25 Aprile – NON E’ FESTA. APPELLO AGLI ITALIANI

Pubblichiamo in ritardo questo articolo per motivi tecnici dovuti al sito, riteniamo però l’articolo comunque interessante.

Ci scusiamo con l’autore per questo ritardo da noi non voluto.

 

In un periodo in cui da molte parti si ritiene opportuno cambiare atteggiamento nei confronti delle celebrazioni per il 25 aprile,  presunta festa della liberazione,  imposta agli italiani  solo grazie alle armate straniere che occupavano la nostra nazione, ritengo doveroso far conoscere, soprattutto ai giovani, quello che un uomo onesto ed un uomo per bene pensava di questa “festa” nel 1955, la bellezza di 65 anni da oggi.  E’ Giorgio Almirante che scrive questo articolo per “Il Secolo d’Italia” e vi renderete immediatamente conto  di come non si chieda odio ma rispetto. Rispetto anche per i vinti perché il sangue sparso pretende soltanto una cosa: “pace”.

   

“NON E’ FESTA.

APPELLO AGLI ITALIANI “

 

Dunque domani è festa.

La legge del mio Stato comanda che domani sia festa. La legge della mia moralità, del mio carattere, della mia vita , la legge del sangue comanda che domani sia giorno di lutto. Se obbedisco allo Stato, vengo meno a me stesso. Se obbedisco a me stesso, lo Stato mi pone di fronte ad una silenziosa e tremenda alternativa: andarmene a cercare la libertà altrove, o subire in Patria la costrizione altrui. Alla medesima alternativa furono posti di fronte gli  antifascisti, e se ne andarono, anteponendo – secondo il loro costume – la libertà alla Patria. Ma lo Stato di allora aveva il coraggio delle proprie posizioni. Si dichiarava  fascista e antidemocratico. Diceva di volersi costituire a regime. Toglieva in libertà quello che aggiungeva in stabilità. Toglieva in democrazia quello che garantiva in ordine. Era un sistema,in se stesso coerente. Con gli avversari, duro ma leale. Lo Stato di oggi è ipocrita: non per nulla sue levatrici furono De Gasperi e Togliatti. Lo Stato di oggi mi comanda di festeggiare l’avvento della libertà nel momento stesso in cui mi toglie la libertà più elementare e più umana : quella di non far festa quando il mio cuore e la mia mente sono in lutto. E poiché non è nostro costume anteporre la libertà ( vale a dire la legge dei comodi propri ) alla Patria, poiché tra i fascisti nessuno ha  reclutato fuorusciti, questo Stato ci pone dinanzi ad una alternativa fittizia ad una costrizione reale: bisogna accettare la legge democratica, vale a dire la legge del più forte; e, in attesa di tempi migliori (che verranno ) spiegare sospirando ai nostri figli, che non videro la tragedia, ma vedono ignari il pianto, che domani ci sono le bandiere alle finestre  perché la strage dei nostri Amici più cari è festa per la Nazione. Dunque domani è festa;ma è la festa della non libertà. E’ la festa del regime antifascista, succeduto in virtù delle armi straniere al regime fascista. Ogni regime sceglie le sue feste e i suoi decennali; e così si qualifica. Padronissimi gli antifascisti di qualificarsi come “ quelli del 25 aprile “.Se ragionassimo come uomini di parte,diremmo: accomodatevi.  Se mirassimo soltanto al nostro utile politico, penseremmo : CHE FORTUNA POTERCI DISTINGUERE DA LORO SUL METRO DEL 25 APRILE, di una data che la pubblica opinione NON SOLO ITALIANA MA MONDIALE NON DISGIUNGERÀ’ DAGLI ORRIDI CEFFI DEGLI ASSASSINI  COMUNISTI DI PIAZZALE LORETO!

 Scegliete, antifascisti, le compagnie che preferite; ma, dopo averle scelte,  non lagnatevi se l’inesorabile : .. e ti dirò chi sei  vi raggiungerĂ . Celebri il 25 aprile ? Walter Audisio è la tua compagnia. Sei degno di Walter Audisio. Voi  ponete noi dinanzi ad una costrizione fisica e giuridica.  Noi siamo molto piĂą forti: vi teniamo chiusi in una galera morale, dalla quale non uscirete se non quando avrete avuto il coraggio di spezzare i legami ciellenisti. E smettetela di far danzare sul fondo del caleidoscopio della vostra storiografia di comodo , la stolida teoria delle “ombre”. Se Audisio fu soltanto un’ombra, se ombre, vale a dire eccezioni, furono Moranino, Moscatelli, Ortona, Gorreri e tutti gli altri innumerevoli delinquenti comuni, la luce qual è, qual è – dov’è ? – la regola positiva ? Sono passati dieci anni, la metĂ  di un Ventennio. Avanti resistenti: mostrateci lo spiraglio di luce in mezzo a così fitte tenebre di sangue. Dimostrate di aver fatto, davvero, una rivoluzione. Storicamente, se non moralmente, la rivoluzione può giustificare anche il sangue. La rivoluzione francese ne versò: meno di voi; ma ne versò tanto. Nessuno ha redento i massacratori di allora dalle loro colpe; orrida è tuttora la memoria della maggior parte di essi; ma la rivoluzione c’è stata e ha manifestato, anche negli errori , la sua grandezza. Ha lasciato dottrine, leggi, una sua moralitĂ , un suo costume, sue tradizioni. Alcuni tra i suoi protagonisti giganteggiano. Nel decennale della “resistenza”, vorremmo essere invitati non soltanto alla celebrazione dei massacri, ma anche alla constatazione delle mete rivoluzionarie raggiunte, al bilancio delle positive realizzazioni. Quale Italia abbiamo intorno a noi dopo mezzo Ventennio di codesta rivoluzione  da grand-guignol ? Ad essere benevoli nell’interpretazione,a voler mettere accanto – e ne chiediamo venia – un De Gasperi ad un Orlando, uno Scelba ad un Don Sturzo, ci hanno restituito RIMPICCIOLENDOLA , l’Italia prefascista : stessi errori, stessi metodi,stesse debolezze, stessa crisi di sistema, stesso equivoco di fondo. Con l’aggiunta di un partito comunista e di un partito democristiano monopolista dell’intrallazzo. Il Parlamento è quel che fu:peggiorato. Il disordine legislativo è quel che fu:aggravato. L’incertezza giuridica è quella che fu:accentuata. Il marasma sociale è quel che fu: esasperato. Lo Stato è nave con troppi nocchieri in gran tempesta. Arbitri assoluti, financo della scelta del Presidente della Repubblica, sono i direttivi dei partiti politici. Nella piĂą Alta Assemblea suonano parole d’incitamento pubblico al tradimento e alla diserzione. In entrambi i rami del Parlamento siedono numerosi i pregiudicati per reati comuni. La Costituzione, che pur tanto sangue costò, giace inevasa e negletta. A nessuna solida riforma si è posta mano. Contro la marea montante della disoccupazione nessun argine sociale; nessuna diga economica contro le speculazioni piĂą folli e sfrontate. Eserciti sovversivi, liberamente organizzati sotto gli occhi del potere costituito. Scandali a catena e scioperi a singhiozzo. Il senso morale in frantumi. La gioventĂą preda dei mali esempi. Le peggiori mode straniere dilaganti. Cristo rimosso dalle scuole cui la TIRANNIDE l’aveva restituito: il Marxismo in cattedra. Riaperta nelle coscienze la questione religiosa. Guelfi e Ghibellini in piazza. Diviso ogni comune, ogni borgo:contaminata dalla peggior politica l’amministrazione. Regionalizzata l’Italia, insidiata l’unitĂ  nazionale. La dignitĂ  della Patria svilita da mandrie di sciusciĂ  promossi alla vita politica. Insuperbito qualsiasi predone straniero dalla possibilitĂ  di manomettere le carni martoriate d’Italia. Quale di tali successi celebrerete domani, “resistenti” ? Bando alle ipocrisie: voi vi accingete a celebrare soltanto il vostro personale successo,voi festeggiate l’ambizione per vent’anni repressa e in un decennio scatenata,voi vi compiacete, fino al narcisismo,per il potere politico finalmente conquistato,voi brindate alla poltrona in coppe piene di sangue ITALIANO. E non ci dite che dei Morti avete rispetto. Consentiteci di dirvi che persino dei vostri morti abbiamo piĂą rispetto noi. I morti nostri e vostri vogliono silenzio;vogliono pace. Avete offeso chi,in buona fede,cadde dieci anni fa nelle vostre file, perchĂ© – ottimi discepoli di Roosevelt – avete tradito i solenni impegni di allora. Non li offendete ancora. Quel che di spontaneo o di generoso poté esservi dalla vostra parte non merita il postumo oltraggio della celebrazione da parte di Audisio o di Sereni.

Tacete,dunque. Domani – LA CARITÀ ’ DI PATRIA COMANDA PIÙ’ DELLA LEGGE ANTIFASCISTA  – non è festa.

Giorgio Almirante

 

Ho avuto la fortuna  di conoscere Giorgio Almirante negli anni della mia giovinezza, quando ho militato nelle file delle organizzazioni  giovanili del Movimento  Sociale Italiano  e, successivamente, nell’ambito del partito stesso. Non esito nell’affermare  che a condizionare molte delle mie scelte era stata proprio  la mia ammirazione incondizionata per quell’uomo politico in cui mi riconoscevo completamente: Giorgio Almirante. Eppure questo suo articolo allora non lo avevo letto.  Ero troppo piccolo.  E’ stato quindi  con  curiositĂ  ed interesse che, quando a tanto tempo di distanza da quegli anni  ho ricevuto via internet questo documento,  mi sono affrettato  nel voler conoscere  quanto avesse scritto uno degli sconfitti in merito alla situazione della nostra Patria a dieci anni di distanza  dalla fine della guerra.

Ci sono delle cose che, nella vita, ti fanno bene.  Questa lettura è stata proprio una di quelle.  E’ uno scritto che , tranne per i nomi citati che appartengono a quel periodo storico,  poteva essere uscito  dalla penna di Giorgio Almirante se fosse vivo ancora oggi.  Non è cambiato nulla rispetto ad allora anzi, se questo fosse possibile, è tutto incredibilmente peggiorato.  Sono peggiorati gli uomini che ci rappresentano in Parlamento;  sono peggiorati gli uomini di Fede;  è peggiorata la società che ci circonda che privilegia esclusivamente  il Dio denaro  e gli egoismi spaventosi che scatena; è peggiorato il mondo della scuola che ha rinunciato al compito di  formare quei giovani che dovrebbero indirizzare e guidare il futuro.  Ci hanno rubato tutto  tentando di negarci anche i sogni. Non sanno che, in ognuno di noi,  vive e si alimenta quel seme che proprio un professore ed un uomo politico  ha seminato come soltanto lui sapeva fare.  “Vivi come se tu dovessi morire  oggi, pensa come se tu non dovessi morire mai”. Fino a quando ci sarà qualche ragazzo  che continuerà a seguire questo esempio possiamo essere sicuri che rappresentiamo ancora la “nostalgia dell’avvenire”.

 

Roberto Rosseti

 

22 maggio 2020

Il 22 maggio non è passato inosservato; anzi il web, come si suol dire, è impazzito!

Non è stato possibile abbracciarci in Chiesa ma vi assicuro che l’abbraccio del popolo missino a Giorgio Almirante è arrivato forte e chiaro. Come qualcuno ha detto, Almirante non è possibile dimenticarlo… è vero! ma è nostro preciso dovere mantenere viva la Fiamma così come lui ha insegnato.

Voglio ringraziare tutti per le migliaia di visualizzazioni su facebook dei nostri filmati ed è per questo di che abbiamo deciso di condividerli ancora con voi sul nostro sito.

Un abbraccio,

Giuliana

Ricordi…

E’ difficile scrivere o parlare di ricordi perché non riesco a separarli, a distinguerli l’uno dall’altro. L’emozione mi fa ripercorrere con la mente avvenimenti e sensazioni senza un ordine cronologico, senza un’apparente filo logico, e cercare di raccontare questi frammenti di vita, che sono rimasti soltanto come un sentimento per una persona che non è più tra noi, non è una cosa che faccio senza rimanere coinvolta. E’ come scoprire una parte di me che è sempre rimasta nascosta, che non ho mai voluto far conoscere a nessuno. Soprattutto se – come nel mio caso – si è una persona che non lascia quasi mai trasparire i propri sentimenti, che cerca di rimanere sempre da parte forse perché mi basta godere delle soddisfazioni che i miei genitori hanno ed hanno avuto grazie alla loro grandissima personalità.

Se dovessi rispondere di getto alla domanda “cosa ricordi di lui”, direi: i suoi baci sulla testa o sulla guancia, con i baffi che mi pungevano, tutte le volte che rientrava a casa o usciva per andare a lavoro. Il suo era un bacio dolcissimo che ancora oggi sento su di me e che racchiudeva in se tutto l’amore che mi ha sempre donato.

Sono la più piccola della famiglia ed il pensiero di tutti, ma soprattutto il suo, è sempre stato quello di coccolarmi e viziarmi. Ho il ricordo di una infanzia bellissima, che spero di aver fatto vivere anche ai miei figli.

Ricordo la sua voce che mi chiamava “Giulì”, come non mi ha più chiamata nessun altro, o quando si rivolgeva a me con quel “passerottino”, che era il suo diminutivo per le persone a cui voleva bene. Era sempre pronto ad esaudire ogni mio desiderio, ma tutto questo non mi ha resa, credo, una persona viziata e dissennata; perché grazie al suo esempio è riuscito comunque a fare di me una donna equilibrata e “normale”.

Quando ero piccina, giocava sempre con me, che insieme a mia madre lo seguivo nei suoi fine settimana in giro per l’Italia.

Ricordo, poi, quando mi sono laureata: era emozionato più di me e, quando il correlatore è uscito dall’aula per farmi i complimenti e salutarlo, aveva le lacrime agli occhi; era felice di vedermi raggiungere quel traguardo e, forse, l’essermi intestardita nel voler discutere una tesi sul M.S.I. l’aveva inorgoglito.

Il giorno del mio matrimonio… non stava già bene, ma con una forza di volontà incredibile è riuscito ugualmente a regalarmi momenti indimenticabili.

E quando è nato il mio primo bambino, Raffaello, in clinica non ha permesso a nessuno di tenerlo in braccio; a Tremaglia ha detto candidamente che non si fidava. Tutti i giorni, verso l’ora di pranzo, passava in clinica a salutarmi e starmi vicino in silenzio, perché lui era così e, contrariamente a quanto si possa pensare, era un uomo schivo e di pochissime parole.

Un uomo che ha dato tanto e non si è risparmiato con nessuno, ma io penso sempre, con un po’ di presunzione, che a me abbia dato qualcosa di piĂą.

Mi ha voluto bene di un amore profondo e di questo gli sarò sempre grata. Come non dimenticherò mai gli insegnamenti morali che è riuscito a comunicarmi con il suo esempio: l’umiltà, il rispetto per gli altri, la comprensione verso tutto e tutti, l’importanza di un sorriso, di una gentilezza. Suoi pregi che spesso venivano scambiati per freddezza o distacco, ma che in realtà erano solo espressione di un uomo introverso e silenzioso.

Giuliana de’ Medici