutta l’umanità nella pratica e nello spirito del socialismo». Violazione della legge Scelba? Vogliamo retroattivamente proporre lo scioglimento del Partito comunista perché Togliatti ha violato l’articolo 1 della legge Scelba? Non vi accorgete del grottesco e del cinico che insieme avete collocato in disposizioni simili, che logicamente erano cadute in desuetudine, perché non applicabili in un sistema non dico democratico ma serio, e che oggi riemergono a seguito di dispiaceri elettorali e di preoccupazioni politiche?

Da quale tribunale io vengo oggi giudicato? Devo cominciare e, vi avverto, mi limito solo a cominciare, anche per motivi di brevità in termini politici con quella chiamata di corteo alla quale ho accennato poco fa e che proseguirà lungo il corso dell’istruttoria e diventerà clamorosa se mai si arriverà al processo: sarete in molti a testimoniare a mio favore, se vorrete avere la cortesia naturalmente di presentarvi dinanzi alla magistratura. Comincio con il Partito liberale. Il Partito liberale (e non muovo alcun appunto perché, trattandosi di me, sarebbe di pessimo gusto) ha ritenuto in questi giorni di assumere una posizione nettamente favorevole alla concessione della autorizzazione a procedere nei miei confronti e con mio dispiacere, che è semplicemente epidermico, di buon gusto, ha purtroppo affidato al senatore Brosio, che si era nobilmente espresso nei nostri confronti, al Senato, qualche giorno prima, il compito di dichiarare al Senato, l’altro giorno, esattamente quanto segue: «… La legge Scelba, lungi dall’essere, come sostengono gli esponenti dell’MSI-Destra Nazionale, una barbara reliquia o un relitto fossile, è una legge valida e che deve essere osservata». Io ricordo al gruppo liberale che quando 20 anni fa la legge Scelba fu discussa e approvata in questa Camera, qui e fuori di qui il Partito liberale italiano tenne un atteggiamento nobilissimo, e non ci siamo mai dimenticati di essere grati al Partito liberale italiano, naturalmente in quella sua lontana, remota ed evidentemente spenta espressione. Non dimenticherò mai che in un teatro romano, l’ Adriano, quando si discuteva (come siete nostalgici, tornate sempre, senza accorgervi di risbagliare, sulle stesse posizioni!) dello scioglimento del Movimento sociale italiano, e quando un uomo di altra parte, che non voglio nominare, perché ha mutato radicalmente il suo atteggiamento e ha dimostrato di essere largamente vicino a talune nostre posizioni (sarebbe fuor d’opera che io polemizzassi ora, dopo venti anni, con lui) ritenne di sostenere pubblicamente la tesi dello scioglimento, fu il liberale Cocco Ortu a prendere le pubbliche difese del Movimento sociale italiano, che non era certamente ancora destra nazionale. Cocco Ortu ó l’abbiamo avuto in questa aula per tanti anni, penso che al di là e al di sopra delle parti lo rimpiangiamo tutti era uomo integro ed onesto, era un vecchio antifascista, non apparteneva a quella copiosa schiera di liberali che hanno versato incenso, mirra e profumi di ogni genere al defunto partito fascista e al defunto regime fascista; Cocco Ortu prese quella nobilissima posizione e disse in questa aula: «…recando qui l’espressione del mio partito, il quale ha riunito la propria direzione ed i gruppi parlamentari, esaminando questa legge non la approviamo, affermando che il totalitarismo fascista deve combattersi, ma deve combattersi in una democrazia rispettosa degli alti principi cui essa si ispira, attraverso la legge ordinaria». I liberali hanno scelto anch’essi la posizione di maggioranza, la posizione illiberale, la posizione di potere. Buon pro vi faccia, cari colleghi! Da domani siamo al giudizio della pubblica opinione e siccome per avventura vi sono credo di non sbagliare larghi settori di elettorato e di opinione che sono contigui alla destra nazionale e al Partito liberale, buon pro vi faccia questa vostra ultimissima posizione che io garbatamente avrò cura di chiarire agli ambienti liberali e di opinione in ogni parte d’Italia.

Debbo dire qualche cosa e se ne stupiranno ai socialisti i quali, per solito, e per loro tradizione (parlo dei socialisti di questo dopoguerra e della tradizione socialistica di questo dopoguerra) hanno nei nostri confronti adottato sempre il linguaggio e l’atteggiamento della durezza. Bene, io vi cito un articolo di fondo dell’Avanti!del 14 maggio 1952. Se avessi voluto fare della piccola furberia, vi avrei detto la provenienza della citazione di fondo, come di solito si fa. Ve l’ ho detto prima per prepararvi bene, l’ Avanti! il 14 maggio 1952 scriveva: «Che cosa significa promuovere, costituire, organizzare, o dirigere un partito, una associazione, un movimento il quale sia diretto contro gli istituti fondamentali stabiliti dalla Costituzione? Che cosa significa minacciare o esaltare la violenza come metodo di lotta politica? Così definito il reato, l’accertamento della sua consistenza finisce per diventare un vero e proprio giudizio politico, con tutti i pericoli conseguenti, che riguardano non tanto il potere giudiziario, nel quale è da presumere una cauta e obiettiva applicazione della legge, quanto quello esecutivo. Vi immaginate una simile legge in mano ad un prefetto, ad un questore o ad un qualsiasi agente di polizia preoccupati di mostrarsi zelanti presso il loro ministro o il loro superiore? Quanti arresti e denunzie pioverebbero domani per una parola detta in un comizio o per una frase scritta in un articolo?». Ecco, amici miei, quello che l’ Avanti! pubblicava, di fondo, nel 1952, quando i socialisti potevano avere le stesse preoccupazioni, alla vigilia delle elezioni del 1953, che avevano i loro soliti compagni comunisti. Ed ecco le chiamate di correo. Anche recentemente l’onorevole Andreotti in una battuta come sempre garbata quanto è garbato questo Presidente del Consiglio, peccato che lo stiamo per perdere come Presidente del Consiglio! ha ricordato ai comunisti, che si sono inquietati, il periodo milazziano in Sicilia. Ora, poiché si è tanto parlato di questo famoso periodo milazziano, mi permettete, colleghi di tutte le parti, che vi documenti quel che accadde allora in Sicilia? Perché ce n’è per tutti! Dunque, periodo milazziano. Governo Milazzo con nostra partecipazione dal 31 ottobre 1958 al 12 agosto 1959: maggioranza costituita dal MSI, PNM, PSI, indipendenti democristiani, PCI; con la differenza che il Movimento sociale italiano aveva due suoi iscritti assessori, l’onorevole Grammatico e l’onorevole Occhipinti (il secondo è passato poi ad altro partito, ma dopo, quando non era più assessore); i socialisti avevano un indipendente come assessore; i comunisti votavano a favore, come portatori d’acqua di una maggioranza che era costituita con il nostro apporto determinante in formazione di governo. I sette democristiani cosiddetti indipendenti erano i sette che insieme a Milazzo erano usciti dalla Democrazia cristiana.

Ma a questo punto viene fuori il discorso che riguarda la Democrazia cristiana; e l’onorevole Andreotti le sue battutine le deve riservare a tutti i settori se vuole fare per qualche altro giorno il Presidente del Consiglio un po’ al di sopra delle parti. Perché a quel governo, che non si ricostituì perché il Movimento sociale italiano ritirò ufficialmente la sua partecipazione alla fine della legislatura regionale, seguirono due governi Milazzo senza di noi, ma con cristianosociali, socialisti, monarchici e comunisti; quindi i comunisti continuarono tranquillamente ad intrallazzare. E poi, in data 23 febbraio 1960 e con durata fino al 29 giugno 1961, si costituisce il governo Majorana, con presidente Majorana, monarchico maggioranza: MSI, Democrazia cristiana, monarchici e liberali con i nostri assessori, con i vostri assessori colleghi della Democrazia cristiana. Sicché in Sicilia abbiamo «milazzato» tutti e vi siete inquinati tutti; e ci avete tenuto al potere con i vostri voti. Sicché rimproveratevi reciprocamente per queste antiche concessioni fatte al fascismo o al neofascismo. Smettetela e anche i colleghi giornalisti sono pregati di informarsi meglio nei confronti di talune perduranti polemiche di dire: abbiamo colto il Movimento sociale italiano con le mani nel sacco del filocomunismo, perché in Sicilia sono stati insieme nel governo Milazzo. No! Noi non siamo stati insieme: siamo stati soli al governo e i comunisti ci davano i voti; i socialisti avevano un indipendente, e gli garbava, perché pur di stare in maggioranza si adattavano a quella situazione. Così come e la storia di questi giorni lo insegna talune parti politiche sono pronte ad adattarsi a qualunque situazione, anche la più mortificante, pur di rientrare a far parte di una maggioranza.

E poiché stiamo parlando garbatamente delle chiamate di correo, io sono imputato oggi perché sono ridiventato segretario del partito a metà del 1969; ma ero segretario del partito nel 1947, ero segretario del partito quando a Roma si svolsero le elezioni amministrative del 1947. Ed erano in lizza, dopo quelle elezioni che ci diedero a Roma i primi 25 mila voti (siamo arrivati a circa 400 mila: vedete quanto bene ci fate con il vostro trattamento persecutorio) e tre consiglieri comunali, erano in lizza, dicevo, due sindaci: Rebecchini per la Democrazia cristiana, D’Onofrio per il Partito comunista. Io ero un modesto segretariucolo di un partito appena nato, avevo quel piccolo patrimonio di 25 mila voti e di tre consiglieri. Come corsero saranno chiamati a deporre in tribunale i dirigenti di allora della Democrazia cristiana per scongiurarci di far sì frase testuale, l’ ho segnata che «la bandiera rossa non salisse sul Campidoglio». E i nostri voti furono dati e non chiedemmo niente, perché desideravamo anche noi, per molto più nobili motivi, che la bandiera rossa non salisse sul Campidoglio.

Ditemi, colleghi della Democrazia cristiana, un certo sindaco Umberto Cioccetti ve lo ricordate, per caso! Siete consapevoli, colleghi di tutte le correnti della Democrazia cristiana in Roma, dell’appoggio determinante da noi dato a quel sindaco per parecchio tempo e delle riunioni che si svolgevano in Campidoglio collegialmente, riunioni cui partecipava tutta la maggioranza? Voi, componenti della maggioranza ve lo posso dire perché nel mio partito non ero segretario, ma ero il dirigente degli enti locali: mi occupavo di queste faccende, conducevo le trattative (ne ho la documentazione) verrete cortesemente in tribunale a deporre, come verrete a deporre perché fino al 1960 28 capoluoghi di provincia di tutta Italia avevano la maggioranza democristiana con i voti determinanti dei consiglieri del Movimento sociale italiano. Tra quel 28 lo ricordo all’immemore assente onorevole Taviani, immemore di tante altre cose, che gli ricorderò nelle prossime settimane e che riguardano tante parti d’Italia anche il sindaco di Genova si reggeva con i voti determinanti, richiesti, graditi e accettati, proprio alla vigilia del tragico luglio 1960 in Genova, del Movimento sociale italiano.

Avete per caso dimenticato l’operazione Sturzo, colleghi della Democrazia cristiana? Ve la ricordate? Se ve la ricordate, chiedo se c’è qualcuno tra voi che abbia il coraggio, il cinismo di gettare la croce addosso al povero Sturzo per essersi voltato a destra. Ho letto i numerosi studi, che sono successivamente apparsi, da cui risulta che quella era stata una sua iniziativa personale. Bene, Il Popolo, giornale ufficiale della Democrazia Cristiana, il 24 aprile 1952, così scriveva: «La Democrazia cristiana aderì prontamente a tale impostazione» (quella di Sturzo) se viene pertanto dichiarata costituita di ogni fondamento la notizia secondo la quale il comitato romano della Democrazia cristiana o altro organismo del partito di maggioranza si sarebbero espressi contrariamente all’iniziativa di Don Sturzo».

Avete memoria o contezza che un Presidente del Consiglio, che si chiamava Pella, ebbe l’appoggio determinante dei voti missini nel 1953? Avete memoria o contezza che un altro Presidente del Consiglio, che si chiamava Zoli, respinse duramente in questa aula i nostri voti, e poi, come egli stesso disse, garbatamente vi rimase agganciato e se li tenne per governare? Avete memoria o contezza e in questo caso dovreste averla anche in guisa reverente e affettuosa di un Presidente del Consiglio che si chiamò Segni, i cui discorsi terminavano sempre con un inno alla cara patria, forse retorico ma certamente più idoneo ad un Presidente del Consiglio che gli inni dell’antifascismo viscerale, cui si sono abbandonati tanti suoi successori? Avete memoria o contezza di un certo onorevole Segni, Presidente del Consiglio con l’appoggio determinante e concordato, richiesto, gradito e accettato financo in termini para-programmatici, del Movimento sociale italiano?

Tambroni: naturalmente non ne parliamo. Però penso che come io da solo non ho potuto ricostruire il disciolto partito fascista, l’onorevole Tambroni non fosse solo a far parte insieme con noi di una maggioranza che, in questi tempi calamitosi, soltanto noi mettemmo a disposizione di un Presidente del Consiglio, perché ci si disse ma quella volta lo diceva in nostro favore esattamente ciò che ha detto oggi contro di noi il relatore: la patria era in pericolo, le istituzioni minacciavano di crollare, la crisi si era prolungata. Vi ricordate i 67 giorni, la più lunga crisi del dopoguerra? Ci voleva qualche uomo di buona volontà che appoggiasse disinteressatamente. Non ne avete memoria, colleghi della Democrazia cristiana? Avete memoria del modo con cui fu eletto il Presidente della Repubblica Gronchi, con i voti determinanti del nostro gruppo? Avete memoria dei voti con cui fu eletto Presidente della Repubblica l’onorevole Segni, con i nostri apporti determinanti? E la vicenda Leone è già sfuggita alla vostra memoria?

Qualcuno ha avuto il coraggio e l’impudenza, anche davanti alla televisione, di contestare l’apporto determinante, e richiesto, dei voti del Movimento sociale italiano e del Partito monarchico (non eravamo ancora uniti, allora, ma agimmo insieme e per altri motivi di valutazione nazionale). Qualcuno ha avuto l’impudenza, anche alla televisione, di negare che l’appoggio fosse stato da noi dato e fosse stato determinante. Ebbene, onorevoli colleghi, volete rileggere le collezioni dei giornali di quei giorni? Avete memoria del titolo a nove colonne dell’ Unità, del titolo a nove colonne dell’Avanti!, i quali scrivevano cose che offendevano la persona del Capo dello Stato e la stessa istituzione della Presidenza della Repubblica molto più pesantemente di quanto non abbia potuto fare io quando, nei giorni scorsi, ho garbatamente reagito di fronte a una molto imprudente intervista? Basterà ricordare quei titoli a nove colonne: «Eletto coi voti fascisti il Presidente della Repubblica». Così scriveva l’Unità, così scriveva l’ Avanti! Pensate voi, onorevoli colleghi, che quei giornali abbiano scritto il falso, si siano esposti a difendere una impostazione simile in tutta Italia, di fronte a tutto il loro elettorato, se quell’affermazione non fosse stata vera? Salvo riconciliarsi un anno dopo col Presidente della Repubblica attraverso la intermediazione, non so quanto politicamente e costituzionalmente qualificata, della gentile signora Oriana Fallaci…

Pensate voi, onorevoli colleghi, che quei gruppi politici, quei partiti, quei giornali avrebbero assunto posizioni simili non smentite nella sostanza politica se non vi fosse stato accordo preventivo, con preventiva richiesta (e la chiamata di correo avverrà in tribunale, perché siamo documentati!) da parte della Democrazia cristiana?

Ed allora, onorevoli colleghi di tutti i gruppi politici, consentitemi di dirvi: siate più seri! Quando cercate di lasciare intendere al popolo italiano che io sono il pericolo fascista, che Annibale è alle porte, e che adesso vi accorgete (tornerò su questo argomento) dell’insorgenza di questo pericolo fascista, siate più seri! Perché io non scherzo quando dico che darò luogo ad una corale chiamata di correo: e non mi riferisco a quella, che pur vi sarà, di fronte ai tribunali della Repubblica, ma a quella chiamata di correo che vi sarà, civilmente, in tutte le piazze d’Italia, perché queste cose agli italiani devono essere dette e ricordate, perché deve emergere l’aspetto scandalosamente, cinicamente opportunistico delle vostre attuali manovre contro di noi e contro di me!

Se sono io il «ricostituito partito fascista», allora consentitemi di dire che lo sono dalle origini; anzi (e ve lo spiegherò) alle origini potevo esserlo, o potevo essere ritenuto tale, molto più di oggi. Ed allora, alle origini potevate anche tollerarci, potevate non applicare la legge contro di noi, potevate considerare irrilevante il pericolo, potevate tenere sospesa la legge sul nostro capo, come una spada di Damocle; tutto potevate fare, tranne che chiedere il nostro sempre disinteressato apporto per la soluzione di problemi di governo o addirittura per la soluzione di altissimi problemi istituzionali. Così come oggi tutto potete fare tranne che dichiarare fuori della Costituzione un partito cancellato il quale per modesto che sia stato il nostro contributo: ma modesto non è stato non avrebbero più senso e significato, dal punto di vista politico, parlamentare, costituzionale, tutte le vicende di questo dopo­guerra.

Ricordo con commozione la prima seduta della Camera alla quale partecipammo, nel 1948 (eravamo in cinque), noi deputati del Movimento sociale italiano. La prima questione di legittimità costituzionale fu sollevata dal nostro gruppo, da Gianni Roderti, il quale si alzò e ricordò alla Camera che tra gli istituti previsti dalla Costituzione mancava il più importante, quello che sarebbe dovuto sorgere subito e che viceversa non fu creato se non nel 1955, l’istituto che avrebbe dovuto legittimare tutti i nostri atti, e cioè la Corte costituzionale. Non fu né democratico né socialcomunista, quel richiamo ai doveri costituzionali del Parlamento: fu nostro e ce ne siamo onorati, come ci siamo onorati negli anni successivi (e non in campagne elettorali, onorevole Fanfani), di ricordare gli articoli 39, 40 e 46 della Costituzione, tuttora inevasi e negletti. Parimenti, ci siamo ricordati di dire ai colleghi socialisti (che sull’ A vanti!, a proposito degli articoli 39, 40 e 46 della Costituzione, hanno scritto che si tratta di «ferri vecchi»), che se per avventura qualche parte della nostra Costituzione è da considerare un «ferro vecchio», si ha il dovere, da parte di chi così scrive sui giornali ed impedisce che la Costituzione abbia effetto nelle sue norme più delicate e garantiste, quelle sul lavoro, si ha il dovere, dicevo, di presentarsi in quest’aula non per tentare di mettere fuori legge un altro partito, un partito concorrente, ma per cercare di dare ordine alle cose, attuando la Costituzione nelle sue parti in attuate o modificandola, qualora essa debba essere modificata.

Ho l’impressione che difficilmente voi potrete sottrarvi a questa chiamata di correo. Per quali motivi mi avete condotto qui oggi, come imputato o pre imputato? Ve li ho già detti: si tratta di motivi elettorali e voglio chiarire. A mio avviso, non si tratta della caccia ai voti: sarebbe puerile una caccia ai voti in quanto tali. Si tratta di una interpretazione elettorale e politica della situazione italiana. Voi, colleghi della Democrazia cristiana, gradite per vostra antica tradizione una situazione politica a due: da un lato voi e dall’altro le sinistre, per scontrarvi propagantisticamente allo scopo di catturare voti anticomunisti, cattolici e nazionali, e per colludere dopo le elezioni in guisa tale che i vostri privilegi di potere non siano eccessivamente insidiati. Per molti anni questa è stata la situazione politica ed elettorale italiana, non es­sendo riuscita la destra a determinare una sua autonoma forza. Da quando la destra ha determinato una sua autonoma forza, voi colleghi della maggioranza vi sentite in pericolo, ma il pericolo non è corso dalle istituzioni, bensì da voi. Il pericolo è per voi non tanto in voti, quanto in prestigio e potere politico. Non vi piace una tale situazione, perché una destra condizionante e di alternativa programmatica vi mette in difficoltà, dopo le elezioni, con il vostro corpo elettorale, che vi contesta città per città, paese per paese e casa per casa le promesse disattese, l’anticomunismo fasullo, l’antisocialismo di maniera, l’assenza di programmi, l’assenza di idee e molte volte, purtroppo, anche l’assenza di uomini capaci di dirigere intelligentemente e soprattutto correttamente la cosa pubblica. Ecco quel che vi ha turbati. Ecco perché, dal 1969 in poi, siamo diventati un pericolo. Ecco perché il Movimento sociale italiano-Destra nazionale dovrebbe essere tolto di mezzo o quanto meno dovrei essere tolto di mezzo personalmente io, che ho avuto la fortuna e non certo il merito di condurre innanzi, fino a qualche successo, questa nostra politica.
La vicenda si ripete ogni dieci anni: nel 1952, nel 1962 e nel 1972. Guarda caso, nel 1952 fu emanata la legge Scelba alla vigilia delle elezioni del 1953 quando la destra recitò, purtroppo solo elettoralmente e non politicamente, un ruolo determinante. Nel 1962, al Senato, i socialcomunisti condussero contro di noi la battaglia diretta allo scioglimento della nostra formazione. Inoltre, sempre nel 1962 ebbe fine ingloriosa il primo quinquennio, onorevole Moro, del centro-sinistra, pericolo di rigurgiti (come dite voi) a nostro vantaggio; tentativo di giungere allo scioglimento del nostro schieramento, tentativo al quale la Democrazia cristiana (per fortuna sua e del nostro paese) non ebbe il coraggio di associarsi. Ora siamo nel 1973 e, direte voi, siamo in un periodo successivo alle elezioni e non pre elettorale. È vero, ma siamo in un clima di incertezza politica che a molti osservatori ha fatto ritenere, dire e scrivere che elezioni anticipate potrebbero essere anche in prospettiva. Tale prospettiva, se non vi fosse la destra, vi tornerebbe gradita perché potreste pensare di giungere (come qualcuno va farneticando) ad un 18 aprile redivivo. Ma, in presenza della destra, non si realizzano i 18 aprile della Democrazia cristiana: si realizzano 17 maggio o i 13 giugno condizionati, e nelle prossime occasioni io credo condizionati in ben più pesante guisa, dal Movimento sociale italiano-Destra nazionale.

In quale posizione personale e politica io mi sono venuto a trovare? Vi prego di consentirmi e prego soprattutto la Presidenza di permettermi per un istante di uscire solo in apparenza fuori del tema, perché vi è una questione personale che mi grava sullo stomaco da parecchio tempo e della quale vorrei potermi liberare in questa occasione. L’aggressione (e mi perdonino i colleghi se parlo di me in questo caso, ma non posso farne a meno) anche personale, nei miei confronti, non ha avuto origine in queste ultime settimane: ha avuto origine (vi cito la data) il 21 giugno 1971, otto giorni dopo le elezioni del 13 giugno, quando su taluni giornali di estrema sinistra apparve un manifesto falso a me attribuito. Credendo… Non interrompete, perché ho i documenti! Credendo di potermi difendere, come ogni cittadino che pensi che le leggi vigenti debbano essere onestamente applicate, credendo di potermi e di dovermi difendere anche perché segretario di un partito, anche perché non si debbono lasciare nell’ombra determinati sospetti, pur risalenti a 20, 30, 50 anni or sono, non importa, commisi l’ingenuità di dare parecchie querele. Ve ne sono ancora altre in discussione, fra cui alcune a Roma fra qualche giorno. Vedremo come si comporteranno i magistrati nelle future occasioni. Poi ci saranno i giudizi d’appello, che ho già promosso; vedremo quali saranno i giudizi d’appello. Non voglio assolutamente emettere una sentenza a mio favore. Voglio informare.

Ho davanti a me una delle motivazioni di sentenza a me contraria. Vi leggo un passo che per me è sufficiente a chiarire: «Né può tacersi, infine, che gli stessi difensori degli imputati» (i difensori degli imputati, potete controllare, sono tutti iscritti al Partito socialista italiano) «hanno affermato in dibattimento che nessuno mai si è sognato di attribuire al querelante» (cioè a me) «responsabilità dirette in ordine a specifici episodi di violenza». Dico: nessuno si è mai sognato. Questa stessa dichiarazione ufficiale risulta da tutte le altre motivazioni di sentenza, dalle quali risulta qualche cosa di più, cioè che avendo io chiesto quel che chiede chiunque venga accusato attraverso un documento da lui ritenuto falso, cioè avendo io chiesto che fosse periziato anche merceologicamente quel vecchio documento, i tribunali hanno respinto la mia richiesta e hanno assolto i calunniatori, in quanto, debbo dire, il documento non era stato esibito a non era stata accolta la mia richiesta di esibizione.

Bene io non voglio drammatizzare. Però, vi prego di mettervi nei panni di un uomo, di un cittadino e anche di un segretario di partito, il quale da circa due anni a questa parte, in qualunque città d’Italia si rechi, trova il volantino o il manifesto con la scritta: «Il fucilatore, il massacratore Almirante». Vi prego di considerare quale possa essere il fine di provocatori di tal genere, se non quello di trascinare il segretario di un partito nella trappola della provocazione. Avrei dovuto rispondere sullo stesso tono? Avrei dovuto comportarmi nella stessa guisa? Avrei dovuto Procedere ad aggressioni personali? Non l’ ho fatto. Non lo farò. Ed è questa la mia risposta agli ignobili provocatori che questa campagna hanno condotto contro di me.

E poiché mi state per giudicare sul piano strettamente politico, ho voluto (ed ho già finito questo piccolo intermezzo fuori tema) sgravarmi la coscienza, perché nessuno qui, ma soprattutto nessuno fuori di qui, potesse pensare anche per un istante che io cerchi di nascondere, sotto il manto dell’onestà politica attuale, della correttezza politica attuale, antichi misfatti che non ho mai commesso e che mi sono stati attribuiti soltanto da una banda di calunniatori e di denigratori.

Ciò detto, poiché sono qui imputato come segretario del Movimento sociale italiano Destra nazionale, debbo in primo luogo ringraziare il gruppo parlamentare della Camera e quello del Senato del Movimento sociale italiano-Destra nazionale per l’affettuosa, intelligente, impegnata solidarietà che si esprimerà qui alla Camera negli interventi della nostra parte politica che avrete la bontà di ascoltare questa sera e domani, ma soprattutto desidero ringraziare tutta la classe dirigente della destra nazionale quale è uscita dal nostro recente congresso e in particolare, senza far torto ad alcuno, le componenti nuove della destra nazionale, gli uomini che con Alfredo Covelli sono venuti tra noi a nobilmente rappresentare i servitori dello Stato, gli uomini, umili e importanti, che sono venuti tra noi per testimoniare la credibilità della nostra battaglia di pacificazione tra gli italiani.

Vi parlerò fra poco della violenza perché di questa soprattutto io sarei imputato, ma proprio per potervi adeguatamente parlare, e in buona coscienza, della violenza che a me o a noi viene addebitata, lasciate che vi ricordi che da quando ho l’onore di dirigere il mio partito, fin dal 1969 e cioè, guarda caso, proprio dal momento in cui l’indagine del procuratore generale Bianchi d’Espinosa ha avuto inizio, io vi ho parlato, in primo luogo, il linguaggio dell’antinostalgismo o «antinostalgite» all’interno delle mie stesse file; e non lo ho parlato tatticamente, perché l’ ho parlato apertamente in libere riunioni, in aperti congressi. E a questo riguardo mi permetto di fare una piccola osservazione a tutti i giuristi qui presenti: volete colpire un partito da voi ritenuto fascista nel significato che voi date a questa parola che io certamente non condivido perché guardo alla storia nel suo divenire e non ne anticipo i giudizi nel significato che la legge vorrebbe attribuire ad un siffatto partito, cioè un partito totalitario, il partito che si avvia a diventare o tenti di diventare o minacci di diventare partito-Stato? Questo è, secondo la vostra accezione, il partito fascista: il partito che si sostituisce a tutti gli altri, che vuole incarnare, interpretare esso solo lo Stato. Bene, allora cercate di individuare i partiti all’interno dei quali non esiste libertà di parola o di organizzazione. Io mi onoro di dirigere un partito libero. Sono segretario di questo partito perché sono stato eletto da due congressi successivi, prima dei quali si sono svolte in ogni parte d’Italia le nostre libere assemblee sezionali e provinciali senza voti di delega, colleghi della Democrazia cristiana, senza gonfiamenti di tessere, senza tessere accattate, colleghi del Partito socialista! siamo giunti ai nostri congressi nazionali, i quali hanno eletto i nostri comitati centrali, che a loro volta hanno eletto le nostre direzioni, le quali hanno eletto il segretario del partito, il quale ha nominato i componenti dell’esecutivo e della segreteria politica. E ci riuniamo spesso e discutiamo liberamente. Io, segretario del partito nel 1947, fui dimesso da segretario politico nel gennaio del 1950 perché rimasi in minoranza nel quadro di un dibattito politico tenuto insieme nel nostro comitato centrale; dopo di che diventai, credo, un fedele collaboratore del nuovo segretario del partito Augusto de Marsanich, che a sua volta si dimise per un voto del comitato centrale nel 1954. Collaborammo quindi con l’ allora neo-segretario del nostro partito, Arturo Michelini. Alla stessa maniera dichiaro di essere pronto in ogni momento e colgo questa occasione per affermarlo ad affidare al mio partito la scelta di un altro uomo che meglio diriga. Questa nostra libertà interna è una garanzia per l’opinione pubblica, per gli italiani tutti e anche per il Parlamento, se il Parlamento vorrà prendere atto di dichiarazioni serie e non di fanfaluche, se non si accontenterà di una qualsivoglia esposizione programmatica. Che vale che un partito si dichiari fedele cultore del pluripartitismo o di tutte le democrazie di questo mondo se al suo interno mostra una compagine ferrea, se al suo interno e al suo vertice non si discute, se i segretari di partito sono capi clientela, capi cabila o capi casta o capi tribù? Che importa garantire agli italiani tutte le libertà, se poi la partitocrazia uccide la democrazia parlamentare, e la correntocrazia (e voi democristiani avete in casa vostra, e lo dico compiangendovi, ben tristi esempi) anch’essa uccide, o per lo meno deprime, quelli che potrebbero essere, financo in una partitocrazia, gli aspetti positivi o favorevoli?

Non è forse vero che abbiamo letto su alcuni giornali, che in altre occasioni voci molto ascoltate cito ad esempio il New York Times che, quando sono arrivati i finanziamenti dall’America, essi non si sono indirizzati tanto ai partiti quanto a talune correnti, guarda caso, di sinistra, all’interno di questi partiti? Ho letto le smentite, ma in America non si accontentano delle smentite ufficiali, quando è il New York Times a scrivere determinate cose. E quando la stampa di sinistra, ed anche di centro, commenta gli eventi americani, anche recentissimi, plaude a quel giornale coraggioso e a coloro che democraticamente in America, sulla spinta di quel giornale, aprono talune inchieste. Vi è qualcuno, tra gli accusati dal New York Times in Italia (perché quel giornale ha fatto alcuni nomi, e nomi grossi) che sia andato al di là della smentita, che abbia sollecitato indagini o inchieste? Dove sono i capicorrente della Democrazia cristiana accusati dal New York Times ha accusato di aver preso quattrini dall’America? E dove sono i comunisti che il New York Times ha accusato di aver preso quattrini, non certamente dall’America, ma dall’opposta direzione? Qualcuno ha forse sollecitato dalle inchieste? Qualcuno tra voi ha avuto pruriti qualsiasi? Qualcuno si è almeno affrettato a chiedere subito l’approvazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti, in modo da toglierci tutti da questi imbarazzi e da poter controllare la finanza interna, cioè la leva di comando interno dei partiti, e quindi garantirne la libertà all’interno?

Credete forse che noi non vogliamo certe sfumature? Credete che non ci vergogniamo per voi quando un deputato, in un’occasione come questa, dice pubblicamente: «Io in coscienza voto contro l’autorizzazione a procedere, ma in aula voterò a favore, perché questa comanda il mio partito»? Che cosa significa un comando di tal genere? Non è questa la radice della perdita di coscienza, della perdita di intelligenza, della pigrizia mentale e morale, dello sfascio di un regime che si è creato sulla base di discipline coattive, di stanche discipline di questo genere, dietro le quali stanno quasi sempre interessi che non si vogliono smascherare? Che cosa significa la parola democrazia in un clima come questo? Non dico che dobbiamo prendere l’esempio da noi, per carità!; dico soltanto che ho l’onore di dirigere un partito libero, e sono grato alla classe dirigente di questo partito che liberamente, in questo frangente per me tanto duro, avrebbe anche potuto accantonarmi, e che invece liberamente si è stretta, forse anche intorno alla mia persona, per difendermi in questo momento nella battaglia che stanno conducendo tre milioni e più di italiani che guardano a noi come segnacolo e come garanzia di libertà proprio per questi motivi. Ringrazio dunque questa classe dirigente perché insieme con noi, (anzi, ancora più di quanto io non abbia potuto fare: io ho soltanto cercato di interpretarla e di capirla) ha portato avanti il nobile discorso della destra nazionale.

Voi ci accusate di istigazione alla violenza? La destra nazionale ha in questi anni, la mia persona ha in questi anni trascorso momenti durissimi, che non auguro ai peggiori dei nostri nemici. Non ero altrove, ero a Genova, su un palco da comizio, quando il nostro giovane militante Ugo Venturini è stato assassinato accanto a me perché mi difendeva da coloro che volevano colpirmi. Ero a Livorno con Giuseppe Niccolai quando insieme fummo aggrediti da una turba di avversari politici che stavano per far rimettere la pelle ad entrambi, nell’assenza, durata parecchi minuti, della forza pubblica. Ero a Parma nel 1970, durante la campagna elettorale regionale, quando aprirono persino i tombini del gas per cercare di far saltare il palco e, con esso, la mia modesta persona. Ero a Salerno quando hanno assassinato il giovane diciannovenne Carlo Falvella e ho recitato per lui l’elogio funebre durante le esequie. Ero a Roma nei giorni del rogo di Primavalle, ed ho già avuto modo di esternare in quest’ aula il mio sentimento. In nessuna di queste occasioni la destra nazionale ha ritenuto, responsabilmente, di accettare che fosse parlato il linguaggio dell’odio, della vendetta, del risentimento. Abbiamo serrato le labbra per non dire parole che suonassero come una minaccia di rappresaglia, e sarebbe stato umano profferirle, avrebbe potuto anzi sembrare inumano non pronunciarle di fronte ai genitori, ai parenti, ai figli delle vittime; eppure abbiamo taciuto. Ci siamo anzi inchinati di fronte alle vittime appartenenti alle altre parti politiche che purtroppo la violenza ha falciato senza alcune discriminazione, e siamo sempre pronti a rifarlo, proprio perché siamo la destra nazionale; perché al di là dei programmi politici, al di là dei programmi sociali ed economici, c’è fra noi questa volontà di coesione per gli italiani e tra gli italiani. Questo è il significato della destra nazionale, questo è il discorso che abbiamo portato avanti. Ed è proprio grazie a questo discorso che abbiamo raccolto 3 milioni di voti; è proprio per aver portato avanti questo discorso che vi abbiamo fatto paura; contro questo tipo di discorso avete sollevato nel corso della campagna elettorale del 1972 i fantasmi della guerra civile, dicendo agli italiani di fare attenzione perché la destra nazionale avrebbe portato avanti la guerra civile. Questo stesso tipo di discorso provocatorio state facendo contro di noi in questo momento; ma come vi siete sbagliati allora credendo di provocarci all’intolleranza, così vi sbagliate adesso anche nei miei personali confronti se credete di provocarmi all’intolleranza. Il programma morale della destra nazionale esce più saldo che mai da questa prova e le componenti della destra nazionale si riconoscono in noi più salde dopo questa prova. Qualche giorno fa, signor Presidente, ella con nobili parole ha ricordato la figura indimenticabile dell’onorevole De Lorenzo, che fu uno dei pionieri della destra nazionale; ella, ed era logico ed umano che lo dicesse, affermò che la più bella pagina della sua vita il generale De Lorenzo l’aveva scritta aderendo al movimento della Resistenza. Io la guardavo, in quel momento, e forse ella guardava me, e forse pensava che quella frase potesse umanamente dispiacermi o dispiacerci. Non ci è dispiaciuta affatto, ci ha onorato. Perché la più bella pagina noi l’abbiamo scritta adesso, quando abbiamo detto basta anche e prima di tutto nelle nostre file alla polemica fascismo-antifascismo, basta alla perdurante guerra civile e al clima di perdurante guerra civile .

Questa è la destra nazionale e per questo, signor Presidente, la si vuole colpire. Oh, se girassimo in grottesche mascherate nostalgiche, come in grottesche mascherate sfilano gli hippies tanto cari in Italia e in tante parti del mondo; se fossimo un appoggio, una moda, un costume; se fossimo quattro accattoni in cerca di viscerali applausi; se fossimo dei demagoghi da strapazzo e se predicassimo, impotenti e velleitari, odio e violenza, nessuna legge speciale od ordinaria verrebbe invocata contro di noi. Tanto è vero che l’articolo 18 della Costituzione è lì, è norma chiaramente precettiva, è norma di immediata applicazione; ma nessuno fino a questo momento ha pensato di servirsene per colpire i pagliacci ed i violenti che circolano a piede libe­ro in ogni parte d’Italia. E non importa di quale tendenza essi dichiarino di essere perché io stesso rifiuto qualsivoglia caratterizzazione di destra, e vorrei essere così superiore alle parti da respingere qualunque etichetta di parte anche se fosse riferita alla estrema sinistra. Le origini della violenza, l’ ha detto in quest’aula l’onorevole Giorno la settimana scorsa, debbono essere ricercate nel 1968. Accetto questa data iniziale. Si potrebbe però dire che le origini della violenza vanno ricercate nel 1960 e forse potremmo tutti accettare nelle diverse interpretazioni dei fatti di quell’anno anche questa data iniziale. Ma qualcuno in quest’aula di violenza parlava molti anni fa. A questo proposito vorrei citare un discorso pronunciato dall’onorevole Scelba guarda caso, proprio lui nell’ottobre del 1950 in quest’aula: «Io potrei qui documentare quante violenze si siano compiute contro gli agricoltori e contro i lavoratori non aderenti allo sciopero, le cascine incendiate, i terreni allagati, i cittadini colpiti a sangue; l’azione spionistica nelle amministrazioni statali da parte delle sinistre a danno dello Stato e dei cittadini, l’azione disgregatrice presso le forze armate dello Stato; è un fatto documentato e documentabilissimo. L’azione paramilitare del Partito comunista così si è espresso l’onorevole Scelba, il segretario amministrativo della federazione comunista della provincia di x, è il capo delle formazioni paramilitari del Partito comunista nella provincia».

Voglio forse affermare che l’onorevole Scelba avesse ragione quel giorno? Non lo so. Affermo soltanto che è falso che la spirale della violenza si sia determinata in Italia in quest’ultimo anno o in quest’ultimo anno e mezzo. Vi sono state violenze inaudite in talune parti d’Italia, soprattutto non abbiamo inventato noi il termine «triangolo della morte» nell’immediato dopoguerra. Violenze che dal 1945-1946 sono arrivate al 1949-1950. Successivamente si sono avute ulteriori spirali di violenza. Vi è stato lo scoppio della violenza della piazza contro lo Stato. Le vittime degli scontri a Genova altra notizia da rettificare, altro ricordo da correggere non furono i missini. Noi non eravamo arrivati a Genova il giorno degli scontri. Le vittime furono 130 tra carabinieri e agenti di polizia: da una parte le sinistre, dall’altra parte gli agenti di polizia e i carabinieri. Poi, lo scoppio della violenza nel 1968. Vi è qualcuno che non sappia, onorevole Giorno, cosa ha rappresentato il 1968 nella storia non dico d’Italia, ma europea e mondiale? Vi è qualcuno che non ricordi che il 1968 vuol dire qualcosa per la Francia soprattutto per la Francia per la Germania, per l’Inghilterra è Vi è qualcuno il quale non sappia che il 1968 vuol dire contestazione, quella contestazione che da sinistra, che da oriente (e non mi importa quali siano state le centrali di provenienza) si è abbattuta su tutto il mondo? Vi è qualcuno che non si sia accorto lo scrivono i giornali stranieri in questi giorni __che mentre altri paesi, diciamo pure altre democrazie più sane, più garantite della nostra, hanno riassorbito rapidamente e forse definitivamente il fenomeno, l’Italia è il solo paese nel quale esso invece di essere riassorbito si è addirittura aggravato?

Ed allora, allorché si parla di origine della violenza, ci si ricordi da quale parte essa è arrivata. E dico «quale parte» con molto rispetto per le parti politiche qui rappresentate, perché mi riferisco a quel grosso moto di contestazione, con le sue radici culturali e psuedoculturali, con le sue bande armate, con i suoi protagonisti tipo Cohn Bendit, con i suoi movimenti anarchici, mi riferisco dicevo a quel vasto moto internazionale, mondiale, di violenza che ha sommerso tanti paesi e che ha sommerso soprattutto, in definitiva, il nostro.

Quali le conseguenze della violenza? Le conseguenze mi si dice si ripercuotono a destra come a sinistra. Onorevoli colleghi, è il momento di parlar chiaro e responsabilmente a questo riguardo: le conseguenze della contestazione si ripercuotono a destra, come a sinistra. Credo però di poter affermare che a destra (mi riferisco ai cosiddetti movimenti extraparlamentari di destra) le conseguenze siano molto meno vistose. Credo di poterlo affermare perché tutti i rapporti di polizia o di prefettura, tutte le indagini giornalistiche finora esperite, hanno portato a questo risultato. Credo di poter affermare che i finanziamenti a sinistra siano molto più vistosi che a destra e di dover ricordare che la sinistra extraparlamentare ha addirittura i suoi quotidiani. Credo anche di dover rilevare che partiti di maggioranza e di Governo, come il socialdemocratico ed il liberale, hanno dovuto chiudere e me ne dispiace i loro pregevoli organi di stampa, o non aprirli, mentre l’ultra sinistra esce con una sigla e subito con un quotidiano. Forse grazie alle sottoscrizioni? Certo, grazie alle sottoscrizioni… È naturale! E chi non crede a queste sottoscrizioni, sol perché sono di sinistra, perché si tratta di movimenti «democratici»? Essi hanno i quotidiani, hanno le sedi, organizzano congressi, spostano migliaia di attivisti dall’ una e dall’altra parte d’Italia, si permettono il lusso se lo permette tutta una classe dirigente dell’ultrasinistra di non lavorare. Non sono entrati in Parlamento, ma vivono e vivono bene. Soltanto per le tolleranze di talune patrizie «giornalistiche» milanesi? Non soltanto per questo, penso. Credo vi siano altre fonti di finanziamento, oltre alle alcove, per l’ultrasinistra. Mi pare indubitabile che vi siano collegamenti importanti a livello internazionale (qualcosa in materia documenterò). Comunque, io sono pieno di comprensione nei confronti del Partito comunista quando lo stesso afferma, come alla vigilia ad esempio della campagna elettorale dell’ anno scorso, di non aver nulla a che vedere e di voler anzi sconfessare i gruppi dell’ ultrasinistra. Certo, erano concorrenti elettorali! Però vorrei che questi atteggiamenti fossero tenuti anche quando qualcuno dall’ultrasinistra attenta con la violenza, con la più scatenata violenza, al viver civile e gli trovi subito accanto, come nel caso di Primavalle, il perito iscritto al Partito comunista, l’avvocato al Partito comunista e del Partito socialista. Perché? Se vi dissociate politicamente e organizzativamente, perché sul terreno più delicato, che è quello delle connivenze e delle colluzioni morali, non vi dissociate mai? Perché vi troviamo sempre assieme in tutte le complicità morali? Quelli dell’ultrasinistra, anche i più barbari, i più lerci, e gli avvocati difensori del Partito comunista, e i giornalisti del Partito comunista e del Partito socialista, il quale, del resto (lo ha detto l’onorevole Andreotti, e non ho bisogno di ripeterlo io), è il solo partito politico italiano che non abbia più sin qui sconfessato gli extraparlamentari.

Quanto a noi, abbiamo dichiaratamente e ripetutamente, in tutte le sedi, dalla televisione al congresso nazionale, sancito l’assoluta incompatibilità organizzativa, politica e morale con le formazioni extraparlamentari, alle quali io rifiuto l’attributo «di destra», perché poi, guardando nel profondo, debbo stare un po’ attento ad attribuire certe generose qualificazioni. «Di destra»? Io considero «di destra» quel che viene verso di me, che io riesco ad interpretare, che mi appoggia, che io ritengo di appoggiare, che mi interpreta in qualche guisa. Ma quando in una manifestazione da noi organizzata si insinua un teppistello, è egli «di destra» perché in quel momento fa un saluto romano provocatorio? È «di destra» perché dice di essere amico di qualcuno tra i dirigenti di destra? O non si deve guardare nel fondo, e vedere chi lo abbia tollerato e promosso?

San Babila. È bastato che in una conferenza alla stampa estera pochi giorni fa io dicessi: andrò a Milano sabato e domenica e girerò per San Babila, perché me li ritroverò tutti, i famosi teppisti di San Babila; è bastato che dicessi questo, e improvvisamente ed insperatamente il signor ministro dell’interno o il questore di Milano hanno fatto pulizia. San Babila è pulito. Per quanti altri giorni? E perché era sporco prima? Chi tollerava quelle presenze, di uomini che erano questi tutti noti, uno per uno, alla questura di Milano, per reati comuni? Perché al centro della città di Milano la buon costume non interveniva? Vi sono simpatie di vertice verso gli invertiti di San Babila? Debbo credere questo? Si arruolano autisti da strapazzo a San Babila da parte di qualcuno? Debbo ritenere questo, debbo dirlo, debbo scriverlo? Si giunge a questo? Invertiti, prostitute, sfruttatori degli uni e degli altri; e in mezzo può capitare il giovane sprovveduto, nei confronti del quale bisogna essere umanamente comprensivi, purché politicamente si sia ferrei nell’additare le responsabilità, nell’andare a sviscerarle. Forse che i giornalisti dei grandi quotidiani milanesi non sanno queste cose? Dove si dilettano nell’osservare la realtà di Milano, se non al centro della città? Fingono di non conoscere le situazioni e perché? O se ne accorgono soltanto quando tentano di pugnalare noi?

A Roma, come mai certi gruppi dell’ultra-destra in questi ultimi giorni (peccato che non ci sia l’onorevole Andreotti!) aprono librerie? Io non sono in grado, a titolo personale, di aprire una libreria. Gruppi dell’ultradestra, con la loro insegna, al centro di Roma aprono librerie. Mi auguro che si accingano a vendere libri; ma se, per avventura, tra sei mesi o un anno si dovesse scoprire che nel retrobottega c’è qualcosa che non va, ne ho colpa io? O quei gruppi romani della Democrazia cristiana che sono d’accordo? L’onorevole Petrucci ne sa qualche cosa? Chiedo questo, e non a caso: chiedo se ne sappia qualcosa il comitato romano della Democrazia cristiana; chiedo se se ne sappia qualcosa in assemblea regionale, se ne sappiano qualcosa taluni rappresentanti regionali della Democrazia cristiana. “

FELICI: “Questo non risulta. È una menzogna piena!. “

ALMIRANTE: “Non risulta? Allora risulterà. Ho detto che per ora, e nel vostro interesse, vi sono degli avvertimenti da parte nostra. Visto che molti tra voi hanno consuetudine con i modi di agire mafiosi, ecco, questo è un avvertimento. Ma nei prossimi giorni verranno le notizie e le comunicazioni, perché siamo stanchi, assolutamente stanchi non di pagare noi che è giusto che paghiamo ma di mettere a repentaglio tanta brava gente italiana. Penso ai fratelli Mattei: vi pare giusto che dei ragazzi, dei bimbi corrano pericolo di vita, anche in questo momento, perché ci sono teppisti scatenati: quei teppisti scatenati che vengono attribuiti alla nostra parte, o anche alla nostra parte, quando chi paga ce l’ ha con noi e chiede addirittura la nostra messa al bando per ripulire l’Italia dalla violenza e dai violenti? Aspettatevi delle denunce pesanti, documentate e dettagliate. E poiché non voglio mai fermarmi a una sola parte, dò ai democristiani una consolazione. Bisogna mettere le mani un tantino anche sull’ultra sinistra e su quelli che la proteggono a tutti i livelli. Ho qui un carteggio che, uscito da quest’aula, affiderò ai giornalisti coraggiosi. Un carteggio che ha inizio con una notiziola apparsa su Paese Sera, sempre a proposito di violenza.

Una notiziola: «Camerino» (la città, non il gabinetto) «Una montatura le armi nel cascinale». E poi: «Come sempre, ci vuole un po’ di tempo, poi certe montature di qualche giornale parafascista cadono tutte, puntualmente. L’ultima è quella dell’arsenale di Camerino. Ieri» (questo articolo è del 29 marzo) «Il giudice istruttore Antonio Spagnolo ha revocato il mandato di cattura nei confronti di Paolo Fabbrini e ha dichiarato la nullità di tutte le perquisizioni effettuate nelle abitazioni di una ventina di giovani democratici».

Sono andato a vedere: su segnalazione della compagnia carabinieri di Roma Trionfale del 7 ottobre 1972, e a seguito di successive indagini, il 10 novembre 1972 è stata compiuta una perquisizione attraverso la quale presso quei giovani democratici sono stati trovati: una mitragliatrice tedesca, un moschetto automatico, un moschetto 91, una canna di fucile mitragliatore, parti di ricambio, 370 cartucce, 2.100 cartucce, 400 cartucce dei vari tipi, 23 bombe a mano del tipo «ananas» (ne ho sentito parlare, mi sembra, in questi giorni, anche sulla stampa di sinistra), 5 contenitori di esplosivo al plastico (chilogrammi 3), 2 panetti e 6 cilindretti di tritolo, 4 detonatori, di cui 2 collegati, 2 rotoli di miccia, eccetera: vi risparmio il resto. Poi, 604 carte di identità in bianco risultate rubate al comune di Roma (ho sentito parlare di passaporti rubati, qui si trattava di carte d’identità in bianco) e 10 fogli dattiloscritti in codice. Non ritenetemi troppo bravo, ma con l’aiuto di qualche amico ho qui la decifrazione del codice. Bisogna andare a trovare un volume, che è stato sequestrato nella casa di Paolo Fabbrini, l’amico di Paese Sera e dei socialisti (si tratta di Rivoluzione nella rivoluzione, di Régis Debray; bisogna aprire a una certa pagina e poi tradurre. Ho qui il testo in codice e quello tradotto, che metto a disposizione della stampa).

Il testo tradotto dice fra l’altro: «Capo zona Campetti Loris, Costa 13 Macerata; responsabile emergenza Guazzoni Carlo, Contatto Stoccolma Zaritopulos Angelo, casa Cardarelli Camerino. Contatto Iugoslavia Stidiropulos Ciriacs». Poi c’è un altro contatto con studenti stranieri a Perugia e vi è anche qualcosa di meglio.

Sequestri dimostrativi di Giustizia del popolo. Sequestri da fare: fascista Luzzi Giovanni, Via Lilli 56, Fascista Mura Erminio, Via Leopardi. Sequestri per finanziare la guerra del popolo: capitalista fascista Santacchi Eligio, sindaco fascista Pinzi Mario, assessore fascista De Fantini. Caso emergenza costituire brigata rossa zona e commandos del popolo; assaltare caserme carabinieri, polstrada, finanza Camerino. Liberare detenuti carcere Camerino. Attentati: scuola militare Sausa, Colfiorito e stabilimento Cetralcavi Le Grazie di Tolentino. Interruzione ponte viadotto San Severino; interruzione ponte Tarrano. Eliminazione fascisti pericolosi: Luzzi Giovanni, Mura Erminio, Abate Antonio, Pinzi Mario, Ciccarelli Clemente, capitano dei carabinieri Dongiovanni, Ciampicconi Giulio, Marisa Tamelli Venezia, Galitri Pietro. Attentati: MSI di Camerino, caserma carabinieri Camerino, palazzo della giustizia borghese, AGIP Circonvallazione, deposito artiglieria Castel Raimondo, stabilimento Centralcavi Le Grazie di Tolentino».

Questa Indagine è stata insabbiata da un magistrato, d’accordo con avvocati socialisti. Ho i nomi degli avvocati, i nomi dei magistrati, le date in cui gli insabbiamenti hanno avuto luogo. Affido ai giornalisti liberi visto che è la sola categoria alla quale mi posso in questo momento, io imputato di violenza, affidare perché si intervenga e si evitino, prima che sia troppo tardi, le gentili cose che sono preannunciate da questo cifrario. Mi assumo la responsabilità di quello che ho detto. Non temo di poter essere smentito perché non avrei portato in Parlamento fatti di questo genere. Dopo di che, guarda caso, nella stessa regione d’Italia di cui ho parlato, la Democrazia cristiana ha portato, come suo eletto e come suo massimo esponente, il segretario del suo partito, l’onorevole Forlani, al quale mi legano rapporti di stima e di amicizia non da oggi, il quale però ha mancato alla stima e alla amicizia quando si è permesso di dire qualche mese fa, mi pare a La Spezia, se noi eravamo la testa di una oscura trama internazionale (vi ricordate la trama eversiva?). L’onorevole Andreotti ha gentilmente smentito nei giorni scorsi perché ha detto: circa connessioni straniere, le indagini fin qui esperite nelle debite fonti le hanno nettamente escluse.

E allora, che si fa quando non si riesce a documentare niente contro di noi e non si vuoi documentare ciò che è documentabilissimo nei confronti degli altri? Si inventa e si distorce. E adesso vi racconterò un fatterello recente (ho preso degli appunti, mi permetterete di leggerli) a proposito di nostre violenze, perché è un episodio edificante in cui c’entrano un po’ tutti: magistrati, giornalisti, complici, politici, partiti, tutti contro di noi. Strage di Milano. Bisognava, anche a proposito della strage di Milano, inventare la trama nera. Come si fa? Avete letto sui giornali notizie che hanno ruotato per 48 ore? La fotografia del Bertoli a Udine, accanto ad elementi di «Ordine Nuovo»? E il Bertoli a Venezia implicato in scontri con l’ultra sinistra e quindi un Bertoli fascista o legato ad elementi fascisti? Avete letto? Avete udito la radio che queste notizie ha ripetuto in tutti i suoi giornali per 24 ore consecutive? Chi le aveva trasmesse? L’agenzia ANSA e la agenzia Italia. L’agenzia ANSA ha qualche responsabilità ufficiale o ufficiosa? Ho l’impressione di sì. Ha delle sovvenzioni di Stato? Ho l’impressione di sì. È diretta da gente molto vicina ad altissimi personaggi dello Stato? Ho l’impressione di sì. E allora i colleghi della agenzia ANSA ed anche della agenzia Italia (anch’essa fruente, in minor misura, di grossi benefici) stiano attenti a quel che scrivono perché provocare in questa guisa, in un momento siffatto, con tutto quel che c’è in giro, è veramente la più bassa e vergognosa impresa che possa farsi.

E ora, poiché sono apparse le smentite ufficiali (la questura di Udine ha smentito, la questura di Venezia ha smentito, i carabinieri hanno smentito, ma solo una parte della stampa ha riportato le smentite, la radio le ha riportate tardivamente, della televisione non ho notizia posso sbagliare se le abbia riportate) vi racconto come è andata perché è interessante. L’iniziativa della falsificazione (anche in questo mi assumo la responsabilità) è partita dal sostituto Fiasconaro, del tribunale di Milano. Già estromesso dall’indagine sulla strage di Piazza Fontana per le violazioni del segreto istruttorio compiute ai danni dei funzionari di polizia coinvolti nelle indagini, il sostituto Fiasconaro è stato riammesso a partecipare all’inchiesta alla chetichella. Venerdì 18 il Fiasconaro si trovava a Roma, dove abita, e dove era venuto insieme al giudice d’Ambrosio per gli interrogatori di Guido Paglia e di Giannettini. Sui giornali della mattinata ha visto la fotografia del Bertoli. Dal Palazzo di giustizia di Roma, verso le 14, ha chiamato al telefono il collega Viola di Milano e gli ha detto che nel fascicolo dell’inchiesta Freda era allegata una fotografia relativa ad una manifestazione di «Ordine nuovo», in quel di Udine; che in questa fotografia si vedeva un personaggio che, a detta del Fiasconaro, avrebbe potuto essere il Bertoli. Il giudice Viola è stato quindi spronato dal suo collega a tirare fuori la fotografia e ad indirizzare le indagini sulla pista nera. Contemporaneamente la notizia è stata trasmessa a Paese Sera. Infatti il Paese Sera della mattina di sabato 19 maggio ha pubblicato la notizia alla pagina quattro, e l’ ha pubblicato con un evidentissimo spazio di censura alla fine. Questo spazio di censura è stato causato dalla richiesta del dottor Fiasconaro, avanzata all’ultimo istante, di cancellare il brano in cui si faceva riferimento al fascicolo dell’inchiesta Freda, perché attraverso questo riferimento si sarebbe riconosciuto il provocatore. Nella giornata di sabato l’opera di falsificazione è continuata. L’agenzia ANSA ha pubblicato la notizia della manifestazione di Udine, già apparsa sul Paese. L’ agenzia Italia ha pubblicato l’altra notizia, anch’essa falsa, relativa alla manifestazione di Venezia. Queste due notizie, diramate attraverso le due maggiori agenzie di stampa italiane, una delle quali addirittura agenzia ufficiale, hanno fatto sì che la mattina di domenica 20 tutti i giornali italiani sostenessero la tesi assurda del cosiddetto anarchico fascista, o per lo meno la riprendessero. Il giornale-radio per tutta la giornata ha insistito su questa tesi.

La falsificazione era così grave da provocare uno sviamento delle indagini contro il giudizio per l’accertamento della verità. Ciò ha indotto il Ministero dell’interno, al quale quando devo rendere un riconoscimento lo rendo, a impegnarsi a fondo per controllare la veridicità dei fatti asseriti. Come risultato di questa operazione, alle 18,15 di domenica la questura di Udine smentiva la notizia data dall’ANSA, e alle 20 i carabinieri smentivano quella data dall’agenzia Italia. Ma, a dispetto di queste smentite, i magistrati filocomunisti hanno insistito nella loro azione di sviamento delle indagini, con la collaborazione di vari giornali italiani, come dimostrano alcuni articoli apparsi su La Stampa e sul Corriere della Sera di lunedì mattina.

Inoltre, sempre allo scopo di sviare le indagini e di falsificare i fatti ai nostri danni, è stata fatta uscire dal fascicolo Freda la famosa fotografia, dalla quale non risulta proprio nulla. Questa fotografia è stata trasmessa al Corriere della Sera che l’ ha pubblicata in data martedì 22 maggio. Sempre nella giornata di martedì L’ Avanti!, in piena contraddizione con i comunicati ufficiali di smentita, ha affermato, a proposito di questa fotografia, che l’autenticità dell’immagine e del riconoscimento del Bertoli è confermata dal Ministero dell’interno; ciò mentre è vero proprio il contrario.

In questo modo, non soltanto sono stati falsificati i fatti per colpirci, ma è stato fornito un contributo determinante ai veri responsabili dell’attentato del 17 maggio i quali, dallo sviamento e dal conseguente ritardo delle indagini, hanno ricavato o potuto ricavare indubbi benefici. Come risultato concreto di questa operazione, la mattina di martedì 22 maggio tutta la stampa italiana ha riferito infatti che «adesso bisogna ricominciare da capo le indagini». Il giudice Fiasconaro e i suoi complici possono dunque vantarsi, non soltanto di avere inscenato l’ennesima montatura ai danni della destra, ma di avere fornito un obiettivo aiuto ai terroristi.

A questo punto il discorso sulla violenza deve essere impostato come deve essere impostato. Io riprendo un recente accenno dell’onorevole Piccoli il quale, rivolgendosi al Governo, ha detto nei dibattiti della settimana scorsa: noi confortiamo il Governo a prendere le decisioni necessarie anzitutto a bloccare la spirale della violenza, poi a togliere di mezzo le troppe armi che circolano nel paese, andando a ricercare da dove vengono, chi le vende o chi le regala; infine a risalire ai problemi dell’organizzazione che emergono evidenti dalla serie di provocazioni che si sono susseguite negli ultimi tempi. Sottoscrivo le parole, non le intenzioni, che sono subdole, onorevole Piccoli, come subdola è stata tutta la sua impostazione recente; ma le pa­role le sottoscrivo lealmente, e voglio dimenticare, in un’ora che voi definite grave e che definisco grave anche io, perfino la eventualità delle subdole intenzioni. Vi prendiamo in parola. Noi abbiamo presentato all’inizio di questa legislatura taluni strumenti per combattere la violenza da qualunque parte essa venga: una proposta di inchiesta parlamentare sulla violenza, una proposta di legge contro le manifestazioni di violenza, tradotta dalla legge francese a nti-casseurs che sembra avere avuto ottima efficacia in quella democrazia, e infine la polivalente degasperiana, come vi ho detto durante questo discorso, riveduta ed aggiornata, ma a nostro avviso resa ancora più efficace nei confronti di tutte le parti, nei confronti di tutte le violenze, accettando quel che spero in buona fede abbia detto recentemente l’onorevole Andreotti, e cioè che la violenza non ha colore.

Voi siete padroni di disattendere le nostre proposte di legge perché tecnicamente da voi giudicate incongrue; siete financo padroni di disattendere e di respingere le nostre proposte di legge perché provenienti da una parte con cui non volete associarvi neppure nell’ approvare una proposta di legge; però vi associate volentieri quando si tratta di sottrarre qualcuno dei vostri all’autorizzazione a procedere, come è avvenuto ancor oggi. Comunque, potete respingere ogni nostra proposta di legge siffatta. Tutto potete fare, tranne che invitare genericamente e platonicamente un Governo morituro a prendere delle misure senza offrire voi, gruppo parlamentare della Democrazia cristiana, al Governo gli strumenti di azione. Dov’è il disegno di legge governativo per il fermo di polizia? Avete o no il coraggio di portarlo in aula? È un palliativo, siamo d’accordo; è una misura parziale, siamo d’accordo, ma a livello di opinione basterebbe la discussione in questo momento, in quest’aula, del disegno di legge per il fermo di polizia, o di qualsiasi disegno di legge tendente ad inasprire le pene contro i teppisti o a rafforzare l’autorità e il prestigio delle forze dell’ordine, per riqualificare lo Stato, gli istituti della democrazia ed il nostro stesso partito in termine di ordine nella libertà, di fronte alla pubblica opinione. Tutto potete fare, tranne che inviare dei consigli generici a un Governo che in questo momento sa di non avere l’autorità e il prestigio per poter agire, evitando di assumervi le vostre responsabilità. Assumetele, metteteci alla prova; mettete tutte le parti alla prova. Il confronto deve essere questo. Non fare insinuanti ed insidiosi discorsi di appello all’ordine e alla libertà e alla democrazia, nel momento stesso in cui si nega ogni principio di libertà tentando di togliere dall’ordine costituzionale un partito politico come il nostro. Metteteci e mettete voi stessi alla prova. Fate questa verifica qui dentro, perché si possano poi far le verifiche di intenzione, di proponimento, di volontà fuori di qui.

Presentate un corpo di leggi idonee a colpire il disordine e la violenza, in guisa eguale per tutti e contro di tutti. Vedrete che l’opinione pubblica sarà rapidamente con voi e vedrete che, dandovi questo consiglio, io certamente non do il cinico consiglio di chi vuole approfittarne. Nel momento stesso in cui mi accingo a votare contro di me, nel momento stesso in cui mi accingo ad affrontare il verdetto della giustizia, penso di poter essere considerato davvero al di sopra delle parti quando vi invito ad uscire dal conformismo gretto e pigro al quale vi siete adeguati. Vi invito a pensare, anziché ad intese tra correnti o intese di vertice con altri partiti, alla soluzione organica di questi gravi problemi. Onorevoli colleghi, con quali prospettive vi accingete a votare insieme con me l’autorizzazione a procedere contro di me? Volete scioglierci? Vi siete o no resi conto e ve lo dico senza alcuna tracotanza che potete sciogliere una etichetta, ma non certamente una forza politica? Vi siete, o no, resi conto che questa forza politica ha, come ha indubbiamente, un suo autonomo impulso? Che dallo scioglimento dell’etichetta, essa, nel giro di qualche settimana, può trarre nuova linfa? E vi siete soprattutto resi conto, o no, che sciogliere una etichetta in tal momento e con siffatti propositi, con siffatte alleanze e a vantaggio di siffatti alleati, darebbe certamente luogo ad un partito ancora più forte del nostro, elettoralmente? Ma con difficoltà darebbe luogo ad un partito altrettanto responsabile quale il nostro, anche in questa occasione, si sta dimostrando. Sicché, con l’asserito proposito di contribuire all’ordine e di sedare la violenza, voi creereste a destra quel libero spazio, non voglio dire per la violenza, ma certamente per la imprudenza e per la intolleranza, che grazie a noi non è stato creato. Cosa vi proponete allora? Di metter dentro me? Vi sembra un grosso risultato? Vi sembra che ne valga la pena? Vi sembra che valga la pena di scomodare tanti galantuomini, quali voi siete, per mettere dentro un uomo che non ha altro al proprio servizio, se non le parole? È mai possibile che questo personaggio determini in voi tanta preoccupazione? E se questo personaggio determina insieme con i suoi amici in voi tanta preoccupazione, volete fare un piccolo esame di coscienza? Volete chiedervi perché? Volete avere la bontà di rispondere quello che hanno risposto negli scorsi giorni giornali a noi avversi, a cominciare dal Corriere della Sera, che ha scritto: «Per isolare il neo-fascismo bisogna governare meglio l’Italia». Volete sciogliere noi perché volete ricostituire il centro-sinistra, che l’opinione pubblica ha sciolto un anno fa? E voi pensate che sia operazione conveniente?

O non piuttosto pensate che, anziché dissolverci o scioglierci con misure eccezionali o mettere al fresco il segretario del partito, valga la pena di affrontare, non con noi ma con il popolo italiano, le scelte serie, valide, vitali? Vogliamo fare, in confronto fra noi, il discorso non sulle leggi eccezionali ma sulle riforme di struttura? Vogliamo chiederci che cosa stia a monte del fallimento, da voi stessi confessato, dello Stato democratico, delle sue istituzioni, dei suoi ordinamenti? Voi affermate che i voti dati al nostro partito sono voti di protesta, e quindi irrazionali; ma non vi accorgete che, quando la protesta matura nel cuore di un popolo e continua per venticinque anni, essa è la cosa più razionale che si possa immaginare? Vi rendete conto o no che irrazionale è la pigrizia, la poltroneria, il conformismo dell’elettorato, perché il pigro, il poltrone, il conformista danneggiano se stessi, mentre chi protesta e sceglie nuove strade per tentare di salvarsi è coraggioso ma anche intelligente? Volete rendervi conto che state perdendo l’anima del paese (o della patria) perché avete perso la vostra?

Volete chiarirci, ad esempio, colleghi della Democrazia cristiana (non è questo il momento: mi limito soltanto ad un accenno), quale sia la vostra dottrina sociale? Ricordo che, quando entrai in Parlamento la prima volta, qualcuno tra voi parlava ancora dell’antico corporativismo cattolico e ne parlava con rispetto. Ricordo ancora che De Gasperi parlava, dall’alto del suo banco e della sua capacità politica, di solidarismo cristiano. Altri parlava d’ interclasse e tentava di definirlo. Ora invece siete squallidamente classisti, insieme con tutti gli altri, e non avrete altra dottrina che non sia quella che Pietro Nenni ha definito in un suo discorso a vostro e anche a loro discredito quando ha detto che questa «democrazia» è ridotta ad essere soltanto una «crazia», cioè un puro e semplice esercizio del potere per il potere. È il potere che ci scomunica? E voi credete che il potere possa scomunicare la libertà? Penso che vi sbagliate? Ho pronunziato la parola libertà. Il relatore l’ ha pronunziata molte volte, questo pomeriggio, mentre io ho cercato di evocarla il meno possibile. Pronunzio questa parola concludendo e vi ringrazio, onorevoli colleghi, per avermi dato l’onore, di fronte al popolo italiano, di poterla pronunziare, da stasera e da domani in poi, sempre più altamente e largamente.

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