Ciao Lando , Amico Nostro !!!

Domani Mercoledì 21 Dicembre alle ore 12.00 presso la Basilica di Santa Maria in Montesanto a Piazza del Popolo ( Chiesa degli Artisti ) verra’ celebrato l’ultimo saluto al nostro caro amico Lando Buzzanca .

Video gruppo ” Quelli del Fronte della GioventĂą ” – Almirante

 

Bellissimo video che pubblichiamo con molto piacere ringraziando di cuore gli autori

La Fondazione Giorgio Almirante per il sociale

La Fondazione Giorgio Almirante , il giorno Lunedi 12 Dicembre alle ore 17.30 , presso la propria sede di Roma in via Girolamo Boccardo 26 , affrontera’ il tema delle adozioni , con le testimonianze degli adottati e dei genitori adottivi . La discussione vedra’ la presenza di magistrati e avvocati del settore con i testimoni. Sara’ questa l’occasione per presentare i volumi di Anna Agostiniani sull’argomento.

Presentazione libri DESTRE ITALIANE

Martedi’ 29 Novembre presso la nostra sede di Roma in Via Girolamo Boccardo 26 dalle ore 18.30 lo scrittore Rodolfo Capozzi
presentera’ i suoi due volumi di ” Destre Italiane ” Prospettiva editrice .

Introduce , Giuliana de’ Medici Almirante , Presidente della Fondazione Giorgio Almirante

Moderatore , Roberto Rosseti , gia’ Vicedirettore del Tg1

Intervengono , Andrea Tremaglia , deputato di Fratelli d’Italia
Gianni Alemanno , gia’ Sindaco di Roma

Sabato 19 Novembre la Fondazione Giorgio Almirante a Treviso

SABATO 19 NOVEMBRE, dalle ore 17.3O, presso L’HOTEL FOGHER, IN STRADA OVEST, A TREVISO, ospiteremo ufficialmente la FONDAZIONE GIORGIO ALMIRANTE di Roma, impersonata dalla figlia del nostro indimenticabile Segretario del MSI SIG.RA GIULIANA de’ MEDICI ALMIRANTE. L’ incontro, che è previsto dalle 17.30 alle 19.30, sarĂ  seguito dalla cena con gli ospiti romani cui potranno partecipare tutti i simpatizzanti. La cena si svolgerĂ  nel ristorante dello stesso hotel Fogher alle ore 20 al costo di 30 euro a testa. ( a partire dal 12 novembre sarĂ  gradito un messaggio al sottoscritto per sapere chi aderira’ alla cena stessa.). Questo appuntamento, giĂ  previsto per la primavera scorsa e rinviato per cause di forza maggiore, è molto importante per il nostro gruppo, nato, 18 mesi fa, dall’ esclusione dei ” missini” dai vertici provinciali di FdI. Fra noi e numerosi leali militanti della DESTRA STORICA, non iscritti a Fratelli d’ Italia è nato un sodalizio che mette davanti a tutto l’ onestĂ  intellettuale e detesta la politica del compromesso e del sotterfugio. Il 19 NOVEMBRE verrĂ  ricordata la figura di Giorgio Almirante, il cui pensiero è ancora attualissimo e verrĂ  presentata la nuova edizione del noto libro ” Autobiografia di un Fucilatore” scritto dallo Stesso. Spero in un’ adesione massiccia a questo evento che, per molti di noi, rappresenta un bellissimo tuffo nel passato, tenendo presente, d’ altro lato, la modernitĂ  delle proposte e delle istanze che allora, negli anni 60 e 70, erano il nostro Credo e che dopo decenni sono il cardine dell’ azione politica dei cosiddetti partiti SOVRANISTI dell’ EUROPA di oggi. Prego tutti voi di estendere questo invito a piĂą amici, sostenitori, militanti, possibile.

Dott. Pierfrancesco Cappelletto

La storia di ‘Via della Scrofa’, sede della destra italiana

AGI – 17 ottobre 2022 di Mauro Bazzucchi

L’edificio al civico 39 di questa via lunga e stretta nel cuore del Campo Marzio ha un primato: è l’unico quartiere generale di un partito che è riuscito a superare indenne il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica

Il fatto che Silvio Berlusconi si sia recato a via della Scrofa per ricucire con Giorgia Meloni ha un significato simbolico rilevante, che non si esaurisce nella contingenza politica legata alla formazione del nascituro governo. L’edificio al civico 39 di questa via lunga e stretta nel cuore del Campo Marzio, infatti, ha un primato: è l’unico quartiere generale di un partito che è riuscito a superare indenne il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, quando le alterne fortune delle forze politiche travolte dal ciclone Tangentopoli o ridimensionate nelle loro capacitĂ  economiche, provocarono l’abbandono o il trasloco a sedi piĂą economiche di quelle che gli italiani si erano abituati a sentire nominate per gran parte del Dopoguerra.
Erano i tempi del “Bottegone” comunista in via delle Botteghe Oscure e della sede Dc di Piazza del GesĂą, pilastri dell’Italia della guerra fredda a pochi centinaia di metri, a metĂ  strada dei quali le Brigate Rosse decisero di abbandonare il cadavere di Aldo Moro martire del compromesso storico. Poi c’era la sede del Psi a via del Corso e, alla fine dei “pastoni” politici, dopo aver riferito delle posizioni di quello che era chiamato “arco costituzionale”, si dava conto anche del parere di “via della Scrofa” sede del Msi.

Poi la geografia del potere cambiò, e con l’irruzione del Cavaliere sulla scena politica arrivarono Arcore, Palazzo Grazioli, via Bellerio per la Lega o le nuove sedi della sinistra, con l’effimera parentesi veltroniana del loft, prima della definitiva affermazione del Nazareno. Ma l’ampia sede scelta da Giorgio Almirante (che ne ospitò anche la camera ardente) ha resistito, grazie sostanzialmente a un fattore: quando terminò la parabola storica del Msi con la svolta di Fiuggi, il nuovo partito di Gianfranco Fini emigrò, ma a via della Scrofa restò la redazione della storica testata del partito, il Secolo d’Italia, mentre la proprietĂ  delle mura fu intestata alla fondazione Alleanza Nazionale.

Fu proprio in ossequio a questa storia e al potere evocativo della sede della destra italiana che Meloni e gli altri fondatori di Fratelli d’Italia decisero di “tornare all’ovile”, cosa che in parte avevano simbolicamente giĂ  fatto accogliendo di nuovo nel proprio simbolo la fiamma tricolore che si era persa con la confluenza nel Pdl.

E così, negli ultimi anni, via della Scrofa era tornata ad essere viva, a ospitare sia le iniziative politiche (numerose conferenze stampa) che le riunioni degli organismi di un partito della destra. Ciò che non era forse prevedibile, è che per la prima volta nella sua storia, via della Scrofa non si limitasse ad essere quartier generale di una forza politica, ma a entrare a pieno diritto nei luoghi del potere. Un potere a cui oggi, Silvio Berlusconi, recandosi da Villa Grande al centro di Roma, ha fornito un palese segno di riconoscimento.

L’Italia che non vuole finire

Marcello Veneziani – La VeritĂ  – 28 settembre 2022

L’Italia e non solo l’Italia, ha vissuto due giorni di sogno e di incubo per la vittoria di Giorgia Meloni. Mezza Italia ha sognato, l’altra Italia che comprende i piani alti della società, ha patito un incubo. E i restanti sono rimasti in dormiveglia, spiazzati e spaesati.

Ora che ci svegliamo dalla fiaba della borgatara che si fece regina, la Calimero piccola e nera che si scopre la più amata dagli italiani, è tempo di riprendere coscienza, tornare alla realtà e capire cosa è successo.

Già, cos’è accaduto, qual è alla fine il messaggio che proviene dalle urne? L’Italia non vuole finire. E si è ribellata all’obbligo del pass ideologico, della mascherina politicamente corretta e del regime di sorveglianza di questi anni. Non dirò che la Meloni e la sua coalizione salveranno l’Italia, la sua sovranità e la sua civiltà né che ci libereranno dalla Cappa interna e globale, anzi non lo penso, è impresa troppo grande; ma dico cosa è successo nella mente e nel cuore degli italiani che l’hanno votata. Non ne potevano più di vedere il loro paese sfarinarsi e arretrare, vedere stuprata la realtà e calpestata la libertà dalle oligarchie internazionali ed interne, i loro media, il regime a senso unico.

E hanno affidato un messaggio di riscossa al leader più fresco, più in forma, più intonso, vergine di potere. Sarà una nuova affermazione del populismo, come voi dite, sarà un affidarsi di nuovo a chi è nuovo, ha il merito di non avere precedenti; sarà la coerenza di stare all’opposizione e perciò di rappresentare il diffuso malcontento. Ma la Meloni ha rappresentato l’irruzione del nuovo e l’interruzione del conforme. Che poi riuscirà a soddisfare le aspettative, a guidare un governo all’altezza della sfida e a superare indenne gli assalti, le pressioni, le minacce e le lusinghe dell’establishment, questo è un altro discorso; sapete come la penso, non alimento illusioni. Ma quella è stata l’intenzione di voto; sarà puerile, velleitaria, ma mille volte più nobile e positiva del rancore di chi votava a sinistra solo per odio e paura, cioè contro la destra; o di chi col voto ha fatto uso personale e scambio clientelare, come nel peggior passato e nel peggior sud.

Mai come questa volta la vittoria non è stata corale ma singolare: ha la faccia, la voce, gli occhi di Giorgia Meloni. Occhi di ragazza, dicevo ieri. Il resto è contorno. Hanno perso le Vecchie Zie: i tutori che comandano l’Italia, le consorterie, le curie, le cupole. Ora circonderanno la Meloni: se la vedono debole la massacreranno, se la vedono forte si fingeranno amici.

E gli altri leader politici? Letta col suo Pd ha perso perché ha puntato solo sulla paura del mostro, fascista-putiniano- orbaniano; non un programma positivo ma solo terrore, “sennò arrivano gli orchi”. Bisogna pur dire che ha concorso alla sua disfatta anche la giravolta di Calenda che lo ha sedotto e abbandonato, dopo che Letta aveva rotto i ponti con i grillini. A questo proposito va notato che il recupero di Conte (ma i grillini hanno pur sempre dimezzato i voti) è dovuto al recupero del populismo da strada, della demagogia pauperista ma anche all’abbandono dell’alleanza col partito-regime, il Pd.

La notazione generale da fare sul voto è che il populismo è ancora vincente sul piano elettorale. Quando si processa Salvini, e si ipotizza il passaggio di mano verso Zaia, Fedriga o Giorgetti, si dimentica che Salvini ha perso consensi proprio perché ha smesso di essere il deprecato Salvini, ha abbandonato populismo e sovranismo e si è piegato a Draghi, al governo col Pd, poi addirittura a votare per Mattarella, seguendo proprio la linea “moderata” dei suoi antagonisti interni che oggi dovrebbero processarlo e sostituirlo.

Al di là del giudizio su Draghi vogliamo dirlo che non ha portato bene a chi lo ha sostenuto e in suo nome ha fatto campagna elettorale? Altro che l’Italia voleva ancora Draghi, ha votato l’unica oppositrice… Non hanno sfondato Calenda e Renzi, il draghiano Letta è stato sfondato, così pure Salvini che ha sostenuto il suo governo (pur per rispettabili ragioni); è affondato Di Maio neo-draghiano, si è salvato Berlusconi, passato anche politicamente dal Milan al Monza, ma resta pur sempre decisivo con la sua Forza Italia due. Invece ha trionfato chi si opponeva a Draghi, come la Meloni, ed è andata bene a chi ha innescato la crisi per mandarlo a casa (Conte). Poi certo, le elezioni hanno offerto, oltre l’anomalia di un solo candidato premier, anche altri spettacoli negativi: l’alta astensione, un record senza precedenti nelle politiche, i partiti devitalizzati, svuotati; pure i partitini anti-sistema sono stati un flop; e poi è stato deprimente il voto e il non voto del sud. Spie di un malessere grave (non a causa della Meloni, mi pare).

Ora cosa succede? A parte le grida di pericolo fascista che accompagneranno il centenario della Marcia su Roma, non mi aspetto grandi cambiamenti, non mi aspetto rivoluzioni né rotture, non mi aspetto ripensamenti sulla Nato e sull’Europa, o addirittura riabilitazioni del fascismo. Mi aspetto poco, mi aspetto molta continuità più qualche piccola svolta e qualche risultato simbolico, in tema di famiglia, di sicurezza e poco altro.

Ma mi auguro che accada almeno una cosa: che sia possibile nell’Italia della Meloni avere un altro punto di vista, senza essere considerati ciechi, pericolosi o retrivi come è stato finora. Mi auguro che con una premier di destra migliori la possibilità di vedere anche in altro modo la realtà, la vita, la storia, la cultura. In questi ultimi anni c’è stato un clima opprimente; se pensi altrimenti sei condannato al vituperio o al silenzio. Non sogno cambi di egemonie, figuriamoci, mi accontenterei che sia almeno riconosciuto chi la pensa diversamente, che ci sia spazio per l’oppure, che un altro punto di vista non sia un crimine o un regresso ma semplicemente un altro modo di vedere e affrontare le cose. Per il resto viva l’Italia e che la Madonna ci accompagni.

Il reddito di Pulcinella

Marcello Veneziani  ,  La Verità – 14 settembre 2022

Come chiamare il voto che il sud d’Italia, a partire dalla Campania, si appresta a dare in favore del Movimento 5Stelle in virtù del reddito di cittadinanza? Voto clientelare di scambio. Come ai tempi della peggior Dc e dei suoi peggiori alleati. I clientes, ovvero i beneficiari della legge grillina, voteranno i loro benefattori, non solo e non tanto per gratitudine (nel qual caso, forse, più che a Conte dovrebbero essere grati a Di Maio), quanto per assicurarsi che quel reddito non verrà revocato, come invece minaccia il centro-destra. Voto di scambio non con singoli candidati ma con l’intero partito.
Penoso il sostegno del Pd a quella legge, peraltro varata dal governo grillino-leghista: è l’unica cosa davvero “di sinistra” che sono riusciti a dire, ma non l’hanno fatta loro.
E’ deprimente che il voto sia ancora ridotto come nelle peggiori tradizioni meridionali, e lo dico da meridionale, al favore ricevuto, al reddito parassitario elargito dal potere alla plebe. E’ un’offesa a chi si guadagna duramente da vivere attraverso il lavoro; è un’offesa al merito, agli studi, alle capacità, ai sacrifici; è un’offesa alla dignità umana, a partire da quella dei beneficiati.
Ma in alcune aree del sud, tra la Campania e la Sicilia, a partire da Napoli, i 5S di Conte possono addirittura essere il primo partito grazie al reddito di cittadinanza. Se è vero che, ad esempio, a Napoli, capitale del sud, il 15 per cento dei cittadini percepisce il reddito di cittadinanza, escludendo vecchi e bambini e includendo i congiunti dei beneficiati, un bacino abnorme potrebbe votare i 5 Stelle. Quando alcuni osservatori mesi fa annunciavano la scomparsa dei grillini, facevo osservare che col reddito di cittadinanza si sono assicurati uno zoccolo duro intorno al dieci per cento della popolazione, anche se candidano Pulcinella e sparano le peggiori sciocchezze.
Non a caso, per la prima volta nella storia della Repubblica, fa notare con rammarico Amedeo Laboccetta, la destra non prevede un comizio del suo leader a Napoli, nella capitale del Mezzogiorno. Come mai? Presumo perché Giorgia Meloni si è impegnata ad abolire il reddito di parassitanza, e a Napoli rischierebbe contestazioni veementi di piazza, se non peggio. Lo ha capito bene, da antico piazzista, Berlusconi che infatti non esclude il reddito di cittadinanza.
La cosa più difficile a farsi, in politica, è togliere qualcosa che appare come un diritto acquisito. Meglio pensare soluzioni più realistiche: innanzitutto fare un censimento per stabilire chi sono davvero gli aventi diritto, stringendo le maglie e i requisiti per averlo, con una revisione radicale di tutti i redditi finora percepiti, tra tanti falsi e abusivi fruitori; poi distinguendo tra quanti hanno reale, assoluta necessità e quanti, italiani e stranieri, invece ci marciano. Quindi vagliare se hanno avuto offerte di lavoro e non hanno accettato; poi va ribadita la provvisorietà del sussidio. Va infine studiata la riconversione dei rdc in lavori socialmente utili. Se percepisci un sussidio devi fare qualcosa per guadagnartelo. Ad esempio, come scrissi, riconvertire i fruitori del reddito nell’assistenza agli anziani; non sanitaria, per la quale si richiedono studi ed esperienze, ma per la prima assistenza non specialistica. Giustificherebbe il loro sussidio e aiuterebbe tanti anziani abbandonati a se stessi in casa e in solitudine. La stessa cosa si potrebbe prevedere a sostegno di altre situazioni, per es. baby sitter; o ausiliari dell’ambiente, per la pulizia delle strade. Tutto meno che ricevere gratis un reddito.
E’ vero che in alcuni paesi il reddito di cittadinanza ha funzionato, è stato concepito come un sostegno per il lavoro perduto e per trovarne un altro. Da noi no, purtroppo. Al di là delle inverosimili cifre sparate dai grillini che parlano di centinaia di migliaia di persone che, grazie al reddito, avrebbero trovato lavoro (ma davvero, ma dove, il 24% di giovani disoccupati si riferisce ai marziani?); fino al surreale annuncio che i famigerati navigators, disoccupati che avrebbero dovuto trovare lavoro ad altri disoccupati, avrebbero procurato addirittura 300mila posti di lavoro (lo diceva il vice di Conte, Riccardi, in un dibattito a Post del Tg2). Magari troveranno un Tridico, voluto dai grillini a capo dell’Inps, pronto a dar loro una mano sui dati; ma c’è un limite di evidenza e di decenza che non si può varcare. Provate a vedere a Napoli, capitale del reddito di cittadinanza, se riuscite a trovare una vaga traccia di questa ripresa del lavoro grazie al sussidio di stato…
Si sa, invece, che il reddito ha tolto lavoratori dal mercato del lavoro (magari lavoro sottopagato o malpagato, ne convengo, ma le aziende hanno difficoltà a trovare dipendenti per via del sussidio di stato) o li ha fatti rientrare nel lavoro nero per integrare il reddito percepito dallo stato. Non si può negare lo sfruttamento con salari da fame da parte di alcune imprese né l’effettiva povertà di taluni fruitori. Ma il reddito di cittadinanza non è la soluzione, rinvia il problema, non attiva il mercato del lavoro, non funziona per reintegrare nel lavoro chi lo ha perso, succhia soldi pubblici e sottrae investimenti che potrebbero rilanciare il mondo del lavoro; ed è profondamente immorale, diseducativo, anti-etico.
A questo punto, meglio andare fino in fondo e sostenere paradossalmente, come faceva cent’anni fa il filosofo Giuseppe Rensi nel saggio Contro il lavoro, che gli uomini non devono rivendicare il diritto al lavoro, che è schiavitù e sfruttamento, ma il diritto al non lavoro; perché all’uomo si addice il gioco e la contemplazione. Correggendo l’antico proverbio, il lavoro debilita l’uomo. Asserve e rende infelici. Poi, come possa reggere e campare una società del non lavoro, chiedetelo ai grillini o a Pulcinella.

La Verità – 14 settembre 2022

Il voto è un referendum tra la Meloni e la paura

Marcello Veneziani  , La Verità (4 settembre 2022)

Fra tre domeniche si vota e sono chiari i contorni della sfida e i suoi principali competitori: il vero avversario di Giorgia Meloni, favorita nei sondaggi e nelle piazze, non è Enrico Letta e nemmeno Calenda o Conte, o all’interno del centro-destra Berlusconi o Salvini, ma è la Paura, la Grande Paura. E’ l’unica avversaria che può batterla. Se seguite con attenzione la campagna di orchestrazione generale per fermare la Meloni, alla fine, l’unica, vera antagonista che si contrappone a lei è proprio la Paura. Né ci sono altri candidati premier oltre lei.

Chi è, cos’è la Paura che si oppone alla leader di Fratelli d’Italia? Possiamo intenderla in due sensi, generale e specifico. In senso generale è la Paura indotta dalla situazione e dal temibile autunno che si paventa alle nostre porte: rincari, trambusti, spread e inflazione alle stelle, imprese che chiuderanno, crisi energetica, disoccupati e pensionati sul lastrico; e poi ancora guerra, ancora covid, ancora rischi globali e ambientali. Davanti alla paura, il suggerimento anche nascosto, subliminale, che viene rivolto, è di restare nel guscio, non tentare avventure, non cambiare gli assetti, tenersi stretti i poteri vigenti, attaccarsi a Draghi e alla Regina Madre Mattarella, per non correre rischi letali.

Alla Paura generica e generale, che precede le scelte politiche e non fa nomi né esprime preferenze ma suscita solo apprensioni di massa e angosce paralizzanti, si aggiunge la paura specifica, politica, ad personam per la Meloni fascista, putiniana, trumpiana e orbaniana. Con un aggiornamento: la Meloni non sarà tutto questo ma fa paura affidare una situazione così grave a una mezza pischella d’opposizione senza esperienza; non ha numeri, non ha appoggi, non ha gente qualificata, accettata e adeguata per affrontare la situazione terribile che già si profila in questi giorni. Dunque, anche se dovessero cadere tutte le fasciofobie e le paure preliminari, le barriere ideologiche, le pregiudiziali maschiliste e antifasciste, europeiste e atlantiste, resta pur sempre lei, Calimero, un pulcino spelacchiato e nero, col guscio d’uovo rotto sulla testa al cospetto dei Grandi Problemi della nostra epoca. Si può passare dai draghi fiammeggianti alle piccole mamme militanti della fiamma? Si può davvero credere che lei, così piccola e fragile, sia pronta a governare, come dicono i manifesti?

Perciò al di là di tutta la messa in scena elettorale, il teatrino televisivo, la rappresentazione delle forze in campo, alla fine l’unica carta su cui puntano non solo gli apparati che contano, ma anche gli stessi dem, i terzopolitisti e tutti gli avversari anche nascosti e interni della Meloni, è la Paura. Meglio l’ingovernabilità condivisa che la governabilità chiara con lei alla guida del governo.

Nel nome della paura dovremmo sospendere a tempo indeterminato la politica e la democrazia, la sovranità popolare e nazionale, il ricorso alle urne. Se un paese non è in grado di scegliere i propri governanti ma deve sempre attenersi ai protocolli sanitari d’emergenza e preferire alla scheda elettorale le maniglie antipanico delle vecchie Zie e le mascherine d’obbligo dei tecnici al potere, allora può chiudere i battenti. Basta esprimere il voto, la nostra facoltà di scelta è limitata ai prodotti Amazon. E’ curioso notare che dopo aver ripetuto che il voto populista è un voto infantile mentre volere Draghi significa essere adulti, ora s’inverte il criterio: abbiamo bisogno della patria potestà, rassicurante e protettiva, da soli con Giorgia non ce la facciamo, siamo bambini inermi esposti al pericolo.

Al di là di ogni obiezione, riconosco l’efficacia psicologica e minatoria della Paura come arma elettorale. Se ogni giorno tutti ti dicono che se vince la Meloni ci ritirano il Pnrr e la patente, ci chiudono le porte e i conti, ci fanno schizzare lo spread e l’inflazione e tutto il resto, oltre al fascismo, il razzismo e via dicendo, prima ti arrabbi, protesti, deprechi; ma alla fine, dai e dai, quando fai due conti finali ti dici: ma perché devo rischiare così tanti guai solo per mandare la Meloni o chi per lei a Palazzo Chigi? Meglio tenersi chi abbiamo. La Paura è un concorrente temibile.

Vorrei sommessamente far notare che in questa situazione di pericolo e di guaio non ci ha portati la Meloni, semmai coloro che invochiamo come suoi argini e nostri garanti: erano loro al potere, mica la Meloni.

Aggiungiamo per amor di verità che il successo della Meloni non è dovuto solo alla sua bravura in tv o alla coerenza lineare che ha avuto finora rispetto agli altri leader ondivaghi e agli altri partiti ballerini: ma anche perché lei è l’unica Vergine del Potere, l’unica che è stata sempre Contro, rispetto a tutti gli altri che al governo ci sono andati (lei fu ministro della gioventù da ragazza, ma eravamo nell’era mesozoica di Berlusconi, lei contava poco, non fa testo). Insomma, la gente vota per chi non ha precedenti e non ha mai dato prova di sé, come fu coi grillini, vota per chi non si è mai contaminato col potere; magari appena accadrà, i consensi caleranno anche per lei…

Tutte le riserve e i dubbi sono legittimi sulla Meloni premier, sulla classe dirigente di cui si circonda, sulla tenuta dei suoi alleati, sulle scelte che ha compiuto nelle liste e nei candidati; o sulla linea in politica estera, l’atlantismo filo-Nato, l’eurodraghismo d’asporto o le mille promesse che non potrà mantenere. Tutto ciò che volete, ma dobbiamo riconoscere che giudicare preventivamente l’alternanza o la svolta come una sorta di catastrofe per l’Italia è un modo per uccidere la democrazia e ridurre il libero consenso a impaurito assenso nei confronti dei poteri vigenti, senza possibilità di mutarli. Non si può votare solo per paura. Il referendum tra la Meloni e la Paura peraltro non coinvolge tutti i cittadini; ci sono quelli che non si ritrovano nell’una o nell’altra. Ne riparleremo prossimamente.

 

Destre e governo: se la Fiamma resta alternativa al mondialismo

Massimo Magliaro , ( Barbadillo.it  25 agosto 2022 )

Quello che conta sono le ri-fondamenta di questa Destra, cioè i nuovi ideologi, i nuovi pensatori, i nuovi filosofi ai quali questa Destra restaurata intende attingere

 

Ieri si autoproclamava “democratica”, oggi si autoproclama “conservatrice”. E’ la Destra italiana. 

Prima ancora si chiamava nazionale e sociale e durò mezzo secolo in barba a leggi liberticide, al terrorismo rosso e a quello dei Servizi segreti, a scissioni pilotate, alla asfissiante censura dei giornali ed alla micidiale ostilità delle banche. 

Oggi è una Destra in rifondazione. Fuori mostra il cartello “Lavori in corso”.

Non si tratta della Fiamma. 

La Fiamma è un simbolo e, come tutti i simboli, è amato da chi vi si riconosce e odiato da chi non vi si riconosce. Che dunque gli avversari della Fiamma e della sua Storia chiedano di spegnerla è un loro (sterile) diritto. Sta a chi ne è custode difenderla e tenerla accesa. Se questo non avviene vuol dire che la custodia viene meno. Il che è un problema etico, estetico e politico, perché ogni politica vive di simboli (perfino Di Maio ne ha uno), si riconosce con i simboli, si identifica anche (non solo) nei simboli.

La questione non è Fiamma sì-Fiamma no.

Quello che conta sono le ri-fondamenta di questa Destra, cioè i nuovi ideologi, i nuovi pensatori, i nuovi filosofi ai quali questa Destra restaurata intende attingere. E conta il perché vengono scelti.

Ci ha aiutato il meeting milanese di Fratelli d’Italia di fine aprile. 

Lì c’è stato chi ha definito “filosofi padri” e “pietre miliari” della Destra rifondata, e buona, Friedrich von Hayek e Ludwig von Mises, due austriaci sbarcati, il primo, nel Regno Unito e, il secondo, negli Stati Uniti e diventati capiscuola del nuovo pensiero liberale che si è andato articolando in correnti e controcorrenti (anarcocapitalisti, liberalconservatori, anarcoliberisti, neolibertariani) tutte rigorosamente funzionali al potere mondialista oggi dominante. 

Un fecondo pensatoio che ha rinvigorito l’idea (un po’ vecchiotta) che l’obiettivo principale del pensiero conservatore è la “liberazione dallo Stato”. L’ennesima esaltazione del libero mercato.

Siamo anni luce lontani dal pensiero cui la Destra nazionale e sociale italiana ha attinto e che l’ha caratterizzata come una originale e coraggiosa forza innovatrice sia per le istituzioni sia per l’economia e il lavoro. 

D’un colpo sono spariti Sorel, D’Annunzio, Marinetti, Pareto, Gentile, Rocco, Arias, Carli, Del Vecchio, De Ambris, Manoilescu, von Greene, Blanc, de Saint Simon, Spirito, Fourier, Owen, Proudhon. Sparite con un colpo di bacchetta magica le Encicliche sociali della Chiesa, dalla “Rerum novarum” di Leone XIII alla “Centesimus annus” di Giovanni Paolo II alla “Caritas in Veritate” di Benedetto XVI, che hanno costantemente ribadito davanti al mondo che carità e verità camminano, insieme, su una strada opposta al relativismo materialista (quindi anche liberale-liberista-libertario) e che quella da perseguire decisamente è l’economia sociale di mercato (non il mercato-padrone dei liberali né lo Stato-padrone dei marxisti). Sparita la via costituzionale per la rappresentanza politica del lavoro. Sparita l’alternativa corporativa alla tecnificazione della politica. Sparito l’autogoverno del mondo produttivo. 

Tutta robaccia, tutte macerie. 

Dico queste cose senza la nostalgia di una Storia cui appartiene, senza se e senza ma, la mia vita. Le dico con grande amarezza per l’oggi e per il domani, per il mio Paese che rischia di sprecare la grande occasione di non affogare nel mondialismo sempre più intollerante con chi dissente, sempre più prepotente con chi si oppone, sempre più liberticida con chi non si uniforma. Un’occasione grande per l’Italia ma anche per l’Europa che ci è sempre piaciuto chiamare Nazione, come ci insegnò Filippo Anfuso, e non Unione, come ci imposero De Gasperi-Schumann-Monnet.

Mi viene in mente una considerazione che Jean-Marie Le Pen ha fatto con me più volte: andare al potere è cosa buona e giusta, ma per che fare?  Per realizzare il tuo programma o quello degli altri? quello per il quale hai raccolto il consenso oppure quello che gli “alleati” ti ingiungono, cortesissimi, di portare a casa, tanto-ormai-sei-arrivato-al-traguardo?  

Gianfranco Fini ci arrivò. Che resta di quella storica “prima volta”? Eppure anche lui ci portò bei nomi.

Ecco, con quei filosofi padri e quelle pietre miliari cui è stata fatta l’apologia a Milano, dove si va, che strada si percorre, dove si arriva? Alla mèta, dirà qualcuno: la tua o la loro?

Assumendo i princìpi di von Hayek e di von Mises cosa si potrà dire a chi, fra qualche mese, dovrà fare i conti con una situazione sociale che si annuncia drammatica come poche nel dopoguerra? Ai giovani, alle giovani famiglie, ai pensionati, ai precari, agli immigrati? Che futuro gli si promette? Con quali sogni? Con quali progetti? Con quali bandiere? Forse col libero mercato? 

E’ questo il traguardo conservatore? 

Nel Regno Unito, ai tempi della Thatcher, ci fu un dibattito assai acceso fra conservatori “classici” e thatcheriani (i liberal-conservatori). 

La spuntò la lady di ferro. La sua esperienza durò un decennio. Si disse sì al nucleare. Si depenalizzò l’aborto. Si mantenne la pena di morte. Venne privatizzata l’industria pubblica più importante. Regnò la deregolamentazione.

Sono ancora modelli?

Con il pensiero di quei “filosofi padri” (padri anche della Thatcher) sì, sono ancora modelli. 

Il 25 settembre gli italiani voteranno anche su questo liberismo d’importazione con cui si vuole rifondare la Destra italiana. Ma a furia di parlare liberale-liberista-libertario ci si troverà a parlare anche atlantista, proprio come predica il Council on Foreign Relations.

Il sol dell’avvenire non sorge più a est, come dicevano gli antenati di Letta, ma ad ovest, come dice Biden. 

Tutto si tiene, diceva Alberto Giovannini.

Gratta il conservatore e trovi il liberale.

Quel che questa Destra rifondata propone è davvero “altro” rispetto a quel che conoscevamo. Ma altro non vuol dire nuovo. Vuol solo dire altro, cioè differente, distinto e distante, estraneo, (forse anche) intruso. 

Non sono nuovi Pera, Tremonti, Nordio, Terzi di Sant’Agata. Sono rispettabilissime persone. Ma sono altro da me e da chi non ha mai spento la Fiamma né lasciato in cantina idee, valori, progetti, suggestioni, memorie che sono stati, tutti insieme, la nostra Storia. Per questa Storia  non furono pochi coloro che ci lasciarono la vita. 

Volevano conservare o volevano cambiare?

Ricordo assai bene il dicembre 1984, quando la sede nazionale del Msi passò da via Quattro Fontane 22 a via della Scrofa 39. 

Fu una festa. 

Adesso è tempo di traslochi.   

C’è chi entra e c’è chi esce.

*Scrittore e giornalista, giĂ  portavoce di Giorgio Almirante e direttore di Rai International

@barbadilloit